Flight (USA, 2012)
di Robert Zemeckis
con Denzel Washington
Una sera di parecchi anni fa, stavo zappando fra i canali di Sky e
sono capitato su un film di Alfred Hitchcock. Non ricordo
assolutamente di che film si trattasse, ma mi sembra di ricordare
abbastanza chiaramente che non era uno dei suoi film “famosi”,
quelli che conoscono tutti. O magari mi sbaglio. Si capisce, eh, che
non sono un grande conoscitore di Hitchcock? Comunque, beccai,
guardacaso, una scena in cui Alfredino mostrava un disastro aereo e,
caspita, rimasi folgorato dal fatto che un'inquadratura in
particolare era identica a un'inquadratura utilizzata tanti anni dopo
da Robert Zemeckis nel mettere in scena il disastro aereo del suo
Cast Away. Mi tornò quindi
alla memoria il fatto che Zemeckis era solito infilare nei propri
film il suo grande amore per Hitchcock, e del resto, su questa cosa,
ci aveva praticamente costruito l'intero
Le verità
nascoste. O almeno così mi
avevano assicurato. Beh, citazione o meno, quanto era bello e
travolgente, il disastro aereo di
Cast Away?
Tanto. La scena più spettacolare di un film bellissimo anche per
mille altri motivi. Che in effetti è un po' quel che penso pure del
disastro aereo di
Flight:
è una scena spettacolare di un film bellissimo anche per mille altri
motivi. Una scena spettacolare che, in realtà, è molto diversa, per
intenzioni, struttura e composizione, rispetto a quella di
Cast Away. Ma è anche una fra le
tante prove del fatto che, dodici anni dopo, con in mezzo tre
esibizioni all'insegna del performance capture, Robert Zemeckis è
ancora un gran regista.
Fun fact: sto
scrivendo questo post in aereo. Appena ho completato il primo
paragrafo, siamo finiti nel bel mezzo di una tempesta e il capitano
ha annunciato che la cosa andrà avanti per quindici minuti. Il film
l'ho visto due giorni fa e ce l'ho bello chiaro in mente, così come
ho ben chiaro in mente il modo in cui, durante la scena del disastro
aereo, me ne stavo lì col pugno stretto e la tensione a mille. Direi
che a questo punto chiudo il file, spengo il computer e mi tocco
violentemente le palle per quindici minuti.
Bene, sono ancora vivo, ho nello stomaco un intero maiale di
Bodean's, possiamo andare avanti. Quel
disastro aereo non è l'unico pezzo di bravura di un film che può
per esempio vantare anche la meravigliosa scena di dialogo a tre
sulle scale, lo splendido incubo del minibar e la bella inquadratura finale, portata avanti il
giusto per essere di perfetto impatto senza risultare patetica o
stucchevole. Un po' tutte le due ore e spiccioli di
Flight
rappresentano una gran dimostrazione di palle fumanti, non solo di chi
sta dietro alla macchina da presa, ma anche e soprattutto di chi ci si è messo davanti. Denzel Washington è spaventoso, in un'interpretazione mostruosamente umana, semplice,
dolorosamente viva, che ritrae un uomo afflitto da pesanti dipendenze senza
abbandonarsi al melodramma e alle esagerazioni. E non è neanche
solo, circondato di gente che prova a rubargli la scena, con in testa
John Goodman e James Badge Dale, fenomenale in quella fantastica
conversazione "ospedaliera", e via via tutti gli altri, compresa l'ottima Kelly Reilly. Ma non sta in fondo neanche tutto
qui, nella bravura di chi ci ha lavorato, il fascino del film.
Flight racconta la storia
di un disastro umano, prima che aereo. Mette brutalmente e
crudelmente in scena la vita di un alcolista e cocainomane, un uomo
sorprendentemente normale, abbattuto, dalla vita deragliata in preda
alle sue dipendenze e che, paradossalmente o forse no, solo quando
abbraccia le proprie debolezze dà il meglio. Sarebbe
riuscito, Whip Whitaker, a salvare quasi cento persone, se non fosse
stato preda della folle lucidità che solo un doposbronza e due
sniffate riescono a dargli? Probabilmente no. Whip è un eroe, ma
allo stesso tempo è un uomo a pezzi, distrutto da quegli stessi vizi
che lo tengono in piedi, incapace di rimanere fedele alle proprie
decisioni quando il gioco si fa duro, in sostanza un perdente. Uno
che trascorre tutto il film reagendo, da persona normale, a un evento
straordinario, provando a trarne motivazione per dare una svolta alla
propria vita e, poi, mancando della forza necessaria per riuscirci. Uno
che prova a combattere la sua debolezza e poi, quando cede e
abbraccia nuovamente quel che stava provando a sconfiggere, scopre
che solo così facendo riesce a dare il suo meglio.
Flight racconta di una
persona che, nel salvare quasi cento vite, ha brutalizzato la legge,
“tradito la fiducia del pubblico”, commesso un reato. E che per
questo motivo si ritrova ad essere tanto eroe quanto criminale, a
rischiare tutto in una situazione capace di
portarlo a mettersi e rimettersi completamente in
gioco. E infine
Flight decide di prendere una posizione. Una posizione del tutto coerente con il modo in cui fino a quel punto è stato dipinto un personaggio in costante lotta con se stesso e con la propria natura, che di fronte a una scelta eccessiva non ce la fa più e chiede aiuto con una battuta infilata in maniera perfetta, che costretto a cambiare dagli eventi, riesce in ciò che con le sue forze non sarebbe mai stato in grado di fare. Può dar fastidio, che Whip Whitaker alla fine completi il proprio viaggio, si può pensare che sarebbe stato più ganzo chiudere su quella battuta lì, ma di sicuro non si tratta di uno sviluppo poco coerente. E forse può dar fastidio anche che il fatto di aver salvato tutte quelle persone non basti, da solo, a cancellare ogni colpa. Ma qua si apre tutto un altro pentolone, e non vorrei deragliare.
"E quest'anno il terzo Oscar non me lo leva nessun... eh? ... God help me."
Quanti significati può avere, il titolo del nuovo gran bel film di Robert Zemeckis? C'è il riferimento all'aereo di linea, certo. C'è il volare inebriati dagli effetti delle sostanze in cui Whip Whitaker si immerge. C'è la fuga abbastanza letterale verso la campagna, per nascondersi dalla città, dalla stampa, dalle attenzioni e dai crimini commessi. E c'è la fuga da se stessi, dalle colpe, dalle responsabilità, da quel tentativo a più riprese fallito di riappropriarsi della propria vita. C'è quell'ultimo volo spiccato, credendo di aver ritrovato il proprio splendore, per affrontare il processo decisivo. E c'è forse anche un placido decollo conclusivo, da uomo in grado di riabbracciare il proprio figlio. Non sarà sul Cessna del babbo, ma forse vale di più.
E alla fine sono riuscito a non fermare il blog durante la trasferta londinese, pensa te. Magari si ferma adesso. Comunque ancora non sto molto bene. Mah. Ah, Lingua originale, Denzel, su.