Spy

Scemenze action

Babadook

Incubi e allegorie

Terminator Genisys

È tornato (purtroppo)

'71

Quando a Belfast si viveva tranquilli

Poltergeist

Potevamo tranquillamente farne a meno

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...

30.4.15

Agents of S.H.I.E.L.D. 02X19: "The Dirty Half Dozen"


Agents of S.H.I.E.L.D. 02X19: "The Dirty Half Dozen" (USA, 2015)
creato da Joss Whedon, Jed Whedon, Maurissa Tancharoen
puntata diretta da Kevin Tancharoen
con Clark Gregg, Brett Dalton, Ming-Na Wen, Chloe Bennet, Iain De Caestecker, Elizabeth Henstridge, Kyle MacLachlan, Dichen Lachman

Ebbé. Direi che il commento migliore per questa puntata di Agents of S.H.I.E.L.D. è questo: ebbé. Un gioiellino, che riesce nell'impresa di far da puntatone coinvolgente, divertentissimo, che porta avanti la storia in maniera intrigante, regala un sacco di azione, offre svolte azzeccate, liquida un personaggio secondario e butta lì sul piatto una fra le due o tre migliori scene d'azione della serie. Non che ci sia da stupirsi, su quest'ultimo aspetto, dato che alla regia torna quel Kevin Tancharoen che già ci aveva deliziati con i calci in faccia fra le due May di qualche tempo fa, ma il piano sequenza che mostra Skye/Daisy in azione da vera agente S.H.I.E.L.D. è una bellezza. Certo, se va avanti così, fra un po' vedremo i piani sequenza anche nei filmini dei matrimoni, but still.

Al di là di quel momento spettacolare, tutta la puntata è comunque ottima, anche per il bel modo in cui affronta la reunion del team originale e tutto ciò che è cambiato da quei primi tempi a oggi. Ma c'è anche un bel lavorare sulle faccende degli inumani, con l'esplosione dei nuovi poteri di Raina e i dubbi sempre più forti su come è strutturata questa assurda comunità fra le montagne, forse molto meno amorevole e pacifica rispetto a come vuole vendersi. Si sta preparando un gran bel casotto per il finale di stagione, che fra l'altro è previsto come doppia puntata da mandare in onda tutta in un botto, e onestamente non vedo l'ora.

Ma l'episodio serviva anche come "preparazione" per Avengers: Age of Ultron, che negli USA esce questa settimana, e anche sotto questo punto di vista non c'è proprio da lamentarsi, nonostante l'integrazione sia molto meno forte rispetto a quella di un anno fa con Captain America: The Winter Soldier. Anzi, si tratta per lo più di accenni, suggerimenti, spunti, elementi buttati lì a dare l'idea di universo integrato e a proporre gli avvenimenti della serie come punto di partenza per la parte iniziale del film, ma i riferimenti sono stati inseriti con gran cura, non disturbano e, anzi, in tutta onestà, m'hanno messo addosso un gasamento notevole nei confronti del film. Quindi, ecco, singola puntata, doppio gasamento, per il finale di stagione e per il film che, malanni permettendo, dovrei andarmi finalmente a vedere nei prossimi giorni. Bene così.

A occhio, la prossima settimana sarà tutto un preparare il macello finale. O, almeno, questo sembra suggerire il trailer. Boh, vedremo. Certo che su 'sta faccenda degli inumani stanno andando all-in.

Trichechi italiani


Questa settimana si manifesta in Italia, direttamente sul mercato dell'home video, quella mezza cretinata di Tusk, il film del tricheco mannaro (si fa per dire) con cui Kevin Smith ha rilanciato la sua carriera cinematografica. Ne siamo felici? Mh, non ne sono mica tanto sicuro, ma insomma, ce ne faremo una ragione. Ad ogni modo, io l'ho visto l'anno scorso al Paris International Fantastic Film Festival e ne ho scritto a questo indirizzo qua.

E intanto devo ancora andare a vedere Avengers: Age of Ultron. Non sono più il geek isterico di una volta. Oppure è che volevo guardarmelo in continuity con Agents of S.H.I.E.L.D.? Ah!

29.4.15

Uniti per sempre


The Skeleton Twins (USA, 2014)
di Craig Johnson
con Kristen Wiig, Bill Hader, Luke Wilson, Ty Burrell

Uniti per sempre è uno di quei film semplici semplici, che raccontano piccole cose, storielle di tranquilla e umana quotidianità, mescolando dramma e commedia. Gli americani li chiamano dramedy e la zona è quella dei film indipendenti dall'estetica un po' spenta che hanno il bollino del Sundance Film Festival sul poster (premio per la miglior sceneggiatura, fra l'altro). Insomma, è quel genere di film lì, quello che fa innervosire in molti a un primo sguardo e, spesso, lo ammetto senza problemi, fa innervosire anche me. Però non rientra fino in fondo in quello stereotipo perché non si getta di faccia e di cuore nel fantastico mondo della gente tutta strana, bizzarra, ma taaanto adorabile e matterella che spesso infesta quel filone cinematografico. No, i personaggi di Uniti per sempre sono normali, semplici, intriganti e ben raccontati. E infatti si tratta di un bel film.

La storia, lo dice il titolo originale e in fondo lo suggerisce anche quello italiano, racconta di due gemelli: Kristen Wiig è una donna che non riesce ad accettare fino in fondo il suo tentativo di mettere la testa a posto, mettendo su famiglia nella casetta di provincia con quell'adorabile e premuroso sempliciotto di suo marito (un ottimo Luke Wilson); Bill Hader è un aspirante attore senza speranza, che tira avanti ai margini del suicidio servendo ai tavoli nella Los Angeles più pezzente. A causa di un brutto evento che apre il film, i due si trovano a trascorrere qualche giorno assieme e, nella più classica delle tradizioni, a ripensare un po' a quel che è stata la loro intera vita. Ma le tradizioni, in linea di massima, finiscono qui.

Il bello di The Skeleton Twins sta infatti soprattutto nel modo in cui abbraccia i suoi cliché ma riesce a utilizzarli in maniera un po' diversa dal solito, non necessariamente risaputa, a tratti perfino sorprendente. C'è un bel tono sincero e palpitante, nella placida tranquillità con cui Johnson racconta le vicende di quegli sciamannati dei suoi personaggi, e ci sono due eccellenti interpretazioni a supportarlo. Il cast di contorno funziona benissimo, ma sono soprattutto Wiig e Hader a tenere in piedi il film, evitando le macchiette demenziali che uno si potrebbe magari aspettare da loro e tirando fuori invece due gran bei personaggi, intriganti, dalla bella personalità, che funzionano benissimo tanto dove te lo aspetti, nelle botte d'autoironia, quanto dove se ne poteva dubitare, nei momenti più drammatici. In più Uniti per sempre è quel genere di commedia che racconta un pezzo nella vita di qualcuno senza sentire il dovere di infilarci una qualche forma di chiusura forzata, come del resto è giusto che sia, e a me questo genere di scelta piace sempre un sacco. Aggiungiamoci una scena irresistibile sulle note di Nothing's Gonna Stop Us Now degli Starship ed è finita, sono stregato.

In America è uscito l'anno scorso, dalle nostre parti ci arriva oggi, direttamente sul mercato dell'home video.

28.4.15

The Fall - Caccia al serial killer - Serie 1/2


The Fall (GB, 2013/2014)
creato da Allan Cubitt
con Gillian Anderson, Jamie Dornan

Ambientato in quel posticino tranquillo e rassicurante che dev'essere Belfast nei suoi giorni migliori, The Fall racconta le vicende di una "superintendent" della polizia inglese che viene spedita in Irlanda del Nord per aiutare nelle indagini su un omicidio e si rende conto abbastanza in fretta che la cosa è più grossa di quel che si aspettava. A interpretarla c'è Gillian Anderson, che per tanti anni ha fatto forse un po' fatica a scrollarsi di dosso il ruolo di Scully ma qui trova un personaggio dalla forza pazzesca, scritto a meraviglia, carismatico e su cui si poggia sostanzialmente l'intera serie. La sua Stella Gibson non è una poliziotta forte da barzelletta, una macchietta generatrice casuale di frasi da dura, è una donna forte, di carattere, che si è conquistata il proprio ruolo con le unghie e non cede mai di un passo, non rinuncia alla propria femminilità e, anzi, la vive alla propria maniera senza chiedere nulla, o chiedere scusa, a nessuno.

All'altro angolo del ring c'è il Paul Spector di Jamie Dornan, un bravo ragazzo, padre di famiglia affettuoso, impegnato sul lavoro per aiutare come consulente psichiatrico le donne vittime di abusi. Una bella persona, insomma, giovane, dal sorriso affabulante e col pettorale guizzante. Che però ha un piccolo problema, una psicosi di poco conto: ogni tanto si fa prendere dal bisogno di accanirsi su una donna. Non una donna qualsiasi, eh, non stermina masse a caso: scova la sua preda, la studia, la segue, impara a conoscerla e poi - tac - la assale e ci fa un po' quel che vuole. E il fascino del personaggio sta anche lì, nella sua semplicità, nel classico "Sembrava una così brava persona" e nel modo in cui, pur essendo preda della propria debolezza, non le sfugge, anzi, la fa propria e la alimenta con tutte le forze. Poi, certo, non riesco a fare a meno di ridacchiare pensando che hanno preso quello strangolava le donne in TV per fargli fare quello che propone alle donne di farsi frustare al cinema e chiedermi se la carriera del povero Dornan sarà per sempre così, un po' come William Shatner è sempre stato Kirk. Speriamo di no, povero.

A ideare e raccontare le vicende di questi due personaggi e di chi ruota loro attorno è Allan Cubitt, uomo di televisione con oltre vent'anni di carriera alle spalle e che con The Fall ha trovato forse il suo progetto più personale e a lui più caro. Dopo aver scritto per intero la prima serie da cinque puntate, ha deciso che non era abbastanza e si è preso in carico anche il ruolo di regista per le sei puntate della seconda annata. E ha tirato fuori una gran bella serie, splendidamente diretta e fotografata, che porta avanti il proprio racconto con quel placido abbandono tipico di una certa televisione europea e immerge in un'atmosfera talmente pesante, sordida, buia, che dopo ogni puntata hai bisogno di riprenderti guardando una sitcom e mangiando un gelato. The Fall è un ottimo poliziesco, intelligente, ricco di spunti, curato nella scrittura dei personaggi e appassionante nello sviluppo delle vicende. C'è qualche aspetto che funziona meno degli altri e tutta la faccenda del marito rabbioso mi pare una maniera un po' forzata di far accadere alcune cose, ma l'intero cast è talmente pieno di ottimi attori che riesce a farti accettare tutto. E poi c'è quel modo così strano di tirare le fila: la seconda serie, in maniera non poi tanto dissimile dalla prima, offre una chiusura, ma lascia anche tanto di aperto per possibili sviluppi futuri. E per fortuna di recente è stato confermato che ne vedremo una terza. Bene così.

Io The Fall me lo sono guardato su Netflix, ma in Italia lo trasmette Sky Atlantic e proprio stasera iniziano a dare la seconda serie. Così, ve lo segnalo. Vedete un po' voi cosa fare.

27.4.15

Daredevil - Stagione 1


Daredevil (USA, 2015)
con le mani in pasta di Drew Goddard e Steven S. DeKnight
con Charlie Cox, Vincent D'Onofrio, Deborah Ann Woll, Elden Henson, Toby Leonard Moore, Vondie Curtis-Hall, Bob Gunton, Rosario Dawson, Ayelet Zurer

L'altro giorno scambiavo mail con Ualone, che stava iniziando a guardare Agents of S.H.I.E.L.D. e mi chiedeva dritte su come seguire la cronologia precisa degli incroci coi film, sapendo che io mi strippo con queste cose. Ovviamente gli ho dato una risposta chilometrica e poi siamo andati avanti per un paio di mail, giungendo alla conclusione che ormai i Marvel Studios hanno completamente perso il controllo della situazione. Sulla ABC hanno una serie alla seconda stagione, ne hanno appena avviata un'altra che potrebbe teoricamente andare avanti e hanno appena annunciato uno spin-off della prima. Su Netflix (per altro sempre in collaborazione con ABC) sono partiti subito a mille con un progetto da cinque serie più o meno collegate, tutte col potenziale per proseguire in stagioni successive (e infatti è stata annunciata la seconda di Daredevil). E al cinema, dal 2017, passano da due a tre film all'anno. Se non è perdita di controllo e megalomania questa, non so cosa lo sia. Mi fa piacere? Alla fine sì, perché son cose che mi piacciono e perché in linea generale, seppur con poche reali vette, il "prodotto" Marvel mi sembra sempre dignitoso. Insomma, di certo non mi lamento. Però capisco anche che a un certo punto si rischi un po' di superare il punto di rottura.

In questo senso, bisogna dare atto ai Marvel Studios che almeno un pochino stanno provando a differenziarsi. Più o meno tutto quel che hanno buttato fuori fino adesso tra cinema e TV corrisponde bene o male allo stesso modello, però, anche all'interno di quel grosso e coerente paciugo, hanno provato a variare un po' lo stile, buttandola di qua più sul thriller spionistico, di là più sulla farsa e così via, con un'ulteriore promessa di divagazione offerta dal film sullo stregone supremo in arrivo l'anno prossimo. Ma il primo vero e netto distacco dalla formula base arriva con Daredevil, che riesce nell'impresa di proporre una faccia realmente diversa di quello stesso mondo. E alla fin fine il suo merito principale è soprattutto questo, l'infilare fra i vicoli anni luce al di sotto di quelle guerre stellari un mondo in cui i supereroi sono uomini, fatti di carne e sangue, costantemente presi a calci in faccia dalla vita e dai cattivi. Chiaramente, chi conosce i fumetti lo sa, Daredevil era il personaggio perfetto per aprire questa specie di piccolo sotto-universo, simbolo della Marvel "urbana" da quando Frank Miller l'ha preso in mano e ribaltato come un calzino, trasformandolo nell'incarnazione del senso di colpa cattolico dell'irlandese americano medio, sempre pronto a finir svenuto in una pozza di sangue in un vicolo oscuro.

Ecco, se questa prima stagione di Daredevil è meritevole e interessante è soprattutto per il modo in cui apre le porte a una Marvel un po' diversa, più cruda e brutale, che restituisce il senso di sofferenza a tutte quelle interminabili scazzottate prive di lividi e che regala una dimensione più umana ai suoi personaggi. In un certo senso, Daredevil è la nolanata della Marvel. Anche se non è tutto virato al grigio come L'uomo d'acciaio, si svolge al novanta per cento di notte e rinuncia ai colori vivaci e al continuo cazzeggiare dei film. Il bello, però, è che lo fa senza ignorarli, anzi, inserendosi a meraviglia in quel contesto da cui si distanzia mille miglia. È la concretizzazione di un discorso appena accennato nel pilota di Agents of S.H.I.E.L.D. ma mai portato realmente avanti in quella serie, il raccontare di un'umanità tutto sommato abbastanza normale alle prese con l'assurdità di vivere in un mondo che ospita divinità col martello, biondoni incappucciati e miliardari in armatura. La Hell's Kitchen dell'universo cinematografico Marvel non è quella degli anni Sessanta in cui nacque il Daredevil originale, è un'area devastata dagli scontri fra divinità e alieni, in cui la gente normale cerca di rifarsi una vita, il crimine dilaga e un uomo dalle capacità particolari prova a far giustizia con le proprie mani. In questo contesto così folle, ma in fondo coerente, alla fin fine ha pure senso che Matt Murdock decida di indossare un costume e spararsi le pose. Intendiamoci, fa comunque un po' ridere, quando finalmente inizia a fare le piroette ricoperto di rosso al termine di una serie con questo taglio, un po' come il cretino vestito da pipistrello nel film coi mafiosi. Però, almeno, non è solamente uno squilibrato che indossa delle orecchie perché sì, è un tizio che vive in un mondo dove i supereroi sono la norma. E allora che gli vuoi dire? Alla fin fine il merito dei Marvel Studios, con tutte le loro colpe, è un po' quello: aver creato un universo narrativo in cui, semplicemente, i supereroi esistono e ce li hanno venduti. Da lì è tutta in discesa.

C'è più sangue nel poster là in cima o in questa gif che in tutti i film Marvel messi assieme.

Poi, certo, le cose le devi comunque fare bene e Daredevil è una bella serie, con qualche picco (se lo chiedete a me, la seconda puntata, poi quella dedicata ai ricordi del college e la penultima), qualche tonfo (un saluto al giovane Fisk) e un cast azzeccatissimo per carisma e interpretazioni, nonostante solo i due antagonisti principali abbiano davvero materiale un po' sostanzioso con cui divertirsi. Vincent D'Onofrio è fuori scala, prende totale possesso del suo personaggio e tira fuori forse il miglior cattivo Marvel che si sia visto fino a oggi, anche perché lo fa senza appoggiarsi su gag e battutine. Spara a mille, ce la mette tutta e si mangia Wilson Fisk con un'interpretazione che, un po' come il Tony Stark di Robert Downey jr., non è necessariamente fedelissima all'originale, ma è talmente azzeccata e di personalità che probabilmente finirà per mangiarselo. Charlie Cox, di suo, è un gran bel protagonista, ha un savoir-faire che levati ed è facilissimo affezionarsi al suo personaggio, alle sue difficoltà, ai suoi dubbi e alla sincerità che mette in campo. Attorno a loro tutti attori in parte, molto adatti ai ruoli, che fanno il proprio senza sporcare, compensando lo scarso materiale a disposizione con sane dosi di carisma.

Per il resto, ci sono tredici puntate che seguono con cura il modello Netflix. Daredevil non è certamente un film da tredici ore fatto a pezzetti, anzi, la struttura ciclica dei singoli episodi è fin troppo evidente, così come è palese la suddivisione in tredici piccoli racconti (la puntata del ninja, quella del passato di lui, quella del passato dell'altro, quella con Stick ecc... ), ma l'equilibrio fra momenti singoli e racconto portato avanti mano a mano è ben dosato. Come è tradizione per le serie nate in ottica streaming, ogni singola puntata si chiude, se non su un cliffhanger, con un nuovo elemento introdotto in extremis per far venire voglia di proseguire subito e il tutto è strutturato molto bene, con una bella evoluzione dei personaggi e un lungo raccontare le origini tanto dell'eroe quanto del suo antagonista principale. È, di nuovo, una bella serie, che limita a piccoli spunti di contesto e di contorno un paio di riferimenti ai film e qualche accenno ai fumetti e sa lasciarsi gustare anche da chi non viene colto da brividi d'ansia quando riconosce quel personaggio che forse si nasconde dietro l'identità di quell'altro. E che utilizza meravigliosamente bene la città di New York, dandole un'aria viva, solida, grazie all'ottimo utilizzo di esterni azzeccati e dettagli riconoscibili.

Insomma, Daredevil è soprattutto un ottimo inizio, la dimostrazione che forse è davvero possibile fare qualcosa di nuovo e di diverso all'interno di quel contesto, senza doversi sforzare con la fronte corrugata per far diventare tutto appassito come in casa DC. È una serie ruvida, brutale, violenta, che racconta un supereroe umano e costantemente fatto a pezzi. Sono tredici puntate al termine delle quali ci viene mostrato l'eroe in tutto il suo splendore, ma ci è anche stato spiegato con grande cura come mai indossare il costumino rosso e lanciarsi da un tetto sia un'idea estremamente cretina. Il massimo simbolo di questa cosa, probabilmente, sta nel piano sequenza che chiude la seconda puntata, interessante più che altro perché non si concentra tanto sul gesto atletico elegante o sull'efficacia dell'eroe, come spesso accade in questi casi, quanto proprio sulla difficoltà, la pesantezza e la brutalità che esplodono quando la gente si fracassa di cazzotti. C'è tutta l'ansia, la difficoltà e la fatica di un'impresa da supereroe condotta da uno che, sì, ha qualche potere, ma fondamentalmente è solo un uomo bravo a menare.

Tutto questo, fra l'altro, mi fa ben sperare per quel che verrà poi e, in particolare, per il prossimo AKA Jessica Jones, cui tengo molto in quanto grande amante di quel fumettone che fu Alias. Riguardo a Daredevil, resto curioso di vedere come andrà con la seconda stagione e quali storie verranno raccontate. La ciurma di autori è sempre quella dei figli illegittimi di Joss Whedon, ma Drew Goddard e Steven S. DeKnight hanno abbandonato la nave e al timone ci passano Doug Petrie e Marco Ramirez, che comunque hanno scritto molto della prima stagione. Sapranno gestire la baracca? Affronteranno di petto certe tematiche di storie classiche del personaggio? Quali andranno a pescare? Sapranno regalarci altri cattivi memorabili, soprattutto considerando quanto sia ridicolo, in linea di massima, l'antagonista medio del cornetto? Boh, vedremo. Io, di sicuro, se il livello rimane questo, non mi lamento. Anzi, mi sbilancio: secondo me le cose andranno migliorando.

Su Netflix si è manifestato il 10 aprile e da allora a oggi me lo sono guardato con calma, senza esagerare, quando capitava, giusto così. Non ci sono ancora notizie su un possibile arrivo in Italia, ma mi stupirei se non si verificasse in tempi relativamente brevi. Al massimo c'è il rischio che stiano temporeggiando in attesa di lanciare Netflix dalle nostre parti, visto che se ne parla ormai da un po'.

26.4.15

Lo spam della domenica mattina: Trailer da tutte le parti


Questa settimana, su Outcast sono spuntati un Videopep in cui mostro cose e chiacchiero di giochi, il podcast di Outcast Sound Sessions, il nuovo Outcast Popcorn, un Outcast Magazine in cui si chiacchiera di centomila giochi, la mia recensione di Ori and the Blind Forest e l'Old! dedicato all'aprile del 2005. Su IGN, invece, abbiamo le analisi dei trailer di Batman V Superman, I Fantastici Quattro e Jurassic World, una scemenzina su Mad Max e l'anteprima di Enter the Gungeon.

In teoria domani si dovrebbe registrare un nuovo podcast. In pratica, se non mi passa il mal di gola, non so come andrà a finire. Boh, crediamoci.

25.4.15

La robbaccia del sabato mattina: La cosa dagli occhi blu


Questa mania ormai neanche più tanto recente dei poster in movimento sta un po' sfuggendo di mano, però devo dire che quello qua sopra con le macchinine che si muovono tipo formichine, per qualche motivo, mi piace un sacco. Mi ipnotizza. Comunque, metto qua sotto un po' di trailer usciti nei giorni scorsi e cerco di dire qualcosa al riguardo, ma non garantisco nulla: fa veramente troppo caldo.



Non riesco a formarmi un'idea precisa su questo I Fantastici Quattro. Il cast mi piace un sacco, seppur con qualche dubbio su Toby Kebbell, e Josh Trank mi sembra uno ganzo, però il trailer ha un'estetica piuttosto anonima e spero di essere smentito ma continuo a pensare che il materiale in questione sia davvero tanto, tanto, tanto difficile da trattare in questa maniera così seriosa. Alla fin fine secondo me i due vecchi film avevano scelto l'approccio giusto, che poi è lo stesso dei Marvel Studios, anche se i risultati lasciavano a desiderare. Boh, vedremo



E invece, guarda, il nuovo trailer di Jurassic World mi ha abbastanza gasato. Parto dall'assunto che replicare quel che fu il primo Jurassic Park sia proprio impossibile per mille motivi e alla fin fine io mi accontenterei di un film divertente, magari bravo a mixare ansia, avventura, senso di meraviglia e mostri che si menano. Che poi è un po' il motivo per cui a suo tempo mi sono divertito un sacco con Il mondo perduto e ho trovato motivi per non essere assalito dai conati di vomito perfino con Jurassic Park III. E insomma, boh, un po' ci credo. Alla fine è pieno di dinosauri che fan casino e mangiano gente.



The Visit, in cui M. Night Shyamalan decide di provarci col found footage. Purtroppo, shamannino ha un tantinello perso di credito con i suoi ultimi film e quindi risulta difficile identificarla come una di quelle situazioni in cui il regista di personalità si cimenta con un filone di successo ed essere curiosi di scoprire cosa ne verrà fuori. Almeno credo. Però devo ammettere che l'invito ad entrare nel forno per pulirlo mi ha fatto sorridere.



Black Mass, il nuovo film con Johnny Depp truccato strano che fa la voce bizzarra. E sigh. Però è anche un film pieno di attori che mi piacciono. E il regista è quello di Crazy Heart e Out of the Furnace, che non son capolavori ma mi son piaciuti pure loro. Boh.

Oggi dovrei andare a vedere Avengers: Age of Ultron. Credo. Non lo so. Ho mal di gola.

24.4.15

24: Live Another Day


24: Live Another Day (USA, 2014)
creato da Joel Surnow e Robert Cochran 
con Kiefer Sutherland, Mary Lynn Rajskub, Yvonne Strahovski, Kim Raver, Tate Donovan, William Devane, Michael Wincott, Benjamin Bratt, Gbenga Akinnagbe

L'ottava stagione di 24 ha i suoi bei problemi e i suoi bei momenti, come del resto praticamente tutte tranne la quinta, praticamente perfetta, e la sesta, praticamente una merda. Ma se c'è una singola cosa che quell'ultima annata fa è centrare alla perfezione il gran finale. E non è poco, quando hai il compito di chiudere una serie così. L'ultima manciata di episodi mette in scena un crescendo pazzesco e va a concludersi su una scena dalla potenza rara, con Jack Bauer che saluta come solo lui può fare. Hai detto niente. Che però il saluto non sarebbe stato estremo è stato chiaro fin da subito e poco importa se alla fine è stata abbandonata l'idea del film per puntare su una nuova stagione a durata ridotta: Jack è tornato a spaccare tutto armato della sua magica tracolla. E Live Another Day ha rappresentato un gran bel ritorno. Magari non perfetto, per carità, ma comunque avercene.

Già il concetto di partenza, conservare la narrazione in tempo reale ma dimezzare il numero di puntate nel tentativo di eliminare i tempi morti, ha quell'ottimo sapore dell'ammissione di colpa e del desiderio di farsi perdonare. E funziona. Intendiamoci, il personaggio inutile e dalla storia intollerabile, utilizzato per allungare il brodo fra una cosa importante e l'altra, c'è anche questa volta, ma tutto sommato la sua presenza è limitata, perché di tempo da perdere ne avevano davvero poco. E già questa è una vittoria. La scelta di procedere come al solito in tempo reale e giocarsi un balzo temporale sul finale per non smentire il discorso delle ventiquattro ore, poi, è un compromesso dignitoso, anche se leggo in giro di parecchia gente infastidita dalla cosa. Ma insomma, nel complesso, il delicato tentativo di snellire la serie e sfrondare quel che non funziona senza per questo tradire lo spirito originale m'è sembrato riuscito.

E lo spirito di 24 c'è tutto, nel modo in cui viene raccontata l'azione, nella natura dei due protagonisti storici, il cui viaggio personale è ormai diventato il cuore della serie e qui viene portato avanti in maniera azzeccata, e in tutti quei cliché che siamo ormai abituati ad aspettarci. Certo, dopo otto stagioni, alcune cose finiscono per essere prevedibili ed è difficile non capire abbastanza in fretta chi sarà la talpa di turno, considerando come si comporta. Ma non è un problema, fa parte del gioco. Fa parte del gioco anche la continuity strettissima, che è sempre stata un elemento cardine della serie e qui torna prepotentemente d'attualità, andando a chiudere tanti discorsi importanti che se lo meritavano. Nel farlo, tra l'altro, Live Another Day rimette al centro delle vicende le questioni della famiglia presidenziale, rimediando a uno fra gli errori più grossi dell'ottava stagione e regalandoci con Mark Boudreau un antagonista spettacolare. Aggiungiamoci che il cast di supporto è tra i migliori che abbiano mai graziato la serie e che il crescendo finale è, come quasi sempre, clamoroso, e io onestamente ho poco da lamentarmi. Sì, nella prima metà riesce ad esserci qualche brutto calo d'interesse nonostante la durata dimezzata e sì, il terrorista di turno non è esattamente un tripudio di carisma, ma è stato un gran bel ritorno a casa, anche se il pianeta non sembra essere più interessato a 24 come un tempo. Ma poco importa, perché in fondo, questa nona stagione (o quel che è) era palesemente un regalo per i fan. Lo si vede da come è costruita, dalla fedeltà al modello nonostante le modifiche e da quel che racconta. Ed è giusto così.

A me comunque l'idea di un film che se ne sbatta della narrazione in tempo reale continua a non dispiacere. Ma insomma, dubito. Magari un'altra stagionina? Il ritorno di Logan?

23.4.15

Agents of S.H.I.E.L.D. 02X18: "The Frenemy of My Enemy"


Agents of S.H.I.E.L.D. 02X18: "The Frenemy of My Enemy" (USA, 2015)
creato da Joss Whedon, Jed Whedon, Maurissa Tancharoen
puntata diretta da Karen Gaviola
con Clark Gregg, Ming-Na Wen, Chloe Bennet, Iain De Caestecker, Adrianne Palicki, Elizabeth Henstridge

In linea di massima, quando Kyle MacLachlan ha parecchio spazio in una puntata di Agents of S.H.I.E.L.D., c'è sempre da divertirsi. È una "regola" che fino a oggi non mi sembra abbia mai particolarmente tradito e che senza dubbio è stata confermata con questa diciottesima uscita della seconda stagione, nella quale Cal Johnson s'è più o meno mangiato tutto dall'inizio alla fine. E il punto non sta solo nel carisma di MacLachlan, che certo col personaggio sembra divertirsi un sacco, ma anche nella natura dello squilibrato che interpreta e nell'assurda, iper drammatica, esagerata storia che gli hanno costruito addosso. Per una buona parte della puntata gli autori si sono concentrati sul raccontarne tragico passato e dubbio presente, oltre che sull'approfondire il suo rapporto con le donne della propria vita, col risultato di un episodio dall'impatto emotivo azzeccato e dalle svolte narrative intriganti.

Tutto questo, poi, è avvenuto mentre i vari racconti iniziavano a convergere sempre più l'uno verso l'altro, dando vita a nuove situazioni particolarmente azzeccate, fra alleanze improbabili, conflitti che esplodono e un po' tutti i gruppi in ballo che, per un motivo o per l'altro, hanno finito per scontrarsi. E l'approccio al ritorno di Ward, in questa veste da uomo "di mezzo", che pensa ai fatti suoi ma finisce per essere continuamente invischiato nelle faccende altrui e sembra non rendersi conto fino in fondo della gravità di quel che ha fatto, mi sembra un modo molto azzeccato per continuare a usarlo senza appiccicargli sopra un'improbabile redenzione. E alla fine ci siamo beccati un'altra puntata divertente, dal bel ritmo, densa di avvenimenti che promettono begli sviluppi e carica d'azione, oltre che capace di chiudersi su un classico momento "Mavaff" quando mi sono reso conto che stavamo alla fine e una volta tanto volevo assolutamente andare avanti. Cosa che, nonostante la notevole qualità di questa seconda stagione, continua a non capitarmi poi troppo spesso con Agents of S.H.I.E.L.D., più per ragioni strutturali che altro.

Poi, ovvio, in queste puntate c'è anche l'elefante nella stanza rappresentato dall'uscita di Avengers: Age of Ultron, cui la serie si è avvicinata buttando lì una serie di spunti che sembrano suggerire un incrocio tra film e TV certo non devastante come quello di un anno fa, ma forse in grado di dare comunque qualche soddisfazione a chi segue l'universo cinematografico Marvel nella sua interezza. Purtroppo, comprensibilmente, come avvenne per Captain Amerca: The Winter Soldier, il crossover è tarato sull'uscita del film in America, quindi la puntata della prossima settimana andrebbe vista prima del film. Ma, ehi, io i biglietti in Imax li ho prenotati per questo sabato. Me ne farò una ragione.

Cercando cose a caso su questa puntata sono capitato per la prima volta sulle teorie di chi ipotizza che Ward possa essere e/o diventare Taskmaster. Intrigante.

22.4.15

Ultron Day


Quasi due mesi fa, per la precisione venerdì 27 febbraio, mi sono svegliato alle quattro di mattina perché dovevo andarmene in aeroporto, destinazione San Francisco. Era quel giorno dell'anno, quello in cui si parte per la Game Developers Conference e io sono tutto felice, perché alla fin fine, gira e rigira, è e rimane sempre il mio momento lavorativo preferito in assoluto. Siccome poi sono un romanticone fissato con le coincidenze, ogni tanto forzo la mano e sovrainterpreto, leggendo chissà quali significati in questa o quella bella cosa che capita in corrispondenza con il viaggio alla GDC. Per esempio, quest'anno, alle quattro di mattina, assieme a me s'è svegliata pure Giovannina, perché, ehi, ci teneva a salutarmi prima di vedermi sparire per una decina di giorni. Ma anche per farsi una pisciatina sullo stecchino bianco e vedere se spuntava una croce. Insomma, sai mai. E la croce è spuntata. E quindi, ecco, alle quattro e mezza di mattina del 27 febbraio 2015 ho visto la croce, ho commentato con un "Ah, OK. Beh, vado in aeroporto" e sono partito per San Francisco.

Il viaggio è stato un mio classico viaggio verso gli Stati Uniti (di quelli con tappa a Londra): mi sono arrangiato borbottando pseudo-francese all'aeroporto, ho speso tutto quello che avevo in tasca per comprare riviste, ho mangiato in ogni occasione che mi è stata offerta per farlo, ho chiacchierato brevemente con la signora di mezz'età in spedizione sciistica con marito e figlio che mi sedeva di fianco e ho dormito molto poco, nonostante il sonno non mancasse di certo. Mi sono sostanzialmente fatto una gran dose di affari miei, senza pensare poi troppo a questa cosa della crocetta, se non in un momento preciso: per qualche motivo, quando mi hanno portato il pranzo (beef, please), mentre affondavo coltello e forchetta, la cosa mi ha un po' colpito. Ho avuto quel momento di "Uah, un madernino!". Poi ho digerito guardando Machete.

Mi sembrava adeguato all'occasione.

All'atterraggio, quando l'hostess ci ha fatto gentilmente notare che nel 2015 non s'incazzano se usi il telefono mentre l'aereo sta parcheggiando, ho mandato un Whatsapp al volo in direzione casa. S'era rimasti che durante le centododicimila ore del mio viaggio Giovanna sarebbe andata a fare gli esami del sangue, perché insomma, la sicurezza. E gli esami del sangue avevano detto Go Go Go! E quindi Go Go Go, Giovanna ha comunicato la lieta novella ai suoi mentre io, preso da quell'attacco d'ansia che mi prende quando all'improvviso mi trovo a sapere una cosa che mi piacerebbe condividere col mondo ma per qualche motivo non posso farlo (pare che porti sfiga), l'ho subito detto alla sconosciuta che avevo di fianco. Che mi ha fatto le congratulazioni e l'ha poi detto a suo marito, immagino, dato che m'ha fatto le congratulazioni pure lui. E m'hanno subito trollato indicando la figlia (credo) venticinquenne e dicendomi una roba tipo "Non te lo leverai dalle palle per un sacco di tempo". La figlia era perplessa.

Il mio sbarco nei magici iuessei è stato un po' la solita roba da GDC: relax, passeggiata calma di qua e di là per l'aeroporto, chiacchiera col tizio della dogana affascinato dal motivo per cui mi trovo lì ("Nomaffigata - dude - ivideogiochibbella"), ritiro bagagli, beverone da Starbucks, ritiro macchina all'autonoleggio. Di diverso rispetto al solito c'era il fatto che il resto del contingente abruzzese, questa volta, arrivava parecchie ore dopo di me, quindi sono saltato in macchina, ho bestemmiato dietro al GPS e mi sono diretto verso l'appartamento. Dopo qualche smadonnata e dopo aver fatto incazzare un vicino di casa perché sono entrato per sbaglio nel suo appartamento, sono arrivato, mi sono installato, mi sono fatto una bella pasta col sugo (i precedenti ospiti mi avevano lasciato un pacco di De Cecco, pensa te le coincidenze), ho cazzeggiato un po' su Netflix, mi sono reso conto che il mio Galaxy S II stava definitivamente tirando le cuoia (per fortuna mi ero portato dietro un vecchio catorcio di smartphone pezzentissimo che per altro sto usando ancora oggi), ho controllato cosa davano al cinema, sono andato a farmi un giro in zona Moscone (stavamo veramente a due passi) e ho pure fatto la spesa da quei trionfatori del bene di Whole Foods Market. Infine, ho deciso che sarebbe stato carino, una volta arrivati i due sciamannati, andarcene a cena a un pub irlandese sulla quinta strada, tale The Chieftain, così, per brindare. Solo che poi i due sono arrivati tardissimo e stanchi morti, quindi niente. Fra un po' sono dieci anni che ogni volta penso di voler provare quel pub e poi finisco per non andarci. Magari un giorno...

Belle sorprese sanfrancescane.

E insomma, la mattina dopo, eravamo lì in tre, belli jetlaggati, con lo sguardo spento e incapaci d'intendere e di volere. Io avevo in mano un bicchiere di succo d'arancia. Fotone aveva in mano una scodellona con latte e cereali. Paolo Paolo Giacci Composer Paolo Giacci aveva in mano un caffè fatto con la moka che si erano portati da casa. M'è subito parsa una situazione perfetta: ho fatto cozzare i tre contenitori e ho comunicato la lieta novella, parlando di pisciate su stecchini e crocette. È stato quasi un bel momento, via. Poi, vabbé, io le cose le vivo un po' così, alla come capita, con ogni tanto l'attimo di "Uah, un madernino!", certo, ma per il resto il mio classico sguardo che spazia fra il rilassato e l'uomo preda di forti sostanze stupefacenti, quindi si è andati avanti placidi lungo la nostra strada. Visto che per 'sta cosa della scaramanzia bisognava aspettare la fine del primo trimestre prima di comunicare al mondo, abbiamo aspettato. Si fa per dire, intendiamoci. Che fai, vuoi privarti del gusto di estrarre un'ecografia a tradimento davanti alla faccia di due o tre persone che vengono a trovarti a Parigi putacaso proprio durante il primo trimestre? Figurati.

A proposito, l'ecografia. Ammetto che a vedere 'sto coso lungo qualche millimetro che agita gambe e braccia un pochino mi sono emozionato. Non troppo, eh, ma un po' sì. Più che altro, però, il tormentone delle ultime settimane è stato il battito del cuore. Voglio dire, quando fai l'ecografia, c'è questa roba che fa TUNZA TUNZA TUNZA TUNZA TUNZA TUNZA SBRAAAAAAAAM TUNZA TUNZA TUNZA TUNZA TUNZA. Lo sbram è Giovanna che si mette a ridere mentre c'è il microfono acceso e sfonda i timpani all'intero edificio, ma il resto è, appunto, il micro-cuore. Sembra di essere a un rave party. Non che io ci sia mai stato, a un rave party, ma insomma, è il pensiero che conta. E infatti abbiamo iniziato a riferirci all'erede con l'amichevole nome di Skrillex. Non che io conosca Skrillex, ma m'è subito tornata alla memoria quella volta in cui la Terra è stata bombardata con un suo disco e, voglio dire, si sa come funziona questa cosa di dare nomi alle creaturine in casa Maderna. Da lì in poi è stato tutto uno Skrillex di qua e Skrillex di là. Abbiamo pure la cartelletta di cartone che si chiude con l'elastico al cui interno si ripongono tutti i documenti utili e su cui ho scritto SKRILLEX col matitone colorato.

 Pensa se poi mi nasce con 'sta pettinatura e quel naso.

Poi, qualche tempo fa, è stato fissato che il 22 aprile avremmo fatto la giga-visita importante, quella in cui si fanno tutti i controlli, si accerta che Skrillex stia bene e si fa un po' il giro di boa della faccenda. E lì ho deciso che, se fosse stato tutto a posto, sarebbe stato il momento dell'evoluzione. Skrillex sarebbe diventato Ultron. E, vedi un po' le coincidenze, quando ho pensato 'sta cazzata, mica me lo ricordavo che proprio il 22 aprile sarebbe uscito al cinema Avengers: Age of Ultron. Pensa te. Sta di fatto che oggi abbiamo fatto tutto il giro di visite, esami, controlli, ecografie con le luci stroboscopiche, varie ed eventuali, compresa la sessione "Fare qualsiasi domanda cretina che mi passi per la testa perché vai a sapere, magari è importante". E Skrillex stava bene. Ottimo. Una volta tornati a casa, prima di telefonare a mia zia per dare la lieta novella e mettermi quindi a scrivere questo post per liberarmi da quell'attacco d'ansia che mi prende quando all'improvviso mi trovo a sapere una cosa che mi piacerebbe condividere col mondo ma per qualche motivo non posso farlo (pare che porti sfiga), ho preso in mano la cartelletta di cartone con l'elastico in cui teniamo tutti i documenti e ho tirato una riga sopra a SKRILLEX, per scriverci sotto il nuovo nome a caratteri cubitali. E insomma, ecco, è successa questa cosa, sto aspettando un Ultron.

E sabato sono in settima fila all'Imax. Purtroppo in 3D ma, insomma, perlomeno in lingua originale.

A Most Violent Year


A Most Violent Year (USA, 2014)
di J.C. Chandor
con Oscar Isaac, Jessica Chastain, David Oyelowo

Nel 1981, New York City dovette affrontare quello che le statistiche stabilirono essere l'anno più violento nella storia della città, grazie alla bellezza di 1841 omicidi. Il senno di poi ci dice che quel record durò poco, dato che il tasso di violenza continuò a crescere in maniera ininterrotta fino al 1991, ma tant'è, vai a raccontare a un newyorchese del 1981 di non lamentarsi perché poi le cose andranno peggio. Da questo dato statistico nasce il titolo dell'ultimo film di J.C. Chandor, regista parecchio apprezzato da queste parti grazie agli ottimi Margin Call e All Is Lost, che con questa sua terza opera si conferma autore interessante, estremamente versatile e dalla notevolissima personalità, capace di emergere anche quando, come in questo caso, si impegna soprattutto ad omaggiare i grandi classici del passato e realizzare un film come non se ne fanno più.

A Most Violent Year è infatti sotto molti punti di vista una sorta d'esercizio di stile, un tentativo riuscitissimo di realizzare un film che pare uscito per direttissima da un'epoca ormai svanita dell'Hollywood che conta. Il suo fascino tutto particolare arriva in larga misura proprio da questo approccio riverente, magari a tratti troppo innamorato del proprio classicismo, ma che comunque non scivola mai in ammiccamenti forzati. Nonostante questa natura un po' retrò, chiaramente resa ancora più forte dal contesto narrativo, dall'ambientazione d'epoca sottolineata a botte di abiti e pettinature, Chandor riesce però a imprimere sul racconto una personalità unica e fortissima. Lo fa grazie alla pazzesca ricerca visiva, al taglio funereo che la fotografia imprime su tutto il film, alla forza espressiva che emerge nell'utilizzo di ogni singola location e alla capacità di padroneggiare temi alti e raccontarli senza ipotizzare un pubblico di storditi da imboccare col cucchiaino.

Quella di Chandor è una New York viva, ma moribonda, preda di una decadenza morale a cui il suo protagonista cerca strenuamente di opporsi, ritrovandosi però costretto a scendere sempre più a patti con la realtà. Ne viene fuori un film strano, dal ritmo letargico ma bizzarramente ipnotico, una sorta di thriller placido che a tratti si risveglia con due o tre sequenze dalla potenza e dalla tensione fuori scala. E tutto ruota chiaramente attorno all'incredibile bravura di Oscar Isaac, che ancora una volta prende possesso di un film e lo domina dall'inizio alla fine, in ogni momento, in scene clou come quel fantastico monologo ai dipendenti ma anche in momenti più piccoli e apparentemente insignificanti. A Most Violent Year è soprattutto suo, nonostante il resto del cast esprima comunque il magnetismo delle grandi occasioni, ed è anche e soprattutto per godersi un'altra notevole performance di uno fra i migliori attori sulla piazza che bisognerebbe gustarselo. In attesa che jedi e mutanti riescano a donargli l'attenzione che meriterebbe ormai da un po'.

Uscito in America a fine 2014, probabilmente nel tentativo fallimentare di inseguire qualche Oscar, A Most Violent Year si è poi girato un po' tutti i paesi che contano ma sembra proprio non avere intenzione di graziare con la sua presenza i cinema italiani. Regolatevi di conseguenza, se non l'avete ancora fatto.

21.4.15

Scribe


Scribe (USA, 2014)
di Bob Ryan 

Bob Ryan è un giornalista sportivo americano, nato a Trenton, nel New Jersey, poco meno di settant'anni fa. In pensione dal 2012, continua a manifestarsi saltuariamente su riviste, quotidiani e trasmissioni televisive assortite, forte della sua esperienza enciclopedica, del suo bagaglio da storico dello sport e della sua profonda conoscenza di pallacanestro, baseball, varie ed eventuali. E io so a malapena chi sia. Sicuramente mi sarà capitato di vederlo apparire in qualche trasmissione televisiva americana o di leggere qualche suo articolo in giro per l'internet, ma da qui a conoscerne realmente il nome ci passa il fatto, presumo, di vivere dall'altra parte del pianeta. Epperò, qualche tempo fa ho ascoltato un episodio del B.S. Report di Bill Simmons in cui era ospite, chiacchierava dell'evoluzione del giornalismo nel corso dei decenni e, ovviamente, promuoveva il suo nuovo libro. Conseguenza? Ho comprato il libro. Ho fatto bene? Ho fatto bene.

Scribe è il classico libro da giornalista sportivo che si guarda alle spalle e ripercorre la propria vita, la sua carriera, le mille esperienze, cercando di utilizzarle come pretesto per parlare delle diverse epoche che ha attraversato. Ne vengono fuori oltre trecento pagine scorrevoli, affascinanti, in cui si percepiscono chiaramente il suo amore per lo sport e la passione, il rispetto, l'attaccamento alla professione cui ha scelto di dedicarsi. Ryan salta di qua e di là, raccontando gli inizi della sua carriera e i legami stretti con i campioni del passato in un periodo nel quale l'accesso agli atleti era vissuto in maniera totalmente diversa rispetto a oggi, andando a percorrere un po' tutta l'evoluzione del mestiere di giornalista sportivo dagli anni Sessanta a internet.

Nel farlo, racconta aneddoti deliziosi, ricorda i suoi rapporti - non sempre e non necessariamente amichevoli - con la gente di cui parlava come "columnist" e butta lì riflessioni, opinioni, approfondimenti su tanti avvenimenti sportivi ormai storici, oltre che su qualche argomento anche più di attualità, tipo la carriera in divenire del caro Lebron. Chiaramente, a leggerlo da questa parte dell'oceano, è difficile cogliere tutta una serie di riferimenti al giornalismo sportivo americano, ma rimane comunque il fascino di leggerli raccontati, al di là del fatto che per la maggior parte del libro Ryan parla soprattutto degli sport che ama. Poi, certo, bisogna essere interessati perlomeno a quegli sport, ma insomma, mi pare anche il minimo. Consigliato, assolutamente, a chi ama lo sport americano e anche a chi ama un certo tipo di giornalismo.

Il libro è disponibile solo in lingua inglese e dubito ci sia una anche vaga possibilità di vederlo tradotto in italiano. Magari sbaglio, eh. Vai a sapere. lo si trova comunque su Amazon in un po' tutte le forme: cartonato, brossurato, Kindle, perfino audiolibro!

20.4.15

You're the Worst - Stagione 1


You're the Worst - Season 1 (USA, 2014)
creato da Stephen Falk
con Chris Geere, Aya Cash, Desmin Borges, Kether Donohue

In casa San Maderna vige la malsana abitudine di guardare due serie in parallelo. Una con gli episodi lunghi, una con gli episodi brevi. Uso questa distinzione perché stare ancora a dividere fra "drama" e "comedy" sulla base della durata quando esistono cose totalmente trasversali come Orange is the New Black, Transparent, Girls e Louie in entrambe le "fasce" mi sembra sempre più assurdo e perché la sostanza comunque è quella: "Guardiamo una roba breve o una roba lunga?". Si guardano poche cose seguendo i ritmi della trasmissione televisiva, qua, giusto le serie Marvel e quella lì degli zombi, e non so neanche bene per quale motivo. Il resto è "Voglio la stagione completa, poi ci penso io". E se ne guardano due in parallelo, secondo quel metodo lì, procedendo un po' come capita. Senza sgarrare, eh. Siamo gente con grossi problemi, viviamo dominati dagli excel. In questo contesto, qualche tempo fa, dopo aver prosciugato tutte le stagioni di 30 Rock a botte di Netflix, ci siamo messi a guardare You're the Worst, ispirati dal fatto che praticamente chiunque sull'internet ne parlava come del secondo avvento della sitcom. E, in linea di massima, aveva ragione.

Come mai? Beh, per ragioni molto semplici. Intanto perché ha un cast perfetto, con quattro protagonisti azzeccatissimi, dal carisma infinito e che soprattutto nell'incredibile intesa fra i due personaggi principali trova gran parte della sua fortuna. Poi c'è il fatto che riesce nel miracolo di evitare quasi interamente l'avvio un po' impacciato che caratterizza quasi tutte le sitcom impegnate a prendere totale dimestichezza con personaggi, situazioni e tormentoni che possono funzionare. Certo, l'episodio pilota è ben lontano dall'essere il migliore della stagione, ma è già un gioiello che riassume alla grande il mix di cattiveria, scorrettezza, tenerezza e profondità nel caratterizzare personaggi, situazioni e rapporti. E la stronzaggine dei suoi protagonisti. Perché poi il fascino di You're the Worst sta anche e soprattutto lì, in quel mix assurdo e assurdamente realistico che riesce a creare grazie al suo essere, in buona sostanza, la commedia romantica di FX, quindi del canale che basa gran parte del suo successo su sangue e merda.

Ma soprattutto, You're the Worst è una sitcom che riesce ad essere una sitcom fregandosene di essere una sitcom. Non sono sicuro che questa cosa abbia senso, ma il punto è che Stephen Falk ha preso un po' tutti i cliché del genere, li ha appallottolati, ne ha conservati un paio rigirandoseli come voleva e ha buttato tutto il resto nella tazza del cesso. Di solito, le sitcom basano i loro intrecci amorosi o sull'eterno dubbio "Si decideranno?" o sull'impossibilità di mantenere le cose interessanti dopo che si son decisi e la necessità di sfasciare quindi tutto. E invece You're the Worst ha il coraggio di levarsi i dubbi dalle scatole dopo pochi minuti e mettere in piedi una serie in cui - pazzesco - una storia riesce a risultare interessante anche dopo che una coppia si è formata. Ne viene fuori una creatura adorabile, un trionfo di cattiveria e acidità sotto cui si nasconde una storia d'amore dolce e con tante cose da dire, oltre che raccontata con grandissima padronanza tanto dei tempi comici quanto degli sviluppi sentimentali. Ed è  scritta in una maniera incredibile, tanto nelle gag acide quanto nei momenti più seriosi. E quell'incertezza di sguardi su cui si conclude la prima stagione è fantastica.

Trasmesso in America l'anno scorso, è stato rinnovato per una seconda stagione, anche se spostato su FFX, che è un po' il fratello scemo del network principale. Non mi risulta essere ancora prevista una trasmissione dalle nostre parti ma chissà, magari, vai a sapere. Fun fact: di recente mi sono reso conto che Chris Geere mi ricorda  un sacco John Ingle di Inkle Studios. È stato complicato intervistarlo alla GDC senza pensare a quel che combina in TV.

19.4.15

Lo spam della domenica mattina: Indiez


Settimana piena di roba scritta su giochi indie o giù di lì, questa. Su IGN ho blaterato di Technobabylon, Titan Souls, Toren e Not a Hero, oltre a tirar fuori il Rewind Theater sul nuovo trailer di Ant-Man e quello del secondo trailer di Star Wars: Il risveglio della forza. Questi ultimi due non sono roba indie ma fa lo stesso. Su Outcast, invece, un po' di solita roba: il nuovo Podcast del Tentacolo Viola, il nuovo Outcast Popcorn e l'Old! dedicato all'aprile del 1995.

Fra un paio di giorni, invece, usciamo il nuovo Outcast Magazine.

18.4.15

La robbaccia del sabato mattina: Cose strane


Questa settimana che va a concludersi ha visto il pianeta gasarsi guardando Daredevil tutto in botta, ma io sono vecchio e imborghesito e sto a malapena a metà stagione. E che ci vogliamo fare, gira così. In compenso, fin dove sono arrivato mi sembra davvero notevole, cosa che per altro mi alza l'asticella di speranze e convinzioni nei confronti di AKA Jessica Jones, operazione non semplicissima ma dal gran potenziale, ispirata a un fumetto strepitoso come Alias. Qua c'è qualche foto, fra l'altro. Dai, son belle cose. Passiamo al trailer dello spoiler



E insomma, a quanto pare in Terminator: Genisys, oltre a dei problemi di spelling, c'è una svolta abbastanza particolare, su cui è basato questo intero trailer. Ora, senza entrare nei dettagli, l'idea che mi sono fatto è che sia un po' tipo la faccenda di Arnie buono in Terminator 2, che a guardare il film è palesemente pensata da Cameron come colpo di scena da svelare dopo una mezz'oretta, ma che tutti i trailer e il materiale promozionale dell'epoca mostrarono senza la minima vergogna. Sbaglierò, eh, ma mi aspetto che alla fin fine sia una situazione simile. E, capiamoci, secondo me è un peccato oggi come lo fu allora. Ma insomma, whatever. Il film, comunque, mi sembra un po' cretino.



Poi c'è questo, il secondo teaser trailer di Star Wars: Il risveglio della forza. Ebbene, al contrario di quanto avvenuto col primo, che un po' mi aveva emozionato, qui il tasso di gasamento m'è andato sotto zero. Sarà magari perché è troppo basato solo ed esclusivamente sull'omaggiare il passato e riproporre personaggi, situazioni, perfino inquadrature che vengono dalla vecchia trilogia, così i fan si placano? Vai a sapere. O magari è solo perché in quell'inquadratura finale c'ho visto il solito Harrison Ford svogliato e stanco degli ultimi vent'anni, quello che ci mette la passione di un Giorgio Mastrota che fa televendite. Boh, continuo ad essere convinto che sarà un bel film, ma 'sto trailer, con me, non ha funzionato proprio per nulla.



Il secondo trailer di Ant-Man, in cui si vede molta più azione, anche in miniatura, e fa il suo esordio il cattivone. La mia impressione? Sarà un film Marvel piuttosto standard, senza magari i guizzi che hanno avuto le ultime uscite, ma dignitoso, divertente e con comunque qualche spunto visivo interessante quando si mette a giocare con il punto di vista da formica. Vedremo.



Un lungo trailer di Mad Max: Fury Road che in realtà è una botta di amarcord dedicata ai vecchi episodi della serie. Qua si sta iniziando a giocare un po' troppo coi sentimenti. Occhio, Giorgino. Occhio. Finisce male. Facciamo molta attenzione.



Il teaser trailer di Batman vs. Superman: Dawn of Justice, che han buttato fuori in anticipo dopo che si era - MA CHE STRANO - manifestato online sotto forma di video del telefono di un buontempone. E insomma, come mi sembra il trailerino del film scemo con il pipistrello e il tonto diretto da quel cretino di Zack Snyder? Boh, è tutto scuro, si sparano le pose, si dicono le cose brutte, si fanno brutto. E, prevedibilmente, il fatto che Superman ha raso al suolo una città viene sfruttato come spunto per parlare di gente presa male. Che dire, paradossalmente, m'ha quasi gasato più questo di quello là in cima col vecchio che fissa i lavori in corso. Si fa per dire, intendiamoci, but still.



La serie TV di Scream, che ovviamente fa tutti i suoi meta-giochetti parlando di televisione, serialità e via dicendo. Non dovrebbe essere particolarmente legata ai film, e di certo la maschera è diversa, ma in realtà stanno evitando di svelare troppo, quindi vai a sapere. Boh, per carità, un po' di curiosità me la mette, ma faccio fatica ad essere fiducioso.





La quarta puntata di Daredevil è bella bella bella.

17.4.15

The Guest


The Guest (USA, 2014)
di Adam Wingard
con Dan Stevens, Maika Monroe, Sheila Kelley, Brendan Meyer, Leland Orser, Lance Reddick

Qualche tempo fa, per la precisione a fine dicembre, m'è spuntato The Guest sui vari servizi di streaming online da cui mi abbevero. Servizi legali, non fate i furbetti che ridono dietro i baffi. A cui accedo facendo le cose buffe con l'IP, certo, but still. E poi comunque vivo in Francia, qua Netflix è arrivato, quindi mi sento un po' meno in colpa. Non che prima mi sentissi in colpa, perché pago, ma insomma. Comunque, sto divagando. Dicevo: a dicembre m'è spuntato The Guest ed era un film che attendevo abbastanza con la bava alla bocca. Voglio dire, era la nuova opera del regista di quella bomba di You're Next e sui siti che contano ne avevano già parlato benissimo, quindi ero abbastanza carico. Non sembrava essere destinato ad arrivare nei cinema francesi in tempi brevi, nonostante - come noto - in Francia esca al cinema praticamente qualsiasi cosa preveda delle immagini su uno schermo, e allora m'è sembrato inutile aspettare e ho proceduto alla visione. OK che, potendo, preferisco il grande schermo, ma insomma, c'è un limite a tutto.

In linea di massima, però, ultimamente, prima di scrivere di un film, provo a capire se e quando arriverà in Italia. Così, per fare servizio utile. E siccome You're Next in Italia c'è arrivato, pure piuttosto in fretta, ho voluto crederci. Ho voluto crederci talmente tanto che son passati quattro mesi e ancora nulla. A fine febbraio m'è girata di parlarne nel Podcast del Tentacolo Viola e mi sono reso conto che parlare di The Guest è un discreto casino, da un lato perché si tratta di un film completamente assurdo, dall'altro perché il modo in cui si sviluppa prevede una serie di svolte se vogliamo anche un po' prevedibili, ma che comunque è divertente gustarsi davanti allo schermo. E quindi mi sono un po' incartato, andando avanti per qualche minuto solo a dire "ficata... rosa... Carpenter... Dan Stevens... Maika Monroe... ficata... rosa... fucsia... rosa... zucche... Halloween... " e cose del genere. Immagino il messaggio principale, vale a dire il consiglio di recuperarlo, credo sia comunque passato, ma tant'è, non so se sono riuscito a spiegarmi.

Son quasi passati altri due mesi, continuo a non avere notizie su un'eventuale distribuzione italiana, oggi non avevo nulla di particolarmente attuale su cui scrivere, IMDB mi segnala che il film sta uscendo sul mercato dell'home video di un po' tutta Europa e, insomma, sai che è? Proviamo a vedere se riesco a scrivere qualcosa di coerente per spiegare come mai bisogna correre a guardarsi anche The Guest, se non lo si è già fatto. Che cos'è The Guest? È il nuovo film del regista di You're Next, e se non basta questa, come argomentazione, siamo un po' meno amici di prima. Ed è un film che da un certo punto di vista è concettualmente simile a You're Next, nel senso che anche qui Wingard e il suo amicone sceneggiatore Simon Barrett hanno voluto mescolare un paio di cose diverse. Per la precisione, The Guest è una specie di mix fra Halloween e Terminator, virato al fuxia e con il tizio biondo, giovane e fico di Downton Abbey come protagonista. Ganzo, no? Aggiungiamoci però anche un gran bel gusto nel mescolare assieme i generi, rielaborarli e omaggiarli apertamente, senza inventare nulla di nuovo, per carità, ma anche senza risultare stucchevole, anzi, avvolgendo grazie a una mareggiata di amore sincero e che non si nasconde dietro un dito.

Ecco, The Guest è soprattutto questa roba che ho descritto qua sopra, ammesso e non concesso che tale descrizione abbia un senso. Il riferimento principale, talmente ovvio da risultare quasi urlato, è Halloween, e lo è non solo in alcuni elementi della storia e nel taglio da slasher che per ampi tratti il film assume, ma anche nel setting e, banalmente, nel fatto che non credo ci sia una singola inquadratura in tutto il film priva di zucche. Sul serio, dovunque ti giri c'è almeno una zucca. Sembra di aver accettato un qualche patto col diavolo (o con il Soros di Ualone, per chi sa cosa intendo), in base a cui ti toccherà vedere zucche sullo schermo per il resto dei tuoi giorni. La prima volta che ti metti a guardare un film, o qualsiasi altra cosa, dopo aver visto The Guest, per un attimo hai il timore che ci saranno zucche anche lì. È il tripudio della zucca. E se non ci sono zucche, stai tranquillo che c'è qualcosa di arancione. E pure parecchio rosa. Perché il rosa è fondamentale, in The Guest.

 C'è indubbiamente anche molto verde.

Comunque, sia chiaro, mi sto incartando. Continuo a non sapere come parlare di The Guest. Però ci tengo, a parlare di The Guest, perché secondo me non ha la carica di You're Next ma è comunque un film delizioso e che merita di essere recuperato. Racconta di questo militare misterioso che va a trovare la famiglia di un suo compagno caduto, è fichissimo, bravissimo, si fa amare da tutti, forse inciucia con la madre dell'amico, forse inciucia con la sorella dell'amico, diventa fratello di sangue del fratellino dell'amico, cose così. E sembra nascondere un segreto. Ed è circondato da un mondo tutto rosa e colorato. Queste cose vengono espresse chiaramente fin dalla prima inquadratura e da lì è tutto in discesa, in un film che parte lento, accelera pian piano e ora della fine è un delirio assurdo di luci, suoni, colori, synth, violenza, cattiveria, sparatorie, bombe a mano, humour nero, Dan Stevens che è fantastico e c'ha un carisma che levati, Maika Monroe che è piuttosto brava e ha quel look da ninfetta bionda mh mh, colori sempre più a palla, un altro po' di synth e due o tre svolte magari prevedibili ma che in fondo sanno di essere prevedibili e comunque funzionano forse anche perché lo sono, prevedibili. Insomma, è un gran paciugo, con uno stile e una ricerca (audio)visiva pazzeschi e pieno di divertimento. Poi, sì, alla fine è anche un po' una roba fine a se stessa che non resterà nella storia. Ma insomma, che problema c'è? Viviamo davvero in un mondo in cui non vanno bene i bei film gradevoli, girati alla grande, che sprizzano carisma da tutti i pori e omaggiano John Carpenter (no, dico, John Carpenter) in una maniera così adorabile? No, ditemelo, eh, perché allora vado a vivere da un'altra parte.

Come dicevo, io l'ho visto a gennaio, in lingua originale, comodamente nel salotto di casa mia grazie a quel mondo meraviglioso in base al quale è possibile scucire due soldi e guardarsi un film senza sbattimento sulla pleistescion. Son passati quattro mesi, non ho capito se arriverà mai in Italia ma, ehi, ormai dubito che sia un problema recuperarlo.

16.4.15

Agents of S.H.I.E.L.D. 02X17: "Melinda"


Agents of S.H.I.E.L.D. 02X17: "Melinda" (USA, 2015)
creato da Joss Whedon, Jed Whedon, Maurissa Tancharoen
puntata diretta da Kevin Hooks
con Clark Gregg, Ming-Na Wen, Chloe Bennet, Iain De Caestecker, Adrianne Palicki, Elizabeth Henstridge

E insomma, è arrivata la cavalleria. Ce l'hanno menata per quasi due intere stagioni con 'sta faccenda del clamoroso e tragico episodio nel passato di May, quella lurida giornata che l'ha resa una leggenda fra le fila dello S.H.I.E.L.D. ma le ha anche rovinato la vita, distruggendone famiglia e carriera, e finalmente ci hanno raccontato nel dettaglio di cosa si trattava. Soddisfacente? Soddisfacente. Ci sono andati giù un po' di mano pesante nel far paralleli fra passato e presente, oltre che con la vita privata del personaggio, ma nel complesso sono riusciti a rendere sensata la cosa e, insomma, non era scontato, vista la caratterizzazione di May fino a qui. Inoltre, si sono appoggiati di nuovo sulla mossa del montaggio alternato fra passato e presente, che già aveva funzionato molto bene un paio di puntate prima e che tutto sommato si è rivelata efficace anche qui, pur viaggiando su binari diversi. Gli viene sempre bene, il montaggio alternato, a 'sta cricca dello S.H.I.E.L.D.

Per il resto, la serie continua a gestirsi le varie faccende in sviluppo, e presumibilmente in rotta di collisione, mettendone di volta in volta un paio al centro della puntata. In questo caso è stato abbondantemente messo da parte Coulson, o quantomeno il Coulson del presente, e si è sfruttata l'occasione per portare avanti le vicende degli inumani, con svariati passi avanti tanto nel rapporto fra i personaggi quanto nell'approfondire i poteri dei recentemente trasformati. Ormai è talmente una costante che sta diventando superfluo dirlo, ma continua a far piacere vedere come la serie sia in costante movimento e spinga sui suoi sviluppi a questa velocità sostenuto. Ed è anche sempre un piacere quando vengono dedicati anche solo pochi minuti a Kyle MacLachlan. Fra l'altro, si continua anche ad inserire nuovi spunti interessanti. La novità dei piani di Coulson per raccattare in giro gente "dotata" è intrigante e, a occhio, avrà parecchio senso tanto negli sviluppi della serie quanto nel lavoro di ampliamento del sottobosco narrativo per l'universo cinematografico Marvel, che è fin dall'inizio uno fra i compiti palesemente affidati ad Agents of S.H.I.E.L.D.

Del resto, ormai qua s'è perso il controllo dell'ambizione, stanno saltando fuori personaggi in ogni dove e tanti ne serviranno per dare un senso alla guerra civile del prossimo Captain America, quindi giusto così. E a proposito di incroci più o meno cinematografici: la prossima settimana dovrebbe tornare in scena Ward, come del resto il titolo della puntata (The Frenemy of My Enemy) pare suggerire, ma soprattutto, se dobbiamo dare retta al trailer, dovrebbe essere il momento pre-Avengers: Age of Ultron, e mi chiedo come verrà organizzata la cosa. Ma, al di là di quello, è affascinante notare che, se va davvero così, i Marvel Studios hanno deciso di organizzare il crossover tarandosi sull'uscita internazionale del film, invece che su quella americana. O magari sto sovrainterpretando e alla fine hanno gestito tutto per fare in modo che ci siano due o tre puntate più o meno "contemporanee" al film. Oppure va ancora diversamente. Boh, vedremo.

Oh, comunque sì: la prossima settimana arriva Ultron. Giggle.

15.4.15

The Gambler


The Gambler (USA, 2014)
di Rupert Wyatt
con Mark Wahlberg, Brie Larson, Jessica Lange, John Goodman, Michael K. Williams, Alvin Ing

The Gambler è il remake di un film degli anni Settanta dallo stesso titolo, noto in Italia come 40.000 dollari per non morire, scritto da quel ganzo di James Toback e interpretato da un James Caan all'apice della forma. E pur non essendo un'operazione disastrosa ai livelli di, che so, il nuovo Carrie, è il classico remake spento, moscio, inutile, che non solo non riesce a dire nulla di nuovo, finisce anche per perdere quasi tutta la forza dell'originale, diventandone pallida ombra. È un pessimo film? No, si lascia guardare e se te lo ritrovi davanti una domenica pomeriggio in TV puoi addirittura divertirti, anche perché io faccio sempre fatica a dire no a un film che regala un paio di ottime scene a qualche grosso attore con un po' di anni sulle spalle, ma insomma, rimane un'opera trascurabile. Più che altro, se proprio si deve andare a cercarselo, tanto vale puntare sull'originale, no?

Comunque, entrambi i film raccontano bene o male di un professore universitario brillante, arrogante, spocchioso e dal carattere intollerabile, che conduce una doppia vita all'insegna del gioco d'azzardo senza freni. È totalmente assorbito dal vizio, cosa che ovviamente, quando gira male, lo trascina in un gorgo di debiti e gli impedisce di uscirne, dato che se anche riesce a recuperare i soldi che gli servono, finisce subito per buttarli via al primo tavolo da gioco che gli capita davanti. Solo che le faccende di debiti si fanno un po' troppo gravi e il nostro amico si ritrova con pochi giorni a disposizione per mettere a posto le cose. Seguiranno errori clamorosi, conoscenti e familiari trascinati nel marcio in maniera più o meno consapevole e altre sciccherie. Niente male, come storia, eh? Ecco, se vi intriga, ripeto, guardatevi il film originale.

Il problema di questo remake è che da un lato Wahlberg, seppur dignitoso e ammirevole per la scelta di perdere circa ottomila chili di muscoli in nome dell'interpretazione, non riesce ad esprimere il giusto mix di arroganza, menefreghismo e crescente disperazione. Ci va vicino, ma James Caan era un'altra cosa. Senza contare che comunque, in ogni singola scena che vede il protagonista alle prese col resto del cast, i "vecchi" si mangiano tutto e lo fanno sparire. Il che è un po' un problema, se consideriamo che il film è tutto incentrato su di lui e gli altri sono poco più che comparse. L'altro problema sta nella direzione di Wyatt, che trova qualche bella immagine ma si perde in una ricerca estrema di poetismi forzati e canzoncine infilate nel modo giusto, finendo per sbagliare completamente l'atmosfera e, di nuovo, non dando mai per un attimo la sensazione di fine imminente che si dovrebbe respirare. E va bene che si racconta la storia di un menefreghista arrogante, ma un po' di tensione sarebbe gradita. Poi, di nuovo, per quanto in larga misura sbagliato, non è un pessimo film e ha i suoi momenti, senza contare che, seppur in un ruolo di carta velina, c'è Brie Larson, e io non posso dire troppo male di un film con Brie Larson. Ma insomma, rimane trascurabile.

Uscito a inizio anno un po' dappertutto, il film arriva questa settimana in Italia, direttamente sul mercato dell'home video.

14.4.15

Black Sea


Black Sea (GB, 2014)
di Kevin Macdonald
con Jude Law, Scoot McNairy, Ben Mendelsohn

Black Sea è un film bizzarro, che in un certo senso mescola due filoni consolidati per tirarne fuori una creatura strana, a modo suo abbastanza originale, seppur piuttosto allineata ai classici nello sviluppo del racconto e nelle svolte narrative. Da un lato c'è l'heist movie, con il gruppo di uomini che mettono in pratica un piano contorto per introdursi in un luogo che nasconde un bottino. Dall'altro c'è il film di sottomarini, che parla di claustrofobia, isolamento, timore costante d'essere scoperti, impossibilità di sapere con certezza cosa stia accadendo al di fuori dell'enorme bara in cui si trova rinchiusi. E, ovviamente, del dramma pronto ad esplodere se blocchi per qualche giorno in un sottomarino un certo numero di maschi brutti, puzzolenti e dal carattere scontroso. A unire questi due generi ci ha pensato Kevin Macdonald, regista prevalentemente impegnato nel mondo dei documentari ma che ogni tanto si concede alla fiction con film come L'ultimo re di Scozia e State of Play.

Cosa ne è venuto fuori? Ne è venuto fuori un bel thriller solido, che sfrutta come si deve un'ambientazione sempre affascinante per raccontare una serie di momenti che spaziano fra situazioni già viste mille volte - ma comunque molto ben messe in scena - e altre tutto sommato abbastanza fresche, per un paio d'ore di emozioni e divertimento. Lo spunto di partenza del gruppo di reietti e poveracci che cercano riscatto grazie al recupero di un tesoro sommerso è sempre efficace, così come lo sono i prevedibili sviluppi "morali" che vedono andare sempre più a fondo (badum tsch) chi cade nel gorgo (badum tsch) della sete di ricchezza, e Macdonald, come suo solito, regala al tutto un taglio visivo molto forte, nonostante il budget evidentemente ridotto.

Poi, ovviamente, un film del genere basa gran parte della sua forza sui personaggi e sui rapporti fra di loro, ma ancora di più sul modo in cui si evolvono nel corso del viaggio che stanno affrontando. E sebbene ci sia qualche svolta un po' forzata, soprattutto nel solito utilizzo di Ben Mendelsohn come jolly squilibrato che spinge avanti il racconto con le sue sbroccate, il cast di attori funziona molto bene. Jude Law, poi, è un protagonista ruvido, muscolare, sporco, che cova una rabbia senza fine e riesce a rendere credibili anche i suoi momenti più estremi. Macdonald carica il film quasi interamente sulle sue spalle e lui non delude, regalando a Black Sea un'anima forte e passionale.

Uscito in giro per il mondo a inizio anno, Black Sea se ne arriva nelle sale italiane questa settimana, placido placido, nascosto sotto le onde.

13.4.15

Fast & Furious 7


Furious 7 (USA, 2015)
di James Wan
con Vin Diesel, Paul Walker, Jason Statham e il resto della Famiglia

I minuti finali di Fast & Furious 7 omaggiano Paul Walker in una maniera che, nel contesto assolutamente grezzo che è quello della serie, riesce ad essere toccante, sincera, elegante, delicata. E ne viene fuori un momento completamente assurdo, una sorta trip metalinguistico in cui il settimo episodio di una saga cinematografica saluta l'attore più presente lungo i vari capitoli allontanandone il personaggio senza ucciderlo, ma in fondo accettandone la morte. Si parla di Paul Walker e se ne omaggia la vita mettendo in realtà a schermo quella di Brian O'Conner, quindi di un essere umano che la cui vita è durata appena le centinaia di minuti raccontate nel giro di sei film. Il montaggio saluta Brian, ma negli occhi di Dom e nelle sue parole si legge invece la sofferenza di Vin Diesel e il gruppo su quella spiaggia sta salutando il Keanu Reeves del discount che li ha accompagnati lungo tutta questa serie di bizzarri, assurdi, sconclusionati film.

È un corto circuito assurdo, toccante, che in un certo senso percorre tutto il film ben oltre quelle immagini conclusive e finisce per rappresentare l'unica vera traccia drammatica di peso che regga davvero per quei centotrentasette minuti. La vendetta di Deckard Shaw, lo scontro della famiglia contro la famiglia, aveva il potenziale per essere qualcosa di molto più forte, nel contesto della serie, ma viene sfiorata a malapena. Il zuccheroso tira e molla fra Lettie e Dom dovrebbe essere un po' la spina dorsale del film, ma finisce per essere sacrificato. Quel che davvero passa in primo piano, e che probabilmente in origine non avrebbe dovuto farlo, perlomeno non più di quanto l'avesse fatto già nel sesto episodio, è il conflitto vissuto da Brian, la sua difficoltà nell'adattarsi a una vita "normale" e nel rinunciare al brivido dell'azione. Finisce per fagocitare tutto il resto e non per reale forza propria, ma per tutti i significati che inevitabilmente ci applichi mentre guardi il film. Ed è di fondo l'unico motivo per cui Fast & Furious 7 riesce a conservare un pizzico di quel coinvolgimento emotivo che ha sempre rappresentato l'anima forte della serie e qui lascia invece un po' troppo spazio al casino totale, sempre e comunque, sparato a mille e urlato fortissimo.


Può sembrare assurdo perder tanto tempo a chiacchierare di storia e coinvolgimento per una serie che li ha sempre utilizzati come pretesto per fare altro ma, di nuovo, in fondo la forza di Fast & Furious, uno dei motivi per cui continua a funzionare tanto, sta anche nella capacità di spingere su quel pedale, di dare perlomeno l'impressione di crederci, anche se poi, certo, il punto era far correre le auto prima, è diventato spaccare tutto poi. E il problema forse più grosso di Furious 7, per come la vedo io, sta soprattutto lì, nella maniera un po' pigra con cui è stato assemblato, riciclando in maniera abbastanza schematica il precedente film, tanto nella macrostruttura quanto in piccole cose tipo la - bellissima, intendiamoci - gag con cui fa il suo esordio il personaggio di Paul Walker. Insomma, se a tenere in piedi lo spirito della famiglia ci ha dovuto pensare in larga misura la morte di un attore, beh, c'è qualcosa che non torna.

Aggiungiamoci che James Wan fa un buon lavoro, non sbava troppo, si destreggia bene nel macello che dev'essere stato dirigere per la prima volta un film dalle dimensioni simili, oltretutto nel contesto di una produzione che spinge così tanto sugli stunt veri, ripiegando molto poco su montaggio e computer. Epperò, allo stesso tempo, vai a sapere quanto per colpe sue, spreca totalmente Tony Jaa e Ronda Rousey, il primo ridotto a fare un po' di parkour e nascondere qualche calcio in mezzo a un tripudio di montaggio, la seconda abbandonata a un combattimento un po' anonimo (e, pure lui, strutturalmente identico da quello di Gina Carano in Furious 6). Va un po' meglio coi due combattimenti fondamentali, quelli che coinvolgono il triangolo degli schiaffi Statham/Diesel/Johnson, ma il frontale fra Vin e The Rock in Fast Five rimane tutta un'altra faccenda. Oh, poi, intendiamoci, qualche bella intuizione c'è, il lavoro è solido, il piano sequenza che introduce Jason Statham nella prima scena del film è roba da alzarsi, correre in strada a mettersi a far caroselli rovesciando le macchine nel parcheggio, ma manca qualcosa e, anzi, a tratti c'è pure troppo, con lunghe scene d'azione che esagerano e non trovano la sintesi perfetta che Justin Lin ha saputo regalare nei suoi momenti migliori.

Però, insomma, a rilegger quel che ho scritto fino a qui sembra che voglia bocciare Fast & Furious 7 senza ritegno. E invece. E invece ne sono uscito comunque soddisfatto, dopo essermi divertito come uno scemo per un paio d'ore, nonostante qualche momento di stanca, e convinto del fatto che, pur essendo un film meno riuscito rispetto ai due precedenti, è anche un delirio di spacconaggine superiore agli stessi. E che, dovrei lamentarmi? Che l'avvio sia una roba da standing ovation l'ho già detto. Le parti in montagna e a Dubai, pur con qualche ma, sono strepitose. Che la sintesi sarebbe servita parecchio al finale, pure, l'ho detto, ma in fondo sono i classici quaranta minuti da blockbuster moderno, con cui bene o male anche questa serie, nel suo esplodere verso un pubblico dalle dimensioni anni fa impensabili, deve fare i conti. E sono quaranta minuti insensati, messi in scena comunque con una padronanza che non era certo scontata. Gli attori, poi, pur alle prese con dei personaggi di carta velina, rendono tutti alla grande, fra Kurt Russell che si diverte come uno scemo, The Rock che parla come un generatore casuale di battutacce alla Schwarzy dei tempi d'oro, Tyreese sempre più azzeccato come scemo del villaggio e Vin Diesel che sbava con gli occhi lucidi mentre tenta disperatamente di far esplodere la canotta.


È l'apoteosi del film cafone, ma che riesce comunque ancora a conservare un po' del suo spirito sincero, senza abbandonarsi del tutto alla bassa furbizia. Dovunque ti giri c'è una gag adorabile, fra i due matti che vanno di frontale ogni volta che si vedono, Dom che si sposa in canotta, le nuove tecniche per la gestione di un braccio ingessato, l'approccio di The Rock alla guerra coi droni e quei due o tre momenti che, nonostante tutto, nonostante il riciclo, nonostante si sia ormai al settimo film, ancora sanno lasciarti a bocca aperta. È anche un film che continua a portare avanti il suo assurdo ma adorabile inseguire la continuity, rincorrendo riferimenti di ogni tipo per dare davvero il senso di stare chiudendo un'era, come in fondo è giusto che sia, vista anche un po' quella faccenda che percorre ogni fotogramma e che viene presa di petto tanto bene nel finale.

E poi c'è Jason Statham, che è un capitolo a parte. Che sarebbe stato il primo cattivo realmente munito di carisma della serie era ovvio, forse meno scontato era aspettarsi di vederlo mangiarsi il film a quella maniera ogni volta che appare. Soprattutto se si considera, poi, il modo in cui viene usato: una specie di terminator col teletrasporto, che appare a caso quando serve, semina distruzione e poi si ritira di buon ordine. Fa impressione vedere quanto riesca a spiccare in queste condizioni e viene la voglia di vederlo tornare in un seguito che sappia sfruttarlo meglio. O, magari, che venga posto nelle condizioni di poterlo fare. Perché poi, forse, il punto è anche un po' lì: l'impressione è che questo sia il miglior Fast & Furious 7 possibile alla luce di un po' tutte le faccende che gli sono ruotate attorno, non solo per Paul Walker, ma anche tenendo conto del cambio di regista, delle prospettive sempre più sparate verso l'alto della serie, del fatto che, per come erano stati impostati gli ultimi episodi, è ormai diventato categorico fare sempre qualcosa di più grosso. È un po' come Tom Cruise che in ogni Mission: Impossible deve salire più in alto e, avendo finito i palazzi, s'è fatto attaccare a un aereo in decollo. Il percorso ormai è quello e non te ne devi staccare. Tra l'altro, il riferimento non è casuale: per la sesta volta Fast & Furious ha sostanzialmente cambiato genere da un episodio all'altro e questa volta siamo entrati in zona Ethan Hunt. Come andrà alla prossima? Non lo so, però quel che so è che, pur con tutti i suoi limiti e col timore che le cose potranno solo peggiorare, Furious 7 è ancora una volta uno spacco incredibile. E l'idea che un film del genere stia incassando quel che sta incassando, beh, scalda il cuore. Avanti così.

L'ho visto un po' in ritardo perché ehi, il weekend di Pasqua al mare. Però l'ho visto all'Imax e, madonna del carmine, ancora un po' e vomito. Per altro il trailer di Mad Max: Fury Road visto in Imax è una roba straziante. Anche quello di Avengers: Age of Ultron, ma quello ce l'avevo già visto.

 
cookieassistant.com