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2.9.08

Londonstani

Londonstani (UK, 2006)
di Gautam Malkani


Londonstani è un manga per ragazzi filtrato attraverso gli occhi di un giovane londinese discendente di immigrati. Potrà sembrare assurdo che l'acclamato romanzo d'esordio di Gautam Malkani mi abbia ricordato i fumetti giapponesi, ma così è. C'è il protagonista giovane, un po' sfigato, che si finge più duro di quanto non sia e si aggrappa ai suoi amici bulletti, stronzetti e cattivi, ma sotto sotto tanto bravi e puri di cuore (forse). C'è la bella ragazza che per qualche motivo si infatua di questo sfigato. Ci sono le risse e i problemi con la legge, ci sono i drammi familiari e cinquantamila altre cose che, in un modo o nell'altro, fanno tanto manga.

Vero, si tratta alla fin fine di temi abbastanza banali e prevedibili nel parlare di adolescenza e non so quanto Malkami possa essersi ispirato ai fumetti giapponesi, ma l'impressione è stata quella, forte e impossibile da scrollare. Banalotto e già visto nelle tematiche, dunque, Londostani non si distingue in maniera particolare neanche per una voglia di approfondire o tratteggiare protagonisti particolarmente più credibili del solito, o magari per uno sviluppo degli eventi fuori dall'ordinario, visto che davvero accade tutto quel che deve accadere. E allora cosa lo rende degno di essere letto?

Il linguaggio, il modo in cui si esprimono i personaggi, il fascino dello slang da giovani teppistelli londinesi e il gusto in qualche modo "esotico" che riesce ad avere per un lettore italiano. E poi la schizofrenia linguistica del protagonista Jas, il modo in cui cambia totalmente "idioma" a seconda di con chi stia parlando, amici e parenti, donne che vuole impressionare o uomini da cui si trova intimorito, oltre ovviamente a se stesso.

Lì sta il fascino di questo libro e praticamente da nessun altra parte, dato che - al di là di un paio di colpi di scena effettivamente emozionanti - è difficile trovare reale interesse in un intreccio lineare e ordinario e in personaggi visti mille volte. È sufficiente? Ma sì, dai, perché comunque rappresenta un motivo di curiosità non da poco, in un romanzo che comunque si fa leggere in maniera scorrevole e piacevole.

P.S.
Ho sfogliato in libreria l'edizione italiana, mi sembra si sia fatto uno sforzo notevole nell'adattare il tutto al linguaggio tamarro nostrano. Che senso abbia leggere un libro del genere tradotto, però, non sono esattamente sicuro di saperlo.

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