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10.12.11

Nintendoutcast


Ed è uscito anche Outcast: Chiacchiere Borderline 13, podcast nel quale io e un gruppetto di altri sciammanati chiacchieriamo di fatti e situazioni più o meno recenti del videogioco, oltre che di una serie di giochini e giochetti usciti per le console Nintendo. E diamo anche la risposta ufficiale alla fatal domanda su cosa sia meglio fra science fiction e fantasy. Sta tutto a questo indirizzo qui.

Prima di Natale pubblicheremo anche Outcast Magazine 13. Ne sono assolutamente o forse.

9.12.11

Ode al migliore dei tre


Tutto quel che pubblico su quell'altro sito là finisce segnalato anche qua dentro, in un modo o nell'altro, nell'apposita sezione Spam della colonna lì a destra e negli strilloni là in alto. È il caso anche dell'odierno appuntamento con Videodrome, la mia rubrica pseudo mensile sul rapporto fra videogiochi e cinema. Questa volta, però, ho deciso di incrementare lo spam con un breve post, più che altro perché il colossale articolo in questione, che con i suoi circa trentanovemila caratteri credo sia il più lungo che abbia mai scritto, a un certo punto avevo pensato di pubblicarlo qua nel blog, a puntate (tipo un post al giorno, uno per pagina). Alla fine, invece, è stato Videodrome, ma, ecco, lo segnalo, perché tutto sommato è scritto come se fosse un post di questo blog (al di là di qualche scurrilità che ho eliminato in extremis). Lo trovate a questo indirizzo qui.

Due settimane di sangue, m'è costato, fra il vedere o rivedere tutti i film, scrivere, preparare le immagini e tutto quanto. E infatti oggi sono privo di forze, non riesco a combinare nulla e mi sono inventato questo post all'insegna del vuoto spinto perché mi spiaceva lasciare fermo il blog dopo undici giorni consecutivi di striscia aperta. Oh. Fucilatemi.

8.12.11

Carnage



Carnage (Francia, Germania, Polonia e chiunque altro avesse soldi da mettere, 2011)
di Roman Polanski
con Jodie Foster, Kate Winslet, Christoph Waltz, John C. Reilly


Esagero a dire che probabilmente Roman Polanski è l'unica persona capace di dirigere un film come questo e in questo modo? Probabilmente sì, ma sono abbastanza convinto che non ce ne siano molti altri. Quando guardi un film ispirato a una pièce teatrale tutta dialoghi e personaggi finisci (quasi) sempre per avere l'impressione che paghi troppo le sue origini, che si adatti male al contesto cinematografico, che tutto sommato funzioni ma sì, insomma, mica tanto. E che sia pesantemente barbosa. Davanti a Carnage passi invece un'ora e mezza scarsa di puro godimento, mai uno sbadiglio, solo passione, ridendo come uno scellerato dell'intrecciarsi di quattro genitori che partono dal discutere l'accapigliarsi dei loro figli e finiscono per vomitarsi addosso insicurezze, rancore, emozioni represse, fastidi, dubbi, angosce in un tripudio di rabbia e infantilismo.

La casa dei Longstreet sembra quasi lo scenario di un film horror, coi protagonisti che vorrebbero andarsene, sanno di doversene andare, ma non ce la fanno proprio, trovano i motivi più futili per rimanere e finiscono risucchiati in un turbine d'orrore. Tutto si scoperchia, il bastone in faccia al piccoletto svanisce in una bolla di sapone e la giornata diventa una continua rissa per la sopravvivenza fra quattro persone che vogliono averla vinta a tutti i costi e sono disposte a cambiare continuamente idee, alleanze, amici, nemici. Il risultato è una vera carneficina emozionale, una rissa da strada ben più violenta di quel che dà inizio alle vicende e che nel frattempo, per altro, si è già risolto a tarallucci e vino.

E in tutto questo Jodie Foster, Kate Winslet, Christoph Waltz e John C. Reilly sono quattro attori meravigliosi, quattro facce splendide, quattro interpretazioni monumentali, quattro motivi che da soli varrebbero la visione del film, anche se non fosse stato scritto e diretto con una grazia, un'eleganza, una bravura fuori dal comune. Bellissimo.

L'ho visto adesso, perché in Germania è uscito a fine novembre, e l'ho visto ovviamente in lingua originale. Ora, non so come sia il doppiaggio italiano e non voglio mettere in dubbio che sia di qualità (anche se leggo pareri contrastanti), ma il fatto è che guardare un film come questo privandosi delle sue quattro voci significa farsi un grosso, grossissimo torto. Fra l'altro all'Apollo a Milano l'hanno proiettato in lingua originale, quindi se siete milanesi e siete andati a vederlo doppiato siete cattivi dentro.

7.12.11

In Time


In Time (USA, 2011)
di Andrew Niccol
con Justin Timberlake, Amanda Seyfried, Cillian Murphy, Vincent Kartheiser, Olivia Wilde

Da queste parti ad Andrew Niccol si vuole piuttosto bene. Si vuole bene a Gattaca, che anche rivisto oggi conserva tutto il suo fascino un po' storto. Si vuole bene a Lord of War, che è un filmone senza se e senza ma. Si vuole persino bene a S1mOne, nonostante tutti i suoi problemi. E pure le sceneggiature di The Truman Show e The Terminal, buttale. Proprio per questo, la delusione provata assistendo impotenti, nel buio della sala cinematografica, ai centonove minuti di In Time fa malissimo.

Tutto quel che ha da dire, purtroppo, In Time se lo brucia nel giro di venti secondi. L'introduzione, che spiega l'idea, e il primo dialogo, che regala l'unico vero "colpo di scena", figlio più che altro delle idee che uno magari si è montato in testa guardando il trailer e che cozzano con quel che poi succede nel film. Basta, non c'è nient'altro. E se l'idea è davvero affascinante, interessante, dal bel potenziale, gli sviluppi sono quanto di più banale, insipido, prevedibile e soprattutto mal confezionato si possa immaginare.

Spiazza davvero vedere quanto l'autore maturo e convincente di Lord of War si trasformi qui in uno sceneggiatore da minimo indispensabile, che si limita a mettere in fila tutto quel che non può mancare, ricicla l'immaginario visivo di Gattaca e lega assieme un po' come capita una serie sconclusionata di scene mal scritte e peggio dirette. Non si sa cosa faccia più male, fra la bucherellata logica dell'intreccio, il ridicolo involontario dei dialoghi e di certe trovate (il braccio di ferro, santa polenta!) o l'evidente impaccio con cui Niccol prova per la prima volta a cimentarsi con un po' d'azione, fallendo miseramente. Non sono a conoscenza di eventuali traversie produttive, al di là della querelle con Harlan Ellison sulla paternità del soggetto, ma certo l'impressione è di un film messo assieme con lo sputo, girato fra mille problemi, completato giusto perché dispiaceva buttarlo via.

Poi, sicuro, ci sono un paio di immagini d'effetto, i numerini luminosi sul braccio hanno il loro fascino e il tratteggio del differente linguaggio corporeo di persone dall'aspettativa di vita radicalmente diversa è un buono spunto. Però è davvero poco, non basta, così come non basta l'indubbio carisma di buona parte degli attori, soprattutto considerando che loro stessi sembrano crederci poco e recitare per l'appunto solo basandosi su quello. Ma del resto, mentre declami dialoghi del genere, quanto potrai mai crederci?

Il film l'ho visto ieri qui a Monaco, in lingua originale. Se IMDB non mente, ancora è da decidere un'eventuale uscita italiana, quindi non aspetto e regalo subito al mondo la mia delusione. 

6.12.11

L'ultimo anno e un mese (ma in effetti ormai è praticamente un anno e due mesi) a fumetti di giopep (Seconda parte)



Ed eccoci qui, quasi un mese dopo l'ultima volta, con la seconda parte del minestrone di fumetti letti negli ultimi tempi. Che comprende alcune cose che mi ero lasciato dietro e altre cose che ho letto nel corso di questo mese. Quindi su alcune ho la memoria bella fresca, su altre sparo cose a caso senza ricordarmi nulla, su altre ancora lascio proprio perdere.

Quelli su cui credo di avere qualcosa da dire
Invincible Presents: Atom Eve & Rex Splode ****
E ancora una volta si conferma il fatto che tutto ciò che ruota attorno a Invincible, in un modo o nell'altro, anche quando non è direttamente curato da Kirkman, è sempre un piacere da leggere. Un fumetto di supereroi che è indiscutibilmente un fumetto di supereroi e non si vergogna di esserlo, non pretende di elevarsi al di sopra del genere, ma riesce anche in qualche maniera ad avere una sua fortissima dignità drammatica ed emotiva. Ed è pure interessante per la continuity. Avercene.

Secret Invasion **
Ecco, a proposito di continuity, mi sono letto più o meno tutto il ciclo di Secret Invasion e quel che gli stava attorno, con le varie uscite Marvel del periodo, grazie all'abbonamento ai Digital Comics. Ho completamente mollato i fumetti Marvel nel bel mezzo di quel ciclo, perché davvero non ne potevo più, ma ho ricominciato a leggiucchiarli grazie alle meraviglie dell'Internet, perché a quel prezzo il guilty pleasure me lo posso concedere. Ma mamma mia che schifezza. Ennesima "grande saga" in cui funziona a meraviglia tutto il lavoro di preparazione svolto nei mesi precedenti - sempre che piaccia questo genere di cose - ma poi la storia vera e propria è una porcheria frettolosa ai limiti dell'illeggibile. Attorno, comunque, come sempre, alcune singole storie collegate di spessore, e un po' di altre belle storie che non c'entrano nulla ma sono uscite in quel periodo. Bottom line: trascurabile, soprattutto perché a leggere solo la saga principale, decontestualizzata, si legge roba del tutto inutile.

American Vampire #2 ****
Un secondo ciclo che si mantiene su ottimi livelli e che continua a gettare un sacco di carne sul fuoco (non a caso è già stato pubblicato un primo spin-off). Se interessa, sul numero 11 di Players ci sarà un mio articolo dedicato alla serie.

Crossed #2: "Family Values" ****
Garth Ennis riteneva di aver detto tutto sull'argomento, ma non si è fatto problemi a cedere il timone a David Lapham, a patto che non gli toccasse i suoi personaggi. Detto fatto, Lapham tira fuori tutt'altra storia, con tutt'altre persone, nello stesso contesto narrativo, e alza ulteriormente l'asticella dello shock e dello schifo con un volume che a tratti sa essere davvero un pugno nello stomaco e che rappresenta il nuovo parametro di riferimento nella categoria "se lo leggi in metropolitana ti vergogni un po'". Comunque appassionante, solido, ben narrato. Se piace il genere delle apocalissi brutali, va provato.

Quelli che ho il vuoto in testa e non mi ricordo molto e oltretutto ho dormito poco e faccio fatica a connettere ma ci tengo a scrivere due parole
Astro City 14/22 ****
Fuoriuscito da un angolino del polveroso cumulo che risponde al nome di "roba che prima o poi vorrei leggere", questo bel ciclo di Astro City ha tutto il fascino per cui ci si ricorda di questa particolare serie e racconta di supereroi depressi e criminalità fallita con quel bello spirito realistico e noir che fa tanto Powers.

Q and A #1/2 ***
Il Mitsuru Adachi un po' più stupidino e pazzerello, che non rinuncia al suo malinconico romanticismo ma lo infila in mezzo alle scemenze coi fantasmi maiali e il sovrannaturale. Sempre piacevolissimo da leggere, comunque.

All Rounder Meguru #1/3 ****
Di quanto sia bello Eden ho scritto in un articolo sul numero 3 di Players. Quanto mi aspetti dalla sua nuova opera è quindi facile intuirlo. Dopo appena tre volumi è difficile avere un'idea concreta di dove voglia andare a parare, ma certo questa storia ambientata nel mondo della gente che si picchia fortissimo per sport ha tutto il potenziale romantico, drammatico, realistico, crudo per reggere il confronto con il precedente capolavoro di Hiroki Endo.

Scott Pilgrim ****
Affascinante? Sì. Interessante nel modo in cui mescola assieme fumetto, videogioco e ammore per entrambi, generando un qualcosa di unico per come si racconta e per come riesce a trasmettere una passione radicata a livello molecolare? Sì. Sconclusionato e barboso nella seconda metà? Sì. Più ricco e profondo del film nel modo in cui tratta determinate contaminazioni? Sì. Meno complessivamente riuscito e godibile del film? Sì. C'è Mary Elizabeth Winstead? No. Va comunque letto per forza se si è appassionati di videogiochi che hanno vissuto perlomeno gli anni Novanta? Sì.

Level Up ****
Una storia di formazione e crescita, raccontata in prima persona, assolutamente storta e folle nel modo in cui sbatte dentro deliri esistenziali, visioni mistiche, apparizioni e sparizioni, deliziosa nei suoi toni malinconici e nel saper descrivere la cancrena esistenziale del videogioco senza ridurrre tutto a una serie di ammiccanti citazioni. Completamente diverso da Scott Pilgrim, per certi versi complementare.

Happy 1/6 ***
Un Naoki Urasawa radicalmente diverso da quello delle opere che l'hanno reso famoso in Italia nel decennio passato, molto più spensierato, ilare, semplice. Un fumetto giapponese nel midollo, che può essere apprezzato solo amando quel modo di raccontare sdrammatizzando tutto con un umorismo insensato e sopra le righe. Una storiella semplice semplice, ma divertente e ben messa assieme. Si torna un po' bimbi, dai.

Bakuman 1/6 ***
Una lettura morbosamente affascinante, per il modo in cui illustra a fondo (oddio, poi vai a sapere quanto a fondo) il meccanismo produttivo alle spalle del fumetto giapponese. Ha un po' lo stesso limite di Happy nel taglio spesso assurdamente sopra le righe di certi personaggi e certe situazioni ma... that's manga!

Katsu #12/16 ****
La solita conclusione del solito fumetto romantico-sportivo di Mitsuru Adachi. È sempre un piacere, anche se il cuore non batte come alla prima volta.

Hotel ***
Un curioso mix di storie di fantascienza, che alterna racconti brevi tremendamente riusciti e poetici ad altri che si sforzano fin troppo di esserlo, poetici, e finiscono per sfociare nel ridicolo. Complessivamente, però, una raccolta interessante e molto gradevole, con tante belle idee.

Cronachette #1/3 ****
Tre volumi per un delizioso raccontare vita morte e miracoli di gatti casalinghi, gatti di passaggio e umani che hanno la fortuna di condividere con loro gli appartamenti. C'è dell'autobiografico pesante, c'è a volte qualche deriva lisergica di troppo, ci sono però un gran divertimento e una gran conoscenza delle assurdità feline che vengono raccontate. E sul primo e sul terzo volume ci sono due dediche con disegno fatte apposta in due Lucca consecutive, una delle quali ritrae fra l'altro il mio bel micione.

Arcobaleno di spezie #1/9 ***
Parte come una roba completamente assurda e sconclusionata, che sembra quasi voler essere il fumetto più sperimentale mai realizzato da Adachi, si trasforma poi piuttosto velocemente nella solita storia, solo coi duelli fra samurai al posto delle competizioni sportive. Alla fine va pure bene.

Bodycount ***
Kevin Eastman, Simon Bisley, Raffaello, Casey Jones, la sparatoria più lunga della storia del fumetto, Budda budda budda. Bene così.

Spicy Pink ***
Wataru Yoshizumi rappresenta uno dei miei pleasure più guilty in ambito manga. Voglio dire, con un titolo (italiano, certo) come Piccoli problemi di cuore come fai a non sentirti guilty, nonostante il pleasure? Anche se in realtà non mi sento neanche poi troppo guilty, visto che sì, è uno shojo manga, è semplicino, ha il suo target, ma ha davvero tutte le sue cosine al posto giusto, un'atmosfera leggiadra e piacevolissima, uno spirito tutto bello amorevole all'insegna del comico e, insomma, è bello. E ovviamente tutto questo si adatta anche a Spicy Pink e a qualsiasi altra roba abbia letto della donna nota all'anagrafe come  Mari Nakai.

Quelli che ricordo appena di aver letto e a malapena ricordo cosa siano, ma mi ero segnato le stelline, quindi le riporto e fine
Black Joke #1/2 **Black Hole  ****Bushido #1 ***Solanin #1 ****Raqiya #1 ***

Ed è tutto. O quasi. Ci sarebbe anche Magico Vento, di cui mi sono appena letto in fila i numeri dal 116 al 130, ma ho incautamente appena deciso che voglio dedicargli un post a parte. Senza contare che vorrei prima leggermi anche il numero speciale uscito in seguito. Quindi sì, è tutto.

5.12.11

Shingo Araki



C'è stato un momento, da qualche parte all'inizio degli anni Novanta, in cui fumetti e cartoni animati sono diventati qualcosa più che un semplice passatempo a cui appiccicarmi, sdraiato sul divano, con sguardo vitreo e bavetta all'angolo della bocca. Intendiamoci, anche prima erano poco meno di una fissazione, ma in quel periodo cominciai ad andare oltre nell'interesse, a informarmi, leggere riviste, conoscere nomi degli autori e via dicendo, in un tripudio di allegria. Fu a quel punto che cominciarono a fioccare i nomi dei character designer, questi loschi figuri che si occupavano di dare un taglio, un'immagine, una faccia ai personaggi dei cartoni animati. A oggi, se mi sforzo, mi vengono in mente quattro nomi. Masami Obari, per i lungometraggi di Fatal Fury. Akemi Takada, per (quasi) tutti i cartoni animati tratti dai manga di Rumiko Takahashi e per, ovviamente, Orange Road (sì, insomma, È quasi magia Johnny). Per Akemi Takada avevo una passione smisurata. Ho ancora qui con me a Monaco un artbook dedicato al suo lavoro su Orange Road e ricordo che lo avevo messo in mano a mia cugina (l'artista) chiedendole di realizzarmi un mega poster che ne riproduceva i disegni migliori. Non ebbe mai tempo di completarlo, ma ce l'ho ancora, incompleto, ma molto figo, arrotolato da qualche parte a Milano. Poi Kazuo Komatsubara, che faceva le cose di Go Nagai ed era ganzo. E poi lui, Shingo Araki. Sigla.



Ora, a lungo, per me Shingo Araki, è stato semplicemente "quello dei Cavalieri dello Zodiaco". Poi mi sono reso piano piano conto che aveva fatto circa un miliardo di altre cose (e che andava spesso mano nella mano con Michi Himeno). E poi c'è stato il momento in cui ho cominciato a sgamarlo. A sgamare le puntate che erano veramente sue. Sì, perché ok lo studio dei personaggi, ma poi, in una serie da cento e passa episodi, fra animazioni riciclate e bassa manovalanza, questo studio un po' si perdeva per strada. Ma ogni tanto, cacchio, capitava la puntata semplicemente, indescrivibilmente stupenda, dallo stile furioso, che ti strappava le pupille dagli occhi. Insomma, gli episodi direttamente curati da lui, da Shingo, in cui il suo tratto emergeva con una prepotenza insostenibile e bellissima. O magari non erano direttamente curati da lui e c'era qualche altro motivo per cui la firma emergeva tanto di più. Non lo so, non me ne intendo dei processi produttivi. Fatto sta che praticamente tutte le serie che portavano il suo nome vantavano almeno un paio di episodi così. Per esempio quello di Goldrake tutto poetico con quella ragazza aliena depressa che alla fine ci restava secca. O qualche episodio di Lady Oscar. O certi momenti fuori scala de I Cavalieri dello Zodiaco. I quattro lungometraggi, certo (soprattutto gli ultimi tre), ma anche alcuni singoli episodi della serie. Che forse facevano ancora più impressione perché spuntavano fuori all'improvviso nel mezzo di una saga per il resto qualitativamente piuttosto media e con, anzi, un sacco di puntate dall'estetica mediocre. In particolare ho irrimediabilmente stampato nella retina un episodio, il primo della brevissima saga nordica. Subito dopo la fine della parte sui cavalieri d'oro. L'ho pure pescato su Youtube, anche se in spagnolo. No, dico, guardate che roba, specie tenendo conto che si tratta di un episodio di una serie televisiva trasmessa nel 1988.



A quanto pare Shingo Araki, alla bellezza di settantadue anni, ha deciso di abbandonare questa valle di lacrime e andare a pasturare in ben altri pascoli, assieme a Elvis, Marilyn e Mike Bongiorno. È accaduto la scorsa settimana, in un tripudio di "no aspetta non è confermato" e improvvisi pianti isterici. Ed è un'altra di quelle occasioni in cui ti fermi un attimo e ripensi a tutto quello che ha fatto e ti ha dato, a come una persona che non hai mai visto, conosciuto, indagato abbia saputo toccarti, in qualche modo, negli anni. Shingo Araki ha messo la firma su una marea di cartoni animati, spesso anche in maniera piuttosto invisibile, senza che ti potesse passare per la testa che si trattasse di lui. A volte sembrava nascondersi totalmente al servizio del progetto, altre volte rispettava pesantemente lo stile del manga da cui era tratto il cartone di turno ma si lasciava un po' andare, mettendoci lo zampino, e altre volte ancora, invece, spazzava via tutto con l'eleganza, la potenza, la carica del suo tratto. E tante, tantissime persone che hanno la mia età, con quel tratto, ci sono cresciute. Araki è dentro di loro, anche se magari non hanno la minima idea di chi fosse.

È sempre strano quando queste morti in qualche modo ti toccano, o forse no. È sempre un po' assurdo vedere tutto il fiorire di rattristamenti, la gente con l'avatar di Steve Jobs e quelli che sbrottano perché nessuno si strugge per il bambino morto in Africa o l'operaio suicidato in fabbrica. Però è anche un po' normale. Quando con le tue azioni tocchi l'anima di persone lontane un intero universo, eh, hai fatto qualcosa di speciale, e forse un pochino questa tristezza passeggera che le colpisce alla tua scomparsa te la meriti. A me cosa è venuto in mente, di fronte alla notizia? Mi è venuto in mente quando ero in ospedale, convalescente per un'operazione, che chiedevo di accendermi la TV, perché proprio in quei giorni, per la prima volta, Junior TV trasmetteva la seconda parte della avventure dei Cavalieri dello Zodiaco. Dopo che per due o tre volte mi avevano lasciato appeso con Pegasus che si prendeva a ceffoni con il cavaliere del Leone. Ecco, questo ricordo qui, subito seguito dall'episodio di Asgard qua sopra. E alla fine, non ci posso fare niente, per me i Cavalieri dello Zodiaco sono soprattutto Shingo Araki. Con buona pace di Masami Kurumada.

Per la cronaca, la pagina italiana di Shingo Araki su Wikipedia elenca quanto segue. Non so se manchino cose, ma fa comunque una certa impressione.

1965 - Kimba il leone bianco
1966 - Marine Boy
1967 - La principessa Zaffiro
1968 - Tommy, la stella dei Giants
1969 - Quella magnifica dozzina
1969 - Attack No. 1
1970 - Una sirenetta fra noi
1970 - Rocky Joe
1971 - Ryu il ragazzo delle caverne
1972 - La maga Chappy
1972 - Devilman
1973 - Babil Junior
1973 - Cutie Honey
1973 - Sam il ragazzo del west
1974 - Bia, la sfida della magia
1975 - La sirenetta
1975 - UFO Robot Goldrake
1976 - Il Grande Mazinga, Getta Robot G, UFO Robot Goldrake contro il Dragosauro
1976 - Il gatto con gli stivali
1977 - Danguard
1978 - Addio incrociatore spaziale Yamato
1979 - Lulù l'angelo tra i fiori
1979 - Lady Oscar
1980 - Lalabel
1980 - Ulisse 31
1981 - Lupin III
1982 - L'ispettore Gadget
1983 - Occhi di gatto
1983 - Lupin III
1983 - Kiss Me Licia
1983 - Memole dolce Memole
1984 - Il grande sogno di Maya
1986 - Maple Town
1986 - G.I. Joe
1986 - I Cavalieri dello zodiaco
1987 - D'Artagnan e i moschettieri del re
1987 - I Cavalieri dello zodiaco: La dea della discordia
1988 - I Cavalieri dello zodiaco: L'ardente scontro degli dei
1988 - I Cavalieri dello zodiaco: La leggenda dei guerrieri scarlatti
1991 - Fuma no Kojiro
1991 - Yokoyama Mitsuteru Sangokushi
1992 - Babel II OAV
1994 - Alè alè alè o-o
1998 - Yu-Gi-Oh!
2002 - I Cavalieri dello zodiaco, The Hades Chapter, Sanctuary
2003 - Ring ni kakero (produttore)
2004 - Yu-Gi-Oh! Duel Monsters
2004 - I cavalieri dello zodiaco, Tenkai-Hen Overture
2006 - I cavalieri dello zodiaco, The Hades Chapter, Meikai-hen
2006 - Ring ni Kakero 1: Nichibei Kessen Hen
2008 - I cavalieri dello zodiaco, The Hades Chapter, Elysion

Fra l'altro, sempre su Wikipedia, leggo che negli anni lo spettro della censura è piovuto rabbioso sulle repliche de I Cavalieri dello Zodiaco. Ah, i nostri bambini da proteggere! Sigla, vah.

4.12.11

Ospiziacolo


Questa settimana che si sta chiudendo e che si è rivelata portatrice sana di tante belle cose delle quali potevamo serenamente fare a meno avrebbe dovuto essere la settimana in cui si registrava il tredicesimo episodio di Outcast: Chiacchiere Borderline. E così non è stato. In compenso abbiamo registrato il diciannovesimo episodio del Podcast del Tentacolo Viola, nel quale si parla un sacchissimo di ricordi, nostalgia e tutti quei bei tempi andati che sono, appunto, andati. E poi anche di qualcosa di nuovo, tipo che per esempio io vomito bile sul Jurassic Park di Telltale e dico cose su quel simpatico fumetto per famiglie intitolato Crossed. Sta tutto a questo indirizzo qui.

E invece, se tutto va bene, le Chiacchiere le registriamo domani.

3.12.11

Players #10


È uscito giusto ieri il decimo numero di Players, la rivista digGgitale che parla di qualsiasi cosa possa venirvi in mente e lo fa con una faccia tutta professional e ganza. È fra l'altro possibile leggerla fin da subito gratuitamente, secondo un procedimento in cui non sto capendo più una fava e che non cercherò quindi di spiegare. Si può, ben venga. La trovate a questo indirizzo qui.

Su questo numero i miei piccoli fanz possono leggere le mie recensioni di Midnight in Paris e Perfect Sense, due film dei quali ho scritto anche qua nel blog, come si può intuire dai due link qui sopra. Però, insomma, è comunque tutto molto bello. E poi la rivista è figa, contiene un sacco di altre robe, quindi non lamentiamoci.

Non ho insomma smesso di scrivere su Players, è solo che per due numeri di fila non è capitato. Fra l'altro apparirò anche sul prossimo. Bene così.

2.12.11

Midnight in Paris


Midnight in Paris (USA, 2011)
di Woody Allen
con Owen Wilson, Rachel McAdams, Marion Cotillard, Kathy Bates

Ci sono degli aspetti di Midnight in Paris che è bello scoprire guardando il film e che è un peccato svelare a chi il film ancora non l'ha visto. Una volta tanto la pensa così anche chi ne ha curato la promozione, tant'è che stranamente queste cose nel trailer non vengono mostrate. Il problema è che parlare del film senza menzionare queste cose è pratica un po' monca. Vogliamo poi aggiungere che nel mondo civilizzato Midnight in Paris è uscito ad agosto, quindi chi era veramente interessato è facile che sappia già di che sto parlando? Tipo magari perché ha spiluccato la scheda su IMDB? Aggiungiamolo. Infine, segnalo che la mia recensione tutta bella rispettosa e attenta a non menzionare queste cose l'ho scritta per il numero dieci di Players (in uscita a breve), quindi al limite la si può leggere lì. Qui, invece, parlo libero, dopo il trailer per aumentare lo spoiler space. Come sono riguardoso.



Come la mia sbroccata di fronte a Scoop può forse far intuire, non amo alla follia quell'atmosfera sciocchina e un po' naif di certi film di Woody Allen, e infatti Midnight in Paris è un film che fa di tutto per farsi odiare dal sottoscritto. Il "problema" è che non ci riesce, perché dietro al taglio stupidino, dietro all'ennesimo attore messo lì a recitare nel ruolo del suo regista, questa volta c'è un film tutto incentrato su un'idea magari non nuova, ma azzeccata. Se già tifare per Owen Wilson diventa in fretta facile, visti gli esempi d'insopportabile umanità che lo circondano, ancora più semplice è farsi trascinare dall'entusiasmo quando la bella Parigi dipinta da Allen, scoccata la mezzanotte, si tuffa indietro nel tempo e vomita fuori l'All-Star Game della scrittura e dell'arte passata.

Il simpatico Gil, assieme al suo adorabile naso, si ritrova improvvisamente drogato di fughe notturne dalla moscia, noiosa e deprimente vita di tutti i giorni, quella in cui ha la possibilità di fare all'amore con Rachel McAdams ma preferisce passeggiare sotto la pioggia fra le vie di Parigi. Per questo suo ardore viene premiato da una magia notturna che lo trasporta nel passato e gli fa incontrare tutti i suoi eroi e pure qualche bonus. Gente come Scott e Zelda Fitzgerald, Ernest Hemingway, Gertrude Stein, Salvador Dalì, Luis Buñuel e pure quell'antipatico di Pablo Picasso. E tanto per abbondare, ci buttiamo dentro pure una signorina nessuno interpretata da Marion Cotillard. Non basta? E allora facciamo anche che Gil scippa l'amore della bella francesina a Picasso. Hai detto niente.

Il fascino di Midnight in Paris sta soprattutto nell'idea, certo, ma anche nel modo in cui viene messa in scena. Nell'atmosfera ilare, nel taglio con cui Allen riprende Parigi rendendola una meraviglia anche senza bisogno delle immagini da cartolina (certo, la città aiuta), in certe gag davvero azzeccatissime e in un'avvolgente aria da sogno. Si riflette sul potere della nostalgia, capace di rendere meravigliose oltre i propri meriti non solo avventure passate che ci ricordiamo, ma perfino quelle che non abbiamo mai vissuto, e si chiude su una mezza moralina di cui magari facevamo anche a meno. Però a conti fatti ne viene fuori un filmetto delizioso. Figuriamoci poi come deve sembrare se sei fanatico degli anni Venti come Gil e l'atmosfera sciocchina da Woody Allen non ti dà fastidio!

Il film l'ho visto qua a Monaco ad agosto e ne ho scritto adesso perché adesso esce nel paese in procinto di trascinare in una nuova era di morte, distruzione e apocalisse l'Europa intera. Son cose.

1.12.11

Jurassic Park - The Game



Jurassic Park - The Game (Telltale Games, 2011)
sviluppato da Telltale Games


Il Jurassic Park di Telltale Games è un lavoro onesto, che non prova a nascondersi dietro una faccia da gameplay "classico" per farsi amici i giocatori di vecchia data e mira dritto a un pubblico di non giocatori (o gente a cui va bene anche "non giocare"), appassionati dei tre film, grandi, piccini. E mi sembra infatti fuori luogo criticarne l'assenza di gameplay, perché in fondo si tratta di un'assenza ricercata, fortemente voluta, e che nei momenti migliori del gioco funziona anche piuttosto bene. Il problema, casomai, è che se vuoi fare un film interattivo, una roba in cui passi tutto il tempo a guardare e fare due clic giusto per proseguire, beh, me lo devi fare con una qualità che a Telltale purtroppo non appartiene. Ed era evidente fin da quando hanno mostrato le prime immagini, che sarebbe stato così.

I lati positivi non mancano, a cominciare dai dinosauri, che - a parte qualche momento un po' gommoso - sono davvero realizzati bene, animati in maniera spettacolare e con un utilizzo dei suoni eccellente (anche se alla fin fine si tratta di riciclare i materiali audio dei film). E quando scatta l'azione e ci si fa prendere dal quick time event, tutto sommato, a meno di odio per la categoria, ci si diverte, anche per una qual certa imprevedibile cattiveria nel mettere in mostra bimbi masticati in corrispondenza degli errori del giocatore. Questo accade grazie alla regia, al ritmo concitato, alla capacità di dare vita al senso del pericolo che queste creature generano. Insomma, quando si scappa dai dinosauri e ci si lascia prendere dall'atmosfera, Jurassic Park è divertente e anche piuttosto impegnativo, per quanto limitato nel suo concedere pochissime scelte, prevedere rarissimi cambi dell'azione sulla base di errori del giocatore e punire spesso solo con una diminuzione del punteggio.

Il problema è che poi c'è tutto il resto. Ci sono per esempio delle fasi pseudo-adventure ficcate dentro a forza, in cui ci si ritrova a risolvere enigmi insopportabilmente piatti, basati sullo spostare avanti e indietro cose per tre o quattro volte di fila. E soprattutto ci si ritrova a parlare, tanto, male, troppo. Dialoghi lunghissimi, verbosi, didascalici, mal scritti, all'insegna di un umorismo da quattro soldi, che coinvolgono personaggi poco interessanti e sono totalmente fuori contesto. Ma chi mai si fermerebbe a discutere del sesso degli angeli mentre sta scappando dai velociraptor o mentre cerca di salvare la propria figlia dai dinosauri incazzati? E vogliamo aggiungere che i dialoghi non si possono saltare e, talvolta, se fallisci una sequenza te li devi sorbire di nuovo? Aggiungiamolo.

Dopodiché, spiace dirlo, ma in un'operazione del genere la potenza tecnica conta, tantissimo. E Jurassic Park, semplicemente, non si può guardare. Lo sforzo produttivo c'è, e si vede: l'abbandono del taglio cartoonesco e il tipo di licenza richiedevano una qualità grafica superiore alla media dei titoli Telltale e l'impegno c'è stato. Bravi. Ma i risultati sono comunque quelli che sono e non riescono minimamente a riprodurre il senso di potenza, meraviglia, magia che si respira anche nella peggior sequenza della trilogia cinematografica.  Non metto in dubbio che il target di riferimento possa essere composto da persone che si accontentano, ma rimane il fatto che un Dragon's Lair mi deve stupire con la maestosità della messa in scena. Se è scritto da cani e ha un motore grafico poco più che mediocre, dove sta il senso?

Fra l'altro, se a Back to the Future posso dare il beneficio del dubbio del for fans only, qui lo nego con tutte le forze. Paradossalmente, anche se questo mi sembra per certi versi più riuscito, non mi sento comunque di consigliarlo a nessuno, certo non a trenta euro, e io sono talmente fan dei film da aver apprezzato un po' anche il terzo episodio. Inoltre penso che ci dovrebbero essere più giochi dedicati ai dinosauri, mi cruccio per come si è rovinato Dino Crisis e continuo a sperare in un Lost Planet ambientato sul pianeta dei dinosauri. Insomma, ero qui pronto a farmelo piacere, questo Jurassic Park. Ma trenta euro a questa roba non vanno dati.

 
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