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29.5.02

Ico

Ico (SCE, 2001)
sviluppato da Team Ico - Fumito Ueda


Fra le massime espressioni di minimalismo videoludico.
:)

Grafica essenziale, con texture povere e sgranate, ma costruzioni poligonali immense, solide, vere. Ti affacci da una balconata e vedi il muro che scende giu fino all'abisso, le vertigini ti assalgono, devi allontanarti, non puoi guardare. Tutto è collegato, sei veramente in un immenso castello con le sue stanze e i suoi corridoi. Quella finestra, quella camera, quel piccolo punto che vedi da lontano e in cui vorresti arrivare, prima o poi li toccherai. La divisione in livelli, in [stanze], c'è, ma è ben nascosta dalla divisione in stanze. Sei li e passeggi per questa assurda prigione, stringendo per mano la ragazzetta da sogno che hai come unica compagna nel tuo tentativo di evasione (gran troia, fra l'altro, che fa fare tutto a te e non vuole manco sbattersi per arrampicarsi su da sola da un cazzo di muro). Ico corre sgraziato e bovino, ciondolando fra una scalinata e l'altra e urlando dietro a un fantasma etereo che lo segue fiducioso. Ed è tutto inutile, perchè le mura della prigione sono troppo spesse per lasciar passare entrambi. Yorda lo sa, ma non vuole crederci, non vuole convincersene e poi ormai si è troppo affezionata a questo ragazzino bicornuto che vuole a tutti i costi aiutarla.

In Ico non succede un cazzo dall'inizio alla fine. Giusto due filmatini e un paio di cagate per mandare avanti una storia che c'è e non c'è. La narrazione è fatta di silenzi, di pause, di atmosfere rarefatte e toccanti, che accompagnano per mano dal delirante prologo allo struggente finale. C'è pure il doppio finale carpiato, con happy ending forzato e insulso, infilato senza senso per far sorridere mentre si azzanna il melograno e si scaccia la tristezza. Ma va bene così, perchè in fondo siamo tutti sognatori e ci piace essere cullati da un minimo di speranza. I nippo nappo lo sanno e ce lo ribadiscono ogni volta.

In Ico non si fa un cazzo dall'inizio alla fine. Saltelli da una piattaforma all'altra con indifferenza, fai fuori un paio di ombre di Heart Of Darkness, spingi le casse di Tomb Raider sugli interruttori di Resident Evil, usi il bastoncino di Zelda per accendere le torce e risolvi enigmi di una semplicità imbarazzante. "Toh, c'è un quadrato per terra. Toh, c'è una cassa la cui base ha le stesse dimensioni. Chissà che devo fare?" Così dall'inizio alla fine, con qualche rielaborazione, ma senza mutare nella sostanza. Sai sempre cosa devi fare, al limite ci mettì un po' a capire il come, ma è una questione di pochi minuti. Però non ci sono inutili ripetizioni [Resident Evil], non devi rifarti tre o quattro volte tutto il gioco avanti e indietro per allungare la brodaglia [Metal Gear Solid]. Ico scorre placido e pulito, un miracolo di design che riesce a non annoiare mai anche perchè a un certo punto finisce.

A Ico non avrebbe fatto male un playtester con un minimo di cervello. Le inquadrature saranno anche molto cool e cinematografiche (e fanno il grosso del lavoro nel creare quell'assurda e insostenibile sensazione di altezza e profondità delle costruzioni), ma io mi sarei anche rotto il cazzo di giochi in cui non vedo le mazzate che il mio personaggio sta pigliando perchè ho una colonna davanti agli occhi... Qualcuno gli spieghi che non stiamo parlando di cinema, ma di videogiochi, e che mettere un minimo la prima cosa al servizio della seconda sarebbe una cosa carina.

Alla fine, però, Ico vive e si nutre di debolezze.
Come tutti i capolavori, risplende grazie anche alle sue imperfezioni.
10 e lode.

 
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