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2.12.11

Midnight in Paris


Midnight in Paris (USA, 2011)
di Woody Allen
con Owen Wilson, Rachel McAdams, Marion Cotillard, Kathy Bates

Ci sono degli aspetti di Midnight in Paris che è bello scoprire guardando il film e che è un peccato svelare a chi il film ancora non l'ha visto. Una volta tanto la pensa così anche chi ne ha curato la promozione, tant'è che stranamente queste cose nel trailer non vengono mostrate. Il problema è che parlare del film senza menzionare queste cose è pratica un po' monca. Vogliamo poi aggiungere che nel mondo civilizzato Midnight in Paris è uscito ad agosto, quindi chi era veramente interessato è facile che sappia già di che sto parlando? Tipo magari perché ha spiluccato la scheda su IMDB? Aggiungiamolo. Infine, segnalo che la mia recensione tutta bella rispettosa e attenta a non menzionare queste cose l'ho scritta per il numero dieci di Players (in uscita a breve), quindi al limite la si può leggere lì. Qui, invece, parlo libero, dopo il trailer per aumentare lo spoiler space. Come sono riguardoso.



Come la mia sbroccata di fronte a Scoop può forse far intuire, non amo alla follia quell'atmosfera sciocchina e un po' naif di certi film di Woody Allen, e infatti Midnight in Paris è un film che fa di tutto per farsi odiare dal sottoscritto. Il "problema" è che non ci riesce, perché dietro al taglio stupidino, dietro all'ennesimo attore messo lì a recitare nel ruolo del suo regista, questa volta c'è un film tutto incentrato su un'idea magari non nuova, ma azzeccata. Se già tifare per Owen Wilson diventa in fretta facile, visti gli esempi d'insopportabile umanità che lo circondano, ancora più semplice è farsi trascinare dall'entusiasmo quando la bella Parigi dipinta da Allen, scoccata la mezzanotte, si tuffa indietro nel tempo e vomita fuori l'All-Star Game della scrittura e dell'arte passata.

Il simpatico Gil, assieme al suo adorabile naso, si ritrova improvvisamente drogato di fughe notturne dalla moscia, noiosa e deprimente vita di tutti i giorni, quella in cui ha la possibilità di fare all'amore con Rachel McAdams ma preferisce passeggiare sotto la pioggia fra le vie di Parigi. Per questo suo ardore viene premiato da una magia notturna che lo trasporta nel passato e gli fa incontrare tutti i suoi eroi e pure qualche bonus. Gente come Scott e Zelda Fitzgerald, Ernest Hemingway, Gertrude Stein, Salvador Dalì, Luis Buñuel e pure quell'antipatico di Pablo Picasso. E tanto per abbondare, ci buttiamo dentro pure una signorina nessuno interpretata da Marion Cotillard. Non basta? E allora facciamo anche che Gil scippa l'amore della bella francesina a Picasso. Hai detto niente.

Il fascino di Midnight in Paris sta soprattutto nell'idea, certo, ma anche nel modo in cui viene messa in scena. Nell'atmosfera ilare, nel taglio con cui Allen riprende Parigi rendendola una meraviglia anche senza bisogno delle immagini da cartolina (certo, la città aiuta), in certe gag davvero azzeccatissime e in un'avvolgente aria da sogno. Si riflette sul potere della nostalgia, capace di rendere meravigliose oltre i propri meriti non solo avventure passate che ci ricordiamo, ma perfino quelle che non abbiamo mai vissuto, e si chiude su una mezza moralina di cui magari facevamo anche a meno. Però a conti fatti ne viene fuori un filmetto delizioso. Figuriamoci poi come deve sembrare se sei fanatico degli anni Venti come Gil e l'atmosfera sciocchina da Woody Allen non ti dà fastidio!

Il film l'ho visto qua a Monaco ad agosto e ne ho scritto adesso perché adesso esce nel paese in procinto di trascinare in una nuova era di morte, distruzione e apocalisse l'Europa intera. Son cose.

1.12.11

Jurassic Park - The Game



Jurassic Park - The Game (Telltale Games, 2011)
sviluppato da Telltale Games


Il Jurassic Park di Telltale Games è un lavoro onesto, che non prova a nascondersi dietro una faccia da gameplay "classico" per farsi amici i giocatori di vecchia data e mira dritto a un pubblico di non giocatori (o gente a cui va bene anche "non giocare"), appassionati dei tre film, grandi, piccini. E mi sembra infatti fuori luogo criticarne l'assenza di gameplay, perché in fondo si tratta di un'assenza ricercata, fortemente voluta, e che nei momenti migliori del gioco funziona anche piuttosto bene. Il problema, casomai, è che se vuoi fare un film interattivo, una roba in cui passi tutto il tempo a guardare e fare due clic giusto per proseguire, beh, me lo devi fare con una qualità che a Telltale purtroppo non appartiene. Ed era evidente fin da quando hanno mostrato le prime immagini, che sarebbe stato così.

I lati positivi non mancano, a cominciare dai dinosauri, che - a parte qualche momento un po' gommoso - sono davvero realizzati bene, animati in maniera spettacolare e con un utilizzo dei suoni eccellente (anche se alla fin fine si tratta di riciclare i materiali audio dei film). E quando scatta l'azione e ci si fa prendere dal quick time event, tutto sommato, a meno di odio per la categoria, ci si diverte, anche per una qual certa imprevedibile cattiveria nel mettere in mostra bimbi masticati in corrispondenza degli errori del giocatore. Questo accade grazie alla regia, al ritmo concitato, alla capacità di dare vita al senso del pericolo che queste creature generano. Insomma, quando si scappa dai dinosauri e ci si lascia prendere dall'atmosfera, Jurassic Park è divertente e anche piuttosto impegnativo, per quanto limitato nel suo concedere pochissime scelte, prevedere rarissimi cambi dell'azione sulla base di errori del giocatore e punire spesso solo con una diminuzione del punteggio.

Il problema è che poi c'è tutto il resto. Ci sono per esempio delle fasi pseudo-adventure ficcate dentro a forza, in cui ci si ritrova a risolvere enigmi insopportabilmente piatti, basati sullo spostare avanti e indietro cose per tre o quattro volte di fila. E soprattutto ci si ritrova a parlare, tanto, male, troppo. Dialoghi lunghissimi, verbosi, didascalici, mal scritti, all'insegna di un umorismo da quattro soldi, che coinvolgono personaggi poco interessanti e sono totalmente fuori contesto. Ma chi mai si fermerebbe a discutere del sesso degli angeli mentre sta scappando dai velociraptor o mentre cerca di salvare la propria figlia dai dinosauri incazzati? E vogliamo aggiungere che i dialoghi non si possono saltare e, talvolta, se fallisci una sequenza te li devi sorbire di nuovo? Aggiungiamolo.

Dopodiché, spiace dirlo, ma in un'operazione del genere la potenza tecnica conta, tantissimo. E Jurassic Park, semplicemente, non si può guardare. Lo sforzo produttivo c'è, e si vede: l'abbandono del taglio cartoonesco e il tipo di licenza richiedevano una qualità grafica superiore alla media dei titoli Telltale e l'impegno c'è stato. Bravi. Ma i risultati sono comunque quelli che sono e non riescono minimamente a riprodurre il senso di potenza, meraviglia, magia che si respira anche nella peggior sequenza della trilogia cinematografica.  Non metto in dubbio che il target di riferimento possa essere composto da persone che si accontentano, ma rimane il fatto che un Dragon's Lair mi deve stupire con la maestosità della messa in scena. Se è scritto da cani e ha un motore grafico poco più che mediocre, dove sta il senso?

Fra l'altro, se a Back to the Future posso dare il beneficio del dubbio del for fans only, qui lo nego con tutte le forze. Paradossalmente, anche se questo mi sembra per certi versi più riuscito, non mi sento comunque di consigliarlo a nessuno, certo non a trenta euro, e io sono talmente fan dei film da aver apprezzato un po' anche il terzo episodio. Inoltre penso che ci dovrebbero essere più giochi dedicati ai dinosauri, mi cruccio per come si è rovinato Dino Crisis e continuo a sperare in un Lost Planet ambientato sul pianeta dei dinosauri. Insomma, ero qui pronto a farmelo piacere, questo Jurassic Park. Ma trenta euro a questa roba non vanno dati.

30.11.11

Gilbert+Schafer=Bene



Ron Gilbert ha pubblicato sul suo blog queste due immagini, che ritraggono due dei personaggi "giocanti" del nuovo gioco su cui sta lavorando per Double Fine. Immagini accompagnate da un breve testo in cui spiega di stare appunto lavorando su questo fantomatico gioco con la gentaglia di Double Fine e di essere particolarmente gasato. Si tratta - dice - di un'idea che ha avuto in testa per un sacchissimo di tempo, tipo da prima ancora di realizzare Maniac Mansion e (ovviamente) Monkey Island. E si tratta di un gioco "that needed to be made". Non può aggiungere altro, ma presto lo farà.

Ora, ammetto di essere un po' gasato pure io, seppur con quella placida flemma da uomo che non vuole mai far vedere di essere trascinato dall'hype. Insomma, stiamo parlando di Ron Gilbert che torna a lavorare con Tim Schafer (notizia uscita a dire il vero qualche tempo fa e accolta col giusto grado di tripudio universale). Leggere quei due nomi assieme regala per forza un brividino. Come si fa a non essere perlomeno un po' tanto curiosi, o anche solo a non farsi prendere dall'amarcord? A pensare al tempo trascorso spaccandomi la testa su Maniac Mansion e Zak McKracken per Amiga? A mia madre che mi porta a casa il primo Monkey Island e io che lo gioco sdraiato a letto, con la febbre e il cavo dell'alimentazione che si scollega e mi costringe a rifare enne volte la scena del bacio sul pontile? A quando ho provato a far rimanere Guybrush per dieci minuti sott'acqua per scoprire se avrebbe mollato il colpo? A io e Ciaccolini che recuperiamo Monkey Island 2, ci fiondiamo a casa sua a giocarlo e ci ammazziamo dal ridere sulla scena del cimitero? All'introduzione di Day of the Tentacle con Hoagie che fa il surf nella macchina del tempo? A tutti quei momenti passati appiccicato ai giochi Lucas in quei begli anni che sono andati perduti come lacrime nella pioggia e non torneranno mai più? Pavlov scorre potente in me.

Chiaramente le mandrie di vecchietti già bramano una nuova avventura grafica, ma in verità a me non interessa molto il genere di gioco che ne verrà fuori. Quel che mi interessa è il pensiero di quei due che lavorano assieme in un contesto, quello della nuova Double Fine, che nel giro di poco tempo ha partorito cosette interessanti come Stacking, Costume Quest e Trenched. Insomma, bene, molto bene. Adesso devono solo salvare Dave Grossman da quel brutto posto che è diventata Telltale e poi unirsi per la vittoria del bene in un trionfo di amore e comicità.

Mi sto sforzando di continuare a scrivere qua dentro e questo mi sembrava un buono spunto, ma in questi giorni sto facendo proprio fatica. Il problema è che sono spossato da un lungo articolo che sto scrivendo per quell'altro sito là e che, se tutto va bene, dovrebbe essere pubblicato venerdì. Forza e coraggio.

29.11.11

The Walking Dead 02X07: "Muore la speranza"



The Walking Dead 02X07: "Pretty Much Dead Already" (USA, 2011)
creato da Frank Darabont e Robert Kirkman
episodio diretto da Michelle MacLaren
con Andrew Lincoln, Jon Bernthal, Scott Wilson, Sarah Wayne Callies, Norman Reedus, Jeffrey DeMunn





SPOILER, che non ho voglia di girarci attorno.





Un po' me l'aspettavo, un po' ci speravo, ma francamente non ci contavo, e invece l'hanno proprio fatta, la ganzata di farcela ritrovare nel granaio. Ed è un bel momento, forse un po' tirato per le lunghe - evidentemente tutto quello che riguarda quella maledetta deve essere tirato per le lunghe da contratto - ma che ha il suo impatto. E che allo stesso tempo fa incazzare, perché poi si torna sempre lì: se fosse stata un personaggio, e non un guscio vuoto da sventolarci sotto il naso per sette episodi, quanto sarebbe stato più bello e forte questo finale? Insomma, capiamoci, questa non la vediamo da sei puntate e nella prima stagione era come se non ci fosse: quando è uscita, per un attimo mi sono chiesto se fosse lei, se fosse la figlia di Hershel, chi cacchio fosse. Poi è partita la musica e ho capito. Però, eh. In ogni caso, anche così com'è, il suo impatto la scena ce l'ha, vuoi per come è costruita bene la puntata, vuoi perché quell'Hershel che vede il mondo e tutte le sue convinzioni crollargli piano piano addosso, con quella faccia lì, mi è piaciuto proprio, vuoi perché alla fin fine The Walking Dead si conferma una serie che mantiene lo spirito del fumetto nel tirare colpi bassi e non farsi problemi ad ammazzare, sventrare, colpire duro.

Al di là di quello, poi, si conferma anche una serie costantemente preoccupata di costruire, accumulare, aggiungere dosi su dosi di materiale per far evolvere i rapporti fra i personaggi fino all'esplosione, che prima o poi arriva. E di cose interessanti, in un episodio che ti lascia lì appeso come pochi, specie pensando che ora bisognerà aspettare febbraio, ce ne sono parecchie. Dall'evoluzione di Shane, che certo non è orchestrata in punta di fioretto, ma è senza dubbio ben gestita, all'idea di vedere come si risolverà adesso la permanenza alla fattoria. Il problema, magari, è che si passa troppo tempo a costruire e poco a risolvere, ma certo è che le cose, quando vengono fuori, soddisfano. Insomma, alla fin fine continuo a gradire, nonostante i problemi di queste prime sette puntate, e ho soprattutto una gran curiosità di vedere come si evolveranno le cose. Fra l'altro l'ottavo episodio, se l'Internet non mente, si intitola "Nebraska". Il che fa presumere una ripresa del vagabondaggio. Solo che nel fumetto, in Nebraska, non ci passano proprio, dato che sia la Wiltshire Estate (saltata a piè pari, ma vai a sapere, magari la recuperano) sia la prigione stanno in Georgia. Insomma, che stanno a combinare?


Un saluto carico di affetto a chi decide i titoli italiani degli episodi e pensa sia il caso di usarli per descrivere il finale degli episodi stessi. Poi non è detto che uno unisca i puntini, eh, e del resto io l'ho fatto quando ho letto il titolo italiano dopo averlo visto, l'episodio. Però, eh.

28.11.11

The Good Wife - Stagione 1



The Good Wife - Season 1 (2009/2010)
creato da Robert King e Michelle King
con Julianna Margulies, Josh Charles, Matt Czuchry, Archie Panjabi, Chris Noth, Christine Baranski, Alan Cumming

Non esistono parole per descrivere quanto mi fa pietà il modo di usare le musiche di questo telefilm. Non c'è proprio modo, e quindi evito. Ma  è più in generale un certo qual tono, l'insistenza sul finale ganzo che taglia appena prima della battuta che tutti vogliamo sentire, la presenza dell'insopportabile detective donna di spessore, che quando fa la faccia da arrapata al bancone del bar sembra il ragionier Fantozzi di fronte alla signorina Silvani... insomma, la roba di cui avevo parlato qui. Tutte cose che erano tremendamente forti nel terribile episodio pilota e che mi avevano fatto passare completamente la voglia. Poi, però, spinto da forze oscure, ho voluto dare fiducia. E ho fatto bene.

Tanto per cominciare, The Good Wife è una serie che su diverse cose procede palesemente a tentoni, imparando per strada. Del resto la fiducia è aumentata in corsa, col passaggio dagli inizialmente tredici previsti a ben ventidue episodi, e le nuove forze inserite a quel punto nel team creativo hanno chiaramente portato il loro, centrando un sacco di correzioni che erano doverose ma non per questo scontate. Tanti degli elementi più stantii, infatti, si perdono mano a mano, lasciando spazio a una scrittura più armoniosa e meno incentrata - o comunque in maniera meno evidente - sui tormentoni e sulla ripetizione ciclica. Poi aumenta lo spazio dato a personaggi in precedenza un po' trascurati, e in generale cresce il senso di coesione del racconto, andando a formare un'unica storia che procede passo a passo, incastrando tutti i suoi pezzetti.

Gli stessi "casi" della settimana, che non mancano mai, diventano via via sempre più interessanti, sia per quel che propongono, sia per come spesso si intrecciano con le vicende umane dei protagonisti, talvolta facendo da metafora, talvolta proprio riguardandoli direttamente. Un po' come accade nei migliori momenti di Nip/Tuck, per capirci. E se da un lato, a conti fatti, non è che io abbia necessariamente qualcosa contro il caso della settimana (in fondo quanti telefilm ho seguito col mostro della settimana, il paziente della settimana, l'alieno della settimana?), sicuramente fa piacere che questi vengano utilizzati con una certa grazia. Aggiungiamo che The Good Wife è proprio scritto bene, al di là di qualche caduta, ha personaggi interessanti, al di là della maledetta detective, e sviluppa le sue due o tre cosette migliori in maniera credibile e convincente. Insomma, la frittata è fatta, sono dentro, voglio andare avanti, arrivo addirittura a consigliarlo.

Certo, il fatto che ogni singolo giudice debba per forza essere un po' pazzerello, simpaticamente adorabile, con le sue piccole follie (o, al limite, corrotto), fa un po' ridere. Ma vai a sapere, magari è veramente così. E, certo, la detective deve morire fra atroci sofferenze, ma la possiamo sopportare. Però lo spunto di partenza è intrigante, gli attori sono per lo più bravi, gli sviluppi sono ben strutturati e i casi della settimana sono spesso molto più affascinanti di quanto avrei detto e di quanto l'episodio pilota mi avesse fatto temere (certo, ce ne sono anche un paio all'insegna del fortissimo MACCOSA). E poi c'è Alan Cumming. Insomma, bene così. Anche e soprattutto tenendo conto che si tratta di una prima stagione palesemente messa assieme con lo scotch e senza aver troppo chiaro dove si sarebbe andati a finire. Per dirne una, dopo il raddoppio di durata, gli episodi dovevano essere ventidue, e infatti la stagione si conclude palesemente col ventiduesimo. Solo che poi ne hanno aggiunto un ventitreesimo. E non è un episodio, è un insopportabile "prossimamente" di quaranta minuti che si preoccupa solo di far annusare quel che verrà l'anno dopo. Ecco, la speranza è che l'anno dopo certe cadute di tono se le siano risparmiate. Perché il materiale per una gran bella serie, comunque, c'è tutto.

Sia comunque messo agli atti che sono andato avanti a guardarlo perché mi era stato fatto credere che avrei visto la detective prendersi delle centre in faccia e non è successo neanche una volta.

23.11.11

Buried - Sepolto



Buried (Spagna/USA/Francia, 2010)
di Rodrigo Cortés
con Ryan Reynolds

La chiave per godersi Buried sta tutta nella capacità di berselo fino in fondo. Non si tratta necessariamente di una scelta, più o meno conscia, di un pregio o di un limite, ma alla fin fine la faccenda sta tutta lì. Se te lo bevi, lasci perdere le sovrastrutture e ti limiti a farti accalappiare dal suo "racconto", è un'esperienza vibrante, che non ti molla un secondo dall'angosciante avvio all'eccellente finale. Certo, ti fermi comunque magari un attimo a bearti di quelle due o tre trovate di regia e ogni tanto non puoi fare a meno di notare lo sguardo vacuo di Ryan Reynolds, ma è comunque solo ed esclusivamente un piacere. Oppure ti fermi prima, rimani bloccato fuori dallo spettacolino e ti ritrovi solo a soppesare questa specie di tesi di laurea sperimentale. E magari le trovi tutti i difettucci e le minuzie e le svolte improbabili che vuoi. E poi alla fine era meglio la Sposa di Tarantino. Per carità.

Però rimane il fatto che si sta parlando di un film che ti chiude davvero per un'ora e mezza in una bara assieme a Ryan Reynolds, senza mai mai mai concedersi uno sguardo fuori. Neanche mezzo. Certo, si deve appoggiare all'espediente del telefono cellulare, perché altrimenti come cacchio fai, ma tutto funziona a meraviglia, la tensione è altissima, Ryan Reynolds è convincente nonostante lo sguardo vacuo e alla fine sei lì che ansimi con lui sperando che magari forse dai ce la facciamo. E che altro gli vuoi chiedere, a un film che ti chiude per un'ora e mezza in una bara con Ryan Reynolds?

Che poi dev'essere un'esperienza allucinante, stare un'ora e mezza in una bara con Ryan Reynolds. Ah, nel Blu-ray c'è anche, fra i contenuti extra, il film d'esordio di Cortés, tale The Contestant. Sono curioso, così come sono curioso di vedere il suo prossimo Red Lights, vista anche la gente coinvolta.

22.11.11

The Walking Dead 02X06: "Segreti"



The Walking Dead 02X06: "Secrets" (USA, 2011) 
creato da Frank Darabont e Robert Kirkman 
episodio diretto da Guy Ferland
con Andrew Lincoln, Jon Bernthal, Sarah Wayne Callies, Norman Reedus


Ci aspettavamo tutti con forza che in questo episodio scoppiasse finalmente il bordello e così non è stato, anche se si presume accada nel prossimo. Anzi, dai, totocliffhanger di metà stagione! Chiudiamo la faccenda Hershel con il granaio che vomita fuori il suo contenuto? Se ne vanno tutti dalla fattoria? Se ne vanno secondo gli stessi termini del fumetto (al netto delle faccende Otis e Shane, s'intende)? Rimane tutto mozzato lì e ancora da risolvere? Pucchiacche? Vai a sapere. Ciò che non so, ma di cui mi sento abbastanza convinto, è che fra una settimana non rivedremo Merle e men che meno la bambina dispersa. A meno che non facciano la ganzata di farcela ritrovare nel granaio, ma dubito ne abbiano voglia e/o coraggio.

Ad ogni modo, tutto sommato, di cose ne sono accadute. Ed è stato un bell'episodio, perché incentrato sull'evoluzione di personaggi e caratteri, oltre che sul far venire al dunque determinate questioni. C'è stato pure il momento zombi, per carità, con una scena in farmacia che, diciamocelo, è stata un'ottima scena da film di morti passeggianti: prevedibilissima, si capiva lontano un miglio, ma ben costruita. Tolta quella, tutto un gran chiacchierare, ma con momenti parecchio riusciti, un Glenn sempre adorabile, un Dale che mi piace tanto e soprattutto un bel lavoro sulla scena conclusiva: niente urla, interruzioni buttate lì a far sensazione, verità non dette o spettacolino, ma un affrontare le cose in maniera - occhio - perfino quasi credibile. Si potevano fare le stesse cose in tanti modi molto meno eleganti e viene quasi da dire che si percepisce la sensibilità femminile di chi l'episodio l'ha scritto.

Al di là di questo, una puntata interessante anche nell'ottica dell'adattamento e del modo esplosivo in cui la faccenda Shane sta spingendo a rielaborare tutta una serie di cose e a porre basi sempre più interessanti per ciò che verrà. Il rapporto fra Andrea e Dale, per esempio, la gestione della gravidanza di Lori e in generale di tutto il triangolo, che sono proprio curioso di vedere che strada prenderà. E poi anche l'evoluzione di Carl, che inizia a venire fuori. Shane sta mettendo sempre più radici, insinuandosi nello sviluppo di tantissimi aspetti e diventando qualcosa di ben più interessante. E insomma, guarda, dopo tanto "mah, moh, meh", finalmente un episodio che mi convince per davvero, pur senza esaltarmi. Dai che magari l'interruzione di metà stagione arriva su una nota alta.

Fra l'altro, sempre nell'ottica dell'adattamento, quando han parlato di andare a cercare la bimba nella zona residenziale, pensavo si stesse preparando il terreno per Wilshire. Che in teoria doveva essere prima, e magari sarà dopo e tutto sommato vedrei bene per il ritorno della bimbetta dispersa che ci ha rotto i maroni. Magari sarà nella seconda metà della seconda stagione. O magari non sarà e l'hanno solo omaggiata qui. O magari vai a sapere. Ammetto forte curiosità.

21.11.11

Back To The Future - Episode 1: It's About Time


Back To The Future - Episode 1: It's About Time (Telltale Games, 2010)
sviluppato da Telltale Games - Michael Stemmle, Andy Hartzell, Jonathan Straw

La stima incondizionata di cui Telltale Games gode e/o ha goduto, l'ho detto più volte (per esempio chiacchierando di cosa potranno mai combinare con The Walking Dead), non l'ho mai condivisa troppo, non perlomeno con quello stesso entusiasmo generalizzato. La mia esperienza coi loro giochi rimane limitata, bisogna dirlo, però da un lato sono un vecchietto spaccamaroni e dall'altro la prima stagione di Sam & Max, pur discreta, non mi ha fatto scatenare in salti di gioia. E, soprattutto, non mi ha ancora fatto venire voglia per davvero di giocare la seconda, o una qualsiasi loro altra serie. Insomma, un grosso grosso meh, che per inciso mi sembra stia prepotentemente cominciando a farsi strada anche nell'opinione pubblica della gente che videogioca. Alla buon ora.

Il loro Back to the Future non avevo molta voglia di provarlo, un po' appunto per la scarsa fiducia, un po' per questa nuova ganza idea di farti comprare tutta la stagione sulla - per l'appunto - fiducia, un po' perché, sì, ho amato la trilogia di Zemeckis e ne conservo un bellissimo ricordo, ma sono fan sfegatato fino a un certo punto. Poi, però, Telltale ha avuto questa bella idea di offrire il primo episodio in download gratuito, per accalappiare qualche nuovo giocatore. E io ho avuto questa cattiva idea di scaricarlo e provarlo. E mi ha fatto schifo. Sulle prime sembrava anche potermi convincere. In fondo ascoltare quella musica, rivedere quei personaggi, riportare alla memoria certe cose ha il suo bel perché. Il problema è che poi, andando avanti, ci si rende conto che non c'è altro e che devi davvero essere il fan sfegatato alla ricerca solo di quello, per non rendertene conto.

E io ci ho pure provato, a farmelo piacere, a entrare nella mentalità "giusta", a coglierne lo spirito goliardico, ma ogni volta che sembrava essere sul punto di convincermi ecco che spuntava fuori un altro suo aspetto impresentabile. Scritto all'insegna del minimo indispensabile, senza la minima carica d'inventiva, solo con un proporre e riproporre questo o quell'elemento di nostalgia. Piatto, noioso, per nulla divertente nelle gag e nei dialoghi. Mediocre nella realizzazione tecnica e - colpa ben più grave - nel girare attorno ai suoi limiti, con una gestione delle inquadrature contraddittoria sul piano degli spostamenti del personaggio e un puerile tentativo di infilare cutscene spettacolari in un contesto esteticamente inguardabile (e dalla regia terribile). Assolutamente moscio nella struttura di gioco, con enigmi mostruosamente piatti, un sacco di andare in giro a vuoto per allungare il brodo e, soprattutto, pochissime sorprese. Che si tratti di un gioco sostanzialmente semplice e abbordabile mi va benissimo, visto il target e visto che tanto ormai non ho più la testa per gli enigmi spaccacranio. Che l'unica situazione vagamente intrigante arrivi nel finale, con quel simpatico dover interpretare dialoghi origliati per risolvere il problema, mi va un po' meno bene. Specie se poi mi riesci a rovinare anche quella tirandola troppo per le lunghe. Il risultato è che, nonostante la mia cronica voglia di completare i giochi che inizio e la mia altrettanto cronica tendenza a buttare soldi nel cesso, oh, non l'ho comprato, il resto della serie.

E allora dai, guardiamoci negli occhi, gettiamo alle ortiche il buonismo figlio della stima e dell'affetto che tutti - me compreso, a conti fatti, incomprensibilmente, almeno un po' - nutriamo per Telltale Games e ammettiamolo, diciamocelo, che questa roba è una porcheria bella e buona. Dai, non è poi così difficile. 


Perché tutto ciò l'ho scritto un anno dopo l'uscita, nonché alcuni mesi dopo che l'ho giocato? Innanzitutto perché, anche in ritardo, mi sembrava giusto comunicare al mondo che questa roba secondo me fa schifo, sai mai che salvi qualcuno dall'esperienza. Eppoi perché proprio in questi giorni, preso da una botta di masochismo, ho scaricato e installato il nuovo Jurassic Park di Telltale. Ci hanno mandato più codici del necessario per quell'altro sito là, quindi perché no? Devo ancora metterci mano, e per onestà intellettuale devo anche dire che quando l'ho provato alla GDC non mi aveva disgustato, ma ho come l'impressione che ne riparleremo quando avrò finito di vomitare.

19.11.11

Outcaddì


Giusto ieri è accaduto che ho pubblicato Outcast Magazine #12, nuova uscita del podcast di videogiochi più simpatico, baffuto e borderline che c'è. In questo episodio si parla di Sideway: New York, PixelJunk SideScroller, Skyrim, Uncharted 3, Braid, Ico & Shadow of the Colossus HD e seghe mentali assortite. C'è pure un simpatico regalo in palio per i nostri ascoltatori, pensa te! Sta tutto a questo indirizzo qui.

Di solito, appena finiamo di registrare, ci sembra di aver prodotto una roba indegna. Poi assemblo l'episodio ed è molto meglio di come sembrava "in diretta". Questa volta "in diretta" sembrava figo, quindi, in linea teorica, una volta montato fa cacare (oppure è ancora più figo del solito). Boh.

18.11.11

I mercenari


The Expendables (USA, 2010)
di Sylvester Stallone
con Sylvester Stallone, Jason Statham, Dolph Lundgren, Jet Li, Eric Roberts, Randy Couture, Steve Austin, Gary Daniels, Terry Crews, Mickey Rourke, Bruce Willis, Arnold Schwarzenegger

C'è stato un momento in cui per qualche motivo un po' di gente si è convinta che The Expendables sarebbe stato l'equivalente cinematografico (action) di prendere un NBA 2K a caso e organizzare un All-Star Game con Jordan, Bird, Magic, Russel, Doctor J, Shaq, Pelé, Maradona, Lendl, McEnroe, Alberto Tomba, Senna, Robocop, Er Monnezza e Mazinga Z. Nessuno l'aveva promesso e noi sapevamo che non sarebbe stato così. Sapevamo che Schwarzenegger e Bruce Willis avrebbero solo fatto una breve apparizione (fra l'altro "uncredited", giusto per sorprendere quei due che non si erano accorti della loro presenza). Sapevamo che Stallone aveva raccattato solo chi gli dava retta e di Van Damme, Steven Seagal e Chuck Norris non se ne parlava. Sapevamo che non puoi avere dodici protagonisti e che per questo la maggior parte dei "nomi" avrebbero fatto poco più che le comparse, ognuna con la sua scenetta. Eppure c'era un po' di brutta gente che faceva finta di niente, faceva spallucce e credeva alla favole. E che poi ci è rimasta male. Per fortuna ci sono anche persone in grado di avere aspettative sensate e di prendere le cose come vengono. 

Anche perché, parliamoci chiaro, quel rimanerci male lì è un rimanerci male che non rende giustizia a quello che comunque The Expendables è. Non la madre di tutti gli All-Star Game, certo, ma comunque un All-Star Game mediamente riuscito, con i campionissimi del momento, qualche superstar a fine carriera che ancora tiene botta, quello che ormai non ce la fa più ma l'hanno votato e quindi bisogna invitarlo, quel paio che si sono inventati un infortunio per non partecipare e quei due o tre che non c'entrano nulla ma per qualche motivo ci sono lo stesso. Ed esattamente come un All-Star Game, a conti fatti, The Expendables funziona: nessuno difende, alcuni stanno lì per far presenza e si mettono comodi in disparte, altri si vogliono divertire, più o meno tutti hanno il loro momento di gloria, qua e là ci scappa la giocata spettacolare che non potresti vedere da nessun'altra parte e poi, verso la fine, già che ci siamo, si prova a giocare davvero e a mettere in piedi una partita sensata, con del significato, in cui si lotta per vincere.

Ecco, quella roba lì, che bene o male ci guardiamo tutti gli anni, perché in fondo è piacevole star dietro al carrozzone, perché ci sono i momenti di stanca ma, cacchio, quelle due o tre giocate ti danno una scarica che levati e perché il bordello finale è uno spettacolo. Fra l'altro, siamo seri, guardiamoci nelle palle degli occhi: scorrete la pagina verso l'alto e date un'occhiata al manifesto e alla lista degli interpreti. Fatto? Ecco. Ok, non è quello che volevate ma, cacchio, non è comunque una roba di un certo spessore? Non è comunque un cross-over bello pesante che volevamo tanto vedere? Certo, sarebbe stato meglio avere lo stesso film vent'anni fa, però non è che ci si possa sempre lamentare di tutto, cazzo. Ed è altrettanto certo che se sei uno a cui piace solo la buona pallacanestro, il rispetto per il gioco, la partita tutta fotta e sudore dall'inizio alla fine, non ti potrai mai divertire davanti a questa roba. Anche se essere comunque davanti a ventiquattro di quei tizi che saltano in quel modo è una cosa insensata, specie se ti capita dal vivo, al palazzetto, con la gente che si esalta assieme a te nel guardarli (e, similmente, The Expendables è il tipico film che offre il meglio dal vivo, nel cinema pieno di buzzurri come te, che si esaltano, urlano e ti danno il cinque lanciando in giro bottiglie di birra).

E non è giusto, non rendergli giustizia, al povero Sly, che ha scritto un abbozzo di storia su un tovagliolo del suo pub preferito, ha messo assieme tutti quelli che trovava e ha tirato fuori un film che è tutto amore e passione per la carnazza becera dell'action movie di secondo piano anni Ottanta. Che ti piazza lì all'improvviso, senza alcun senso, una sequenza bellissima come quella dell'aereo. Che quando mette in chiesa i tre più grandi di tutti tira fuori un momento semplicemente meraviglioso. Che mette comunque in fila il siparietto giusto per ogni partecipante. Che regala una scena d'azione finale lunga, violenta, spettacolare, ritmata, rimbombombombombombombante in cui la gente si picchia fortissimo, Steve Austin picchia fortissimo Stallone, Jet Li e Jason Statham picchiano fortissimo Gary Daniels, Terry Crews lancia fortissimo i missili con le mani, Steve Austin si picchia fortissimo con Randy Couture e tutto esplode fortissimo.

E alla fine dipende tutto da come ti ci poni davanti, certo. Io mi ci pongo che mi sono divertito nonostante i tanti ovvi limiti, che per ogni cosa che non va (alla fin fine i cattivi non sanno farsi odiare, certo non come, che so, quello di 13 Assassini) ce ne sono due che vanno (vogliamo parlare di Dolph Lundgren o del solito monologo di Mickey Rourke che ogni volta è lo stesso e ogni volta ci commuove nel nostro DNA di uomini e ci fa reinnamorare di lui?), che magari nessuno ha lo spazio che ci piacerebbe avesse ma tutti hanno un lampo di quel che sanno fare meglio, che comunque è esattamente il film che mi aspettavo fosse. Magari non quello che speravo fosse, ma certamente quel che mi aspettavo. In più - occhio - è un film importante. Lo è non per la storia del cinema e magari neanche per questo decennio che inizia, ma certamente lo è per tutte le persone che lo hanno apprezzato e, diciamocelo, anche per quelle che volevano disperatamente apprezzarlo ma non ci sono riuscite. E che devono esserne liete.

Perché?

Perché dopo che Stallone si è messo a fare questa roba, ha cominciato a muoversi tutto quanto e sembra che adesso non si possano più fare film d'azione senza metterci dentro un tot di "nomi" a caso, tanto per. Hanno fatto un Fast & Furious V mettendo assieme l'All-Star di tutta la serie e infilandoci dentro The Rock che si picchia fortissimo con Vin Diesel. Stanno facendo secondo lo stesso criterio un quarto Universal Soldier con tutta la gente che ha popolato i primi tre e Scott Adkins come bonus. E Stallone, per The Expendables II (inevitabile, visto il successo del primo, con buona pace di tutti i Curzii Maltesi di questo mondo), si è messo da parte affidando la regia a Simon "ho esordito con un film divertente e poi non ci ho più capito nulla per vent'anni" West, con una scelta perfettamente in linea con il suo voler dare una mano a gente senza più carriera o dignità. Segue elenco che, oh, a me qualche scossa la regala.

Jason Statham, Bruce Willis, Sylvester Stallone, Liam Hemsworth (avremmo tutti voluto il fratello, ma si capiscono le ragioni), Arnold Schwarzenegger, Jean-Claude Van Damme, Jet Li, Chuck Norris, Dolph Lundgren, Scott Adkins, Terry Crews, Randy Couture.

Inoltre. Pare che Willis e Schwarzy avranno un pelo più di spazio, anche se di contro Chuck Norris apparirà probabilmente per due minuti circa. Van Damme sarà un cattivo che si chiama Jean Vilain e ci sarà una scena in cui si picchia fortissimo con Stallone. Steve Austin potrebbe tornare interpretando suo fratello gemello. Stallone sta cercando di tirare dentro chiunque altro gli passi per la testa e si è parlato con insistenza di Donnie Yen (non si è capito se per sostituire Jet Li o per picchiarlo fortissimo, io spero ci siano entrambi, ma temo nessuno dei due). Mickey Rourke non ci sarà perché è impegnato a girare un altro film con un mucchio di attori messi insieme a cazzo di cane e per questo lo perdoniamo, anche considerando che pare la sua uccisione a tradimento sia lo spunto di partenza, quindi magari stavolta ci scappa un cattivo da odiare per davvero. E Stallone ha dichiarato che questa volta l'amore sarà tutto rivolto con violenza verso i film di arti marziali. 

I rest my case.

Ne ho scritto adesso perché l'ho visto adesso, in Blu-ray, e me ne dispiaccio. Però il seguito andrò a vederlo in un cinema pieno di tedeschi ubriachi e mi divertirò quindi più di voi. Ah, visto in originale, The Expendables è un'esperienza lisergica. Ci sono solo attori "foreign" che non sanno parlare bene in ammerigano, attori che sanno parlare bene in ammerigano ma sbiascicano apposta, attori britannici e Sylvester Stallone. Non si capisce un cazzo.


 
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