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27.4.13

A frappé


Come era prevedibile, nei giorni scorsi non ho avuto proprio il tempo e la forza di inventarmi dei post da sbattere qua dentro in programmazione automatica, quindi il blog si ferma per almeno una settimana. Più o meno mentre questo post appare sull'internet, infatti, me ne sto partendo per una settimana di ferie in Oman e l'unico altro post che lascio programmato è uno di quei "Poi non dite che non vi ho avvisati" per l'uscita di un film. Fra l'altro, dato che voglio che sia una vacanza vera, stacco tutto, blocco la sincronizzazione delle mail sul telefono, lascio a casa il computer e mi porto da spizzicare solo libri e riviste che non abbiano a che vedere coi videogiochi. Credo. Quindi, insomma, un saluto a tutti quelli che mi leggono regolarmente, un saluto anche alla striscia aperta (sono comunque fiero di aver sostanzialmente pubblicato un post al giorno da novembre a oggi), ci risentiamo da qualche parte dopo il cinque maggio. Se non finisco in un fosso esplorando le montagne.

Che poi sarà un dramma, farmi il viaggio in aereo senza avere il laptop su cui guardare roba, scrivere cose, cazzeggiare.. Quando sono in aereo, per me, il laptop è tipo coperta di Linus. Mi ci attacco e lo stringo forte. Ma ce la farò! Ne sono assolutamente o forse!

26.4.13

Rosicata per paradosso (AKA "Kiki arriva al cinema, machefficata!")


Tanto tempo fa, erano gli anni Ottanta, sono andato al cinema a guardarmi un film d'animazione di quelli con Mazinga e Goldrake. E un tipo ci ha molestati durante l'intervallo e ci ha venduto un Commodore 16. Io, figurati, qualsiasi cosa avesse a che fare coi videogiochi la volevo, quindi "dai dai papà, per favore, bellissimo, ci studio" e via. Anche se era un catorcio. Anche se - attenzione - già avevo il Commodore 64. Ero un bambino viziato. Tanto tempo dopo, erano gli anni Novanta, sono andato al cinema a guardarmi Akira. Lo proiettavano, se non sbaglio, al Maestoso, o forse da un'altra parte, boh. Era una cosa folle, era il filmone d'animazione giapponese al cinema, ma che bello. Fu un'esperienza di quelle che scaldano il cuore. Ci restò una settimana, al cinema. Riuscii comunque ad andare a vederlo due volte, la seconda portandoci anche mia mamma, saltando per altro parte di una giornata di Dylan Dog Horror Fest, data l'importanza dell'operazione. Tanto tempo dopo, erano gli anni Zero e Zero, sono andato al cinema per una simpatica tizia di nome Mononoke. Ma pensa te, un film di Miyazaki al cinema, ma che spettacolo! Ci andai con la Rumi e il film non mi fece impazzire, ma fu bellissimo lo stesso, perché, oh, era Miyazaki al cinema.

Intervallo: a fine 2006, sono stato al museo dello Studio Ghibli in Giappone.

Un altro po' di anni dopo, i film di Miyazaki al cinema in Italia sono diventati una cosa normale. Anzi, una cosa anche un po' bizzarra, perché non solo escono tranquillamente i film nuovi, ma arrivano pure, con quei dieci o venti anni di ritardo, quelli vecchi. Al cinema. E così è capitato che nel 2009 sono andato al cinema, in Italia, a guardarmi il film con quel peloso bestione di Totoro. Ci sono andato con Giovanna, ed è stato un momento di quelli meravigliosissimi. Anche perché, oh, si trattava di uno dei miei tre film preferiti di Miyazaki. La mia reazione all'evento, qua sul blog, è stata un po' scomposta. Poco dopo, nel 2010, al cinema in Italia ci è uscito Porco Rosso. Che è un altro dei miei tre film preferiti di Miyazaki. Siamo andati al cinema e, guarda un po', ci abbiamo trovato il Babich. E due zoccole che hanno fatto casino tutto il tempo. La mia reazione qui sul blog è stata un po' più composta. Questa settimana, tre anni dopo, arriva al cinema in Italia l'altro dei miei tre film preferiti di Miyazaki. Quello con Kiki. E io non potrò completare la mia trilogia dei miei film preferiti di Miyazaki visti al cinema, perché non vivo più in Italia. Ora, dimmi te se devo rosicare perché quei fortunelli degli italiani vedono arrivare al cinema un film con ventiquattro anni di ritardo. No, sul serio, dimmelo. Ma roba da matti. Comunque, andateci, guardatevelo, divertitevi, amatelo. Vogliatevi tutti bene in un tripudio di ammore. Questo post è la mia reazione, non so se composta o scomposta.

Sono reduce da una serata in cui ho buttato via un'ora e oltre di lavoro perché non mi ero accorto che il microfono era collegato male. Siamo ben oltre mezzanotte e ho ancora da fare. Abbiate pazienza.

25.4.13

BioShock 2


BioShock 2 (2K Games, 2010)
sviluppato da 2K Marin e i suoi superamici

C'ho questa cosa che ogni tanto mi metto a scorrere l'elenco delle bozze qua su Blogger e mi dico "ma guarda un po' quel videogioco/film/libro/fumetto/serie/ghiacciolo di cui non avevi poi mai scritto o finito di scrivere, che peccato". Sono tante, le bozze lasciate lì a marcire. Sono oltre duecento, per capirci. E talvolta mi vien voglia di recuperare qualcosa, tipicamente perché ne sto giocando/guardando/leggendo il seguito. O qualcosa del genere. A volte semplicemente perché sì. Ho perfino creato apposta il tag "Quasi me ne dimenticavo". E quindi, eccomi qui, fresco di BioShock Infinite (ne ho chiacchierato nell'ultimo Outcast Magazine, per la cronaca), che mi metto a scrivere di BioShock 2. Dicesi avere grossa crisi.

La cosa bizzarra di BioShock 2 è che mentre lo giocavo avevo addosso una sensazione superficiale di meh, della quale sembrava quasi che dovessi convincermi a forza, ma poi, a ripensarci a posteriori, mi sembrava un gioco ben migliore rispetto alle sensazioni provate con il pad in mano. Il fatto è che, almeno in parte, gli mancava la colossale potenza espressiva del primo episodio, e non poteva essere altrimenti. Voglio dire, per quanto quell'avvio fosse davvero bello, per quanto l'atmosfera horror fosse sul serio notevole (il primo incontro con la Big Sister!), per quanto vestire i panni di un Big Daddy fosse a modo suo qualcosa di nuovo - anche se implementato un po' senza le palle di darti il feeling giusto fino in fondo - il già visto non poteva che smorzarti tutto quanto. Arrivare a Rapture e sentirsi a casa, invece che in un luogo soffocante, alieno, assurdo, era proprio l'epitome del tutto sbagliato. In più, nonostante qualche bel momento (l'orfanotrofio!), nonostante una parte finale pazzescamente riuscita, c'era un po' quella sensazione del gioco narrativamente moscio, povero, che prendeva il volo per davvero solo, appunto, nella parte finale, dopo avermi mortificato con quella specie di inguardabile alone viola modello AIDS nelle chiacchierate con l'amica del cuore.

C'era insomma questa sensazione di "a che mi serve, un BioShock, se lo trovo moscio dal punto di vista narrativo, poco evocativo, già visto nell'ambientazione, affaticato nel raccontarmi le pur interessanti tematiche che si porta dietro?". E in parte, eh, ne sono ancora convinto. Il problema, però, è che sono anche ancora convinto che BioShock 2, quello non sviluppato da Irrational Games, sia l'episodio della serie in cui si gioca di più e si gioca meglio. C'è quel che aveva reso interessante la prima uscita, rifinito e declinato meglio. C'è sì già una parziale marcia indietro sul fronte dell'esplorazione, con una progressione più lineare e forzata (per quanto giustificata sul piano narrativo), ma ci sono comunque arene grandi, ben strutturate, capaci di regalare soddisfazioni forti. C'è tutto il sistema di gestione e protezione delle Little Sister, a cui sono stato dietro dall'inizio alla fine, divertendomi come un matto a studiare le arene, piazzar trappole, trovare gli angoli migliori, pianificare e scatenare il caos. Ci sono un sacco di opzioni e possibilità nell'approccio al gioco, al combattimento, che ora della fine magari ti rendono un po' troppo un Papa che passeggia sereno in mezzo a orde di mostri non in grado di toccarti, ma davvero sanno dare tanto. E, soprattutto, non c'è la tragica involuzione arrivata poi con BioShock Infinite. Che è bello, eh, anche bellissimo, però, mabafangule.

Per cui, insomma, alla fine di BioShock 2 ho decisamente un bel ricordo, che mi è pure cresciuto nel tempo, quando mi sono scrollato di dosso le esigenze di "quel che vorrei che BioShock 2 fosse" e mi sono reso conto che, di fondo, si trattava di una roba su cui - se Raptr non mente - ho trascorso 21 ore, divertendomi come uno scemo, sucandomi la fase di estrazione e protezione per ogni singola sorellina e, insomma, spolpandomelo a dovere, seppur senza totalizzare i mille punti come per il primo episodio. E sì, OK, non mi sono cacato il multiplayer neanche di striscio, ma insomma, non lo faccio quasi mai, e comunque non è quello il punto. Quindi sì, BioShock 2, nella mia testolina bacata, è e rimane un gran bel gioco, certamente debole in alcune caratteristiche chiave di quel che dovrebbe essere un BioShock, ma alla fine anche un po' chissenefrega. E dirò di più: pollice altissimo anche per Minerva's Den, DLC di spessore che ha il limite di essere forse un po' troppo more of the same (ma io l'ho giocato mesi dopo, quindi questa cosa l'ho patita poco), però ha anche dalla sua un paio di intuizioni molto riuscite (la parte al buio!) ed è davvero affascinante sul piano narrativo, per il modo in cui di fondo va a chiudere la trilogia di Rapture. Eppoi quanto è bello quel Big Daddy con la faccia da Bomberman in copertina?

Fra l'altro, quando ho intervistato i tizi di 2K Marin all'E3 2011, tutto incuriosito dalla presentazione del loro XCOM che, oh, OK il tradimento, ma secondo me aveva un sacco di spunti affascinanti, io glie l'ho proprio detto che, sì, va bene, il more of the same, il riciclo, ma sul piano del gameplay avevano cacato in faccia a Irrational Games. "Eh, grazie".

24.4.13

By the hammer of Thor!


OK, primo trailer della prima roba Marvel post-The Avengers che non si intitola Iron Man 3.



Impressioni veloci, ché sono in trasferta, ho da fare e ho dormito tre ore:
- discreta e potente sensazione di sticazzi;
- mentre da un lato Gwyneth Paltrow la infilano da tutte le parti, dall'altro Natalie Portman ha fatto i capricci, non voleva tornare e probabilmente hanno infilato a caso una scena in cui la ammazzano e poi Thor va a deprimersi a capo chino su un colle;
- Kat Dennings si fotografa le tette col cellulare;
- le armature luccicanti sono sempre una gioia del trash;
- a metà trailer, Jaimie Alexander fa chiaramente lo sguardo "scusa, hai a disposizione quel gran pezzo di cavalla della sottoscritta, che incidentalmente è pure una dea, e devi andare a piantar casini sulla terra per trombarti quella nana umana, che oltretutto neanche ha voglia?". Dalle torto;
- Tom Hiddleston, nonostante un look improponibile per dare l'impressione di quello che ne ha passate tante, sta velocemente diventando uno che dove lo metti ti salva il film.

Si intitola Thor - Il mondo oscuro, è diretto da uno che fa i telefilm, arriva a novembre.

23.4.13

Andiamo a Berlino, Beppe!


Mentre queste righe vengono pubblicate sul blog, io sono a Berlino, mi sono già auspicabilmente messo alle spalle la ricerca dell'albergo e mi sto organizzando sul da farsi. Son qui fino a venerdì sera, per seguire una serie di eventi legati ai giochini elettronici. Si tratta di una roba cui normalmente, forse, non avrei prestato molta attenzione, ma, già che vivo in Germania, perché no? L'evento nel complesso si chiama DGT 13, ma io seguirò principalmente la sezione Quo Vadis e, l'ultimo giorno, mi farò un giro al museo del videogioco di Berlino, che fra l'altro per l'occasione ospita la Gamefest. Fra le altre cose che si svolgono a Berlino in questi giorni c'è pure un festival indie a due passi dal mio albergo, e non mi spiacerebbe riuscire a fare un salto, ma insomma, vediamo, che vado solo e abbandonato.

A Berlino ci sono già stato nell'estate del 2009, quando ho unito utile, comodo e dilettevole assemblando una settimana di vacanza in loco attorno al concerto dei Pearl Jam, per poi saltare su un aereo e dirigermi a Colonia per la Gamescom. Era la mia prima volta in Germania e l'idea di finirci a vivere era ancora qualcosa di del tutto inesistente. Pensa un po' come vola il tempo. Comunque, di Berlino ho un bel ricordo e sicuramente mi fa piacere tornarci, anche se poi non è che avrò particolarmente tempo per girare. Di certo, comunque, mi fa piacere avere un'occasione per visitare il museo di cui sopra, dato che all'epoca non sapevo della sua esistenza e non ci ero stato. Ad ogni modo, scriverò e parlerò di quel che vedo e sento su IGN, presumibilmente già da stasera, e poi, sabato, piglio e me ne parto per una settimana di ferie, e chi s'è visto s'è visto. Quel che accadrà al blog fra questa settimana e la prossima, beh, lo scopriremo solo vivendo. Qualche post già pronto ce l'ho, poi boh.

In tutto questo, Iron Man 3 esce mentre sono in ferie. Mi raccomando niente spoiler!

22.4.13

9 Luglio 2001


Cosa stavate facendo il 9 Luglio 2001?

Probabilmente non ve lo ricordate. Io si. Siamo in tre a ricordarlo: Io, Goran Ivanisevic e suo padre, che riconoscete con la barba e i baffetti grigi nel video di pochi minuti che vi agevolo. È un video che andrebbe gustato con calma, sorseggiando magari un cognac, quindi vi proporrei di posticiparne la fruizione a stasera, quando sarete davanti al dispositivo post-pc di casa, e non tra le mura invisibili dell’ufficio open space. Che poi la gente vi vede chiagnere e non è bello.

Goran, 29 anni e dieci mesi nel luglio del 2001, occupava la posizione 125 nel ranking mondiale ATP. Non aveva insomma la classifica adatta a partecipare al torneo di Wimbledon, ma ne fu protagonista per una di quelle irriducibili tradizioni che gli Inglesi impongono al resto del mondo con la spocchia di chi sa di avere inventato regole e gioco: la Wild Card. Era insomma stato “invitato” a partecipare, a discapito di qualcuno meglio piazzato di lui, probabilmente impegnato, in quelle due settimane, a smadonnare contro la regina remando sulla terra del sempre interessantissimo e contemporaneo torneo di San Marino.

Goran venne invitato perché era brutto fare il torneo senza di lui. Negli undici anni precedenti, questo spilungone, noto per tirare dei bolidi da 190 all’ora sia sulla prima che sulla seconda, era stato una presenza fissa nelle finali e nelle semifinali del torneo. Nelle finali e nelle semifinali di un botto di tornei, invero, perché Goran arrivava sempre lì, ad un passo, per poi prendere gli schiaffi da Boris, da Stefan e soprattutto, soprattutto, da Pete. Alcuni romantici potrebbero sottolineare come il buon Goran, un croato tanto superstizioso quanto sveglio e imprevedibile durante le interviste post partita, spesso si battesse da solo: bombardava per due set il malcapitato avversario, gli strappava un paio di servizi con delle risposte sparacchiate verso le righe e poi si incartava su la più banale delle cazzate. Bastava uno starnuto dell’arbitro a fargli perdere la testa. Iniziava a smoccolare contro i piccioni, le cavallette australiane, lo strabismo dei guardialinee e buttava via in dieci minuti di follia tutto il vantaggio accumulato precedentemente, consegnandosi agli avversari. Questa innegabile attitudine gli fece perdere molti match già vinti con avversari a lui inferiori, ma la verità è che il gioco di Goran non era all'altezza di quello dei suoi mitici rivali. Pete dei 30 ace a partita tipicamente sparati dal croato negli angoli se ne sbatteva, gestiva i suoi turni di servizio passeggiando e aspettando il passo falso dello spilungone, afflitto dalla più terribile delle debolezze attribuibili ad un tennista: il braccino.

Insomma, quando si arrivava alla stretta finale, Goran si cacava sotto. Visto che il suo colpo più sicuro era il servizio, questo cacarsi sotto si rifletteva, il più delle volte, nel tirare un bolide anche sulla seconda, consumando per anni le palle break avversarie a botte di ace o doppi falli. Il problema è che i doppi falli arrivavano spesso anche sui match point a suo favore, perché Goran, come sanno bene tutti i tennisti ansiosi messi alle strette, smetteva di respirare, di muoversi, di inviare al cuore gli impulsi involontari indispensabili al sostenimento della vita, mentre dall’altra parte Pete continuava a sentire nella testa solo il tema principale dell’anello del Nibelungo, perché insomma, sei Achille, figlio di Teti, probabile cugino di Marte e Apollo, cazzo te ne frega di queste problematiche mortali.

E quindi Goran arriva a Wimbledon con l’intenzione di accattare due sghei in quelli che lui considera gli ultimi mesi della sua poco memorabile carriera. Anni prima, da giovane, aveva avuto le sue chance, ma non le aveva raccolte. Aveva vinto qualche torneo di quelli importanti, quelli più utili per il conto corrente che per la gloria, ma si era rassegnato all'idea che gli Slam non fossero roba per lui, e la stessa cosa pensavano i suoi fanz.


A normal day at the office.


Entrò in campo, su uno dei campi laterali, senza essersi allenato. Per sua stessa ammissione, le sue Head erano parcheggiate nel borsone da un bel po’, quindi il match contro tale Jonsson fu affrontato con uno spirito a lui non inedito: lo scazzo. Poi al secondo turno, visto che sei il numero 125 del mondo, presente solo perché amico degli organizzatori, ti capita già il tostissimo Carlos Moya, che però sta all'erba quanto il maiale di Clooney sta alla fisica quantistica, e quindi bon. Al terzo turno, ciao, c’è Roddick. Il tuo già affermatissimo erede bombardiere. Ha dieci anni meno di te, serve come e meglio di te, ha un diritto che passa sopra il tuo e fa il giro due volte, quindi preparati al saluto di commiato verso il pubblico.

Ma ecco cosa succede: Goran entra in campo senza aspettative, senza speranze, senza nulla da perdere. Lo scazzo scorre potente in lui. Scorre come scorrono i giochi, mentre Roddick aspetta l’inevitabile arrivo della mattana per mettere fine alla questione. Finisce un set e niente, Goran tranquillo. Viene archiviato anche il secondo set. Al terzo finalmente si intravede la mancanza di allenamento, la partita sembra cambiare aspetto ma niente, lo scazzo continua. Lo scazzo mantiene la catapulta di servizio croata fluida, letale, asfissiante. Andy guarda il suo allenatore sugli spalti tacitamente chiedendo lumi riguardo a questa inattesa novità. Poi va negli spogliatoi con l’aria di chi non ha capito cosa sia successo. Il turno successivo la stessa perplessità investe Rusedski, erbivoro doc.

Probabilmente in un quintiliardo di dimensioni parallele la storia finisce qui, con Achille che incontra Scazzo sulla sua strada e *splat*, lo riduce a una macchia di sangue sul prato. Ma noi siamo i fortunelli della dimensione giusta e assistiamo ad un imprevedibile quanto assurdo evento: nei quarti non c’è Pete, perché Pete è stato sconfitto due turni prima. Da uno svizzero mai sentito nominare.

Non vale nemmeno la pena di tirare in ballo quel match. Ha come coprotagonista un elvetico che fa la partita della vita e ribatte colpo su colpo, ignorando il suo ruolo nel cosmo, alle ineffabili maestrie di Achille. Un po’ come se Ettore quel giorno si fosse svegliato sentendosi Superman. Ovviamente, poi, il match dopo si sveglia di nuovo Ettore e bon, perde con quella mezza sega di Henman, quindi sto Doganiere possiamo pure dimenticarcelo, tanto non ne sentiremo mai più parlare.

Henman ha tutto il tifo dell’impero alle sue spalle. Sa che è la sua occasione, cerca di buttarla sul’epico andante vincendo secondo e terzo addirittura con un 6–0 e poi *sbram*, lo scazzo gli passa sopra come un caterpillar.

Poi uno dice.

E siamo al 9 Luglio 2001. Volete che vi descriva l’avversario di Goran come un fenomenale campione del male, imbattuto e imbattibile? Se volete lo faccio, ma Patrick Rafter è solo un tostissimo volleatore. Uno perfetto per i campi veloci, quindi a suo agio sull'erba  ma più forte sul cemento, dove ha già vinto uno US Open. L'australiano, fisico, faccia e pacioso carattere usciti direttamente da Un mercoledi da leoni, ha sconfitto in semi Agassi, perché insomma, 'sto film della Disney ce lo siamo proprio studiato bene, ma non rappresenta il problema principale per Goran.

Il problema per Goran è che, una volta arrivato in finale, lo scazzo è scomparso. Goran sa di essere la più delirante Wild Card della storia. Goran entra in un centrale tramutato, da una opera di bagarinaggio civile, in una Zagabria ripiena di croati esaltati come neanche nei giorni dell’invasione mongola del 1242. Goran vede anche suo padre vicino al Royal Box, lo stesso baffetto grigio che negli anni ‘80 lo scarrozzava in macchina per l’Europa, chiedendogli di dormire sui sedili per risparmiare tra un torneo giovanile e l’altro. 

Goran il cacasotto vive il suo peggior incubo: può perdere di nuovo davanti a tutta la Croazia, a papà, a me, che guardo 'sta partita dalla TV di un hotel esotico e ho più strizza di lui. 

È così in paranoia che non si taglia la barba dall'inizio del torneo, usa sempre gli stessi calzini, lavati dalla stessa cameriera dell’hotel. Gli stessi pantaloncini, la stesa limo e lo stesso autista per arrivare. Chiede agli organizzatori che sia sempre lo stresso steward ad accompagnarlo. Mangia a colazione, pranzo e cena le stesse cose per due settimane e quando entra in campo si fa più segni della croce lui che tutta la chiesa ortodossa nell'ultimo secolo.

Io vi mostro l’ultimo gioco di quel match di cinque set e voi dovete guardarlo con attenzione. Dovete vedere come Goran sparacchi fuori la volèe del primo punto, una roba che io, voi, chiunque, non avremmo sbagliato nemmeno con la sinistra. 

Dovete guardare il pallonetto di Patrick che esce di pochi millimetri, mentre il croato guarda la palla terrorizzato. Dovete osservare come gli cedano le ginocchia sul doppio fallo successivo, i muscoli ridotti in gelatina dalla consapevolezza di essere giunti a quel momento li, quello che ti definisce come persona. Dopo oggi non potrai essere che due cose: il ricco perdente che non vinse mai uno slam, oppure “Papà, ho vinto Wimbledon”.

Dovete guardare i doppi falli successivi, gli Ace accolti da una esplosione assordante. Dovete guardare il coraggio di Patrick che risponde con un lob perfetto alla tua altrettanto perfetta volèe. Le palle nei pressi delle righe sui match point, il pubblico che ad un certo punto urla su qualsiasi cosa, Goran che implora i raccattapalle per riavere la stessa pallina, perché basta ancora un punto, solo uno dai dai dai, ti prego. 

Poi dovete dirmi grazie.



Davide "Quedex" Giulivi ogni tanto si ricorda di avere uno spazio riservato sul mio umile blog e mi omaggia di questi post meravigliosi. Se volete leggere tutto quel che c'è qua dentro firmato da lui, basta cliccare sul tag Quedex qua sotto. O anche qui, tipo.

21.4.13

Tre ore e mezza


It's a New Record, amici e amiche da casa! Oggi abbiamo pubblicato Outcast Magazine #23, nel quale io e una banda di scapestrati abbiamo chiacchierato di videogiochi, viaggiando di qua e di là per il continuum spazio-temporale, per qualcosa come tre ore e mezza. Io, in particolare, blatero di BioShock Infinite, Dead Space 3, Dishonored: Il pugnale di Dunwall e Giana Sisters: Twisted Dreams per Xbox 360, oltre a sparare due cagate su Max Payne 3. Sta tutto a questo indirizzo qui.

E prima o poi arriva anche il nuovo Outcast Sound Shower.

20.4.13

Così, dal nulla, R.I.P.D.


Allora, è uscito il trailer di R.I.P.D., così, dal nulla, senza che nessuno mi avesse avvisato.



Ispirato a un fumetto Dark Horse di cui ignoravo completamente l'esistenza e del quale, rovistando un po' su Google, mi sono fatto un'idea abbastanza in zona sticazzi, il film mi sembra avere come unica attrattiva il guardare un paio d'ore di Jeff Bridges che fa il deficiente. Che può tranquillamente essere un'ottima cosa, intendiamoci, ma per il resto in questo trailer vedo solo una lunga serie di gag stantie appiccicate sulla versione Bizarro di Men in Black. Sbaglio?

E anche questa settimana il post moscio da sabato mattina è andato.

19.4.13

After Friday Night Lights


After Friday Night Lights (USA, 2012)
di Buzz Bissinger

Di Friday Night Lights, qua dentro, ho parlato fino allo sfinimento. Ho scritto del bellissimo film di Peter Berg, ho scritto delle cinque bellissime stagioni del telefilm (1, 2, 3, 4, 5) e ho infine scritto del bellissimo libro di Buzz Bissinger da cui tutto ha avuto inizio e che io ho letto solo dopo essermi guardato tutti gli adattamenti. Ci sono alti, ci sono bassi, ma è un microcosmo meraviglioso e che davvero merita una chance, anche per chi non dovesse essere appassionato di sport americani. Se poi appassionato lo sei, beh, figurati. Ebbene, ventidue anni dopo aver firmato il libro, Bissinger ha deciso di scrivere una specie di seguito ma non proprio, un racconto da trentaquattro pagine griffato Kindle Byliner, la collana di pubblicazioni digitali brevi, pensate per essere lette in singola botta. E infatti in singola botta me lo sono letto, sull'aereo per San Francisco, e non posso esimermi dallo scriverne qua dentro.

After Friday Night Lights si concentra sull'amicizia che in tutti questi anni è rimasta fortissima, nonostante mille motivi per mandarsi vicendevolmente a quel paese, fra il fortunato Buzz Bissinger e lo sfortunato Boobie Miles. Le difficoltà incontrate dal ragazzo nel corso del tempo, i sogni infranti, la ricerca disperata d'aiuto, il trovare a fatica un equilibrio, l'eterna gratitudine per chi ha voluto aiutarlo e il rancore nei confronti di chi ha di lui approfittato (con le inevitabili stoccate al ritratto un po' troppo "amichevole" fatto di coach Gary Gaines nel film). Bissinger racconta alla sua maniera schietta e sofferente, riflette su quante persone - lui incluso - si siano negli anni arricchite mentre Boobie restava nella sua poltiglia, parlando anche di sensi di colpa, di etica, mettendo in dubbio la moralità del suo lavoro.

Come "seguito" in senso stretto, forse, non è nulla di che, perché avresti voglia di sapere che fine abbiano fatto tutte le persone di cui avevi letto nel libro originale e che qui a malapena vengono menzionate. Ma non è quello il punto: After Friday Night Lights è una lettura semplice, breve e toccante, quasi più un singolo articolo che un libro vero e proprio - del resto, il formato è quello - e non ha alcun senso se preso per i fatti suoi, ma è semplicemente fondamentale per chi ha amato tutto ciò che ha a che fare con Friday Night Lights e ne vuole ancora. E poi, suvvia, costa due dollari scarsi e si legge in mezz'ora.

Fun Fact: di recente Buzz Bissinger è entrato in clinica per ripigliarsi dalla dipendenza da sesso e shopping. Solo in America.

18.4.13

Peter & Max: A Fables Novel


Peter & Max: A Fables Novel (USA, 2009)
di Bill Willingham (illustrazioni di Steve Leialoha)

Mentre non ho mai problemi ad approcciare "il film ispirato a" o "il videogioco basato su", nonostante poi spesso ne vengano fuori schifezze immani, provo una sorta di repulsione istantanea quando mi piazzo davanti a un "il libro tratto da" o "l'adattamento a fumetti di". Non so bene da cosa derivi, al di là di tristi esperienze passate, ma così è. Ed è quindi con un po' di sospetto, oltre che di ritardo, che mi sono avvicinato a Peter & Max. L'ho però comunque fatto, perché Fables è una fra le grandi opere a fumetti degli ultimi dieci anni, perché il Bill Willingham che scrive tavole è sempre una lettura piacevolissima e perché di fondo qualsiasi altra cosa legata al marchio, fra serie parallele, miniserie e albetti assortiti, tende ad oscillare fra la roba molto bella e il capolavoro totale. Quindi, insomma, perché no?

Tanto più che Fables si presta proprio per sua natura a raccontare mille storie diverse - in temi, personaggi, argomenti, stile - senza per questo perdere in identità o coerenza del tutto. E infatti, sotto questo punto di vista, a Peter & Max non si può proprio rinfacciare nulla: potrebbe tranquillamente essere stato pubblicato come miniserie inserita nel contesto del fumetto. In questo, fra l'altro, pur raccontando una storia che si regge in piedi da sola, andando ad approfondire personaggi inediti, o comunque secondari, ha forse un po' il limite inevitabile di voler accennare a fatti, situazioni e personaggi ignoti a chi il fumetto non lo conosce, pur comunque contestualizzando il tutto molto bene. Ma d'altra parte, oh, è il libro di Fables, che vuoi pretendere? Al di là di quello, il punto è che nel leggerlo ci si sente proprio a casa e la scrittura di Willingham scorre alla perfezione, calando nella stessa atmosfera del fumetto. Lo stile è quello, la poetica pure. Leggi e ti si formano le tavole in testa. D'altra parte, se vogliamo, è pure normale, considerando che l'autore è lo stesso, ma forse non era scontato.

In questo, le pur bellissime illustrazioni di Steve Leialoha sono quasi di troppo, perché finiscono per mettersi di mezzo e allontanarsi magari dall'immagine che le parole di Willingham ti creano nella testolina. Per il resto, comunque, Peter & Max è un bel romanzetto senza eccessive pretese, appassionante, avventuroso, drammatico e malinconico come qualsiasi storia di Fables, forse un po' deficitario nella caratterizzazione di un antagonista raccontato come cattivo e basta, perché sì, ma comunque gradevolissimo alla lettura e con un finale di quelli che spiazzano abbastanza. Un amante della serie a fumetti, tutto sommato, credo debba regalarselo. Tutti gli altri, forse, possono serenamente passare oltre, anche se comunque lo spirito e la delicatezza con cui Willingham riesce a inventarsi bizzarri passati e "origini segrete" per le fiabe che tutti conoscono è sempre sorprendente e meriterebbe una chance da parte di chiunque. Se non glie l'avete voluta dare a fumetti, magari in romanzo, perché no?

L'ho letto in lingua originale, grazie a quel fantastico strumento che è Kindle. Ho cercato un po' sull'internet e non mi risulta esista un'edizione italiana, ma sarei lieto di essere smentito.

17.4.13

Supermanzo


Ed eccoci col nuovo e un po' più corposo trailer per Man Of Steel o, se preferite, L'uomo d'acciaio.



Che dire, l'impressione è che vogliano spingere sui giusti elementi del personaggio, le riflessioni sulla sua condizione di pesce fuor d'acqua un po' divino e via dicendo, ma poi, nella parte finale del trailer, ci tengano a sottolineare che "oh, comunque volano le pizze ed esplodono i pianeti". A me ha fatto venire una discreta voglia. Poi, secondo l'alternanza che ha scandito la sua carriera, questo dovrebbe essere un film di Zach Snyder che mi piace, dato che il precedente mi ha fatto piangere sangue.

Chiedo scusa a quei quattro che mi seguono fedelmente, ma sono veramente in apnea. Però potete leggere la recensione del DLC di Dishonored che ho scritto stamattina!

16.4.13

Nerdismo del martedì


Allora, oggi c'ho un po' il coma nelle mani, perché stanotte mi sono fatto prendere da BioShock Infinite, soprattutto a causa del fatto che stasera si registra una parte del nuovo Outcast Magazine e se ne parlerà. In sostanza, ho tirato quasi le cinque del mattino per finirlo, il BioShock. Cosa che mi ha fra l'altro permesso di dare il tag alla signora, che proprio a quell'ora si alzava per partire per una mini-trasferta di lavoro. Cose che capitano. Comunque, detto che magari mi piglia lo sghiribizzo e ne scrivo qua dentro (ma conoscendomi è più probabile che scriva di BioShock 2, dato che qui ho scritto solo del primo), se qualcuno vuole sapere cosa ne penso del gioco, potrà ascoltarmi mentre ne chiacchiero con altri nel podcast. Spoiler: bene, se vogliamo anche benissimo, ma pure una discreta dose di meh.

Nel frattempo, cose a caso dal nerdverso. Tipo Bryan Singer che mostra su Twitter Patrick Stewart pronto a darsi da fare sul set di X-Men: Giorni di un futuro passato:


Tipo il teaser trailer del film live action di Gatchaman (o La battaglia dei pianeti, come vi pare):



Tipo una roba virale con Michael Shannon che dice "datemi Superman o vi spezzo le reni":



Tipo la foto là in cima che mostra Jamie Foxx nei panni di Elektro da The Amazing Spider-Man 2, con il suo look - ancora tutto da post-produrre - che chiaramente prende spunto dall'universo Ultimate.

Così, un po' di cose a caso alla rinfusa, tanto per fare un post anche oggi.

15.4.13

Oblivion


Oblivion (USA, 2013)
di Joseph Kosinski
con Tom Cruise, Andrea Riseborough, Olga Kurylenko, Morgan Freeman

A volte, il modo più semplice per spiegare quel che penso di un film consiste nel raccontare brevemente come l'ho guardato. In fondo qua non è che si facciano "le recensioni", mi limito a buttar giù impressioni su quel che guardo senza pretese, e quindi perché no? Ebbene, Oblivion, per una buona metà di film, non dico mi abbia rapito e tenuto sulla corda, ma ha saputo affascinarmi e lasciarmi per lunghi tratti con occhi, bocca e orecchi spalancati. C'è tutto un impianto visivo davvero curato, ricco, che ti racconta un futuro "possibile" in maniera sensata, dando l'impressione che non si tratti solo di una serie di quadretti messi in fila e che - pur ispirandosi da tutte le parti senza forse creare nulla di realmente proprio - riesca davvero a colpire nel segno, grazie anche a una colonna sonora molto azzeccata. Insomma, quelli che erano i principali gli unici lati positivi di Tron Legacy tornano di prepotenza in scena anche qui e rendono Oblivion un film davvero spettacolare, nel senso più positivo del termine. Una roba da guardare al cinema, ecco. Io, fra l'altro, l'ho visto nella mia solita, ottima, sala qua a Monaco, ma mi sono proprio ritrovato a pensare che in una sala Energia o sul lenzuolo dell'IMAX debba essere qualcosa che lascia il segno.

L'altro lato positivo di Tron Legacy era rappresentato da Olivia Wilde e qui, al suo posto, troviamo la cara Olga Kurylenko, che fa la sua gran bella figura, anche se è davvero una cagna maledetta e recita in maniera decente solo quando la inquadrano di nuca (ma l'impressione è più che altro che dirigere gli attori non sia proprio una specialità di casa Kosinski). Per il resto, Oblivion è un film che racconta una storia abbastanza ordinaria, infilandola in una matrioska interminabile di colpi di scena telefonatissimi per chiunque abbia visto qualche film del genere, e del resto pure quasi tutti spoilerati dai trailer, nel tentativo di distrarre dal twist "vero" di metà pellicola. Il tentativo, con me, ha funzionato, di fondo ero talmente concentrato sulla prevedibilità del resto che non me l'aspettavo, ma in ogni caso, anche lì, siamo dalle parti delle cose già viste altrove. In tutto questo, il problema è che l'intero racconto si poggia su una serie di premesse quantomeno traballanti e che, dopo aver svelato tutti i misteri, ti lasciano addosso una discreta sensazione di maccosa (minuscolo, dai). A questo aggiungiamo anche che, una volta esauriti i paesaggi seducenti, una volta sbrigati i colpi di scena, una volta scoglionati dalle faccette da recita scolastica di Olga, il film si sgonfia, perde quasi del tutto di mordente, si impantana in un moscissimo assalto al forte e si butta poi in maniera sbrigativa e impacciata verso il finale, lasciando in bocca quella sensazione di "sì, OK, boh, mah".

Il problema è che Oblivion non è uno di quei film in cui la somma delle parti è superiore al valore delle parti stesse. Ci sono aspetti molto riusciti e che ti fanno quasi saltare sul seggiolino, ci sono aspetti che ti fanno cadere le braccia e c'è in mezzo tutto un resto di modesta, inutile pochezza, che lascia addosso indifferenza. Alla fine ne esci confuso, perché hai ben chiare nella capoccia le cose positive, quelle che addirittura sul momento ti avevano generato entusiasmo, e tutto sommato anche nel finale così frettoloso c'è quel bel montaggio alternato fra presente e futuro che lascia addosso un buon ricordo. Ma la sensazione di whatever rimane e, mentre torni a casa passeggiando lungo Nymphenburger Straße, sei lì che ti chiedi cosa caspita hai guardato, come mai una roba per certi versi così bella ti abbia lasciato addosso sensazioni così meh. E non riesci a capirlo, non riesci a puntare il dito. Alla fine, ancora una volta, si torna sempre lì: poteva andare peggio, ma onestamente speravo meglio.

Il film l'ho visto qua a Monaco, in lingua originale, ma non credo la cosa faccia una gran differenza. Ché tanto Morgan Freeman che interpreta Morgan Freeman l'abbiamo visto centomila volte. Guardatevelo al cinema, è l'unico motivo per guardarlo.

14.4.13

Reportaggio sanfrancescano


Abbiamo appena pubblicato il nuovo Outcast Reportage, dedicato alla Game Developers Conference 2013, in cui io, il Composer, l'altro chietino e il Pentito ci dilettiamo a chiacchierare per quasi tre ore di San Francisco e argomenti correlati. Lo trovate a questo indirizzo qua.



Se ce la facciamo, questa settimana si registra il nuovo Outcast Magazine. Ma non garantisco. In ogni caso, la registrazione successiva di un qualsiasi Outcast si svolgerà per forza a maggio. Così gira il mondo.

13.4.13

Riddick is coming


In questo caldo sabato di metà aprile, accompagnato dal poster qua sopra che per qualche motivo ho trovato solo in versione francese (ce ne faremo una ragione), non posso esimermi dal commentare una roba spuntata in realtà almeno un paio di settimane fa, ma che mi ero scordato di menzionare. Vale a dire il primo pezzetto di pseudo-trailer per il nuovo Riddick.



Dunque, in pratica, il Riddick capo del mondo dei Necrocosi tutti che abbiamo lasciato al termine del secondo film è durato poco e si torna a viaggiare - anche sul fronte del budget - in zona Pitch Black, con un pianeta su cui quando fa buio fa anche brutto. In più, inevitabilmente, ci saranno i cacciatori di taglie che vogliono incassare quella sulla sua capoccia (leggo e vedo immagini di Dave Bautista e Katee Sackhoff) e torna pure Karl Urban, immagino ancora incazzato. Non sembra male, no?

Ieri sera sono andato a vedermi Oblivion. E non so se mi sia piaciuto perché questo post l'ho preparato ieri pomeriggio. Time paradox!

12.4.13

G. I. Joe - La vendetta


G. I. Joe - Retaliation (USA, 2013)
di John M. Chu
con The Rock, Tyra Collette, John McClane, il coreano cattivo, Collo, Darth Maul, Frank Castle, Imhotep, Cobra Commander, Papa Francesco

Il primo G. I. Joe ha fatto schifo praticamente a tutto il pianeta, tranne qualche soggetto che ogni tanto spunta di qua e di là, tipo il sottoscritto. Il secondo episodio è diventato quindi velocemente una via di mezzo fra il reboot e il seguito vero e proprio, che allo stesso tempo riprende le vicende da dove si erano interrotte e spazza via con due colpi di scopa quasi tutto quello che era rimasto in piedi al termine del primo film. Ecco quindi che Marlon Wayans, Dennis Quaid e, purtroppo, Sienna Miller vestita da Bayonetta e Rachel Nichols svaniscono nel nulla, senza tante cerimonie o spiegazioni, mentre cambia il regista - via Stephen "Ciccio Pasticcio" Sommers, dentro uno che arriva dai film di ballo e quindi magari ne sa di coreografie - e si abbandonano quasi del tutto i tecno-costumi e le tecno-scemenze, in favore di un look più militaresco e vicino all'iconografia dei giocattoli originali. Un'operazione, se vogliamo, anche corretta, per quel che ce ne può fregare. Di tutto il resto, viene mantenuto quel che non costa troppo o a cui non si può rinunciare: abbiamo quindi ancora i due ninja con relative spade (e ci mancherebbe), Arnold Voslo sfrutta la scusa dei poteri da trasformista per apparire un totale di trenta secondi, Joseph Gordon-Levitt ha la faccia e la voce distrutte, quindi non è un problema sostituirlo con un altro attore e Christopher Ecclestone viene liquidato in maniera distratta. Rimane la faccenda del protagonista Channing Tatum.

L'uscita del film è stata rinviata di sei mesi rispetto al previsto, il che è tipicamente segno di disastro/porcheria, ufficialmente per aggiungere il 3D più fuori luogo dai tempi del secondo Ghost Rider, secondo le voci di corridoio per dare più spazio a Channing Tatum. Ora, non so se effettivamente il suo ruolo sia stato ampliato, ma, se così è, mi chiedo quanto spazio dovesse avere in origine, dato che la sua presenza a schermo si limita a farlo battibeccare un po' con The Rock (grande intesa fra i due, oltretutto) e a gettarlo poi via a calci in culo. Di sicuro, comunque, la nascita travagliata del film traspare da una struttura narrativa completamente all'insegna dell'accazzodicane e da dei titoli di coda che sembrano essere una raccolta di estratti dal materiale che avevano girato e di cui non sapevano cosa fare. Il problema, però, non sta tanto nella sconclusionatezza narrativa, che in fondo da un film del genere ti aspetti e va comunque tranquillamente a nozze con il taglio ancora più - giustamente - bambinesco del primo episodio. Stiamo parlando di un film basato sui G. I. Joe, con le action figure che saltano e sparano e il Cobra Commander che si spara le pose al rallentatore. Non si pretende certo narrazione di livello e, anzi, sorprendono in positivo la presenza di qualche gag simpatica e il delizioso piano messo in piedi dai cattivi. Il problema, dicevo, è che la prima metà buona di film è un gran spaccamento di maroni, che mette assieme avvenimenti a caso e interminabili spiegoni necessari per per far quadrare i casini in ottica reboot e far sentire a proprio agio chi non ha visto il primo episodio. Due palle. Non fosse che...

... non fosse che, nonostante la pochezza narrativa, alla fine si trova bene o male quel che si va cercando. Gli attori si divertono tutti a fare gli scemi e questo offre spazio ai più carismatici per far caciara. The Rock è carichissimo e spacca tutto, Ray Stephenson "riempie" un ruolo di carta velina, Jonathan Pryce passa tutto il tempo a gigioneggiare, Bruce Willis fa le faccette buffe interpretando il simpatico nonnetto che nasconde le granate nel cesto della frutta e Walton Goggins non può che rubare la scena per quei dieci minuti che gli concedono. Gli altri fanno quel che devono, non disturbano e non sporcano: i figuranti figurano, i ninja fanno piroette, saltano e combattono sul lato di una montagna, il metro e ottanta di Adrianne Palicki fa venire la bavetta costante, le scene d'azione non fanno saltare in piedi ma funzionano (in particolare i ninja e l'evasione) e il gran bordello finale, pur essendo un po' loffio, regala con lo scontro Rock/Stephenson una versione sotto steroidi del Gun Kata di Equilibrium, cosa che fa comunque sorridere. Insomma, boh, onestamente non penso lo consiglierei a nessuno, e su Mubi gli ho pure messo due stelline su cinque, però, in linea di massima, uno che va al cinema per il secondo film dei G. I. Joe che aspettative potrà mai avere? Ecco, in quell'ottica, poteva andare peggio.

Quando parlo di 3D fuori luogo, intendo dire che si tratta di una conversione infilata a forza in un film chiaramente non pensato per essere visto in quel modo, col risultato che la visione si fa spesso confusa e fastidiosa. E lo dice uno che col 3D si diverte, eh! Per dire, il trailer di Star Trek into Darkness, rivisto in 3D, m'è piaciuto ancora di più. Veramente ganzo.

11.4.13

Hitchcock


Hitchcock (USA, 2012)
di Sacha Gervasi
con Anthony Hopkins, Helen Mirren, Scarlett Johansson

Alfred Hitchcock fa parte del ristretto clan di registi che hanno ottenuto cinque nomination all'Oscar senza mai vincere (Robert Altman è nel gruppo, Martin Scorsese ha fatto il gesto dell'ombrello alla sesta, con The Departed) e, ovviamente, dell'un po' meno ristretto clan di registi la cui non-vittoria è roba da mettersi le mani nei capelli (che so, Stanley Kubrick, Sergio Leone... ). Quando, nel 1968, l'Academy l'ha omaggiato dell'Irving G. Thalberg Memorial Award, il suo discorso di ringraziamento si è limitato a un "Thank you... very much indeed", con della segatura a decorare il palco. Dieci anni dopo, però, nell'accettare il premio alla carriera dell'American Film Institute, è andato avanti a parlare per sei minuti e si è soffermato su queste parole: "Had the beautiful Miss Reville not accepted a lifetime contract without options as Mrs Alfred Hitchcock some 53 years ago, Mr Alfred Hitchcock might be in this room tonight, not at this table but as one of the slower waiters on the floor." Ecco, Hitchcock è un film su Alfred Hitchcock nella misura in cui prende alla lettera questa uscita e racconta il personaggio attraverso il rapporto con la moglie Alma Reville.

E se, chiaro, non si può pretendere di ridurre la vita e la carriera di Alfred Hitchcock solo a questo, men che meno alla turbolenta realizzazione di Psycho, si tratta comunque di una finestra significativa, per quanto magari meno approfondita di quel che si vorrebbe, forse anche a causa dei paletti imposti (leggo che non è stato possibile utilizzare o riprodurre sequenze di Psycho o andare a girare nelle location originali). Quel che ne viene fuori è un film certo non fondamentale, ma più divertente, gradevole e riuscito di tanti altri biopic, che prova a raccontare le ossessioni del regista in maniera magari un po' troppo timida, ma gode comunque di una simpatica atmosfera in bilico fra commedia, dramma familiare e meta-contaminazioni infilate da Sacha Gervasi praticamente in ogni inquadratura. E in fondo è, in questo, un omaggio se vogliamo banale, ma sentito, all'Alfred Hitchcock vero.

Poi, ovvio, c'è la carrellata di attori, con Helen Mirren impeccabile come al solito ed Anthony Hopkins che, sotto il trucco un po' pagliaccio, fa sempre il suo bravo dovere. Hanno le loro scene madri, che soddisfano i requisiti minimi, ma danno il meglio nelle piccole cose, nello sguardo accennato e nel sorriso che si spegne. Sorprendentemente - per me, almeno - brava Scarlett Johansson nei panni di Janet Leigh, ma soprattutto fuori scala James D'Arcy, un perfetto, perfetto, Anthony Perkins. Ecco, lui, da solo, nei suoi pochi minuti, vale il film. Che per il resto è un gradevole compitino riuscito o poco più.

L'ho visto qua a Monaco, un paio di settimane fa, in lingua originale. E, chiaramente, vale sempre il discorso per cui un film in cui l'attrazione principale è rappresentata da attori che imitano altri attori, beh, il doppiaggio è un po' un farci la pupù sopra. 

10.4.13

Elysium, il trailer


Ieri sera sono andato al cinema per il nuovo G. I. Joe, e vabbuò, lasciamo stare, comunque Adrianne Palicki in 3D, perlomeno. Quando son tornato a casa e mi sono infilato nella fascia oraria delle bermude, m'è venuto in mente che, oh, ma non doveva uscire il trailer di Elysium? Eccolo, subito prima di giocare un po' a BioShock Infinite, sia mai che decido di andare a letto entro le tre.



Dunque, in pratica, siccome Neill Blomkamp doveva fare il film di Halo, poi è saltato tutto e in fondo un po' c'è rimasto male, ha fatto il film in cui c'è l'anellone come in Halo, che però ospita Columbia con gli eletti e tutti gli altri stronzi sul pianeta Terra a vivere nella palta. Poi Matt Damon si infila la tennologia nelle carni, diventa la versione rovinata di Master Chief e spacca tutto. Mi sembra molto ganzo. Agosto.

Fra l'altro, volendo, pare esserci molto più Robocop del nuovo millennio in questo che nel remake ufficiale previsto per l'anno prossimo. Fotta.

9.4.13

Il cacciatore di giganti


Jack the Giant Slayer (USA, 2012)
di Bryan Singer
con Nicholas Hoult, Ewan McGregor, Eleanor Tomlinson, Stanley Tucci

Il cacciatore di giganti non si presenta nel migliore dei modi, con un prologo realizzato al computer onestamente bruttarello da guardare, che si "giustifica" dichiarando apertamente di star mostrando burattini e personaggi fittizi tratti dalla favola della buonanotte raccontata ai due bimbi protagonisti, ma aspetta troppo a svelarlo e non riesce a levare di bocca il brutto sapore dell'impatto iniziale. Poi, però, il film si alza in piedi e racconta con dignità, simpatia, umorismo e trasporto una rilettura in chiave epica, dark, sporca, ma comunque leggiadra e stupidina, il racconto di Jack e il fagiolo magico, tirando oltretutto fuori dal cilindro una parte finale davvero bella, che ha forse il solo problema di metterci troppo ad arrivare.

In particolare, Jack e il fagiolo magico ha il pregio di una sceneggiatura, firmata anche dal fidato Christopher McQuarrie, magari ordinaria e prevedibile negli sviluppi, ma che sfugge da tanti cliché insopportabili nelle situazioni spicciole. Altri film, per esempio, non ci avrebbero risparmiato l'equivoco del protagonista ingiustamente accusato da Re e guardie varie, non avrebbero gestito in quel modo il destino di Stanley Tucci e si sarebbero limitati a un Ewan McGregor macchietta insostenibile, invece di dargli spazio per tirar fuori il suo miglior Cary Elwes (zona Princess Bride) e concedergli la dignità di un personaggio che in un altro film potrebbe tranquillamente essere l'eroe principale.

Ed è poi alla fine soprattutto questa voglia di far emergere personaggi almeno un po' rotondi, fra le pieghe dei figuranti tagliati con l'accetta, a tenere in piedi il film anche in qualche momento di stanca, unita al suo buffo romanticismo e all'azione gradevole. Aggiungiamo che, una volta tanto, nell'inevitabile momento in cui il film potrebbe tranquillamente finire e invece piglia e va avanti ancora mezz'ora, ci si trova davanti la parte migliore, più appassionante e divertente, e alla fine sono uscito dalla sala contento.

Ho visto il film qua a Monaco, in lingua originale, un paio di settimane fa. Poi sono partito per la GDC e m'è venuto in mente solo adesso di scriverne. Il 3D c'è, ma onestamente non ricordo di essermene accorto. Il film è ambientato in Inghilterra, molto più di quanto possa sembrare inizialmente, quindi magari può far piacere ascoltare la gente che parla alla propria maniera. Cose importanti: scopro ora su I 400 calci che oggi dovrebbe uscire il primo trailer di Elysium.

8.4.13

Cargo


Fra ieri e oggi, l'internet ha segnalato, in tutte le direzioni e da ogni dove, il cortometraggio qua sotto. Si intitola Cargo, è diretto da Ben Howling & Yolanda Ramke ed è fra i finalisti del Tropfest Australia, che sul sito ufficiale viene descritto come il festival di cortometraggi più grande dell'universo. Cargo parla di zombi, quindi, chiaramente, non potevo esimermi, anche considerando che oggi è stato il classico lunedì in apnea nel quale non ho trovato tempo e forza di scrivere cose per il blog. E, incidentalmente, è anche un bel cortometraggio. Quindi ve lo agevolo, in attesa di tempi migliori.



Ho deciso, stasera vado a guardarmi Dead Man Down. Farò bene?

7.4.13

Tentacola


Oggi abbiamo pubblicato il nuovo Podcast del Tentacolo Viola, in cui si chiacchiera con una donna a cui piacciono i videogiochini, si scopre praticamente in diretta della morte di Lucasarts e io, fra le altre cose, blatero di BIT.TRIP Presents Runner 2: Future Legend of Rhythm Alien e Jimmy Bobo. Lo trovate a questo indirizzo qua. A quest'altro indirizzo qua, invece, trovate l'ultimo episodio di The Walking Podcast, in cui si commentano quindicesima e sedicesima puntata della terza stagione di The Walking Dead.

E domani, a meno di inconvenienti, registriamo l'Outcast Reportage sulla GDC 2013.

6.4.13

I trailer del sabato mattina (più o meno)


Allora, un po' di nerdaggine da weekend. Ieri sono capitato su questo articolo di JoBlo in cui si fa il punto sulla seconda fase dell'universo Marvel cinematografico, quella che sta per iniziare con Iron Man 3, andrà avanti con Thor: The Dark World sempre quest'anno, proseguirà nel 2014 con Captain America: The Winter Soldier e Guardians of the Galaxy e si concluderà con The Avengers 2 nel 2015 (anno in cui è fra l'altro già previsto l'avvio della terza fase, con Ant-Man). C'è un bell'artwork per Iron Man 3, ci sono una serie di foto dal nuovo Thor (compresa una in cui vedo per la prima volta in scena Natalie "non c'ho voglia" Portman), diversi studi per il secondo Captain America (si vedono Falcon e il Winter Soldier... a proposito, ma 'sta storia di Robert Redford che farà il capo dello S.H.I.E.L.D.?) e uno per Rocket Raccoon che James Gunn ♥ e non vedo l'ora. Eppoi c'è questa specie di trailer concettual-autocelebrativo su tutto quel che è stato annunciato.


Marvel Cinematic Universe: Phase Two von 2013venjix

Non mi sento di definirmi gasato per tutta 'sta roba, perché ormai l'hype è catarticamente esplosa con The Avengers e adesso ci sono abituato, vivo tranquillo. Fermo restando che, per il momento, quando guardo quelle robe chiuso in una sala cinematografica piena di tedeschi ubriachi, ancora mi emoziono. Approposito, breve trailerino televiso per Iron Man 3 in cui si vedono i tizi Extremizzati.



Ah, e stanotte è spuntato il trailer di Carrie. Mboh, tutto sommato le due attrici mi sembrano azzeccate, anche se Carrie è forse troppo caruccia, e sono curioso.



Che faccio, ci vado, stasera, a vedere Dead Man Down?

5.4.13

Rogerino :(


E niente. Stasera ero lì, che stavo lavorando su una traduzione da consegnare domattina, quando uno scambio di mail con Delu si è chiuso in maniera tragica.

Scambio di mail:
Delu (9:31): Ho caricato l'articolo.
giopep (10:03): :*
Delu (10:08): È morto Ebert. :o
giopep (10:11): [Censura]! Giusto ieri ho letto la sua bloggata sul fatto che stava male. :(
giopep (10:39): Comunque sei un animale, mi hai fatto prendere un colpo. :D :(
Delu (10:44): :(

Ecco. La bloggata, suppongo sia l'ultima cosa che ha scritto, era quella che sta a questo indirizzo qua. Un messaggio bellissimo, che già a leggerlo - come spesso mi capitava con i post sul blog personale di Ebert - mi ero emozionato tutto, mentre pensavo "eh, in effetti, l'avevo notato da un pezzo, che parecchie recensioni non le firmava lui"). In quel post si legge passione, speranza, tanta voglia di fare ancora nonostante tutto, amore per la vita e per le persone, tanto quelle che gli sono vicine, quanto quelle che gli stanno attorno da lontano, leggendolo e ascoltandolo da ennemila anni. E il giorno dopo aver letto quel post, l'animale di Delu mi salta fuori così, dal nulla. "È morto Ebert. :o" Porco cazzo.

Mi ha preso un magone pazzesco, davanti a quella mail. Subito Google, ricerche, Twitter, lucciconi agli occhi. Ho chiamato Giovanna, senza dirle nulla, le ho fatto leggere il post e poi le ho spiegato. Il commento: ":(... ma... ma no... :(... no... ma... :(... ". Eh, sì, più o meno. Ci siamo letti assieme il coccodrillone del Chicago Sun Times e, uffa, mamma mia, che tristezza infinita.



Io non ci sono cresciuto, con Roger Ebert. Non l'ho mai visto in TV, non sono stato educato al cinema da lui e non so neanche quando di preciso ho scoperto della sua esistenza, ma non deve essere accaduto poi così tanti anni fa. Eppure, anche se l'ho frequentato per, boh, sparo a caso, dieci anni o giù di lì, gli voglio bene. Leggo avidamente le sue recensioni, con la passione con cui leggo qualcuno che ha sempre qualcosa di interessante da dire e che, soprattutto, sa dirlo in maniera interessante, senza porsi sul piedistallo, facendoti sentire seduto lì sul divano di fianco a lui. Ogni volta che guardo un film, poi vado a vedere cosa ne ha scritto Roger Ebert. E non importa se magari a volte la vediamo in maniera diversa, perché non è mai quello il punto, non è mai quello il motivo per cui leggo una recensione. Mi chiedo se ho voglia di andare a vedere un film? Vediamo che ne ha detto Roger Ebert. E mi piace così tanto leggere quel che ha detto, che spesso, anche se parla malissimo del film, mi fa venire voglia di andare a vederlo. Perché così poi possiamo chiacchierarne assieme. Non so quante volte le ho scritte, in questo blog, le parole "Rogerino Ebert". Gli ho pure dedicato un tag, perché mi hanno regalato un libro a Natale e ho deciso di fare una cosa. E non ce la farò mai. Ma non è quello il punto. Il punto è che ho scritto tutto questo al presente.

Non sono certo la persona adatta per star qui a raccontare chi fosse Roger Ebert, cosa abbia significato, cosa sia riuscito a fare: ci sono già centomila robe sull'internet che lo fanno sicuramente meglio, e poi ci sono la sua autobiografia e il suo libro sul cuoci riso automatico. Oltretutto sono scombussolato, sono le tre di notte, finirò di scrivere e pubblicare questo post alle quattro di notte, vengo da una serata in cui ci ho messo un secolo a fare due cose che dovevo assolutamente fare (e le ho fatte) e non sono riuscito a fare le altre cose che speravo di riuscire a fare (e le farò domani). Ho appena visto il trailer del nuovo Carrie. Ho letto con gli occhi lucidi centocinquantamila coccodrilli, tweet da tutte le parti, un esplosione di gente da ogni direzione, amici, conoscenti, game designer, giornalisti, persone a caso che parevano sinceramente dispiaciute, se non commosse, mi sono riletto quell'altro post là sul suo blog personale e ho ripensato a tutti gli altri ancora. Ho letto l'articolo su La febbre del sabato sera segnalato da Bill Simmons come il suo preferito, sono capitato sull'elenco dei dieci film di Rogerino e sulla dichiarazione ufficiale della Casa Bianca, m'è venuto in mente lui che sbrocca al Sundance alla conferenza stampa su Better Luck Tomorrow, ho letto la quarta di copertina della sua autobiografia, m'è venuto in mente che devo ancora guardare il suo film del decennio scorso, mi sono riguardato quel video meraviglioso là sopra, ho ripensato a tutti i post così affascinanti, interessanti, divertenti, carichi di spirito e forza, che mi ha fatto leggere negli anni.

Ero sommerso, ero nella fascia oraria delle bermude, ma in una versione tristissima e con gli occhi gonfi. Ogni tanto interrompevo il flusso e andavo un po' avanti a lavorare, ma poi qualcosa attirava la mia attenzione, tipo segnale radio misterioso su un pianeta abbandonato, e rientravo nella fascia oraria delle bermude. Leggevo magari il bel racconto di JoBlo su che persona fosse Rogerino o capitavo sulla roba più deliziosa, poetica, buffa e commovente che abbiano mai tirato fuori quei geniacci di The Onion. Andavo a vagare sul suo sito, quando aveva ripreso vita dopo l'assalto barbaro che aveva fatto sudare i server (e in questo momento son morti di nuovo), e mi rendevo conto che, probabilmente, l'ultima recensione della vita di Roger Ebert è stata quella di The Host. E pensavo che in fondo, due stelle e mezzo su quattro, magari merita una chance (comunque pare che in realtà ci sia una recensione del nuovo di Terrence Malick in arrivo la prossima settimana). Pensavo a quando, l'anno scorso, se n'è andato Tony, e la sera stessa ci siamo guardati True Romance e alla fine mi sudavano pesantemente gli occhi. E mamma mia quanto mi son sudati gli occhi, stasera. E niente, boh, non so neanche bene cosa dire. Non so cosa mi faccia diventare tanto emotivo per una persona tanto distante, non so nemmeno perché mi sia venuta voglia di scrivere questi pensierini sconclusionati e andare a dormire alle tre e mezza quattro di notte.


Però, prima di andare a dormire, ho pensato anche un'altra cosa. Ho pensato che in fondo, quel Roger Ebert lì, quello sorridente del video lì sopra, me lo immagino proprio così. Che va via sereno, tranquillo, sorridendo, coi pollici alzati. E in fondo è un bel pensare. Che non leva la tristezza di non poter più leggere sue cose nuove, ma ti lascia addosso una bella sensazione.

Per altro, in tutto questo, è morto pure Carmine Infantino. Così, botta di allegria, proprio.

4.4.13

Due trailer di spessore


Oggi avrei voluto scrivere di Hitchcock, che è l'altro film in uscita che ho visto un paio di settimane fa. L'altro oltre a Jimmy Bobo, intendo. Solo che ho troppo da lavorare, quindi magari facciamo domani, se riesco. Conseguentemente, mi limito a segnalare due trailer di spessore. Il primo.



Il nuovo trailer per This is the End, il film con i tizi sballati famosi che interpretano loro stessi alle prese con la fine del mondo. Mi fa abbastanza ridere, in particolare il ruolo di Hermione, anche se il timore che sia comunque una cacatissima c'è e rimane forte. In Germania esce ad agosto, non so dalle vostre parti.



Eppoi, ecco, sì, c'è lui. Sul quale non ho nulla da dire. Anzi, no, una cosa la dico: "Ci meniamo?" O "Ti aspetto fuori", anche. Io lo aspetto fuori dal cinema. IMDB addirittura fa sperare per il mese prossimo.

Vi ricordo inoltre quel che avevo scritto a questo indirizzo qua.

3.4.13

Jimmy Bobo - Bullet to the Head

Bullet to the Head (USA, 2012)
di Walter Hill
con Sylvester Stallone, Sung Kang, Jason Momoa

In tutto quel tripudio di omaggi, nostalgia e amore per gli anni Ottanta emerso di recente, fra la raccolta di figurine di Mercenari e relativo seguito, il ritorno in gran spolvero del film d'azione, di sparatorie e di pizze in faccia, il riemergere di Vin Diesel e The Rock dall'anonimato delle commediole per famiglie e la rinconquista di ruoli da protagonisti armati di mitra da parte di Sly, Schwarzy e Bruce (manca Mel, ma non ci conterei), Bullet to the Head si inserisce con la delicatezza e la semplicità di un bambino. Walter Hill che festeggia il trentennale di 48 ore con un altra storiella tutta simpatica di buddycoppaggine, sperando che vada meglio rispetto a quando è andata malissimo con Ancora 48 ore. È andata meglio? Mboh, io quei due film, lo ammetto, me li ricordo poco, fondamentalmente parlo benissimo del primo e maluccio del secondo sulla fiducia, ma qui siamo nella classica zona del poteva andare peggio, ma cacchio se con quell'uomo alla regia e quelle presunte intenzioni speravo andasse meglio.

I ruoli sono un po' cappottati - il poliziotto ligio alle regole è il giovane Sung Kang, il criminale smartass è il vecchio (e badass) Sly - ma per il resto siamo strettamente dalle parti di un film scritto come se fosse dovuto uscire almeno un paio di decenni fa. I personaggi si esprimono solo a botte di one liner (e alcune strappano davvero il sorriso), la storia è tutto un intrigo di gente cattivissima che vuole fare le speculazioni edilizie a New Orleans, lo sgherro principale del cattivo è il vero cattivo ed è uno grosso che non vede l'ora di prendersi a testate col protagonista, c'è una scena in cui qualcuno si fa estrarre un proiettile da un medico improvvisato e alla fine si tirano le pizze in faccia in un magazzino. C'è insomma bene o male tutto quel che ti aspetti quando entri in sala per guardartelo, e ci si può serenamente accontentare. Anche perché non vedo grossi motivi per lamentarti, se esci dal cinema divertito per aver appena visto un sessantenne con un fisico che ridicolizza la maggior parte dei quarantenni in sala che duellava a colpi di accetta con Conan/Khal Drogo. Anche se è pur vero che "The finale is set in a vacant warehouse, which at this point in action-movie history is like giving your wife a vacuum cleaner on her birthday."

E insomma, Stallone è Stallone, Jason Momoa c'ha carisma e presenza fisica, Sung Kang è proprio bravino, anche se non ha forse la personalità giusta per fare da spalla al burbero in questo genere di film e finisce per risultare un po' inutile, le battute sono ganze e pure politicamente scorrette, Christian Slater regala una divertentissima uscita di scena e Walter Hill, pur dando l'impressione di tirar via il film staccando l'assegnino, riesce a regalare una seducente New Orleans e dell'azione ruvida e violenta, anche nelle piccole cose, anche quando i due protagonisti battibeccano e il cinese coreano si piglia un cazzotto nello stomaco. Certo, c'è la classica azione tutta spezzettata che non capisci mai se sia una scelta stilistica o una necessità dettata dal fatto che Stallone ormai è ingessato e quando si butta per terra sembra sia stato abbattuto da una fucilata, ma poteva andare peggio. Se poi "poteva andare peggio" sia qualcosa di cui ci si possa accontentare, beh, boh, non lo so.

Ho visto Bullet to the Head qui a Monaco, in lingua originale, un paio di settimane fa. Poi gli impegni si sono accumulati e non ne ho mai scritto, l'ho fatto oggi perché domani il film esce al cinema in Italia. Sylvester Stallone, in lingua originale, emette una lunga serie di mugugni al limite dell'incomprensibile. Che poi è anche il suo fascino, per carità, però, per capire quel che dice, devi leggergli il labiale.

2.4.13

The Walking Dead 03X16: "Nelle tombe"


The Walking Dead 03X16: "Welcome to the Tombs" (USA, 2013)
con le mani in pasta di Glen Mazzara e Robert Kirkman 
episodio diretto da Ernest R. Dickerson
con Andrew Lincoln, David Morrissey, Laurie Holden, Dallas Roberts, Danai Gurira, Chandler Riggs, Norman Reedus, Chad L. Coleman

Dopo aver diretto il finale della seconda stagione, l'avvio della terza e una serie di altri episodi non solo ottimi, ma soprattutto cruciali nello sviluppo della serie, ecco che Ernest R. Dickerson si trova per le mani anche il season finale di questo terzo anno, e ancora una volta fa un buon lavoro, tirando fuori il meglio da una sceneggiatura divertente nel modo in cui punta un dito medio in faccia a chi, avendo letto il fumetto, si aspettava determinate cose. Il Dickerson è talmente bravo da rendere quasi toccanti eventi che, per ragioni non dipendenti da lui, toccanti non possono essere, ma qui si sconfina nello spoiler e ne parliamo dopo. In generale, mi è parso un finale di stagione solido, anche se ha un po' il limite di starsene nel mezzo: chiude indubbiamente l'arco narrativo, ma lo fa lasciando aperti aspetti un po' troppo cruciali, e allo stesso tempo, nel lasciare faccende un po' appese lì, non ha la forza del cliffhanger che ti mozza il fiato, proprio perché il tono è quello della chiusura. Insomma, a metà. Comunque, prima dello spazio-spoiler, ci tengo a sottolineare una cosa: ma qualcuno farà mai presente a Daryl che annunciare il proprio arrivo da chilometri di distanza con il veicolo più rumoroso della storia potrebbe non essere una grande idea? Me lo chiedo dalla prima volta che è montato in sella.



SPOILER
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SPOILER


APPOSTO


Il problema principale, prevedibilmente, sta nel fatto che l'apice drammatico dell'episodio si concentra sul destino di Andrea e Milton, molto ben orchestrato, con una trovata sicuramente ganza, e scritto quasi bene, non fosse per le pause drammatiche che Andrea ritiene sia il caso di prendersi quando l'unica cosa a cui dovrebbe pensare è liberarsi in fretta. E ci sono davvero dei bei momenti, anche nella parte conclusiva, che non dico mi abbiano commosso, ma mi han quasi toccato, cosa che testimonia la bravura di chi ha realizzato l'episodio. Rimane il fatto, però, che Milton, per quanto intrigante, era un personaggio di secondo piano e se la sua morte funziona anche, quella di Andrea non può che colpire in maniera limitata, perché per due anni è stata raccontata come un personaggio insostenibile. Non dico si facciano i salti di gioia, ma insomma, mettendo assieme tutti i fattori, la buona realizzazione, il bagaglio del personaggio, l'inevitabilità del tutto, la mia reazione non è stata molto diversa da quella davanti alla morte di un T-Dog qualunque. 

Per il resto, comunque, l'episodio è di base una gran trollata per chi si aspettava il disastro, con un avvio di guerra alla prigione smorzato in un anticlimax d'antologia, che però riesce comunque a generare diversi sviluppi molto azzeccati. La sbroccata del Governatore è stupenda ed è forse il passo finale nel completare lo sviluppo del personaggio che sappiamo e ci aspettavamo. In più, quando sembrava che stessero preparando le cose per un 3 vs 3 all'O.K. Corral, ecco che invece Philip e i suoi due sgherri svaniscono di scena, con una trovata in stile Shane che chissà a cosa ci porterà. Nel mentre, mi piace il modo in cui si sta dipingendo la disumanizzazione del piccolo Carl, con tutti i possibili temi che ne nasceranno nella prossima stagione, e tutto sommato bene anche l'unione finale dei due gruppi, potenzialmente interessante per le varie storie che potrebbe introdurre in futuro (o anche solo per avere tanta carne da macello). A questo punto mi chiedo, però, come vorranno gestirsi la prossima annata: di nuovo fermi in prigione, andando a pescare da tutti quei discorsi visti nei fumetti (Tyreese!) e finora neanche accennati e chiudendo poi, sì, con la guerra? Ci potrebbe anche stare. In fondo, sedici episodi per adattare un arco narrativo così lungo son sempre parsi pochi. Certo, le carte in tavola sono comunque abbondantemente rimescolate, quindi vai a sapere. 

Stasera registriamo il nuovo The Walking Podcast. L'ultimo per un po'? Non ne ho idea, ma in fondo ci spero. Ché non è che mi faccia schifo rinunciare a un impegno settimanale.

 
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