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30.4.14

Post doveroso, fortemente sentito, un po' criptico ma dalla in fondo non poi così difficile interpretazione


29.4.14

24: Redemption


24: Redemption (USA, 2008)
di Jon Cassar
con Kiefer Sutherland, Robert Carlyle, Hakeem Kae-Kazim, Gil Bellows

24: Redemption è uno dei tanti prodotti venuti fuori un po' come capitava dallo sciopero degli sceneggiatori del 2007. Con appena otto episodi della settima stagione girati prima che si fermasse tutto e lo sciopero che andava per le lunghe, la produzione decise di rinviare direttamente la trasmissione della nuova annata al 2009 e a posto così, ma riuscì comunque a tirar fuori questo episodio speciale da un'ora e mezza o giù di lì, trasmesso a novembre del 2008, che in linea teorica avrebbe dovuto far da ponte fra la moscia sesta stagione e l'auspicabile ritorno in vita della settima. Peccato che a conti fatti finisca per ridursi a un montaggio alternato fra un lungo trailer della settima stagione (la parte ambientata a Washington) e un affascinante campionario di barbosa e stucchevole inutilità (la parte ambientata in Africa), in cui si salva giusto l'unica scena d'azione vera e propria, nella quale il Bauer si palleggia circa centododici uomini della milizia locale col suo solito savoir-faire.

Sulla carta, la cosa aveva del bel potenziale, tanto sul piano degli sviluppi narrativi quanto su quello strutturale. Una volta tanto si poteva vedere Bauer in azione in una località esotica, pesce totalmente fuor d'acqua, perché il racconto era racchiuso nel suo microcosmo e non ci saremmo ritrovati a doverlo piazzare in aereo per otto puntate mentre se ne tornava negli iuessei. Peccato che la cosa serva solo a raccontare una storia di un prevedibile pazzesco, tempestata di personaggi che quando va bene sono incolori (Carlyle), quando va male sono insostenibili (i bambini) e quando va malissimo sono delle macchiette talmente esagerate da risultare fuori contesto perfino in un telefilm non esattamente sottile e misurato come 24 (l'osservatore neutrale delle Nazioni Unite e lo spaccamaroni dell'ambasciata, veramente uno meglio dell'altro).

Ma il vero paradosso è un altro: se 24 ha un limite, sta nel fatto che la serie fa spesso una gran fatica a non mostrare la corda nello stiracchiare i suoi racconti lungo stagioni da ventiquattro episodi. Tolto il mezzo miracolo della quinta stagione, tutte le altre, qualcuna di più, qualcuna di meno, qualcuna è la sesta, hanno i loro momenti di ristagno totale, in cui s'incagliano e arrancano come possono. Ebbene, uno s'aspetterebbe che in un racconto lungo sostanzialmente come due puntate si riescano ad evitare i tempi morti e ci sia un bel tripudio di azione e tensione senza freni. Credici. 24: Redemption comprime una stagione di 24 in un'ora e mezza (due, se contiamo le interruzioni pubblicitarie) e lo fa senza scrollarsi di dosso le parti pallose, le svolte insensate, le perdite di tempo e i momenti di tedio. A modo suo, è un risultato quasi ammirevole. No, bravi, davvero.

Però, oh, mi dicono che poi la settima stagione è buona. Dai, crediamoci.

28.4.14

E invece Cannes a Milano si fa!


L'altra settimana segnalavo la morte della rassegna Cannes e dintorni, che da quasi vent'anni permetteva di seguire in giro per i cinema di Milano una selezione di film del Festival di Cannes. Oggi segnalo invece che, almeno per quest'anno, si farà, perché un "misterioso benefattore cinefilo" ha deciso di scucire quarantamila euro di tasca sua per coprire i costi di organizzazione. E quindi, insomma, è una bella cosa, ancora una volta siamo riusciti a risolvere un gravissimo problema da primo mondo e io ho pure un post facile da mettere qua sul blog in un lunedì mattina complicato.

Segnalo inoltre che Short Term 12 è un film bellissimo.

27.4.14

Lo spam della domenica mattina: Buh!


Ieri, su IGN, ho uscito l'anteprima di un gioco di quelli che fanno paura. Si intitola Grave, la raccolta fondi su Kickstarter si conclude in queste ore, apposto. Ma questa settimana ho scritto anche una logorroica anteprima su Watch Dogs, una logorroica intervista al direttore delle animazioni di Watch Dogs, una logorroica intervista a Dave Gilbert di Wadjet Eye Games e la recensione del bellissimo Blackwell Epiphany. Su Outcast, invece, la solita routine: un Videopep sulla robbaccia del sacchetto di Watch Dogs e l'Old! sull'aprile del 2004.

Fun Fact: qua il nuovo film dell'ummeragno esce una settimana dopo.

26.4.14

La robbaccia del sabato mattina: Nerdammucchiate


Partiamo subito in quinta con le nerdate, menzionando che tale Ray Fisher è stato ingaggiato per il ruolo di Cyborg in Batman Vs. Superman, un film che continua ad assomigliare sempre più a un'ammucchiata a cazzo di cane. Certo che tutta quest'ansia di fare i film corali per inseguire la Marvel, per quanto comprensibile, è un po' preoccupante. Secondo me si rischia di fare danni e basta. Boh. Ad ogni modo, rimanendo sul fronte degli annunci che non promettono nulla di buono, leggo che è stata messa in produzione una serie televisiva ispirata a Venerdì 13, nella quale verrà raccontata la storia delle varie generazioni della famiglia Voorhees. Dio santo.



Il trailer di Jersey Boys, il nuovo film di Clint Eastwood, alla sua prima volta con un musical, ma non alla sua prima volta con una storia di gente che fa musica. Secondo me sarà bellissimo. Sempre secondo me, invece, farà abbastanza cacare Sin City - Una donna per cui uccidere, al punto che mentre scrivevo queste parole m'è pure passata la voglia di piazzarne qua sotto il nuovo trailerino. E quindi non ce lo piazzo, mi limito a segnalare una serie di - come al solito ottimi - poster Mondo dedicati a X-Men: Giorni di un futuro passato e a piazzare qua sotto il trailer per il Giappone di Godzilla, in cui lo si vede giustamente in piedi nella classica posa da Godzilla giapponese e, soprattutto, che si chiude su una nippo-voce che dice "Gojira" facendomi venire i brividi.


Ieri sera sono andato a vedere uno di quei film che in Italia chissà, boh, vai a sapere. Fra l'altro non ho ancora capito come si intitoli veramente. Si intitola Short Term 12, ma qua in Francia l'han chiamato States of Grace. Comunque, ho scritto questo post ieri pomeriggio, prima di andare a vederlo, quindi non so come sia.

25.4.14

24 - Stagione 6


24 - Day 6 (USA, 2007)
creato da Joel Surnow e Robert Cochran 
con Kiefer Sutherland, Mary Lynn Rajskub, D.B. Woodside, James Morrison, Peter MacNicol, Powers Booth, James Cromwell

Succede praticamente sempre ed è forse quasi inevitabile: arriva l'anno in cui una serie TV raggiunge l'apice della forma, ogni cosa va al suo posto e la padronanza di autori, cast, produzione è talmente totale da dar vita alla stagione perfetta... e l'anno dopo scatta la risacca. Tipicamente, poi, il problema è che non solo non riesci - comprensibilmente - a replicare la perfezione, ma crolli proprio verso il basso. Ed è esattamente quel che accaduto con la sesta stagione di 24, arrivata dopo la migliore di tutte e rivelatasi non solo ben lontana dall'esserne all'altezza, ma proprio moscia, pasticciatissima nella scrittura e sostanzialmente mediocre, nonostante una manciata di episodi iniziali molto coinvolgenti e un crescendo finale che, tutto sommato, funziona abbastanza bene.

Ed è un peccato, perché l'avvio è davvero fulminante. Da un lato, l'introduzione di un Jack Bauer uomo distrutto e sempre più lontano dal supereroe degli anni precedenti è una bella idea, che oltretutto per qualche episodio viene sviluppata davvero bene, sia sul piano fisico che su quello psicologico. Dall'altro, l'incedere della crisi è spettacolare e del resto, se dopo appena quattro episodi han già fatto esplodere una bomba atomica nel bel mezzo di Los Angeles, beh, che gli vuoi dire? Il problema è che quell'esplosione si lascia dietro quasi solo macerie soprattutto sul piano narrativo: fra lei e la crisi esistenziale del Jack dopo aver sparato a Curtis, la stagione si gioca il meglio che ha da offrire nelle prime puntate e poi non solo non riesce a rilanciare come si deve, ma si perde anche per strada i temi più interessanti, incagliandosi in sviluppi confusionari e tirati per le lunghe.

Del resto è un po' il problema storico di 24: raccontare una storia in tempo reale per ventiquattro episodi è un'idea splendida e innovativa (certo, dopo cinque stagioni, la carica innovativa s'è un po' persa), ma farlo in quei termini per ventiquattro episodi riuscendo a mantenere sempre alta la tensione e a non sfondare il muro della minchiata con i continui colpi di scena e ribaltoni è veramente dura. Fatto sta che quest'anno in particolare s'impantana parecchio nella parte centrale, veramente stiracchiata a dismisura. E probabilmente non aiuta il fatto che il cattivone nascosto dietro le solite centododici rivelazioni - ma in realtà abbastanza telefonato fin quasi dall'inizio - faccia pietà. Sarà che il personaggio non era nelle sue corde, sarà che di fronte alle sceneggiatura gli è venuto il latte alle ginocchia ed è entrato in modalità keep gettin' dem checks, sarà quel che sarà, ma il caro James Cromwell ha costantemente la faccia di quello che sta aspettando la fine del turno e vuole tornarsene a casa. Quando poi gli viene chiesto di mostrare delle emozioni, tipo nella telefonata in cui gli comunicano l'uccisione di Jack (credici), si sconfina nella demenzialità involontaria (credo).

E alla fine, dopo la visione, che comunque si conclude su una nota positiva perché gli ultimi episodi funzionano abbastanza, rimangono in testa soprattutto quell'avvio fulminante, qualche morte (povero Milo, assente per quattro anni, torna solo per pigliarsi una pistolettata in faccia) e in generale il senso di un'annata che chiude un'era, ponendo fine alle vicende della famiglia Palmer e della CTU di Los Angeles, in previsione di un nuovo 24 che - dopo la paralisi causata dallo sciopero degli sceneggiatori - darà vita a un tentativo di rilancio con nuove idee e nuove ambientazioni. Forse. Non lo so. Devo ancora guardarmi le ultime due stagioni.

In compenso ieri sera mi sono visto 24: Redemption e, insomma, boh, bah.

24.4.14

Agents of S.H.I.E.L.D. 01X19: "L'unica luce nell'oscurità"



Agents of S.H.I.E.L.D. 01X19: "The Only Light in the Darkness" (USA, 2014)
creato da Joss Whedon, Jed Whedon, Maurissa Tancharoen
episodio diretto da Vincent Misiano
con Clark Gregg, Brett Dalton, Iain De Caestecker, Elizabeth Henstridge, Ming-Na Wen, Chloe Bennet 

Altro giro, altro buon episodio per una serie che ormai ha preso il suo ritmo e procede spedita verso il finale di stagione, continuando a insistere sul fatto che, no, Ward è cattivo, non è tutta una burla, è proprio un fetente, fatevene una ragione. Poi dai uno sguardo in giro per i forum e vedi che laggente non ne vuole sapere ed è disposta a inventarsi le teorie più arrotolate possibili - e se tutti quelli che ha ucciso fossero in realtà agenti Hydra? - perché convinta che alla fine ci toccherà sopportare la sua redenzione. A me sembra un po' folle, anche se continuo a non sentirmi di escludere l'ipotesi del sacrificio per salvare Skye con pentimento finale in punto di morte sullo stile di alcuni nemici di Ken il guerriero che, così facendo, si guadagnavano il diritto a non esplodere e a regalarci qualche commovente pirla di saggezza mentre esalavano l'ultimo respiro.

Intanto, però, il caro Ward continua a far fuori chiunque gli passi davanti e tutta la parte finale dell'episodio, per quanto assolutamente prevedibile negli sviluppi, regala un bel montaggio alternato, ottimamente accompagnato dalle note di cicci Amy Acker, che per certi versi mi ha ricordato il finale del bell'episodio dedicato a Blizzard. Per altro anche in questo caso vediamo la prima apparizione di un supercriminale dei fumetti, magari un po' moscio nella caratterizzazione, ma comunque sempre gradevole e ulteriore elemento nel ritratto dell'organizzazione discutibile che è (era?) lo S.H.I.E.L.D., poco importa se poi a prendere queste decisioni era Fury (come visto, per esempio, in The Avengers) o qualche infiltrato dell'Hydra.

Fra l'altro abbiamo messo la spunta a un altro fatto lasciato appeso per tanti episodi, ritrovandoci davanti l'amor perduto di Coulson e gestendo anche quella situazione, così si può tirare avanti e pensare ad altro. Altro di cui fa parte un bel modo per dare brevemente spazio ai vari personaggi in una maniera se vogliamo particolare, con tutta quella lunga scena della macchina della verità che funziona bene, è divertente, regala qualche dettaglio e due o tre strizzatine d'occhio, offre a ciccio Oswalt un breve momento di gloria e contribuisce ad approfondire lo sviluppo del rapporto fra Fitz e Simmons, che tutto sommato mi sembra stare affrontando un'evoluzione bella e credibile. Eppoi la prossima settimana torna Robin Scherbatsky che, insomma, è sempre un piacere.

Comunque, alla fin fine, la cosa più probabile per Ward penso sia che ce lo terremo come cattivo ricorrente per le prossime stagioni. Poi vai a sapere.

23.4.14

Sadomasochismo d'autore al cinema


Questa settimana sto un po' arrancando, come si conviene ad ogni settimana di rientro dalle pseudo-ferie ("pseudo" perché comunque, oh, ho lavorato, ma "ferie" perché l'ho fatto abbronzandomi e comunque lasciando che si accumulasse un sacco di roba che sto, per l'appunto, recuperando). E quindi, il sempre delicato post del mercoledì me lo gioco così, segnalando che domani arriva al cinema in Italia la seconda parte di Nymphomaniac, quella con le frustate. Io mi son visto prima e seconda parte qua in Francia, tra gennaio e febbraio, e ho scritto in un unico post una ventina di giorni fa. Casomai qualcuno c'avesse voglia di andarselo a (ri)leggere, sta a questo indirizzo qui.

Per altro, fra le cose accumulate, ci sono un sacco di film che voglio andare a vedere al cinema.

22.4.14

Non-Stop


Non-Stop (USA, 2014)
di Jaume Collet-Serra
con Liam Neeson, Julianne Moore

Qualche settimana fa, Bill Simmons ha scritto uno dei suoi interminabili articoli su Grantland, illustrando il concetto della cintura di campione di eroe dei film d'azione (concetto che ha poi ripreso e ridiscusso anche nel suo podcast). Fra le varie regole stabilite per sancire il campione, c'è la capacità, nel suo momento di apice della carriera, di farti venire voglia di guardare un suo film per il semplice fatto che si tratta di un suo film. Non importa se il soggetto è cretino, non importa se le recensioni lo demoliscono, il punto è che hai voglia di guardare un suo film. E meno parole si possono usare per descrivere il film, meglio è. Per esempio, per il periodo 2011/2014, la cintura di campione è in mano a Liam Neeson e i tre film chiave possono tutti essere descritti in cinque parole o meno: The Grey (Liam Neeson, territori selvaggi, lupi), Taken 2 (Liam Neeson, qualcuno viene preso) e Non-Stop (Liam Neeson, aereo). E in effetti, cosa devi aggiungere, per descrivere Non-Stop? C'è un aereo e a bordo c'è Liam Neeson. Il resto vien da sé.

Il resto, per altro, è riassumibile nel fatto che Liam Neeson veste i panni di un air marshal (gli agenti armati che viaggiano in incognito sugli aerei) talmente distrutto dalla vita che prima di imbarcarsi si ferma nel parcheggio dell'aeroporto a bere superalcolici al rallentatore e una volta imbarcato va a fumare di nascosto nel bagno dell'aereo coprendo il rilevatore di fumo con del nastro isolante. Insomma, è un uomo a pezzi. Ma è anche Liam Neeson. Quindi, per quanto a pezzi possa essere, se prendi di mira il suo aereo per portare a compimento il tuo piano criminale/terroristico/whatever, beh, non hai capito proprio nulla. Ma d'altra parte l'aeroplano dirottato è un classico dei film d'azione e a Neeson, che, piaccia o meno la deriva geriatrica del genere, negli ultimi anni è diventato un punto fermo dell'action di cassetta, l'esperienza mancava. Glie la serve Jaume Collet-Serra, affabile mestierante catalano che aveva già a curriculum un film del nuovo corso di Liam (Unknown), oltre a due horror gradevoli come La maschera di cera e Orphan.

E cosa ne viene fuori? Ne viene fuori un film con Liam Neeson sull'aereo. O, meglio, un film che per due terzi gioca tutto attorno al mistero del terrorista che chissà come farà a mandare i messaggi al telefono super segreto di Liam e a far morire la gente proprio quando ha predetto che sarebbe morta. Ma soprattutto su Liam che se ne inventa un po' di tutti i colori per cercare di sgamare il colpevole nascosto fra i passeggeri, andando anche parecchio per le spicciole, ma trova pure il tempo per prendersi qualche pausa di riflessione e svelare i tremendi scheletri nell'armadio che l'hanno portato a diventare un alcolista al rallentatore. E il film, pur nella cretinaggine di certe svolte, funziona bene e diverte, anche grazie al campionario di facce più o meno note da cui è circondato Liam. Poi si arriva al gran finale, si scoprono le carte, scatta l'azione e c'è la scena del poster in cui Liam è costretto a usare i super poteri per sconfiggere il cattivo. Ogni cosa va al suo posto, qualcosa è telefonatissimo e qualcosa lo è un po' meno, lieto fine, sorrisoni, tutti a casa soddisfatti per aver visto esattamente il film con Liam Neeson descrivibile in cinque parole o meno che volevamo vedere.

L'ho visto al cinema, a Parigi, quasi due mesi fa. Del resto, nel mondo è uscito a febbraio. Ne scrivo adesso perché l'ho inserito nel club dei film per i quali stavo aspettando che arrivassero in Italia ma poi mi sono rotto le palle di aspettare.

21.4.14

Rientro, buona Pasqua e comunicazione di servizio


Cose di cui mi sono ricordato la scorsa settimana:
- il clima di Milano, appena inizia a far caldo, mi fa schifo e mi fa star male;
- a cercare bene, comunque, Milano ha dei quartieri proprio bellini;
- tornare nella mia amata fumetteria è sempre un piacere;
- stanno finendo diverse serie (a fumetti) che seguo da non so quanti anni. Mi sento vecchio;
- stare svaccati in spiaggia a poltrire, leggere e rilassarsi è bello;
- se sto al sole per qualche ora senza protezione assumo un colorito sul rosso pompeiano;
- lavorare seduti all'aperto, sotto il sole e con la brezzolina, è molto bello. Anche se coi riflessi sullo schermo rischio di perdere la vista;
- avere una connessione a internet che va a pedali mi fa perdere la calma per un paio di giorni, poi mi abituo e mi rilasso;
- la focaccia è buona.

Colgo l'occasione per segnalare un progetto meritevole che mi è stato a sua volta segnalato dal prode Yuri Abietti. Trattasi di raccolta fondi per l'organizzazione di un festival rock indie italiano alternativo whatever che ha bisogno dei vostri soldi o quantomeno del vostro amore. Dateglielo.

Comunque, tutto bellissimo, eh, ma c'ho bisogno fisico di andare al cinema.

20.4.14

Lo spam della domenica mattina: Dal nostro inviato a Bonassola


Questa settimana, nonostante la mia trasferta ligure, non solo sono riuscito a pubblicare un post al giorno sul blog, ho pure messo roba altrove. Pensa te. Comincio l'elenco da Outcast e, in effetti, con una roba a cui non ho partecipato, perché ero in pre-partenza e in stato da alta privazione di sonno: il trentasettesimo episodio del Podcast del Tentacolo Viola. Sempre su Outcast, comunque, questa settimana ho scritto il Librodrome dedicato al libro su Eric Chahi, che ho letto tutto in francese e ne vado orgoglione. Fra l'altro sono appena caduto nel tranello pubblicitario di Pix'n Love che m'ha mandato in mail la segnalazione di una nuova roba da loro pubblicata. C'ho cliccato sopra e ciao. Immagino ne scriverò in un futuro Librodrome. Ah, ovviamente ieri è arrivato l'Old dedicato all'aprile del 1994. Per IGN, invece, al di là delle traduzioni, ho curato la recensione di Moebius: Empire Rising, ho partecipato a un video assurdo che s'è inventato Ualone approfittando del fatto che ero di passaggio da Milano e ho scritto un articolo di retrospettiva sulla serie Blackwell, con al suo interno pure una veloce anteprima su Blackwell Epiphany.

E questa settimana magari arriva il nuovo Outcast Sound Sitter. Forse. Vai a sapere.

19.4.14

La robbaccia del sabato mattina: Buffering


S'avvicina il momento in cui i mutanti Marvel torneranno al cinema e la Fox, ovviamente, spinge a manetta, per esempio con questo sfizioso sito in cui vengono ricordati i venticinque momenti storici (finti) che ci hanno portati al disastro apocalittico del futuro. Questo qua sotto, invece, è il trailer finale di X-Men: Giorni di un futuro passato, che non mostra poi molto di nuovo, a parte una battuta ganza e un po' di Quicksilver, ma c'ha la musica dei Led Zeppelin e quindi che gli vuoi dire?



E per chi non si accontenta, abbiamo anche la scena di macello futuristico con cui si apre il film. Io non l'ho vista, perché in Liguria c'avevo la connessione a pedali, non m'andava di aspettare troppo per vederla e poi, insomma, teniamoci qualcosa per il film. Comunque la metto qua.



Questo qua sotto, invece, è uno spot televisivo per Tartarughe Ninja, il film che sta facendo incazzare i geek di tutto il mondo o quasi. Anche qui non viene mostrato molto di nuovo, però si intravede per la prima volta il topone Splinter, che ancora non s'era manifestato.



Ma passiamo ai film seri, quelli col dramma dentro. Di seguito possiamo vedere il primo teaser trailer del nuovo film di David Fincher, Gone Girl, che in Italia s'è deciso di intitolare L'amore bugiardo - Gone Girl. Non ci si capisce poi molto, ma mi fa parecchia voglia.



E qua sotto invece abbiamo il trailer di Maps to the Stars, e ci si capisce ancora meno. Sarà che la connessione s'è incagliata proprio mentre lo guardavo e ho dovuto procedere a puntate.


Tornando alle scemenze, innanzitutto segnalo che pare la Fox sia al lavoro per preparare il prossimo Die Hard mediocre e voglia sbatterci dentro un ritorno di Samuel L. Jackson. Dopodiché abbiamo di seguito un dietro le quinte su Guardians of the Galaxy, il nuovo film di ciccio Gunn che aspetto con tanta ansia. Non si vede molto di nuovo, ma qualcosina sì. Forse. Non lo so. Non ho distinto bene, con tutte quelle pause.



Chiudiamo con l'Honest Trailer di The Wolf of Wall Street, ché è sempre un piacere.



Ultimamente sono andato un po' troppo poco al cinema. Adesso che torno a casa mi ci rimetto.

18.4.14

Niente Cannes a Milano


Oggi, in linea di massima, avrei voluto scrivere qualcosa su Hotline Miami, che ho recuperato relativamente di recente e m'è piaciuto in maniera esagerata. Solo che il mare, il relax, il sole, l'arietta fresca, gli scampoli di lavoro, whatever e insomma, sarebbe stato un po' difficile riuscirci. Però ho trovato un modo per pubblicare qualcosa anche oggi. Nulla di che, più che altro un post all'insegna della mesta rassegnazione, per segnalare che alla fine è arrivata la sconfitta e, dopo diciotto anni consecutivi, la rassegna Cannes e dintorni, che portava i film del Festival di Cannes nei cinema milanesi, non si terrà. Le ragioni stanno nella lettera aperta che metto qua sopra, inviata da Agis Lombardia agli iscritti. Cliccandoci su dovrebbe essere possibile leggerla in formato ingrandito. E, insomma, con tutto che io, da quando mi sono trasferito all'estero, quelle rassegne non le frequento più, una lacrimuccia onoraria la verso comunque. M'hanno accompagnato per una valanga d'anni, da circa metà dei Novanta in poi, durante i quali mi sono fatto fior di maratone, correndo di qua e di là, sparandomi film come se non ci fosse un domani, dormendo, fuggendo e mangiando quel che capitava, dove capitava, come capitava, ma soprattutto guardando un sacco di roba che altrimenti non avrei mai visto. Ho ancora diversi dei programmi nel cassetto, assieme alle tessere tutte belle bucherellate, e per molti versi si tratta di un pezzo importante della mia vita, che per altro gode delle sue brave manifestazioni anche in questo blog. E sostanzialmente è un peccato. Un altro dei tanti. Poi, per carità, #firstworldproblems, ci mancherebbe, ma insomma, eh.

Se poi qualcuno per caso fremesse dalla voglia di sentirmi chiacchierare di Hotline Miami, l'ho fatto nell'ultimo Outcast Magazine, che sta a questo indirizzo qua.

17.4.14

Agents of S.H.I.E.L.D. 01X18: "Provvidenza"



Agents of S.H.I.E.L.D. 01X18: "Providence" (USA, 2014)
creato da Joss Whedon, Jed Whedon, Maurissa Tancharoen
episodio diretto da Milan Cheylov
con Clark Gregg, Brett Dalton, Iain De Caestecker, Elizabeth Henstridge, Ming-Na Wen, Chloe Bennet

Per ovvi motivi, questo episodio non poteva avere lo stesso genere di ritmo e d'impatto del precedente, anche perché non è che puoi andare avanti per sei puntate solo a botte di pizze in faccia e colpi di scena clamorosi, ma ne è stato un degno seguito, che conferma l'ottimo stato di forma in cui la serie si sta preparando al finale di stagione e la capacità di sfruttarne finalmente il potenziale, anche cogliendo e recuperando gli spunti positivi seminati quando le cose andavano peggio. Il conflitto fra S.H.I.E.L.D. e Hydra è ormai lanciato e gli sviluppi che sta generando sono coinvolgenti e azzeccati, a cominciare dal fatto che Garrett e Ward funzionano molto meglio come cattivi che come buoni. Il modo in cui il primo ha conservato la sua cazzimma e il suo modo di fare spicciolo anche una volta svelata la propria identità, per esempio, è perfetto e la presa in giro all'esaltato dell'Hydra lo riassume benissimo in un attimo. In più ci hanno messo pure quell'accenno sul fianco al Garrett fumettistico, così, per solleticare i geek, che non fa mai male.

Nel mentre, Ward si sta confermando personaggio negativo senza vie di mezzo, nella facilità con cui secca a colpi in testa un altro paio di persone e per la nonchalance con cui descrive a "Flowers" tutte le sue macchinazioni per conquistarsi la fiducia della squadra di Coulson. Ed è un bel momento, perché non solo definisce ulteriormente il personaggio come negativo, ma va anche a rielaborare di conseguenza praticamente tutto quel che abbiamo visto fino a oggi, riuscito o meno che fosse, dando un senso in qualche modo cinico ad ogni cosa. Insomma, la svolta in stile Angel sta funzionando e a quel punto è anche più che sensato vederlo descrivere una qualche forma di rispetto nei confronti di Coulson, che viene però prevaricata dal legame che ha con Garrett, e le difficoltà nel rapportarsi a Skye. Ne sta venendo fuori un personaggio ben più interessante e di potenziale, che in linea teorica dovrebbe sbocciare definitivamente nel confronto previsto per la prossima puntata.

In tutto questo, continua a funzionare anche il lato "scappati di casa" della faccenda. Fra Coulson sul limite del collasso, i continui problemi di fiducia nel gruppo che aumentano sempre più a causa di nuovi elementi, il fatto che - sarà una pippa mentale mia - sembra si voglia suggerire che Simmons non ce la conti giusta e tutte le difficoltà derivate dal non godere più del network S.H.I.E.L.D., c'è parecchio da divertirsi. Anche, tutto sommato, sul piano di una comicità, per la quale sembra sempre di più che si stia trovando l'equilibrio giusto. E in questo senso aiuta l'arrivo del sempre adorabile Patton Oswalt, con un personaggio a metà fra il simpatico giullare e l'inquietante minaccia, che si inserisce poi nel racconto dei piani con strati di mille segreti così tipici del Nick Fury fumettistico. E insomma, Agents of S.H.I.E.L.D. sembra proprio essere definitivamente decollato, tanto più che sono in arrivo un paio di guest star che fanno sempre piacere e l'evasione in stile Raft dalla prigione segreta pone le basi per un po' di sane mazzate all'insegna dei superpoteri negli episodi a venire. Il che, per una serie Marvel, non si butta mai via.

Pronostico: Triplett l'hanno messo lì solo per avere qualcuno da uccidere nei prossimi episodi. Timore: Ward finirà per redimersi e/o sacrificarsi. Speranza: Simmons è un'agente dell'Hydra.

16.4.14

Much Ado About Nothing


Much Ado About Nothing (USA, 2012)
di Joss Whedon
con Amy Acker, Alexis Denisof, Clark Gregg e tutta l'allegra banda di amici di Joss Whedon

Cosa fai, quando ti chiami Joss Whedon e stai cercando di tirare un attimo il fiato fra il termine delle riprese di The Avengers e l'avvio della postproduzione? Facile: chiami i tuoi amichetti del cuore, te li porti nella casa a Santa Monica che ha costruito tua moglie e ci trascorri un paio di settimane girando un adattamento in chiave moderna di Molto rumore per nulla. Così va a finire che il terzo incasso di tutti i tempi, un bestione da 220 milioni di dollari che si porta in spalla il compito di far culminale l'ambizioso progetto "seriale" dei Marvel Studios, viene accompagnato da un filmetto in bianco e nero, girato fra amici con l'intenzione di rilassarsi, divertirsi e assecondare la passione di Whedon per Shakespeare. E che, alla sua maniera, è un film altrettanto bello, azzeccato e palesemente figlio del proprio autore.

Whedon prende una fra le commedie più irresistibili di Shakespeare, ne adatta il testo in maniera estremamente rispettosa e la travasa in un ambientazione moderna, o forse fuori dal tempo, dando vita al solito contrasto che muove questo genere di produzioni. Nel farlo, interpreta il testo con lo spirito della commedia fisica e un po' scemotta, perfettamente adagiata sulle spalle degli adorabili Amy Acker e Alexis Denisof, i cui Benedick e Beatrice prendono possesso del film nei primi minuti e non lo mollano più. Il Much Ado About Nothing di Joss Whedon è un film delizioso, divertentissimo, intelligente nelle scelte di un adattamento figlio dell'amore, di una passione che si riversa per esempio nella creazione di due pezzi musicali costruiti attorno alle parole del testo originale o nelle scelte di casting una più azzeccata dell'altra, seppur quasi interamente limitate al circoletto di amici.

Assieme al fido direttore della fotografia Jay Hunter, Whedon dipinge un mondo in bianco e nero illuminato quasi interamente dalla luce solare, rendendo gli ambienti protagonisti del film assieme alle loro sonorità, giocando con gli specchi, le finestre, i corridoi, il mobilio, gli angoli e divertendosi come un matto nello sguazzare in un gran miscuglio di dramma, commedia, romanticismo, sottotesti sessuali come se non ci fosse un domani e scemenza pura in ogni dove. Ne viene fuori un piccolo, particolare, adorabile filmetto, che fa innamorare dei suoi protagonisti e avvolge in un'atmosfera ipnotica e irresistibile.

Il film è uscito in giro per il mondo l'anno scorso ed è arrivato dalle mie parti, dove l'ho visto al cinema, a inizio anno. Per quanto riguarda una possibile distribuzione italiana, sostanzialmente, vai a sapere. C'è poi sempre il fatto che una sceneggiatura su cui mette le mani Whedon, per di più nata da un certo William, andrebbe sempre ascoltata così com'è stata concepita.

15.4.14

Il fuoco della vendetta - Out of the Furnace


Out of the Furnace (USA, 2013)
di Scott Cooper
con Christian Bale, Woody Harrelson, Casey Affleck, Zoe Saldana, Sam Shepard, Willem Dafoe 

Mentre guardavo Out of the Furnace, mi sembrava di stare davanti a un episodio di Justified completamente privato di senso dell'umorismo e sparato brutalmente sul grande schermo. In pratica una ballata di Bruce Springsteen, anche se poi nel film Bruce Springsteen nel film non si sente e Scott Cooper ha preferito metterci i Pearl Jam, con una scelta forse più adatta a raccontare il degrado americano tutto sporco, lurido e fatto di tragedie senza speranza in cui, forse, il romanticismo del Bruce non avrebbe poi tutto questo spazio. I Gaslight Anthem non adavano bene, son troppo movimentati. E insomma, la sostanza è quella lì: si parla di gente rozza, sporca, che fa la vita dura lavorando in fabbrica e che ogni volta che esce di casa deve stare un po' più attenta del normale perché la tragedia incredibile è sempre lì che l'aspetta dietro l'angolo.

Voglio dire, Christian Bale interpreta il ruolo di uno che ne ha viste talmente tante da essere diventato Christian Bale tutto magrolino, con la barbetta e lo sguardo depresso. Lavora in un'acciaieria brutta e pesante, appiccicato alla fornace, e riesce a malapena ad avere una vita al di fuori del suo impiego. Il padre sta morendo di una malattia brutta, causata dai decenni di lavoro appiccicato alla fornace e che quindi prima o poi contrarrebbe anche Christian Bale, se non fosse che probabilmente presto la fornace chiuderà perché c'è la crisi. Il fratello, invece, è appena tornato dalla guerra e vive quindi il dramma dello stress brutto di chi ha trascorso il fiore della sua giovinezza sparando alla gente in terra straniera. E oltretutto torna a casa nel paesino di provincia americano in cui la prospettiva migliore consiste nel lavorare all'acciaieria che ha condannato a morte tuo padre e alla depressione tuo fratello. Epperò, Christian Bale commette l'errore di avere una storia d'amore con Zoe Saldana. Non si fa. Il karma quindi lo punisce e lo fa finire in galera per una botta di sfiga clamorosa, con morti ammazzati inclusi. Basta? Non basta: durante il periodo che Christian trascorre in prigione, la Zoe decide di trovarsi un uomo serio e il fratellino va a inguaiarsi in una maniera che non sto qui a svelare ma basta aver visto un paio di film americani da depressione per poterla immaginare. A quel punto è abbastanza inevitabile che a Christian si chiuda un po' la vena sul collo.

L'aspetto migliore di Out of the Furnace, al di là delle interpretazioni di una banda d'attori uno più bravo dell'altro, sta forse nel modo in cui riesce a ballare in equilibrio sul confine che separa il classico film drammatico tutto intento a raccontarti la provincia americana dal classico film d'azione tutto intento a raccontarti la gente (americana) che s'incazza e cerca vendetta. Christian Bale s'arma di doppietta e, assieme a zio Sam Shepard, va a cercare di scoprire cosa sia accaduto al fratello, ritrovandosi inesorabilmente avviato sulla direttrice che li porterà allo scontro frontale con lo schizoide lercio, pericoloso e con la faccia che fa brutto interpretato da Woody Harrelson. Solo che il film cambia continuamente direzione e, per dire, dopo uno splendido momento in cui pare che stia per succedere di tutto e la tensione va alle stelle, si torna invece a casa come se niente fosse e il tono rimane quello del dramma, dell'ansia, della difficoltà insita nel provare a fare la cosa giusta, del film che sembra voler andare in tutte le direzioni e poi finisce per non andare da nessuna parte e, soprattutto, del fatto che se vivi nella provincia americana deve andare sempre tutto storto e alla fine soffrirai come un cane.

L'ho visto a fine gennaio, al cinema qua a Parigi, chiaramente nella lingua originale che si conviene a un film con gli attori bravi che interpretano la gente sofferta. Ho aspettato fino adesso a scriverne perché, boh, forse stavo aspettando di vedere quando sarebbe uscito in Italia. Solo che a un certo punto uno si rompe anche le palle di aspettare, eh.

14.4.14

American Hustle - L'apparenza inganna


American Hustle (USA, 2013)
di David O. Russell
con Christian Bale, Amy Adams, Bradley Cooper, Jennifer Lawrence, Jeremy Renner

La cosa buffa di David O. Russell è che a tratti non si riesce a capire se ci sia o ci faccia, ma di sicuro l'impressione è che non glie ne freghi nulla. Lui piglia e fa i suoi film un po' a casaccio, senza troppo senso, puntando soprattutto su quel che interessa a lui e a posto così. E quel che interessa a lui sono innanzitutto gli attori, che riesce sempre a far rendere in una maniera fuori dalla grazia di Dio. Il bello, poi, è che spreme il meglio da tutti quanti, quindi i rapporti di forza rimangono quelli: Christian Bale si mangia qualsiasi cosa gli passi vicino, si aggira per il film con l'aria di un fotomontaggio fatto male, come se arrivasse da un altro mondo, e tutti gli altri gli vanno dietro. Ma che andare dietro, però! Amy Adams è, come al solito, pazzesca e tira fuori una sensualità che raramente ha avuto modo di mostrare sul grande schermo (certo, ha fatto Cruel Intentions 2, ma insomma... ), Bradley Cooper è sempre meglio e sta lì apposta a dimostrare che non son mica solo quegli altri a render tanto bene con Russell, Jeremy Renner fa il suo e Jennifer Lawrence, pur con un ruolo per molti versi secondario, rapisce lo sguardo come al solito.

E alla fine, ancora una volta, il motivo più forte per gustarsi un film di Russell sta nel piacere di osservare attori in forma strepitosa, che magari fanno anche cose un po' diverse da quelle a cui ci hanno abituati e si piazzano nelle mani del regista perché lui ne faccia quel che vuole, compreso il metterli completamente in ridicolo (Christian Bale con la panza e il riporto fuori scala, Bradley Cooper coi bigodini, Jennifer Lawrence e il suo personaggio... ). Poi, certo, attorno alle interpretazioni c'è anche un film, una specie di scorsesata in cui Russell chiacchiera di finzione e illusioni, prese in giro dello sguardo che parlano non solo della storia vera a cui il racconto è parzialmente ispirato, ma probabilmente anche dell'illusione del cinema e soprattutto delle fregnacce che le persone si raccontano a vicenda quotidianamente.

Sono infatti soprattutto i protagonisti e i rapporti fra di loro, molto più che l'intrigo in sé, il motore del film. Il triangolo amoroso con al centro il personaggio di Christian Bale, certo, ma anche il senso d'inadeguatezza e la sfrenata ambizione del personaggio di Bradley Cooper e la quasi commovente amicizia virile che nasce fra, di nuovo, Bale e il sindaco corrotto di Jeremy Renner. Russell si concentra soprattutto su di loro, sul raccontare questi personaggi dalla morale intollerabile e provare a renderli adorabili attraverso un'umanità sempliciotta e a modo suo onesta. E ci riesce anche, infilando nel mezzo almeno due o tre momenti dalla messa in scena ipnotica e in generale un film intero nel quale sfoga la sua creatività all'insegna dell'eccesso estetico. Ne viene fuori un po' un pasticcione, forse lievemente troppo lungo - ma, del resto, chi oggi non dirige film troppo lunghi? Di certo non Scorsese - e che alla fin fine mi ha lasciato una buona dose di amaro in bocca. Eppure, mentre lo guardavo, era quasi solo un piacere.

L'ho visto a metà febbraio, al cinema a Parigi, perché, oh, in Francia è uscito così in ritardo. Che ci posso fare? L'ho visto in lingua originale e, beh, insomma, se gli levi quella, che gli rimane, a un film così? Niente, o quasi, dai. Ne scrivo solo adesso perché boh.

13.4.14

Lo spam della domenica mattina: Mugo-dance


Questa settimana su IGN ho prodotto un articolo dedicato alle novità in arrivo per Dofus, del quale vado orgoglioso perché sono stato all'evento qua a Parigi e sono riuscito a seguirlo in francese senza farmi tradurre al volo quasi nulla. E magari fraintendendo metà della roba. Eppoi l'altro ieri è toccata all'anteprima su Project Totem, sfizioso nuovo gioco dei danesi di Press Play che ho provato alla GDC assieme al resto del contingente abruzzese. Su Outcast, invece, giovedì abbiamo buttato fuori il Cinquepercinque dedicato alla realtà virtuale, che come al solito io ho solo curato nell'organizzazione, poi venerdì l'Outcast Reportage dedicato alla GDC 2014 (un mostro da quasi cinque ore!) e ieri l'Old! su aprile del 1984.

Fra un paio di giorni, invece, a meno di imprevisti, torna in onda il Tentacolo Viola.

12.4.14

La robbaccia del sabato mattina: Growl


Settimana nerdisticamente fatta più di cosette e scemenzucole varie, che di cose grosse, anche se ho qualche video sfizioso da mostrare. Per esempio, il nuovo trailer esteso di Godzilla, da cui mi pare di capire che l'avvio del film sarà una specie di omaggio al disastro di Fukushima. Per il resto, non è che si veda molto di nuovo, al di là di un inquadratura sul nostro amicone che ruggisce. Fra l'altro, sono l'unico a pensare che con 'sto design abbia un musetto adorabile? Mi viene voglia di fargli i grattini.



Poi abbiamo un trailer concettualmente simile per Guardians of the Galaxy, che si apre con una versione lievemente allungata della sequenza su cui si apriva il primo trailer, per poi mostrare una versione ridotta del solito montaggio. Il succo è che si vede Star Lord un po' più in azione con il casco e tutto. E continuo ad averne una voglia matta, ma magari sono solo io.



Quindi c'è l'ultimo trailer "red band" per 22 Jump Street, che sembra poter veramente raggiungere livelli di idiozia fuori parametro. Che poi, diciamocelo, questo trailer è simpatico, ma di suo non so se mi farebbe venire voglia di andare a vedere il film. Però il primo episodio era delizioso e i registi sono sempre Phil Lord e Chris Miller, quindi che gli vuoi dire?



E infine è emerso un filmato dal PAX che riassume un po' la presentazione di Star Citizen, il capo della galassia nella categoria "videogiochi creati da vecchi barbogi nostalgici per vecchi barboni nostalgici. Sta qua sotto ed è abbastanza spettacolare, occhio al pacemaker.



Per il resto, nella settimana che ha visto l'estremo saluto del caro Ultimate Warrior, grande protagonista di un'era in cui ero bambino e  me ne fregava realmente qualcosa del wrestling, al punto di andare a vederlo dal vivo al Palaqualcosa vicino a casa e sbraitare come un ossesso per un paio d'ore, non è che sia incappato in molto altro da segnalare. Giusto questa deliziosa raccolta di biglietti da visita dei personaggi dei film, il giochino a 8 bit ispirato a The Raid 2 e una serie di video scemi che piazzo qua sotto in fila.







Bonus: una roba simpatica che per qualche motivo non riesco ad embeddare e quindi la linko.

Questa sera parto per l'Italì, dove me ne resterò per una settimana abbondante, buona parte della quale trascorsa in un luogo dove l'internet arriva a malapena. Non passerò tutto il tempo impegnato a cazzeggiare e, anzi, lavorerò, però vai a sapere se avrò la voglia e la forza di aggiornare il blog. Mboh, vedremo. Alla peggio, ci si rilegge fra dieci giorni o giù di lì.

11.4.14

Grand Budapest Hotel



The Grand Budapest Hotel (USA, 2014)
di Wes Anderson
con Tony Revolori, Ralph Fiennes, Saoirse Ronan e una valanga di gente famosa

Grand Budapest Hotel, in un certo senso, mette in scena un giochetto simile a quello del precedente Moonrise Kingdom, giustificando in qualche maniera il tono assurdo dei film di Wes Anderson e, anzi, sfruttando la cosa per spingere ancora di più sull'acceleratore. Magari non è neanche voluto, magari ce lo vedo solo io, ma sta di fatto che se lì tutto il racconto era una favola filtrata dallo sguardo e dall'immaginazione di due ragazzini turbati da paturnie amorose, qui c'è una struttura di racconto nel racconto nel racconto, che dipinge tutto con toni romantici da nostalgia canaglia e abbraccia quelle esagerazioni tipiche dei ricordi più cari. E ad ogni strato che si aggiunge, con tanto di variazione del formato cinematografico utilizzato, ecco che diventa tutto sempre più un sogno, un assurdo quadretto che s'allontana dal film per abbracciare apertamente i toni da cartone animato un po' passé, resi anche espliciti in quel paio di sequenze in stop motion.

La cosa impregna ogni atomo di Grand Budapest Hotel: sul piano estetico, con i movimenti assurdi e scattanti dei personaggi e la gestione posata delle inquadrature, nella caratterizzazione di personaggi adorabili che estremizzano personalità e sentimenti, nelle svolte assurde di un racconto che s'arrotola su se stesso con scelte che a tratti hanno veramente il sapore del pianoforte piovuto in testa dall'ultimo piano. E ovviamente fanno la loro gli attori, tutti perfetti nel vestire panni assurdamente fuori di testa e nel raccontare vicende semplici, accattivanti, divertenti e, nella loro bizzarria, davvero appassionanti. Al centro di tutto, poi, come già nel precedente film, ci sono due ragazzini, che si vedono ruotare attorno questo turbine d'assurdità e conducono per mano grazie alla maniera davvero adorabile in cui Tony Revolori e, soprattutto, Saoirse Ronan li interpretano.

Grand Budapest Hotel è proprio un film delizioso, non è che abbia molto da aggiungere. È divertente, ha un racconto che, pur nella sua natura completamente fuori di cozza, riesce a sedurre grazie al modo in cui gioca coi propri misteri e comunque a chiacchierare di umanità e del modo in cui spesso ci si ritrova a nascondersi dietro alle apparenze per riuscire a sopravvivere. È percorso dall'inizio alla fine da un fortissimo tono malinconico, figlio della guerra imminente in cui viene avvolto il racconto e che in qualche modo fa da brutale ancora alla realtà. E dipinge un mondo allo stesso tempo surreale e credibile con una lunga serie di immagini dalla bellezza fulminante. È l'ennesimo film di Wes Anderson che sembra fare di tutto per farsi odiare dal sottoscritto e invece alla fine riesce a incantarmi e farmi divertire dall'inizio alla fine. E, beh, sì, immagino che per chi proprio non lo tollera sarà l'ennesimo film di Wes Anderson uguale a tutti gli altri. Ma è così sbagliato essere in grado di raccontare sempre storie molto simili, in maniere brutalmente diverse, non perdendo mai la propria identità e, anzi, risultando sempre perfettamente riconoscibili, come forse nessun altro? Alla fin fine, io ho l'impressione che "Fa sempre lo stesso film" sia una cosa che si tende a dire solo se quello "stesso" film non ti piace, altrimenti neanche ci fai caso.

L'ho visto al cinema, qua a Parigi, un mese fa. E forse è anche per questo che non ho molto da aggiungere: ho la memoria corta. Ne scrivo oggi perché in Italia c'è arrivato questa settimana. L'ho visto in lingua originale e gli attori hanno tutti un suono talmente particolare, morbido e croccante che sarebbe proprio un peccato perderselo. Ma, ehi, che vi devo dire?

10.4.14

Agents of S.H.I.E.L.D. 01X17: "E gira, gira, gira... "


Agents of S.H.I.E.L.D. 01X17: "Turn, Turn, Turn" (USA, 2014)
creato da Joss Whedon, Jed Whedon, Maurissa Tancharoen
episodio diretto da Vincent Misiano
con Clark Gregg, Brett Dalton, Iain De Caestecker, Elizabeth Henstridge, Ming-Na Wen, Chloe Bennet 

La leggenda narra che quando, mesi e mesi (e mesi) fa, Joss Whedon e i suoi superamici proposero a Kevin Feige di realizzare una serie dedicata allo S.H.I.E.L.D. la risposta fu, più o meno, "Ficata! Però ci sarebbe una cosetta che dovrei dirvi... ". All'epoca, Captain America: The Winter Soldier era in lavorazione da tempo e, oltretutto, Feige sostiene continuamente di avere in testa i prossimi centododici anni di film Marvel con una sicumera che neanche George Lucas quando giura che Star Wars l'aveva pianificato tutto dall'inizio. E insomma, il punto è che si sapeva già che il secondo film del capitano a stelle e strisce avrebbe raccontato quelle cose e un telefilm sullo S.H.I.E.L.D. non avrebbe potuto fare a meno di uscirne fatto un po' a fette. Col senno di poi, guardando indietro, anche alla luce di alcune più o meno piccole rivelazioni emerse in questo episodio, è difficile non ripensare alle prime sedici puntate di Agents of S.H.I.E.L.D. come a un lento e tutto sommato ben orchestrato prepararsi per arrivare fino a qui, seppur ogni tanto girando anche un po' in tondo (soprattutto con le pause fra una messa in onda e l'altra, ma non solo) e senza per questo voler negare che ci siano stati diversi episodi a dir poco deboli.

E più o meno tutto finisce per trovare un senso preciso, anche le cose più assurde. Perché il team così raffazzonato e inesperto, con solo un paio di agenti "seri" e una banda di novellini un po' incapaci lanciati allo sbaraglio, era tutta una macchinazione di Nick Fury per piazzare Coulson sul campo ma tenerlo allo stesso tempo in un ambiente controllato, manipolandone il processo di guarigione fisica e mentale. Perché il clima di dubbi e paranoie sempre più forte da un episodio all'altro si è svelato essere sintomo di un male enormemente più grosso, esploso nell'ultimo film Marvel e rovesciato a catena su questo episodio, che si svolge più o meno in parallelo a quegli eventi. E il risultato è non solo la miglior puntata a oggi della serie, ricca d'azione ben messa in scena, di sviluppi appassionanti, di personaggi trattati come si deve e di bel potenziale per il futuro, ma anche un crossover fatto come si deve, se vogliamo pure coraggioso nel suo spoilerare un film appena uscito al cinema e che fa dimenticare l'operazione un po' ridicola che fu il pubblicizzato incrocio con Thor: The Dark World. Tra l'altro, al di là delle conseguenze più evidenti, ci sono tante piccole cose che non sono emerse in maniera netta e potrebbe essere piacevole vedere affrontate, a cominciare dall'amicizia che c'era fra Coulson e Sitwell. E poi quanto è ganzo il logo Hydra alla fine?

In tutto questo, il bello è che il crossover è fondamentale ma non necessariamente "invadente": immagino che senza aver visto il film si possa guardare la puntata senza problemi, ma con in testa quegli avvenimenti, beh, tutta la prima parte, in cui si mettono in dubbio le motivazioni di ogni singolo personaggio, assume un peso diverso. I vari colpi di scena, poi, sono molto azzeccati, al punto che riescono ad avere un bell'impatto anche se vengono bene o male tutti telefonati con cinque minuti d'anticipo (e, in generale, era veramente "necessario" che, in questo contesto, uno dei personaggi chiave si rivelasse membro dell'Hydra) e tutti i personaggi vengono fatti interagire con la situazione in maniera coerente e intelligente, anche nei piccoli dettagli. Bello, per esempio, il comportamento di Fitz nel momento peggiore, perché coerente col personaggio ma equilibrato, senza sbracare, interessante l'atteggiamento di Simmons che, in linea teorica, non è da escludere sia pure lei prossima a un voltafaccia, divertente vedere Garrett che non si trasforma nel cattivo con monocolo e conserva l'essenza piaciona del personaggio, azzeccata la svolta di Ward, con la speranza che rimanga tale e non venga ritrattata nei prossimi episodi: quell'inquadratura finale può suggerire qualsiasi cosa e sicuramente ci sta che il personaggio abbia dei rimorsi, ma se poi si rivela tutto un articolato triplo gioco o se scatta la redenzione, boh, secondo me è un po' una sconfitta. Al di là del fatto che redimersi dopo aver fatto fuori tre innocenti a sangue freddo mi sembrerebbe troppo anche per certe evoluzioni a tratti forzate che si sono viste in questa serie. Bottom line: voglio andare avanti.

Ma la prossima settimana sarò in un posto nel quale l'internet arriva a malapena, quindi mi sa che mi toccherà aspettare più del dovuto.

9.4.14

Lei


Her (USA, 2013)
di Spike Jonze
con Joaquin Phoenix, Amy Adams e la voce di Scarlett Johansson

Mentre guardavo i minuti iniziali di Her, che chiamerò Her perché mi piace di più, voglio fare il rompipalle coi titoli originali e mi fa strano scrivere Lei, che poi sembra che stia parlando di qualcuno e comunque adesso ci metto un punto, ché mi sto incasinando. Dicevo, mentre guardavo i minuti iniziali di Her, mi sono ritrovato a pensare che, in effetti, è abbastanza vero: se scavi nell'hard disk di una persona, oggi come oggi, ci trovi tanto che la descrive. Ed è ancora più vero, soprattutto oggi, se allarghiamo il concetto di hard disk e diciamo che si parla del pezzo d'hardware in cui la tal persona conserva le sue cose, poco importa se si tratta di uno smartphone o altro. E dai, infiliamoci pure il cloud, se proprio dobbiamo. Non è solo una questione di cosa ci si trova dentro, delle foto, delle e-mail o di chissà che, ma anche di come tutto questo è sparso in giro, di cosa invece non c'è e di tanti altri piccoli dettagli che poi, se li analizza un'intelligenza artificiale con la voce di Scarlett Johansson, finiscono per definirne il proprietario anche meglio di come saprebbe farlo lo Sherlock Holmes di Benedetto.

Ma intanto il film andava avanti, senza preoccuparsi di quel che pensavo io, e a un certo punto mi sono ritrovato a pensare che, dai, l'Oscar alla sceneggiatura ci stava proprio tanto bene. Per la precisione m'è saltato alla mente durante l'amplesso, quando c'è quell'improvviso stacco sul nero che ti proietta nel mondo dell'immaginazione grazie alle perfette voci dei due attori. E non è che sia solo quello, perché poi ci sono i dialoghi frizzanti, quella scena iniziale così perfettamente costruita, l'incedere costante e impeccabile, il modo meraviglioso in cui Jonze riesce a prendere una commedia romantica assolutamente classica, aderente in tutto agli stereotipi del genere, e usarla però per raccontare qualcosa di moderno, particolare, nuovo, che riesce comunque a dire cose interessanti. Her ragiona su cosa possa significare essere un'intelligenza artificiale e su come la sua esistenza modificherebbe il mondo e le persone attorno ad essa, racconta tante cose con cui molti si trovano in imbarazzo trattandole invece alla perfezione, trovando chiavi comiche inedite, sincere, spiazzanti e poi alla fin fine sfruttando il pretesto fantascientifico per parlare soprattutto d'altro, del suo protagonista, di amore, solitudine, rapporti umani e lotta contro i ricordi. Paradossalmente, nonostante di fondo proponga tutte le svolte narrative che ci devono essere, mentre lo guardavo, Her riusciva a sorprendermi e farmi chiedere cos'altro si sarebbe inventato e lo faceva raccontando una semplice e prevedibile commedia sentimentale americana classica, che non mi risultava praticamente mai stucchevole e pesante, solo delicata, intelligente e adorabile.

Dopodiché, alla sua seconda apparizione, ho agitato il ditino sorridendo e indicando Chris Pratt, bisbigliando "Ma... ma... ma... " mentre mi rendevo conto che stavo ascoltando la voce dell'omino Lego, e al mio fianco ho visto muoversi una testa a indicare un vigoroso "Sì."


Nei minuti successivi è arrivato quel momento che si manifesta ogni volta che guardo un film in cui c'è Amy Adams. È il momento in cui penso "Porca miseria quanto è brava Amy Adams". La cosa fantastica è che non arriva mai subito, perché all'inizio non ci faccio proprio caso: è troppo brava, troppo naturale, troppo calata nel ruolo, mi limito a goderne senza rendermene conto. Poi, però, succede qualcosa che mi fa accendere la lampadina e me ne ricordo. Mi ricordo anche che, ehi, lo sapevo già che è tanto brava, non è mica la prima volta che la vedo, ma non posso fare a meno di stupirmene. E porca miseria se anche qui è brava, mostruosamente naturale, perfetta, credibile, pazzesca Amy Adams. Oltre che portatrice sana di una bellezza tutta semplicina e disarmante, ancor più in un film che fa di tutto per renderla ordinaria e lo fa quando ancora ho nella capoccia la versione bomba sexy vista in American Hustle.

Ed è stato più o meno lì, da qualche parte durante la fase centrale del film, mentre ero affascinato e sedotto, mentre ascoltavo la voce di Scarlett Johansson un po' roca e mi dicevo che se non la inquadrano è proprio brava pure lei, che mi sono ritrovato a pensare a Roger Ebert. O, meglio, a quanto mi sarebbe piaciuto leggere una recensione di questo film firmata da Roger Ebert. Ho proprio una voglia matta di leggerla, quella recensione, e invece non potrò mai farlo, a meno che non saltino davvero fuori le intelligenze artificiali capaci di ricreare lo spirito, il cuore e la passione di chi non c'è più. Cacchio, se mi manca, poterlo leggere. Oddio, ho già capito, adesso vado a saltellare fra un link e l'altro e a rileggermi cose di e su Rogerino Ebert. Torno subito.

Tic-toc-tic-toc-tic-toc...

A un certo punto, mentre guardavo il film, mi sono ritrovato a pensare a queste cose qua, a queste cose che avrei scritto nel post sul blog, un po' così alla rinfusa, invece di mettermi a chiacchierare del film in maniera normale, perché in fondo che ne vuoi dire? Pensavo anche a quel che sto scrivendo in questo paragrafo qua, e adesso mi si sta arrotolando il cervello. E uno potrebbe chiedersi perché non stessi invece pensando al film. Ma in verità ci stavo pensando, al film, contemporaneamente. E me lo stavo anche guardando e vivendo con passione, senza pensare ad altro. In pratica funzionavo come l'intelligenza artificiale, mille cose assieme a compartimenti stagni intercomunicanti, indipendenti ma anche collegati, con Joaquin Phoenix che si siede sulle scale e osserva tutti quelli che passano di fianco a lui, non più zombi con lo sguardo affossato dentro l'app di Facebook ma comunque ipnotizzati a chiacchierare con persone fatte di numeri e virgole, mentre lui si chiede quali fra di loro siano le persone che condividono l'amore che sta perdendo.

E poi, pian piano, sono arrivati i titoli di coda e io mi sono ritrovato a pensare che, ehi, pure Joaquin Phoenix è di una bravura e una naturalezza come al solito fuori scala, che qui mette in mostra tenendo in piedi tutti quegli scambi a due con il suo solo volto, dovendo affidare unicamente alla propria espressività tutte le emozioni trasmesse. Pazzesco. E mentre pensavo a questa cosa, mi sono ritrovato a sorridere per l'omaggio a James Gandolfini e a ridacchiare scoprendo che quelle due altre voci erano di Kristen Wiig e Brian Cox. Poi son tornato a casa chiacchierando con la mia Her, giungendo alla conclusione che il film ci era piaciuto da matti. Abbiamo mangiato qualcosa, mi sono dovuto mettere a lavorare per finire un paio di robe che m'ero lasciato alle spalle in un pomeriggio convulso e ho deciso che, prima di andare a dormire, dovevo scrivere questo post. Poi lo rileggo e pubblico domani, non importa, ma avevo bisogno di scriverlo subito. Così, un po' a caso.

L'ho visto al cinema, qua a Parigi, in lingua originale. Solo ieri, perché è andata così. Leggo in giro che oltre un terzo delle copie distribuite in Italia era in lingua originale. Bravi. Fra l'altro si sono fatte quasi le due, magari dovrei anche andare a dormire, ché mi aspetta un'altra giornata pesante. Buonanotte.

8.4.14

Quasi amici


Intouchables (Francia, 2011)
di Olivier Nakache, Eric Toledano
con François Cluzet, Omar Sy

Ricordo che un paio di anni fa si era chiacchierato parecchio di Quasi amici, clamoroso successo del cinema francese capace di ammaliare tutti quanti anche in Italia, e indubbiamente m'era rimasta addosso una certa curiosità, soprattutto di capire se i suoi meriti andassero oltre al fatto di saper raccontare in maniera accattivante temi che hanno sempre presa facile. Aggiungiamoci che in questo periodo che sto cercando di leggere e guardare roba in francese per alimentare i miei studi della lingua - che procedono, nei limiti del possibile - ed è andata a finire che qualche settimana fa ho comprato in un negozio qua a Parigi il Blu-ray a prezzo stracciato e ce lo siamo poi guardato, in lingua originale e con tanto di sottotitoli in francese (ho ancora i miei limiti, eh!). E, beh, ecco, insomma, bellino, eh, gradevole e tutto sommato delicato nello sfiorare temi difficili, però allo stesso tempo incapace di distaccarsi troppo dalle classiche formule di questo genere di film.

Alla fin fine si tratta della classica storia da ricchi che, anche loro, poveretti, piangono, con sparata dentro una bella iniezione di aristocratico puzzone che crede di sapere tutto ma vede invece la sua vita rivoluzionata in meglio dal pezzente selvaggio e vitale. Da un lato, il riccone che può tutto ma in fondo vive una vita triste e inquadrata, più per limiti dati dal suo status sociale e dalla sua chiusura mentale che dall'handicap che lo costringe sulla sedia a rotelle, dall'altro l'uomo di colore di bassa estrazione sociale, che viene dall'Africa, ha il ritmo nel sangue, sa come si vive e che per goderti la vita devi infrangere qualche regola e farti le canne. Son stereotipi visti mille volte, né più né meno che quelli di un film d'azione o dei supereroi svolazzanti, qui però messi in fila dai due registi con uno stile gradevole e la capacità di lasciarsi andare a una comicità naturale e a tratti perfino sbracata.

Ma a far davvero funzionare il film sono soprattutto gli attori: molto bravo François Cluzet nel comunicare un'intera persona solo grazie a volto e voce, eccellente Omar Sy nel trascinare con la sua semplicità, spontaneità e fisicità. È per entrambi esattamente ciò che richiedono i rispettivi personaggi, ma tutti e due riescono a trasformare i loro sagomati in figure convincenti e alle quali è difficile non voler bene. E alla fine, perché un film del genere faccia quel che deve, non si scappa, devi affezionarti ai protagonisti e ritrovarti a gioire e soffrire con loro. Se Quasi amici ce la fa è grazie agli attori e alla bella intesa che si sviluppa fra i due, raccontando del rapporto quasi simbiotico che può venirsi a creare fra una persona in quelle condizioni e chi la cura andando ben oltre il semplice dare una mano sugli aspetti pratici della vita. Pazienza se poi, in tutto questo, resta addosso un film proprio semplice, stereotipato e in molte cose superficiale: quantomeno, rispetto a tanti altri su questo filone, non è stucchevole e tragico in maniera fastidiosa. Anzi.

Ricordo che a un certo punto si parlava della possibilità che ne venisse realizzato un remake italiano. È poi accaduto? C'è Claudio Bisio?

7.4.14

Arrow - Stagione 1


Arrow - Season 1 (USA, 2012/2013)
con Stephen Amell, Katie Cassidy, David Ramsey e un altro po' di gente

Per me, i telefilm basati sui personaggi della DC Comics sono sempre stati solo due: il Batman che sappiamo, quello tutto gosh, gasp e dinamico duo che s'arrampica sul lato del palazzo con la gente che spunta dalla finestra, e il Flash con John Wesley Shipp, che era spuntato nel momento giusto per affascinare da matti il me ragazzino e da poco invischiatosi con la lettura di fumetti in calzamaglia. Non so bene quale sia il motivo, ma ho sempre schivato con cura le varie incarnazioni televisive di Superman, Smallville compreso, senza riuscire a trovare il desiderio di conceder loro più che uno sguardo distratto quando capitava. Magari era solo una questione di tempismo, di momento sbagliato, e se Smallville iniziasse domani, boh, ci proverei, ma tant'è, è andata così. Per qualche ragione, però, m'è venuta voglia di provare a guardarmi Arrow. Sarà che ne leggevo e me ne dicevano cose positive, sarà che m'è venuto il dubbio che pure la DC avesse una mezza idea di fare i crossover coi film e poi mi s'incasina la continuity, sarà che c'era il cofanetto in Blu-ray della prima stagione scontato su Play.com, sarà quel che sarà, me lo sono comprato e guardato. E mi sono divertito un sacco.

Arrow prende corposo spunto dal bel Green Arrow: Year One a fumetti di Andy Diggle e Jock (non credo sia un caso se uno dei personaggi principali l'hanno chiamato, per l'appunto, Diggle) e ci fa sostanzialmente un po' quel che vuole, applicandoci sopra svariati strati di rielaborazioni e reinvenzioni finalizzate a raccontare le origini di una nuova versione dell'universo "urbano" DC. Un po' preda di nolanite, ma non al punto di dimenticarsi delle pacchianate più spinte, la serie si dedica all'equilibrismo nel cercare di trovare una sua identità sufficientemente tamarra, dare un senso agli aspetti più assurdi dei personaggi (quest'ansia molto nuovo millennio di provare a razionalizzare il fatto che i supereroi si mettono la maschera e il costume) e contestualizzare il tutto in un mondo "allargato" che dà continuamente di gomito al geek, citando questa e quest'altra cosa non solo strettamente legata a Green Arrow, ma pescata anche in giro da tutto il resto del cosmo DC, con particolare insistenza in zona Batman. In più, un po' sullo stile di quanto viene fatto con The Walking Dead, gli autori si divertono anche a prendere per i fondelli, suggerendo questa o quella cosa dei fumetti con un nome, un cognome, un atteggiamento, e poi andando a rielaborartela in una maniera che non necessariamente ti aspetteresti.

Questo lavoro di continuity spinta, che per altro, durante la seconda stagione, darà vita all'ingresso in campo di Flash, con tanto di serie TV dedicata in arrivo, s'appoggia su una narrazione che fa procedere in parallelo gli eventi nel presente e quelli sull'isola in cui il personaggio ha vissuto le sue origini segrete, costruendo una rete di misteri e colpi di scena a tratti un po' sfiancante, ma che nel complesso funziona e tiene alta l'attenzione. Aggiungiamoci, poi, che è un telefilm strapieno d'azione, in cui le mazzate volano di continuo e sono quasi sempre ben messe in scena, e che le scelte di casting sono quasi tutte azzeccate. Non ci sono certo grandi attori e, anzi, il protagonista Stephen Amell conosce solo due espressioni (con la testa dritta e con la testa inclinata di lato), però, bene o male, sono tutti molto azzeccati per i rispettivi ruoli e, per esempio, John Barrowman è veramente un ottimo cattivo. Certo, Katie Cassidy ha una faccia che sembra sia stata piallata da un ferro da stiro e quando scattano i momenti-melodramma e lei diventa tutta rossa, si gonfia e lacrima copiosamente, viene voglia potente di fast forward, ma insomma, non si può avere tutto. Nel complesso, comunque, Arrow è una visione divertente, coinvolgente, perfettamente comprensibile anche per chi non sa una mazza dei fumetti, dall'apprezzabile approccio ruvido, cupo, a tratti perfino brutale, senza per questo rinunciare ad essere orgogliosamente geek e autoironico. Non è perfetto, spesso sbraca di qua e di là, ma insomma, eh, mica si può pretendere troppo.

Me lo sono sparato grazie al luccicante cofano Blu-ray britannico, chiaramente in lingua originale, che ti permette di godere del sapido bisbigliare di Stephen Amell nei momenti drammatici e del biascicare da alcolizzata di Willa Holland ogni volta che apre bocca.

6.4.14

Lo spam della domenica mattina che però arriva di pomeriggio: Imprevisti


Questa settimana su IGN ho estratto l'anteprima di Clandestine, un gioco indie sfizioso e promettente dalla Danimarca, e un paio di Rewind Theater: quello sull'ultimo trailer di X-Men: Giorni di un futuro passato e quello sul primo trailer di Tartarughe Ninja. E basta. Su Outcast, invece, abbiamo un Videopep dedicato alle ultime notizie sulla realtà virtuale, il The Walking Podcast sull'ultimo episodio della quarta stagione di The Walking Dead e l'Old! sull'aprile del 1974. E, di nuovo, basta.

Stiamo cercando di mettere assieme l'Outcast Reportage dedicato alla Game Developers Conference 2014, ma cacchio, c'è veramente un imprevisto dietro l'altro. Comunque, si punta a venerdì.

5.4.14

La robbaccia del sabato mattina: Gli spot della TV


Quanto sono ganzi i poster Mondo, tipo questo qua sopra? Sono ganzi, dai. A proposito di poster, a questo indirizzo ce ne sono un po' di X-Men: Giorni di un futuro passato. Non sono tutti ganzi, ma insomma, comunque, stanno lì. A proposito di Capitan America, invece, a questo indirizzo e a questo qua ci sono immagini e video dal set di Avengers: Age of Ultron, e a me continua a divertire troppo sentire l'audio della gente che guarda tutta rapita il set dell'Hollywood a casa sua. Ma in effetti, al posto loro, pure io sarei tutto rapito, su. Il nuovo costume di Cap, comunque, che mescola quello retrò e l'uniforme cupa dello S.H.I.E.L.D., non mi dispiace affatto. Ad ogni modo, questa settimana sono emersi spot televisivi di film vari da tutte le parti, tipo quello per il nuovo Pianeta delle scimmie o quello di Godzilla, ma insomma, alla fine diventa anche un po' noioso seguirli tutti.



Questo qua, invece, è il primo trailer di Lucy, il film di Luc Besson in cui Scarlett Johansson interpreta il ruolo di una tizia che ingerisce la droga che fa sbloccare le percentuali di cervello che non si usano e quindi ha i super poteri. Onestamente, mi sembra una cagata fuori misura, però magari sarà divertente e/o bella da guardare, visto che comunque Besson qualcosa di buono con la macchina da presa lo sa fare. Comunque a me la Scarlett continua a sembrare mostruosamente impacciata nei ruoli d'azione, però magari è un problema solo mio, boh.



E questo è invece un altro trailer molto teaser di The Expendables 3, di nuovo tutto incentrato sullo sparare la sfilza di nomi a raffica e praticamente nient'altro. A parte il fatto che mi chiedo chi dovrebbe fregarsene di almeno un paio di nomi, non è che se ne possa dedurre qualcosa, se non che stanno tutti ridacchiando e quindi, presumibilmente, il tono rimarrà quello del secondo film. Toh, ecco, diciamo che sembra avere (o sembrano volerci far credere che abbia) un taglio molto "aperto", spettacolare, con sfida diretta ai Fast & Furious. Sbaglio o anche i font sembrano sfidare apertamente quelli di Fast & Furious? Ma non dovevano ispirarsi a The Raid? Boh?



Qui invece abbiamo il trailer dell'esordio di Gia Coppola, nuova esponente della famiglia di artisti raccomandati talentuosi a cui comunque, bene o male, vogliamo sempre tanto bene. Sarà che mi piacciono i film sugli adolescentelli americani che scoprono la vita, ma mi sembra interessante. Vedremo. E chiudiamo con due robe meravigliose.





Ho bisogno di dormire.

4.4.14

Il capodanno a fumetti di giopep


Sto lentamente recuperando le bozze di post che c'ho qua su blogger, andando proprio in ordine cronologico da un certo punto in poi e, ovviamente, interrompendo il recupero quando decido di scrivere un post "d'attualità". Non ce la farò mai, morirò nel tentativo, ma vabbé, che ci posso fare, ci si prova. Ed è per questo che ad aprile del 2014 mi ritrovo a buttar fuori il post dedicato ai fumetti che mi sono letto durante il periodo delle feste trascorso in Italì. Ecco quindi qua un po' di chiacchiera sconclusionata e a caso, su robe che nel frattempo mi sono completamente dimenticato, così, tanto per pubblicare qualcosa di inutile durante uno stanco venerdì.

Orfani #1/3 ***/****
L'ultima volta che ho scritto di fumetti qua dentro, ho parlato anche di Mater Morbi, dicendo che non vado matto per un certo "tono" che usa Recchioni nella scrittura. Ora, è e rimane soprattutto un problema mio, eh, però va detto che nel contesto di una storia come quella di Orfani, che sembra l'adattamento a fumetti di un film che potrebbero recensire su I 400 Calci, mi pare funzionare decisamente meglio. Anche se comunque, non ci posso fare niente, i personaggi che si prendono la vignetta e si piazzano lì sparandosi le pose con la frase a effetto mi danno noia. Comunque, per questi primi tre numeri, Orfani mi ha intrigato parecchio. Non sembra raccontare nulla di clamorosamente nuovo, ma questo non è mai stato un problema e comunque c'è sempre il discorso che, nel contesto Bonelliano, nuovo lo è eccome. Inoltre, dopo un primo numero gradevole ma non proprio esaltante, ho avuto l'impressione di un impennata decisa fin dal successivo. Fra una settimana passo in Italia, quindi in fumetteria, e ammetto che è una delle cose che ho più voglia di recuperare.

L'immortale #30 ****
Oh, si è concluso L'immortale! Porca miseria, quando ho iniziato a leggerlo avevo vent'anni. Se andava avanti ancora un po' mi doppiavo l'età. Sono momenti importanti e che ti segnano profondamente. Fra l'altro è anche un bel finale, intenso e tutto melodrammatico. M'è venuta voglia di rileggerlo da capo. Non lo farò mai.

Yawara! #1/5 ***
È uno dei primi fumetti di Naoki Urasawa, per la precisione il secondo, l'immaturità del tratto si vede tutta ed è sostanzialmente una commedia sentimental-sportiva in pieno stile manga anni Ottanta, quindi parecchio lontana dalle opere con cui Urasawa è diventato grande protagonista delle firme di tutti i forum più nerd del pianeta. Sostanzialmente, sembra di leggere la bozza di quel che poi sarebbe diventato Happy!, con tutte le sue assurdità ed esagerazioni. E infatti è gradevolissimo, se vogliamo un guilty pleasure, seppur meno riuscito e rifinito rispetto al suo successore.

Viola Giramondo ***** 
Un racconto semplice e delizioso, magari un po' troppo semplice e prevedibile nella caratterizzazione dei personaggi, ma che ammalia con la bellezza delle sue tavole poetiche, coloratissime, vibranti. È un fumetto per ragazzi e la cosa è evidente nella semplicità di alcune soluzioni narrative, ma funziona comunque benissimo e trova spunti toccanti, addirittura commoventi. Avercene.
 
Quelli che ci ho pensato fortissimo ma non mi viene proprio in mente nulla da scrivere e del resto, oh, sono passati mesi, abbiate pazienza, comunque mi ero appuntato le stelline, quindi li metto comunque qua in fila
Almanacco del mistero 2014 ***, Asso ****, Idol A #1 ***, Ilaria Alpi - Il prezzo della verità ****, Il grande Belzoni ***, K ****, Sergio Bonelli - Il timoniere dei sogni ***

Quelli che ne ho scritto o parlato altrove e quindi metto il link ad altrove
Dodici ***

Quelli che ho scritto in altre occasioni dei numeri precedenti e non ho niente da aggiungere e mi limito quindi a metterli qua in fila con le stelline che mi ero appuntato
All Ronder Meguru #10/11 *****, Berserk #73/74  ***, Billy Bat #9 ****, Dragonero #3/7 ***, Gantz #36 ****, Le storie #2 - 10/15 ***/****, Lilith #11 ***, Long Wei #2/6 **/****, Naruto #63/64 ***, Rinne #14/15 ***, Shanghai Devil #15/18 ***, Teenage Mutant Ninja Turtles #5/6 ***/****, Un marzo da leoni #8 ****, Vagabond #52/53 ***, Worst #30/32 ***

E alla fine sono riuscito a scrivere proprio pochino, ma, ehi, che ci si può fare, a volte va così, facciamocene una ragione, pace. Comunque, il venerdì è andato, buon weekend a tutti.

 
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