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27.7.15

Cambio!


Sabato sera, sul tardi, dopo che c'eravamo visti Pitch Perfect (anzi, Voices) e la Signora in Dolce Attesa se n'era andata a dormire, avevo una mezza idea di guardarmi qualcos'altro. Un film, magari, oppure il primo episodio di Les Revenants. Solo che poi mi sono messo per un attimo davanti al PC e ciao, mi sono perso. Una volta tanto, comunque, non mi sono perso in cose a caso, ma nella decisione improvvisa di utilizzare l'account creato nel 2007 su Wordpress.com e spostare il blog lì. Era da un pezzo che volevo cambiare tema (questo ce l'ho su dall'agosto 2011!) ma non trovavo qualcosa che mi convincesse, quindi ho deciso di dare una sterzata brutale e cambiare proprio tutto. E allora via con Wordpress, che per altro già utilizzavo in versione org per Outcast e con cui, al di là delle differenze, ho quindi già un minimo di dimestichezza. I motivi? Beh, innanzitutto perché sì. In secondo luogo, perché ho l'impressione che si snelliranno un sacco di cose che faccio qua dentro, il che è solo bene. Poi perché il bilanciamento fra la perdita di versatilità su alcuni aspetti e il guadagno, sempre in versatilità ma su altri, mi soddisfa. E poi perché colgo l'occasione per liberarmi di un po' di monnezza che m'appesantiva il blog e l'anima.

E quindi, ecco, a partire da oggi, mi trovate a questo indirizzo qui. Il tutto è ancora brutalmente work in progress, ci sono un sacco di cose da sistemare, manca qualcosa di bello da mettere in cima, ma insomma, è già funzionante e "pieno". Ho infatti importato tutto il pregresso, quindi ci trovate ogni singolo post e tutti i commenti pubblicati qua dentro in quasi dieci anni. Eh, già, c'è anche questo aspetto della faccenda: ci sono un po' di robe precedenti perché retrodatate, ma L'Edicola di giopep ha aperto a dicembre del 2005 e quindi, insomma, se vogliamo ha pure abbastanza senso che questo giga-cambio avvenga nell'anno del decimo anniversario. Certo, avviene con un po' di anticipo, ma insomma, adesso sono impegnato in tutti i ritocchi ossessivo compulsivi per sistemare link, tag, categorie e via dicendo, quindi non mi sento di escludere che considererò il nuovo blog "pronto" solo a dicembre. Vai a sapere.

Il blog qua su Blogger se ne rimane qui, a imperitura memoria e anche per non frantumare eventuali link piazzati di qua e di là in giro per l'internet, via. L'immagine in apertura non c'entra niente con l'argomento del post, come da tradizione.

26.7.15

Lo spam della domenica mattina: Che la forza sia con voi!


Questa settimana su Outcast ho tirato fuori il The Walking Podcast sui trailer del Comic-Con, il nuovo Outcast Popcorn, l'Outcast Popcorn Extra sul Secret Cinema e l'Old! sul luglio del 2005. Su IGN, invece, fra centododicimila traduzioni e doppiaggi, segnalo l'analisi del trailer di SPECTRE, che dovrebbe uscire oggi. Credo. Vai a sapere.


Nel weekend forse sono andato a vedere Jake Gyllencoso che tira e prende pugni. Chissà!

25.7.15

La robbaccia del sabato mattina: Dinosauri!


Ciao. Buon sabato. Sarò breve.



Zipper, con Patrick Wilson nel ruolo di uno che se fosse in House of Cards avrebbe Frank Underwood alle spalle che lo spinge verso l'abisso. Assieme a lui, Lena Headey nel ruolo di, beh, sua moglie. Non sembra male, ne parlano bene.



Mississipi Grind: Ryan Reynolds, Ben Mendelsohn, Sienna Miller, gioco d'azzardo e ottime recensioni dal Sundance. Ci sto.



Il primo trailer vero e proprio di The Good Dinosaur, l'altro film Pixar di quest'anno, che in Italia si chiamerà Il viaggio di Arlo e che, non so, non mi convince fino in fondo, ma sembra comunque poter essere una di quelle robe pucciose che fanno venire i lucciconi.



Experimenter, basato sulla storia vera di uno psicologo che negli anni Sessanta fece degli esperimenti discutibili su Jim Gaffigan. O qualcosa del genere. Potrebbe esserci del buono.



Il trailer della seconda stagione di Fargo. Ci sto a prescindere, considerando che roba grandiosa è stata la prima, però diciamo che il trailer, di suo, non è necessariamente molto accattivante. Ma secondo me mostra le cose giuste.



American Ultra, la versione cretina di Jason Bourne. Mh. 



Il primo trailer vero e proprio di SPECTRE, che mostra, boh, più o meno quel che deve mostrare. Non sono un grande fan di Skyfall e in generale della piega retrò che sta prendendo la serie di film con Daniel Craig, ma insomma, potrebbe comunque essere divertente.









Comunque ieri ho visto Pixels. È una robetta, ma tutta 'sta pioggia di merda, boh, mi pare insensata.

24.7.15

Life After Beth - L'amore ad ogni costo


Life After Beth (USA, 2014)
di Jeff Baena
con Aubrey Plaza, Dane DeHaan, John C. Reilly, Paul Reiser, Anna Kendrick

In mezzo all'incredibile marasma di film sui morti viventi che hanno invaso le sale negli ultimi anni, era inevitabile che spuntasse fuori anche un filone un po' più romantico, dedicato ad esplorare l'idea folle dell'amore "interrazziale" fra vivi e morti che ha fatto la fortuna delle storie di vampiri. Non che sia una novità, in fondo ci aveva già pensato Brian Yuzna tanti anni fa con Il ritorno dei morti viventi 3, ma ultimamente la cosa ha preso abbastanza piede e dopo Warm Bodies, in attesa del nuovo di Joe Dante (Burying the Ex, accolto maluccio da chi l'ha visto), con nel mezzo diversi altri film di minor fama ma dalle tematiche assimilabili, ecco qua anche Life After Beth, uscito in giro per il mondo l'anno scorso e giunto in Italia solo di recente, direttamente sul mercato dell'home video, accompagnato dal rassicurante sottotitolo L'amore ad ogni costo.

A dirigerlo è Jeff Baena, qui esordiente alla macchina da presa dieci anni dopo aver co-firmato assieme a David O. Russell (e a una bella dose di sostanze stupefacenti) la sceneggiatura di I ♥ Huckabees, da cui recupera il tono stralunato, la comicità folle e il gusto (discutibile) per certi inserti totalmente sopra le righe e un po' fuori posto. E infatti, il problema principale di Life After Beth è proprio la difficoltà nel trovare l'equilibrio giusto e nel far funzionare fino in fondo uno spunto comunque interessante. La storia, semplice semplice, racconta di un ragazzo che non riesce a farsi una ragione per la morte della sua fidanzata e che viene accontentato nel momento in cui si scatena un'epidemia di zombi. Improvvisamente Beth (insieme a diverse altre persone, s'intende) torna in vita e tanto i suoi genitori quanto il suo amore vengono travolti da un incredulo e gioioso stupore. Chiaramente le cose non sono così semplici e Beth, pian piano, cede sempre più alla propria nuova natura, creando un casino dietro l'altro.

Tutto questo viene raccontato da un film che spara in ogni possibile direzione e non sempre centra il bersaglio. È soprattutto la comicità a creare problemi, non perché manchino le sequenze azzeccate (nella parte col frigorifero a momenti soffoco), ma perché gli aspetti più sopra le righe, per esempio la caratterizzazione della famiglia del protagonista, appaiono un po' fuori posto. Life After Beth, infatti, funziona al meglio quando riesce a trovare una qualche forma di equilibrio fra la sua assurdità intrinseca, il taglio umoristico che inevitabilmente ne deriva e gli aspetti più drammatici della vicenda, che emergono per mezzo di un tono malinconico davvero azzeccato. Aggiungiamoci che quando il film deve colpire nelle budella e provocare disagio non si tira indietro e che i vari attori, seppur alle prese con materiale limitato, fanno bene il loro dovere, con una Aubrey Plaza particolarmente brava nel rendere la follia della sua situazione, e Life After Beth è decisamente un film che merita una chance. Però è anche un po' un'occasione sprecata. 

L'ho visto a gennaio, nientemeno, quando è stato distribuito al cinema qua a Parigi. In Italia, come detto, ci è arrivato di recente, direttamente sul mercato dell'home video.

23.7.15

A tradimento: Odd Thomas e A field in England escono in Italia!


Oggi esce al cinema in Italia Il luogo delle ombre, che poi sarebbe Odd Thomas, un film tratto da un libro di Dean Koontz che ho visto quasi due anni fa al Fantasy Filmfest di Monaco e che in teoria sarebbe dovuto uscire nel 2013. E invece poi non se n'è fatto nulla. E per qualche motivo esce oggi. Boh? Comunque, secondo me è un po' meno peggio di come se ne dice e ne ho scritto a questo indirizzo qua. Ma non basta! Sempre questa settimana arriva in Italia, direttamente sul mercato dell'home video, A Field in England, ribattezzato I disertori. È l'ultimo (per il momento) film di Ben Wheatley, il regista di Kill List, ed è una cosa tutta strana. Anche quello l'ho visto al Fantasy Film Fest e ne ho scritto a quest'altro indirizzo qua.

Ah, il titolo italiano di Odd Thomas recupera quello (italiano) del romanzo. Dai, ci sta.

22.7.15

La ragazza che sapeva troppo


The Girl With All the Gifts (GB, 2014)
di M.R. Carey

Mike Carey fa parte dell'ondata di scrittori britannici che hanno invaso il mondo del fumetto a stelle e strisce nello scorso decennio e, sebbene non goda della fama che ha toccato altra gente, ha firmato un sacco di roba dal discreto spessore e ha comunque piazzato il colpaccio con Lucifer, serie Vertigo mica male che l'anno prossimo arriverà anche in TV, dando probabilmente vita alla versione 2016 di Constantine (nel senso di adattamento problematico, ma in fondo abbastanza riuscito, che però finisce nell'oblio perché non lo guarda gente a sufficienza). Parallelamente alla sua attività fumettistica, Carey s'è creato anche una carriera da romanziere che per qualche motivo sceglie di firmarsi col doppio nome puntato. Ultimo frutto del lavoro di M.R. Carey è l'ottimo La ragazza che sapeva troppo, fra l'altro possibile candidato al ruolo di nuovo colpaccio, dato che è previsto per l'anno prossimo un adattamento cinematografico con protagonista la nostra amica Gemma.

La nostra amica Gemma festeggia l'ingaggio.

E di che parla, La ragazza che sapeva troppo? Beh, innanzitutto non parla di una ragazza che sapeva troppo, anzi, parla di una ragazza che sapeva troppo poco. O almeno così mi è parso. Ma non stiamo qua a fare i pignoli sui titoli italiani. Diciamo che per molti versi è una storia di zombi, anche se siamo più in zona 28 giorni dopo che altro, quindi con gente infettata da una qualche forma di malattia, incapace di intendere e di volere, preda di fame rabbiosa e incontrollabile. Non sono morti rimessi in piedi, anzi, sono in piena forma e corrono come matti. Il fascino del libro, però, non sta necessariamente in questo, anzi, dal punto di vista dell'azione "zomba" si percorrono strade abbastanza classiche, fra l'altro virate più verso l'azione che l'orrore. L'aspetto interessante, al di là della scrittura solida e molto scorrevole, sta più che altro nella bambina del titolo e in tutto ciò che comporta dal punto di vista delle tematiche affrontate e degli spunti che ne vengono fuori. Quindi, ecco, diciamo che se vi piace questo genere di storie, il mio consiglio è di fermarvi qui e dargli una chance. Il prossimo paragrafo è per chi vuole saperne di più.

Pronti?

Al centro del romanzo c'è Melanie, una bambina di dieci anni ossessionata dal mito di Pandora, che ha scoperto grazie alle lezioni scolastiche della sua maestra di scuola elementare (che nel film sarà Gemmona). E chiaramente è tutto un gioco di allegorie e metaforoni, dato che Melanie ha la sfortuna di far parte di un gruppetto di bambini "privilegiati": sono degli infetti che per qualche motivo sembrano aver conservato l'intelletto, pur essendo preda della fame rabbiosa di cui sopra, e che vengono quindi tenuti prigionieri in una base militare, immobilizzati a dovere, studiati nella speranza di trovare un antidoto, graziati da un pizzico di umanità per mezzo delle lezioni tenute dalla maestra. Da questo spunto iniziale ha inizio un racconto che abbraccia svariati cliché del genere, ma riesce a rielaborarli in maniera intelligente, affrontando temi interessanti, parlando di famiglia, di ciò che può essere lecito o meno fare in termini di sperimentazione, di possibili evoluzioni sociali e, in un certo senso, mettendo in scena la più classica delle storie di formazione. Solo che a formarsi è un zombi. Anzi, un infetto. Ed è davvero una lettura gradevole, che non ti cambia la vita, per carità, ma riesce comunque a dire qualcosa di originale, con una sua forte personalità, in un genere abusato.

L'ho letto un mesetto fa in ebook e in lingua originale, che per inciso m'è parsa accessibilissima. L'edizione italiana è pubblicata da Newton Compton Editori.

21.7.15

Ant-Man


Ant-Man (USA, 2015)
di Peyton Reed
con Paul Rudd, Michael Douglas, Evangeline Lilly, Corey Stoll, Michael Peña

Ant-Man è arrivato nei cinema con addosso la rogna derivata dall'essere un po' antipatico, sfigatello, certo non portatore sano di grandi aspettative. Era il progetto figlio dell'amore di Edgar Wright, quello che i Marvel Studios avevano tenuto fermo per quasi un decennio (privandosi per altro della possibilità di utilizzare altrove un personaggio importante delle loro storie a fumetti), perché ci tenevano a permettergli di realizzarlo e che nonostante questo, arrivati al dunque, era andato in vacca, con Wright e il suo amichetto Joe Cornish che mollavano la produzione per differenze creative e Paul Rudd e Adam McKay subentrati a rielaborarne la sceneggiatura. Ed era anche il film in cui gli stessi Studios non sembravano credere fino in fondo, fra il budget relativamente ridotto e l'assenza di un seguito nel piano quinquennale di dominazione del mondo annunciato tempo fa. Certo, è vero anche che annunciare un secondo episodio senza aver visto i risultati del primo sarebbe stato un po' fuori dalle solite pratiche dei Marvel Studios, figuriamoci per un progetto apparentemente storto e basato su un personaggio che, per quanto importante nell'universo fumettistico, obiettivamente "là fuori" conoscevano in pochi. E poi, via, l'uomo formica, fa ridere, su. E quindi? Disastro? Eh, no.

Salta fuori che invece Ant-Man è un bel film, divertente, originale, di personalità, con il cuore di chi ci prova e ci crede davvero. È probabilmente un po' "normalizzato" rispetto al film che ci avrebbe regalato Edgar Wright? Può essere, o può essere anche di no, dato che per rimanere al timone, beh, avrebbe dovuto accettare quel che non ha voluto accettare. Del resto, ehi, Guardiani della galassia ha sicuramente la personalità di James Gunn, ma non si può mica negare che gli manchino molti tratti distintivi dei suoi precedenti film e che abbia una struttura e tanti punti fermi immancabili in ogni singolo episodio della grande saga Marvel, no? Ma tant'è, sarà suggestione, nell'Ant-Man che è venuto fuori, in certe sue gag visive, in alcune trovate particolari, è difficile non vedere almeno un po' l'impronta del registra britannico. In qualche modo questo film rimane almeno in parte opera sua e ne conserva lo spirito, pur essendo a conti fatti opera d'altri e non potendo magari vantare, per esempio, la pulizia, il dinamismo e le complesse coreografie nelle scene d'azione che mi sarei aspettato da Wright. E non ci vuole un genio per immaginare quali possano essere almeno alcune delle aggiunte imposte dall'alto, i vari collegamenti all'universo Marvel più ampio che, pur ben realizzati e piuttosto divertenti, non aggiungono molto allo sviluppo del film, stanno lì solo per dare la sensazione di universo coeso e non potevano certo far parte della sceneggiatura risalente a parecchi anni fa. Ma, al di là delle masturbazioni mentali su quel che sarebbe potuto essere, il punto è che, ribadisco, Ant-Man è venuto fuori davvero bene.

Paul Rudd nella scena in cui incontra una differenza creativa.

L'aspetto più sorprendente della faccenda, forse, sta nel fatto che stiamo parlando di un film che riesce ad avere una sua bella personalità pur essendo perfettamente inserito nella grande macchina Marvel Studios e nonostante un autore carismatico abbia ceduto il posto da regista a un solido mestierante. Eppure, sarà per i meriti dello script originale, sarà per il buon lavoro di riscrittura, sarà perché in fondo Reed sa il fatto suo, ne è venuta fuori una cosetta che non solo va ben lontana dall'essere nel gruppo dei peggiori film Marvel, ma può tranquillamente piazzarsi là in alto fra quelli meglio riusciti. E se lo fa è per diversi motivi. C'è l'evidente desiderio di realizzare un film di supereroi diverso dal solito, che come altri della "fase due" sceglie di giocare coi cliché di un filone specifico, in questo caso l'heist movie. C'è l'attenzione per i personaggi, la voglia di dare una solida caratterizzazione al suo eroe e di tornare a puntare (un po' come in Daredevil e, in una certa misura, in Avengers: Age of Ultron) sull'uomo dietro alla maschera più che sulle divinità che sfondano palazzi. L'intero film ruota solo in minima parte attorno all'ennesima missione per la salvezza del pianeta, riportando invece il conflitto a una dimensione umana e personale, tanto sul piano delle tematiche, con un protagonista padre di famiglia a cui interessa trovare un lavoro e conservare un rapporto con la figlia, quanto su quello letterale dell'azione, con la strepitosa battaglia finale ambientata in una singola stanza, senza città volanti o bombe atomiche di mezzo.

Aiuta, in questo, il cast ai limiti della perfezione. Paul Rudd è magari più misurato che in altri film, ma il suo carisma tutto sbarellato rende alla perfezione la natura da uomo qualunque del personaggio e il paio di scene in cui tira fuori tutta la sua verve comica è dirompente. Michael Douglas ed Evangeline Lilly lo accompagnano in maniera efficacissima, definendo un triangolo che è il cuore del film e funziona oltre ogni rosea aspettativa. Corey Stoll, povero, ha il solito ruolo ingrato da cattivo Marvel, una sorta di versione speculare del Jeff Bridges visto nel primo Iron Man, antagonista del proprio mentore invece che del proprio protetto, ma si destreggia col materiale a disposizione e riesce comunque in quel che sa fare meglio: infondere una credibile dose di umanità in un personaggio che rischiava di andare fin troppo sopra le righe. E poi c'è Michael Peña, spettacolare spalla comica che si mangia davvero ogni singola scena in cui appare, prestandosi fra l'altro, con il paio di montaggi in cui fa da voce narrante, a quella botta di creatività che, magari ingiustamente, non ti aspetteresti da Reed.

E, a proposito di Reed, non avrà un curriculum vitae che urla action movie da tutti i pori, eppure gestisce benissimo i tempi dell'azione e soprattutto la sua natura particolare. Perché se c'è una cosa che Ant-Man fa, beh, è sfruttare alla grande lo spunto offerto dalla natura assurda del protagonista e tirarne fuori momenti action, e non solo, che davvero sanno offrire spunti originali, gag esilaranti e trovate visive dalla forte personalità, grazie a una direzione solida, a una certa ingegnosità di fondo e a un lavoro di montaggio strepitoso, riuscendo fra l'altro a dare pure un senso e una buona efficacia all'utilizzo del 3D. Ant-Man è un bel film di supereroi non solo perché è scritto bene, si prende i suoi tempi e riesce a raccontare un arco narrativo che abbia un capo e una coda, tornando a parlare di personaggi ai quali è piacevole appassionarsi, lo è pure per la capacità di tirar fuori qualcosa di originale, nuovo e affascinante in un contesto abusatissimo. E il fatto che ci riesca pur risultando perfettamente incastonato in quel baraccone di film per molti versi tutti uguali che sono quelli Marvel, oltretutto grazie al lavoro di un regista da cui, siamo onesti, non ci aspettavamo molto, beh, è da applausi. Poi, sì, possiamo anche dire che nel primo atto c'è qualche lungaggine, ma se le scrolla di dosso abbastanza in fretta, per poi ingranare la marcia e non fermarsi più. E ha pure una bella colonna sonora, di quelle che rimangono in testa. E riesce a farti venire il magone per il destino di una formica. Che gli vuoi dire?

L'ho visto l'altro giorno, al cinema, qua a Parigi, in lingua originale e in 3D. Michael Douglas ha sempre un carisma e una voce favolosi e quando ci crede è ancora un piacere. Non era scontato, ma qui sembra crederci per davvero, così come chi gli gira attorno. In Italia il film arriva il 12 agosto. A cosa serve rinviarlo da metà luglio a metà agosto? Boh? Si temeva la concorrenza della carcassa di Terminator?

20.7.15

Inside Out


Inside Out (USA, 2015)
di Pete Docter, Ronaldo Del Carmen
con le voci di Amy Poehler, Phyllis Smith, Richard Kind, Bill Hader, Lewis Black, Mindy Kaling, Kaitlyn Dias, Diane Lane, Kyle MacLachlan

Inside Out è esattamente quello che molti speravano che fosse. È un ritorno a quel tipo di opera che ha definito il marchio Pixar e ha stabilito aspettative ben precise nei confronti dei loro film, al punto di far diventare "deludenti" cose magari molto ben realizzate, ma meno ambiziose, e di retrocedere in seconda categoria qualunque altro studio americano che lavori sull'animazione. Compresa anche Disney, di cui in teoria Pixar farebbe parte. È quella cosa lì, è il film che si rivolge a tutta la famiglia e ha qualcosa da dire a tutti, ha la capacità di raccontare storie e temi interessanti trasmettendoli in qualche modo a ogni età, ha la forza necessaria per divertire i più piccini e far affogare in una valle di lacrime i loro genitori e può vantare una carica originale, una personalità fortissima, un lavoro pazzesco sul piano della ricerca visiva, dei riferimenti, della tecnica, che è veramente difficile trovare altrove, non solo nel cinema d'animazione.

Se l'idea alla base, forse, questa volta non è delle più originali, il modo in cui viene sfruttata è qualcosa di realmente unico. Non è solo la trovata della sala di comando del corpo umano gestita dalle cinque emozioni (gioia, tristezza, paura, rabbia, disgusto), è il modo in cui questo spunto di partenza viene utilizzato a definire un film fenomenale per intelligenza, forza espressiva, intensità, capacità di commuovere e dire cose intelligenti e profonde all'insegna dell'estrema semplicità. Le dinamiche fra le emozioni, la maniera in cui il loro comportamento e i rapporti cambiano a seconda dell'età e delle persone che le ospitano, l'impatto che esse stesse hanno sui ricordi e su come questi vanno a definire la persona svanendo o restando impressi, mutando di significato con lo scorrere del tempo... la quantità di esperienze, emozioni e cambiamenti al centro di questo film ha dell'incredibile e lascia il segno. E lo lascia anche la bravura con cui i vari "personaggi" vengono utilizzati per fare da allegoria di quel che accade, è accaduto e accadrà nella testa di ciascuno di noi. Sulla superficie, viene raccontato un mondo pazzerello e alieno, ma all'atto pratico Inside Out sfrutta i propri personaggi per mostrare un'esperienza attraverso cui, prima o poi, passiamo tutti.

Ed è anche per questo che il nuovo film Pixar rimane dentro e cresce nel ricordo, per tutte le cose che ha da dire e che dice in maniera splendida. Dove forse è un po' meno riuscito è nel modo in cui segue la solita struttura, facendo ruotare tutto attorno alla classica avventurona piena di pericoli, rincorse, inseguimenti e personaggi buffi, che non trovano la forza migliore dello studio americano. Anche sul piano della comicità ci sono, sì, gag esilaranti, ma la migliore rimane quella della cena mostrata sotto forma di trailer mesi fa e i momenti più azzeccati sono anche quelli più rari, che danno spazio allo spunto meno sfruttato, il mostrare cosa accada nelle teste degli altri personaggi. Già, perché il film si sviluppa tutto tramite il punto di vista della piccola Riley, ed è in fondo giusto così, anche se viene da sperare in un seguito che si permetta di esplorare la capoccia altrui con maggior libertà. Quel che c'è qui, invece, è un film che magari arranca un po' con quel crollo di ritmo della parte centrale, ma che sotto la superficie racconta in maniera meravigliosa il duro impatto con la realtà, il momento in cui il cuore dominato dalla gioia deve decidersi a lasciar spazio alla tristezza, ai ricordi che pian piano svaniscono, a tutto ciò che comporta il processo di crescita, tanto per i piccoli, quanto per i genitori che li osservano con il cuore spezzato. E occhio, perché sulle emozioni questo film gioca duro, quello straziante personaggio che è Bing-Bong mi ha devastato. Meglio avvisare.

L'ho visto al cinema qua a Parigi, in lingua originale, e il cast è quello delle grandi occasioni. La rabbia di Lewis Black, in particolare, è qualcosa di fenomenale. In Italia arriva a settembre, perché d'estate i bambini vanno al mare, mica al cinema. O qualcosa del genere.

19.7.15

Lo spam della domenica mattina: Splat!


Questa settimana sono stato via qualche giorno per questioni irrinunciabili e ho passato praticamente tutto il resto del tempo a tradurre roba dal Comic-Con. Ho comunque cose da segnalare. Su IGN abbiamo tre Rewind Theater (Batman V Superman, Star Wars: Il risveglio della forza e Suicide Squad), mentre su Outcast ci sono il nuovo Outcast Magazine, il Videopep sui giochi di giugno, il nuovo Outcast Popcorn e l'Old! sul luglio del 1995.

Ciao e grazie.

18.7.15

La robbaccia del sabato mattina: Leonardo!


Lo vedete quello con la faccia blu qua sopra? Eh. Sono le foto di X-Men: Apocalypse. Avete visto quanto sono brutte? Vogliamo parlare del fatto che se copri la faccia a Oscar Isaac e lo rendi irriconoscibile ti stai perdendo uno dei motivi per cui è fico avere Oscar Isaac? Ma poi quello è davvero lui? È inguardabile. Ricordiamoci, però, che Quicksilver era inguardabile e alla fine si è rivelato essere la cosa migliore di X-Men: Giorni di un futuro passato.



Dunque, il primo trailer di The Revenant, il nuovo film di Alejandro González Iñárritu in cui questa volta Leonardo Di Caprio magari vai a sapere vince l'Oscar e per cui Tom Hardy ha rinunciato ai soldi di Suicide Squad. Sembra una roba estremamente fica, particolare, originale. Qui è dove faccio presente che Birdman non mi è piaciuto poi così tanto. Così, per far polemica a caso.



Narcos, la nuova serie di Netflix che racconta la guerra contro Pablo Escobar e il cartello della droga di Medellin. Sembra interessante ma basta, davvero, basta, non ce la faccio più, troppa roba, non ce la faremo mai, moriremo tutti.



Joy, il nuovo film di David O. Russell con i suoi amichetti Jennifer Lawrence, Bradley Cooper e Robert De Niro. Sembra il solito macello tutto colorato, folle e pieno di attori che fanno i numeri. Io ci sto, dai.



Show Me a Hero, la nuova serie HBO del creatore di The Wire, con Oscar Isaac, Catherine Keener, Alfred Molina, Winona Ryder, Jon Bernthal e Jim Belushi. You had me at "Oscar Isaac", anche se poi ho letto che ci ha lavorato Paul Haggis e mi sono ammosciato. E comunque basta.



Ieri faceva quasi fresco, qua a Parigi. L'altro ieri si moriva di caldo, qua a Parigi. Oggi come va, qua a Parigi? Non lo so. So, però, che forse oggi vado a vedermi Ant-Man. Così, lo segnalo. Magari a qualcuno interessa saperlo.

 
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