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3.11.11

Grand Theft Auto V e il suo trailer



Il mio rapporto con Grand Theft Auto è sempre stato un po' conflittuale, diciamo. All'epoca giocai il primissimo episodio in 2D e, pur riconoscendone i limiti, lo trovai una roba smodatamente divertente, oltre che animata da uno spirito di libertà, di "fai un po' quel che ti pare", che già allora si stava facendo piuttosto raro. Mi persi per strada il seguito e la divagazione londinese, ma mi ritrovai sparato in faccia il terzo episodio da recensire ai bei tempi di PSM. Terzo episodio a cui diedi un voto sicuramente non adeguato all'importanza storica che quel gioco ha poi finito per avere, ma del quale resto ancora convinto in relazione alla qualità vera e propria del gioco stesso. Voto che ovviamente non ricordo, ma probabilmente era un 4 (su scala da uno a cinque, eh!).

A questo punto ci starebbe bene un bell'amarcord relativo a tutte le discussioni sulla portata innovativa di GTA III, sul fatto che era sicuramente notevole anche se poi, di fondo, la maggior parte delle idee che conteneva (sì, anche quelle che eri convinto fossero inedite) erano "semplicemente" un traslare nella terza dimensione quel coacervo d'inventiva che erano stati gli episodi bidimensionali e un tipo di approccio ampio e libero che fino a quel punto s'era visto solo nei GdR di una volta. Che poi non è stato certo poco, traslarlo con quella potenza e quella bravura, intendiamoci. Oppure potrei mettermi a blaterare del fatto che, forse, quel che non ho mai perdonato a GTA III è il fatto di aver reso il free roaming commercialmente obbligatorio, così che ce lo ritrovassimo infilato a calci in culo dappertutto, completamente a cazzo di cane, col solo risultato di rendere dispersivi, noiosi, brutti, sostanzialmente brodaglia, tanti giochi che sarebbero potuti venire fuori tanto meglio. Ma ho già dato.

Poi c'era pure, ad avermi indisposto, la scelta di abbandonare quella libertà totale accennata in 2D, quando si aveva il permesso di fallire più e più missioni, proseguendo comunque nel gioco con lo scotto di pagarne le conseguenze. Con GTA III, invece, si optava per una struttura ultra libera sull'accessorio, ma totalmente inquadrata nel cuore del gioco. Insomma, in un videogioco che mi prometteva di poter andare in giro a fare quello che volevo e spaccare tutto, mi dava fastidio non avere il permesso di fallire manco mezza missione. Problemi miei, seghe mentali.

Infine, c'è il fatto che Gran Theft Auto, fino a che è stato sulla passata generazione di console, mi ha sempre fatto cacare come estetica, come immaginario, come faccia. Non mi ha mai affascinato, non mi ha mai detto niente, non mi ha mai fatto venire voglia di passarci del tempo. Sicuramente è andata meglio con GTA IV, ma per qualche motivo, nonostante il miglioramento estetico, l'immaginario dipinto ha continuato ad affascinarmi come una maratona degli ultimi dieci film di De Oliveira. Ed è proprio solo una questione di "faccia", perché la tematica criminosa in fondo mi aggrada, tant'è che sono perfino arrivato a giocarmi i due Kane & Lynch. No, dico.

Aggiungiamo che si tratta di giochi lunghi, e che per me, da ormai tanti anni, la lunghezza è un difetto, non un pregio, un po' perché non ho più il tempo, la forza e la voglia di dedicare tante ore allo stesso gioco, un po' perché sono e rimango convinto che quasi nessun gioco abbia idee di gameplay a sufficienza per giustificare tante ore senza cadere braccia e gambe nel riciclo, nella ripetizione, nella brodaglia allungata. Insomma, il risultato di tutta questa manfrina è che ho infilato nel lettore della console di turno ogni signolo GTA uscito dopo il terzo, con tutti ho passato un paio d'ore cazzeggiando, distruggendo, viaggiando, visitando e nessuno mi ha fatto venire voglia di andare avanti, di giocarlo "sul serio". Dove stia davvero il problema non lo so, quel che so è che a conti fatti  L.A. Noire è stato il primo gioco Rockstar che mi ha convinto a giocarlo per davvero (a meno che non vogliamo considerare anche Max Payne II). E si potrebbe pure sostenere che non sia veramente un gioco Rockstar. 

Comunque, ieri è uscito il trailer di GTA V.



Ed è il solito, splendido trailer Rockstar Games, realizzato con una cura e un gusto cinematografico che forse nessun altro ha nel settore. Mostra degli scorci che davvero fanno dire pure a me "cacchio, questa roba la voglio giocare". Suggerisce l'idea dei tre possibili protagonisti, fa fantasticare i fan sulla possibilità che ci siano dentro Vercetti e CJ, si propone di chiudere un'era e di essere un giocone come davvero pochi. E di avere ancora quelle qualità cinematografiche e narrative così rare e che a me piacciono così tanto.

Solo che poi penso al fatto che è ancora una storia di uno che vuole smettere di fare il criminale ma non lo fa. Solo che poi penso a tutto quel gameplay approssimativo strizzato fra un pezzetto di storia e l'altro e a questi mondi che vogliono essere veri e mi sembrano per questo ancora più finti. Solo che poi penso che boh, continua a non affascinarmi proprio per niente, e non capisco perché. O forse lo so, il perché. Forse il fatto è che un mondo da girare liberamente, da esplorare, da vivere, mi interessa se è un posto lontano nel tempo, nello spazio, nella fantasia, ma di camminare e guidare per quella merda della Los Angeles moderna anche nei videogiochi non me ne frega proprio nulla. Mah. Problemi miei, comunque, buon divertimento a chi lo aspetta.

Che poi, vai a sapere, magari ci gioco per davvero, invece che per le canoniche due ore. In fondo con L.A. Noire ho rotto un embargo che durava da praticamente dieci anni e devo ammettere che ho una certa voglia di Red Dead Redemption...

2.11.11

Le avventure di Tintin: il segreto dell'unicorno


The Adventures of Tintin: The Secret of the Unicorn (USA, 2011)
di Steven Spielberg
con Jamie Bell, Daniel Craig, Andy Serkis

Mi sono avvicinato a questo film senza, lo ammetto, avere mai letto nulla di Tintin, ma con quella discreta voglia e quel pochetto di speranza generate dall'unione dei cognomi Spielberg, Jackson, Moffat, Wright e Cornish. Che, voglio dire, ok, nessuno di loro è infallibile, e inoltre vai a sapere come lavorano tutti frullati assieme, ma nelle potenzialità di un simile coacervo di belle teste devi crederci per forza, altrimenti non ha senso il mondo. E il coacervo ha funzionato a meraviglia.

Le avventure di Tintin è un bellissimo film, diretto da uno Steven Spielberg in formissima e in chiara sindrome da paese dei balocchi: fa tutto quello che gli passa per la testa, si diverte come un matto e non sbaglia una virgola che sia una. Aiutato magari, rispetto a ciccio Zemeckis, anche dai passi avanti tennologici, Stefanino bello abbraccia completamente un modo di girare per lui nuovo e lo sfrutta per tirar fuori un'avventura variopinta, eccitante, spettacolare, carica di invenzioni visive, ritmo e divertimento. I personaggi appiccicati sugli attori sono vivi come mai si era visto in questo genere di produzioni, tanto che si smette in fretta di preoccuparsi se si tratti di realtà o finzione: è la realtà di Tintin, quella in cui esseri virtuali si muovono come se fossero reali ma fanno cose che in un film tradizionale non potrebbero mai fare.

Tutta la parte in cui Haddock racconta del suo antenato è semplicemente meravigliosa per fascino, inventiva, capacità di stupire, e l'inseguimento a bordo del sidecar è un'unica sequenza, senza un singolo stacco, che ha dell'incredibile. Ma è l'intero film, dai titoli di testa a quelli di coda, ad essere delizioso per atmosfera, soluzioni visive, lievi omaggi, simpatico umorismo, adorabile leggerezza. Non conoscendo l'opera di Hergé, come detto, non sono in grado di dire se avesse ragione nel ritenere che Spielberg fosse l'uomo perfetto per dirigere Tintin, ma certo ci aveva azzeccato nel pensare che ne avrebbe tirato fuori un filmone.

Un filmone che è allo stesso tempo Spielberg al 100% ma anche qualcosa d'altro, di lontano e stupefacente. C'è tanto Indiana Jones, e capisco chi sostiene che questo è il vero quarto film di quella serie, anche se francamente non mi sembra che il tono sia poi tanto diverso e che tutti quei salti e quelle capriole siano molto distanti dal frigorifero e dalle liane di quell'altro film là. Il problema, casomai, è proprio la faccia, e il fatto che certe cose in questa via di mezzo fra il digitale e il reale te le puoi permettere molto di più che in un film "vero". Certo, qui c'è anche una sceneggiatura di altro spessore e ci sono soprattutto una freschezza e una fantasia che raramente si vedono in giro.

Insomma, un'operazione perfettamente riuscita, un bellissimo film e una gran voglia di scoprire cosa combinerà Peter Jackson con il promesso secondo episodio.

L'ho visto venerdì scorso qua a Monaco, in 3D e in lingua originale. Il 3D mi è sembrato piuttosto inutile, come sempre mi sembra piuttosto inutile il 3D fatto bene e in maniera non troppo invadente: quando te ne accorgi è perché ti sta dando fastidio tirandoti della roba in faccia, mentre per il resto del film neanche ti accorgi che c'è. Poi magari si può discutere di quanto dia o non dia in più, in termini di percezione, a livello inconscio, ma che ne so? In compenso so che per qualche motivo, più di altre volte, ho trovato un po' fastidiosa quell'impressione di stare guardando un film con addosso gli occhiali da sole. Ah, è un film da guardare al cinema, comunque, ad ogni costo, ma certo è che perdersi la strepitosa interpretazione di Andy Serkis è davvero un peccato.


1.11.11

Truccoparruccocast


L'altra notte ho pubblicato Outcast: Chiacchiere Borderline #12, un episodio un filo più breve del solito del mio, nostro, vostro podcast in cui chiacchieriamo di videogiochi, dintorni e distanti. Mi costa sangue, fatica, sudore della fronte, olio di gomito e tempo prezioso, quindi ascoltatelo con amore e passione. Sta tutto a questo indirizzo qui.

E anche questa volta non mi è troppo chiaro cosa c'entri la copertina di Fotone, ma continuo a non formalizzarmi troppo. Tipo che ormai manco gli faccio cambiare le scritte che hanno cose fuori posto.

31.10.11

The Walking Dead 02X03: "Sopravvivere"


The Walking Dead 02X03: "Save the Last One" (USA, 2011) 
creato da Frank Darabont e Robert Kirkman 
episodio diretto da Phil Abraham 
con Andrew Lincoln, Jon Bernthal, Sarah Wayne Callies 

Per quanto io sia massimo sostenitore dei vantaggi che vengono dal modificare, anche pesantemente, un'opera nel traslocarla da un mezzo espressivo all'alto, questo episodio si ficca tutto con amore nell'altro lato della medaglia, quello delle cose inventate a caso tanto per riempire un po' e sfruttare in maniera pretestuosa le caratteristiche della narrativa seriale. Quarantacinque minuti (più o meno, via) in cui succedono sostanzialmente due cose, una di quelle due cose la si capisce a metà puntata se proprio si è tordi e per il resto è tutto un tirare per le lunghe con il solo obiettivo di arrivare alla fine in quel modo lì.

Il problema è che questi sono i classici episodi che se ti stai facendo la maratona tutto sommato passano via abbastanza lisci, e anzi ne riesci ad apprezzare a fondo gli aspetti positivi, con un paio di conversazioni azzeccate, una o due svolte importanti per i personaggi e l'incontro fra quegli altri due là. Insomma, la trovata dell'impiccato è carina, ci sono dei bei momenti di dialogo e il modo in cui si risolve la spedizione alla scuola, per quanto, ripeto, stra-telefonato, è un ulteriore bel mattoncino nello sviluppo della faccenda Shane. Il problema, però, è che a guardare questo episodio sette giorni dopo il precedente e altrettanti prima del successivo, invece, con per di più addosso la spada di Damocle della stagione breve, rischi di passare la maggior parte del tempo a chiederti perché te lo stiano facendo perdere, il tempo, e non si vada al dunque.

Sembra tutto tirato e stiracchiato per le lunghe, con quel montaggio alternato fra tre situazioni che vanno avanti davvero troppo più placidamente di come dovrebbero. E arrivato alla fine ho l'impressione che mi avrebbero potuto raccontare le stesse cose in metà del tempo, infilandoci del mezzo un po' di sostanza in più. Insomma, la verità, forse, è che seguire le serie TV un episodio alla volta non fa davvero per me. Per dire, penso a Lost, al fatto che le prime due stagioni non mi hanno catturato e l'ho mollato lì, e mi chiedo quanto mi avrebbe fatto incazzare, col suo continuo girare in tondo perdendo tempo, se l'avessi seguito di settimana in settimana...




SPOILER SPOILER SPOILER




SPOILER SPOILER




SPOILER


Bisogna anche dire che, nel caso di questo episodio, c'è un bel giocare con la percezione di chi ha letto il fumetto. Io, purtroppo, non ho un ricordo chiarissimo di questa parte e non ricordavo, per esempio, che il personaggio di Otis in origine sopravviveva ben più a lungo. Avessi avuto in testa quella cosa, probabilmente, il finale dell'episodio mi sarebbe sembrato meno prevedibile, perché magari avrei dato per scontata la sua sopravvivenza. O magari no. Vai a sapere.

Killer Elite


Buongiorno, oggi parliamo di trailer un po' furbetti.
Pregasi osservare il trailer di Killer Elite.


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Ora, questo trailer mostra le seguenti cose:
- un film in cui la gente non fa altro che spararsi addosso e picchiarsi FORTISSIMO dall'inizio alla fine;
- un film completamente incentrato su Jason Statham e Clive Owen che vogliono ammazzarsi;
- un film in cui a un certo punto un uomo e una donna limonano duro in piscina;
- Robert De Niro presentato come coprotagonista.

Nel film:
- le scene d'azione sono poche e molto lontane fra di loro;
- Jason Statham e Clive Owen si prendono a schiaffi veramente solo una volta e a Jason Statham non potrebbe fregargliene di meno di far fuori Clive Owen (per altro è discutibile anche affermare che Clive Owen voglia ammazzare Jason Statham);
- la scena in piscina non c'è;
- Robert De Niro interpreta un personaggio molto importante, ma in realtà appare pochino e i coprotagonisti veri sono attori che nel trailer non appaiono nemmeno.

Inoltre, questo trailer porta a livelli d'eccellenza la tecnica, comunque piuttosto diffusa nell'arte dei trailer, di appiccicare assieme cose che non c'entrano nulla l'una con l'altra. Praticamente qualsiasi cosa sembri un campo e controcampo, un tizio che parla con un altro tizio o magari gli spara, uno che gli esplode della roba addosso... qualsiasi cosa si veda dà l'idea di svolgersi in una maniera diversa rispetto a come accade nel film. Persino la sinossi su IMDB è sbagliata!

Aggiungiamo anche che ci sono gli Scorpions in versione orchestrale ed è chiaro che dopo aver visto il trailer uno si presenta al cinema aspettandosi un certo tipo di roba tutta tamarraggine, bordello, adrenalina e gasamento (e con Robert De Niro che spacca i culi dall'inizio alla fine). E magari rischia di rimanerci male. Senza contare che nel trailer c'è pure uno spoiler sul finale, anche se obiettivamente te ne puoi rendere conto solo dopo aver visto il film. Insomma, dovrebbero vergognarsi. Detto questo, passiamo a parlare di Killer Elite, che non è neanche male.

Tipo, per esempio, lui nel trailer non si vede, e io ho passato mezzo film a chiedermi dove cacchio potessi mai averlo visto prima. Poi per fortuna ci sono arrivato.

Killer Elite (USA, 2011)
di Gary McKendry
con Jason Statham, Clive Owen, Robert De Niro

Contrariamente a quanto potrebbe appunto far pensare il trailer, Killer Elite è un film che ci crede. Un film serio, di quelli ispirati a una storia vera e che raccontano fattacci che guarda una volta a mio cugino è successo davvero. Cosa racconti di preciso non lo dico, perché poi mi accusano di fare spoiler, però diciamo che Jason Statham ha dei validi motivi per ammazzare delle persone e che questo rappresenta un valido motivo per far incazzare Clive Owen. Da ciò nasce un film che l'alto tasso di basette e baffazzi potrebbe far definire "in costume", ambientato negli anni ottanta e dal taglio tutto elegante, sofisticato e spionistico.

L'azione c'è, e quando c'è è anche parecchio valida, con una lunga scazzottata fra i due ganzi che davvero stupisce per visceralità, violenza, voglia di prendersi i suoi tempi, pulizia nella direzione, potenza delle centre che volano. E insomma, anche altri passaggi action hanno il loro perché e un discreto tasso di tensione e/o tamarraggine, a seconda dei momenti, da tutta la parte della cattura+fuga fra i tetti al ganzissimo momento di gloria di De Niro verso la fine. Il problema è che nel mezzo c'è un altro film, serio e posato, che cerca di essere qualcosa di più e ci riesce solo fino a un certo punto.

Dove Killer Elite crolla un pochino è quando prova a buttarla sul romanticismo, sia quello maschio da amicizia virile, sia quello di Giasone bello che perde la testa per Yvonne Strahovski. Non che si scivoli nel disastroso, anzi, tutto mantiene una sua dignità e scorre abbastanza bene, ma l'impressione è che fra ricerca del romantico, toni che quasi si vergognano del loro voler essere alti, impostazione da film di spionaggio serio che punta sulla ricostruzione d'epoca e sull'esecuzione elaborata di piani contorti che lasciano la violenza fuori campo, in disparte, con la scelta d'autore, quello che manca sia proprio lui, l'autore. E allora si resta lì di mezzo, a metà fra un film e l'altro, senza che nessuno dei due riesca davvero a sbocciare.

Quel che rimane, però, è comunque un film più che godibile, con due o tre scene molto ganze e un Robert De Niro che riesce a non fare la faccia da trota lessa cui ci ha abituato di recente e, anzi, funziona proprio bene.

Il film l'ho visto in lingua originale a Monaco, dove, come in buona parte del mondo civilizzato, è uscito. Di solito, in questi casi, per pubblicare il post aspetto l'uscita italiana. Ma IMDB non mi conforta al riguardo, quindi lo pubblico adesso e fine. Ah, guardarlo in originale ha il suo fascino, perché è pieno di britannici, gente che fa l'accento britannico e gente che prova a falsificare accenti britannici per non farsi sgamare.

28.10.11

The Walking Dead - Stagione 1



The Walking Dead - Season 1 (USA, 2010)
creato da Frank Darabont e Robert Kirkman
con Andrew Lincoln, Jon Bernthal, Sarah Wayne Callies, Laurie Holden, Jeffrey DeMunn, Norman Reedus



Seguire una serie mano a mano che viene trasmessa, una puntata alla volta, ha sicuramente tanti aspetti positivi, più o meno legati alla serie stessa. Per dire, con The Walking Dead, c'è il vantaggio di goderti il modo in cui viene serializzata, l'attenzione al colpo di scena e al cliffhanger, la sua struttura assolutamente ben calata nel format a episodi settimanali nonostante la coesione da racconto unico. In più c'è l'ansia del vedere l'episodio successivo, il divertimento di chiacchierarne con chi la sta seguendo assieme a te, nel mio caso pure quello di provare a scrivere un post dopo ogni episodio, che mi diverte. Insomma, bene.

Allo stesso tempo, però, sono e resto convinto che non sia la maniera ideale, o che quantomeno non lo sia per me e per i miei gusti, e infatti faccio uno strappo alla regola solo per The Walking Dead. Perché di fondo, dalla visione “tuttassieme”, la maggior parte delle serie, o perlomeno quelle al di sopra di una certa soglia di decenza, guadagnano troppo. E lo fa, sì, anche The Walking Dead, come mi è risultato fin troppo evidente mentre mi maratonavo la prima stagione, tutta in una sera, grazie al cofanettino blu-ray comprato qualche mese fa in quel di Heathrow, zona HMV.

Soprattutto, da questa (re)visione ho tratto l'idea di un racconto molto più unitario, compatto, coerente e consistente di come sembrasse nella spezzettata visione dello scorso autunno. Non solo perché, ovvio, si colgono molto più facilmente i piccoli indizi e riferimenti, le cose sparse in giro che magari già dalla prima puntata ti suggeriscono quel che accadrà nella sesta, ma soprattutto perché quel che sembrava corpo estraneo risulta invece molto più coerente, morbidamente e logicamente parte del racconto. Perfino il tanto vituperato momento risolutivo della questione Vatos sembra avere più senso e non uscire troppo dai binari, e tutta la parte della CDC pare molto meno infilata a forza.

E in una situazione simile emergono ancora meglio i punti forti, dal bellissimo quinto episodio, così duro, amaro, placido, alle improvvise, cariche, sferzanti esplosioni di furia violenta, che ti scuotono dalla tranquillità e tramortiscono con i loro effetti improvvisi. E i piccoli momenti, i gesti, gli sguardi, quella conversazione sulla barca, quella bella scena della spiega alla CDC, che vivi con ancora negli occhi l'inizio dell'episodio precedente, quella placida amarezza di fondo e il senso di disperazione che si respira in ogni fotogramma. Quelle cose lì.

Tutto questo non fa sparire gli alti e i bassi, non elimina la natura tagliata con l'accetta di diversi personaggi e non toglie di dosso la sensazione che Robert Kirkman, o chi per lui, stia ancora prendendo le misure col rendersi conto di quali sono le cose che funzionano perfettamente a fumetti ma risultano abbondantemente fuori posto in altri contesti. Rimane però il fatto che in queste sei puntate si trova una serie ricca di momenti forti, dal taglio interessante, dal potenziale notevole e che comunque porta in televisione un discreto coraggio per l'orrore esplicito e la voglia di sfruttare il genere in maniera per certi versi anticonvenzionale, oltre che un progetto ambizioso e che molti pensavano irrealizzabile. Il pubblico sta premiando, speriamo vada avanti bene. Con buona pace di quelli che è brutta perché “si vedono poco gli zombi” e “c'è poca azione”. Guardatevi Dead Set – che è ottimo, intendiamoci – e non rompetemi i coglioni.

Anche questo post l'ho scritto in aereo. Nei viaggi brevi, molto difficilmente mi alzo per andare in bagno. Anzi, diciamo che non lo faccio mai. Caspita, lo faccio raramente pure in quelli lunghi. Possibile che, l'unica cacchio di volta in cui mi alzo per andare in bagno su un volo per Londra, finiamo in una turbolenza proprio mentre sono intento a fare le mie cosacce e mi ritrovo a innaffiare da tutte le parti? Ma dimmi te. Ah, La maratona è stata eseguita, ovviamente, in lingua originale. Che, non scherziamo, vorrai mica perderti l'accento farlocco di Rick Grimes? Mi dicono che il blu-ray italiano, se imposti la lingua originale, ti mette i sottotitoli obbligatori. So 1997.

26.10.11

The Walking Dead 02X02: "Sangue del mio sangue"



The Walking Dead 02X02: "Bloodletting" (USA, 2011)
creato da Frank Darabont e Robert Kirkman
episodio diretto da Ernest R. Dickerson
con Andrew Lincoln, Jon Bernthal, Sarah Wayne Callies

Uno fra gli aspetti più interessanti della versione televisiva di The Walking Dead, almeno per chi ha letto il fumetto, è il trattamento riservato a Shane, che nella versione interpretata da Jon Bernthal diventa personaggio più rotondo, ricco, affascinante. La scelta di dedicargli una quantità di tempo maggiore, di tenerlo spesso al centro degli eventi e di prolungare il quadrilatero che coinvolge lui e la famiglia Grimes è senza dubbio vincente. Innanzitutto perché, come detto, ne viene fuori un personaggio un po' più ricco, come questo episodio dimostra in maniera esemplare.

Se già l'avvio dell'ultima puntata della prima stagione, con quello Shane disperato in ospedale, mostrava un lato del personaggio non scontato, qui si va oltre, e quel bello sguardo a Lori che parla con Carl dice tante cose. E c'è poi tutta la parte alla fattoria, il modo in cui Shane parla a Rick, la voglia di tratteggiare a fondo il rapporto fra i due, andando oltre la semplice storiella di corna vissute. Ecco, si tratta, come detto, di una scelta vincente, anche e soprattutto in prospettiva futura, delle cose che verranno e che saranno forse ancora più forti, alla luce del modo più ricco in cui piano piano ci si affeziona ai personaggi.

Poi, per carità, ci sono anche cose che non vanno, tipo che veramente comincio a non poterne più di T-Dog, o che inizio a chiedermi quante altre scene con uno zombi a caso che assale Andrea e fa una brutta fine dovremo sorbirci, o ancora che ho l'impressione che le belle musiche di Bear McCreary siano un po' sottosfruttate, ma nel complesso questa seconda stagione mi sembra essere partita molto bene. La storia piano piano sta ingranando, quelle piccole scene con i personaggi che chiacchierano fra di loro in piena calma continuano ad essere la cosa migliore, la corsa col bimbo in braccio e tutta la parte a letto è una meraviglia, Lori mi sta crescendo molto (anche se la Wayne Callies fa un po' troppe faccette per i miei gusti) Jeffrey DeMunn mi piace da matti veramente tanto che non so come meglio dirlo guarda, continuano ad esserci quelle piccole modifiche rispetto al fumetto che ti prendono in contropiede e, soprattutto, l'intero secondo episodio è trascorso senza un singolo monologo di Rick. Bene così.

Eppoi c'è Norman Reedus.


L'episodio l'ho guardato lunedì pomeriggio, ma poi ho dovuto scrivere un lungo articolo per Videogame.it, preparare una serie di cose in vista del mio ennesimo viaggio a Londra, registrare il nuovo Outcast, dormire e partire. E infatti questo post l'ho scritto in aereo e lo pubblico adesso. Oh, son cose che capitano, dai.



21.10.11

Oggi esce Super


Dato che in questi giorni sono sfatto e ho una quantità smodata di lavoro caricata sulle spalle, non sto riuscendo a scrivere nulla per il blog. Colgo allora l'occasione dell'odierna uscita italiana di Super, il nuovo film del lunatico che ha diretto Slither, per ricordare ai miei amicici che ne ho scritto a questo indirizzo qui, dopo averlo visto durante il Fantasy Filmfest qua a Monaco della Baviera. È tutto.

Se poi fra di voi c'è gente che mi ama tantissimo e non riesce a fare a meno di leggermi, segnalo che sto vomitando articoli a manetta su Videogame.it.

18.10.11

The Walking Dead 02X01: "La strada da percorrere"


The Walking Dead 02X01: "What Lies Ahead" (USA, 2011)
creato da Frank Darabont e Robert Kirkman
episodio diretto da Gwyneth Horder-Payton
con Andrew Lincoln, Jon Bernthal, Sarah Wayne Callies

E dopo un estate piena di drammi esistenziali produttivi, fra staff di scrittori che se ne vanno e Frank Darabont che lavora su un po' di episodi, li presenta a San Diego e subito dopo saluta agitando un dito medio, siamo arrivati alla messa in onda della seconda stagione di The Walking Dead. O perlomeno della prima fase, composta da sette episodi, con i sei successivi che si dovrebbero manifestare a febbraio. Posso dire che le odio, 'ste robe? Le odio. Comunque, è chiaro che tutta la faccenda Darabont ha scatenato un po' il panico, però va pure detto che al timone della serie sono rimasti Ciccio Kirkman (autore del fumetto, per chi non lo sapesse) e Glen Mazzara (pesantemente coinvolto nella prima stagione), quindi alla fin fine non è detto che debba andare tutto in vacca. Certo, Darabont ha diretto uno dei migliori episodi visti fino adesso ma, oh, che ci vuoi fare?

Ad ogni modo, ieri sera mi sono fatto la maratona infernale, a cominciare dalle placide ore 19:00. Tutta la prima stagione sparata in fila grazie al cofanettino blu-ray (e mi sa che ne scrivo un post, perché ho delle cose da dire). Poi i sei webisode, che sono orrendi, fanno cacare e fanno pietà, raccontano della zomba senza gambe del primo episodio ma sono orrendi, fanno cacare e fanno pietà. Come sono orrendi, fanno cacare e fanno pietà tutti i webisode su cui ho posato gli occhi (tipo quelli di 24 o di Prison Break), con la parziale eccezione di quelli di Battlestar Galactica. E poi mi sono appunto visto questa "season premiere" della seconda stagione, con la sua oretta abbondante di monologhi, discussioni animate, morti che camminano e carni masticate (il tutto dopo aver appena terminato Dead Rising 2: Off the Record, per poi scriverne oggi la recensione, anvedi che momento tutto morto vivente della mia vita). E che ci ho visto, dentro questo primo episodio?

Indubbiamente ci ho visto una roba che sembra voler e poter mantenere coerenza stilistica, visiva, narrativa con quanto mostrato l'anno scorso. Il che è sicuramente un bene. Come struttura è un episodio piuttosto diverso da quello che ha aperto le danze della prima stagione, ma è anche un episodio che bene o male riesce a riassumere un po' tutte le caratteristiche della serie, o perlomeno di come la serie ci è stata presentata fino a oggi. Attenzione ai personaggi, per un racconto che non è certo grande letteratura ma che su di loro si concentra, trattando gli zombi come quel che sono e devono essere: un pretesto, messo sullo sfondo, sempre pronto a entrare in azione in maniera dirompente, ma che non è al centro dell'azione. Tanti momenti di placida calma in cui ci si dedica allo sviluppo dei rapporti fra i protagonisti. Tensione sottile, colpi di scena, accelerate improvvise. E la voglia di giocare con la testolina di chi conosce il fumetto, suggerendo, mostrando, cambiando, stupendo. Quindi, insomma, bene così e guardiamo al futuro con fiducia. Però, non so, non mi ha entusiasmato.

Il prologo è di quelli insopportabili, con Grimes che monologa alla radio (mabbasta, con quell'accento farlocco, poi) facendo il riassuntone degli ultimi episodi. E lo fa subito dopo che il riassuntone è già stato fatto con il montaggio, tanto per gradire. Uccidetevi. Per fortuna poi parte la solita, bellissima, musica, e fra l'altro sui titoli di testa leggiamo che Daryl Dixon è stato promosso da "guest starring" a presenza fissa. Norman Reedus sei tutti noi, vai col chopper. L'episodio è solido e bello e ha una parte iniziale che mescola quanto di meglio la serie riesce a fare, con una magistrale sequenza dedicata agli zombi ma anche tanti bei momenti di dialogo e di confronto. La parte centrale, però, l'ho trovata al contrario piuttosto moscia, ma magari è solo perché quando Rick s'è messo in chiesa a fare l'ennesimo cazzo di monologo con la faccia pesa ho provato un forte desiderio di eutanasia. Oppure è perché la parte offesa, il personaggio in pericolo, è stato talmente poco caratterizzato nel corso della prima stagione che, in tutta franchezza, me ne cala davvero poco che sia in pericolo. Poi però c'è quella bella sbroccata della signora Grimes che fa improvvisamente risvegliare dal torpore e ovviamente c'è il classico finale da The Walking Dead, di quelli che ti lasciano lì appeso come uno stronzo. 

Il tutto, poi, nel contesto di uno di quei momenti "lo so che hai letto il fumetto e ti aspetti che succeda questo, quindi adesso io faccio questo". Doppio e carpiato, fra l'altro, un po' perché quel finale, lo sappiamo, è una roba che è accaduta anche per iscritto, sebbene in maniera leggermente diversa, un po' perché siamo già alla seconda volta che Rick e Shane se ne vanno nel bosco col fucile, e questa volta c'era pure Carl. Come fai a non pensare al finale del primo trade paperback? Certo, alla quinta volta che Shane, Rick e Carl se ne andranno nel bosco col fucile, oh, magari cominceremo a sentirci un po' presi per il culo, ma per il momento va bene così. E vediamo come va avanti. E sì, dai, mi sa che anche la seconda stagione me la seguo mano a mano. In fondo sette episodi prima della pausa non dovrebbero essere abbastanza per farmi innervosire. E poi c'è dell'ottimo nel guardarla un episodio per volta e poi riguardarla più avanti tutta in fila. Ma di questo ne parliamo nel post sul cofano della prima stagione, dai.


Certo è che se veramente Frank Darabont è fuggito a seguito di scazzi dovuti a tagli di budget per ricoprire di soldi il Matthew Weiner di Mad Men, boh, viene un po' di tristezza. Cioè, intendiamoci, Mad Men figata totale, eh, fra l'altro proprio in questo periodo mi sto riguardando la prima stagione e ho finalmente pronte in canna le tre successive. Però come fai a segare il budget di una serie che, pur fra alti e bassi, ha avuto il successo della prima stagione di The Walking Dead? Fra l'altro leggo che questo nuovo episodio è stato il "drama" più visto (sette milioni abbondanti) nella storia della TV via cavo. Buttali. Boh, non è il mio lavoro, sapranno quello che fanno.

16.10.11

Mediocast


Ieri pomeriggio ho pubblicato Outcast Magazine #11, primo appuntamento rubricaro della stagione 2011/2012 di Outcast. L'episodio l'abbiamo registrato un mese fa, ma poi è successo che c'erano gli NDA, sono andato in ferie, il jet-lag, le pucchiacche ed eccomi qui, un mese dopo, a segnalare la pubblicazione dell'episodio. In cui fra l'altro fa il suo esordio una rubrica nuova di zecca. Sta tutto a questo indirizzo qui.

Cosa c'entri questa copertina non lo so, ma insomma, le fa Fotone, non mi formalizzo troppo.

 
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