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28.12.12

Gravity Rush


Gravity Daze (SCE, 2012)
sviluppato da SCE Japan Studio - Keiichiro Toyama

Ci sono dei momenti, mentre si gioca a Gravity Rush, in cui tutto funziona a meraviglia, sposti la levetta analogica di un pochetto, inquadri il bersaglio, spari la pedata verso la faccia, muovi un pochino PlayStation Vita per mirare di fino sfruttando il sensore interno e vai a segno in un tripudio di poesia digitale. Tutto è perfetto, tutto torna: è per questo che ho comprato mi sono fatto regalare 'sta console. Eppoi ci sono dei momenti - tipicamente quando ti impunti a strapazzare questa o quella sfida - in cui la corsa degli analogici è quella che è, il sensore di movimento non lo usi perché sei sdraiato storto, la sfida appare impossibile e ti vien voglia di masticare il touch screen. La media dell'esperienza sta nel mezzo, in un sistema di controllo che funziona bene, fa il suo dovere, ma lascia sempre addosso la sensazione che in fondo, eh, qualcosina di un po' scomodo ci sia. E rimane la sensazione che sia un gioco un po' figlio di compromessi, del game designer che si è innamorato delle opportunità offerte dalla nuova console e ha voluto sfruttarle, pazienza se poi non tutto è perfetto. Del resto, Keiichiro Toyama è quello dell'intransigenza di design e della scomodità fatta apposta nel primo e nel secondo Forbidden Siren (e in fondo anche in Silent Hill), che a me son piaciuti da matti, ma in fondo sono appunto testimonianze ben precise di questo modo di fare.

Scomodità (percepita o effettiva) a parte, bisogna comunque dare atto a Gravity Rush di essere un gioco pensato attorno alla macchina su cui gira, e non il semplice riadattamento in piccolo di un format casalingo. Su PlayStation 3, magari, sarebbe stato più impressionante dal punto di vista grafico - e devo ammettere che in certi momenti, quando prova a comunicarmi il suo travolgente senso di scala, ho un po' rimpianto il fatto di non stare giocandolo su un hardware diverso e, soprattutto, su uno schermo più grosso - ma sarebbe stato anche un altro gioco. Migliore? Peggiore? Un altro. Così com'è, è un gioco gradevole, con alcuni momenti molto riusciti e altri un po' tirati per le lunghe, con un sistema di controllo un po' troppo impreciso per le richieste di certe sfide (facoltative, per carità), con un bel sistema di sviluppo del personaggio e un design delle missioni che sfodera qualche asso nella manica nella parte finale, ma tende anche a far fare un po' sempre le stesse cose, in maniera un po' tanto ripetitiva.

Se killer application doveva essere, mah, mi pare un po' deboluccio. Però, in fondo, Gravity Rush è un gioco interessante, che prova a fare cose interessanti, che racconta una storia semplice e prevedibile ma dalla bella atmosfera surreale e che mette in scena uno stile visivo di grande personalità. Il tratto cartoonesco fa venire in mente un certo tipo di fumetto francese, soprattutto con la particolare caratterizzazione di ambienti e strutture, e quella semplice, ma azzeccatissima trovata per visualizzare gli elementi più lontani, a tratti, mozza davvero il fiato. Ci sono tante belle cose, in Gravity Rush, e c'è anche l'apprezzabile sforzo, da parte di Keiichiro Toyama, di staccarsi dallo stile e dalle atmosfere che hanno segnato la sua carriera da director fino a un anno fa. Il risultato non è perfetto, e a tratti mi ha pure un po' smarronato, ma in fondo sono contento che fra i pochi giochi dell'anno che sono riuscito a giocare per puro piacere personale, senza doverne scrivere o parlare da qualche parte, ci sia stato anche lui.

Questo post è stato reso possibile dai ben oltre dieci anni di it.fan.studio-vit. Così, mi andava di dirlo.

27.12.12

Ladyhawke


Ladyhawke (USA, 1985)
di Richard Donner
con Matthew Broderick, Rutger Hauer, Michelle Pfeiffer

Come tanti altri film di quel periodo esteticamente agghiacciante che sta a cavallo fra anni Ottanta e Novanta, Ladyhawk è una roba che per certi versi dovrebbe restarsene chiusa nel magico reame dei ricordi fatati. Perché se ci posi gli occhi e le orecchie sopra oggi, non puoi veramente fare a meno di notare quanto l'estetica sia invecchiata (anche se, tutto sommato, l'ambito visivo è quello che in questo film meno paga certe mode del tempo) e quanto le musiche degli Alan Parsons Project sembrino venire da un luogo tutto sbagliato (e, soprattutto, risultino oggi totalmente fuori posto in quel contesto fantasy). Inoltre, a bonus, col senno di poi e dei tanti anni dopo, Matthew Broderick che si rivolge al Signore anticipando di un anno il Ferris Bueller che rompe il quarto muro è un po' tanto meno divertente e un po' tanto più insopportabile.

Eppure Ladyhawke rimane una favola romantica e deliziosa, talmente romantica e cheesy da diventare adorabile nel suo eccesso, mortalmente triste in quello straziante spunto di partenza, ancora capace di portarsi dietro due o tre passaggi davvero potenti grazie alla travolgente intensità di Rutger Hauer. Eppoi, oh, nel 1985 Michelle Pfeiffer aveva ventisette anni, era bella da far schifo e io, ancora timidamente sotto la decina, mi innamorai perdutamente di questa splendida principessa delle fiabe. Sarà solo per quello, che oggi, quando la rivedo che si leva il cappuccio nel fienile, mi ritrovo ancora senza fiato? Può essere.

Eppure, in mezzo alle maglie della vecchiaia, che indubbiamente il film di Richard Donner mostra, e non solo per la pochezza degli effetti speciali, ancora scorgo ciò che all'epoca mi affascinava. Quel cattivo così sopra le righe, bifido e inquietante. La cazzonaggine di Matthew Broderick, che si sforza un po' troppo di essere simpatico, ma in fondo a tratti ci riesce anche. Il burino Alfred Molina, nell'ennesimo film di quegli anni che “NOOOOOOO, quello era Alfred Molina?!?”. La sequenza notturna fra i ghiacci in cui si sancivano definitivamente rispetto e amicizia. Il meraviglioso senso di cavalleresco che Navarre esprimeva e quel bel momento in cui arrivava a cavallo e convinceva tutti a farlo passare. Quanto mi piaceva, da bambino.

Eppoi la romantica dannazione dei due protagonisti, la disperazione nei loro occhi per gli anni di sofferenza e quell'esplosione di gioia finale , espressa senza parole, solo ridendo e chiamandosi per nome. Mi piaceva da matti, anche questa, di scena. Quell'abbraccio finale espresso in quel modo così intenso, forte, sincero. Mi piaceva da bambino, quando guardavo il film in TV e ci arrivavo a malapena, perché il film era lungo e con la pubblicità si faceva tardi. Mi piace ancora oggi, anche se è cheesy, anche se è preceduto da cose che funzionano e cose che funzionano meno bene. Perché è perfetto così. In fondo, lamentarsi perché un film del 1985 è cotonato sarebbe come lamentarsi perché un film degli anni Trenta è in bianco e nero.

L'ho rivisto qualche settimana fa, per la prima volta dopo una valanga di anni, in un DVD ricevuto in regalo tempo fa e colpevolmente mai guardato assieme a chi me l'aveva regalato. Fra l'altro l'ho guardato per la prima volta in lingua originale. Il DVD è di qualità dignitosa, ma insomma, va benissimo così.

26.12.12

Super Mario 3D Land


スーパーマリオ3Dランド (Nintendo, 2011)
sviluppato da Nintendo EAD Tokyo - Koichi Hayashida

Un paio di anni fa, la sera prima di partire per Colonia e la Gamescom, mi sono ritrovato a casa con Fotone fra le scatole (letteralmente: avevo una casa piena di scatole) e ci siamo messi, come nostro solito, a cazzeggiare, invece di dormire. Nel cazzeggio, si è infilata di prepotenza una poderosa sessione a Super Mario Galaxy 2, durante la quale io giocavo e lui guardava, agitandosi, soffrendo, sudando, imprecando e vivendo il mio dramma umano come e più di me. La sessione era finalizzata alla conquista della duecentoquarantaduesima stella, impresa che ha richiesto ore di tentativi, psicosi assortite e rinuncia al sonno, ma infine ha raggiunto il successo. Ne parlo brevemente, con tanto di video buffonesco, a questo indirizzo qui. Era un raro caso di gioco "importante" da me giocato in maniera quasi tempestiva. E infatti, per dire, Super Mario 3D Land l'ho giocato quest'estate, con quasi un anno di ritardo. L'ho fatto perché, beh, mi sembrava carino ripetere l'esperienza del Mario 3D prima di Colonia. Anche se questa volta l'ho fatto in giro per l'Italia, nel viaggetto relax+pappe post-matrimonio fra Bonassola e Giulianova. Fotone era a casa sua, credo.



E cosa ci ho trovato, in Super Mario 3D Land? Ci ho trovato il solito, strepitoso, divertentissimo, adorabile Mario, che ogni volta che ci metti mano è un piacere totale giocare, per la pulizia, la morbidezza, la semplicità e il godimento dell'esperienza. Certo, ci ho anche trovato la massima esemplificazione di quello che è stato un po' il limite di questo Mario moderno recente, che prova ad accontentare tutti ma risulta sempre un po' troppo "di mezzo", con questa scelta di proporre un primo giro super facile e poi, per chi c'ha voglia, la seconda tornata strappabestemmie (e che comunque, anche con la sua ultima e indubbiamente bastarda prova, non strappa mai le bestemmie come il livello 9-7 di New Super Mario Bros. Wii o come la duecentoquarantaduesima stella di cui sopra). Però, devo dire, in questo caso ho patito il dualismo meno che in altri e soprattutto meno di altri, forse perché rapito da un level design da lingua in bocca e, soprattutto, da quest'esperienza da Mario 3D, sì, però snella, veloce e croccante come si confà al gioco portatile e come il Mario 3D non era mai stato.

Super Mario 3D Land, in fondo, rappresenta il compimento finale di quel processo di ritorno alle origini iniziato, ma non portato fino in fondo, col primo Super Mario Galaxy. L'abbandono della struttura da mondo aperto e intercomunicante nata in Super Mario 64 e il ritorno a una concezione basata su World Map e micro-livelli da affrontare velocemente, cercando la prestazione perfetta e i segreti nascosti. In questo, Super Mario 3D Land, è adorabile e adorabilmente affascinante. E poi lo è anche nelle idee, nel modo in cui il level design sfrutta al massimo le possibilità offerte dalla struttura, per l'appunto, a microlivelli e perfino nello splendido sfruttamento del 3D, una volta tanto reale elemento di gameplay, o quantomeno di esplorazione, con quei cambi di profondità che fanno scoprire segreti o con quelle piattaforme che, se stai giocando ad effetto "spento", non capisci proprio come mai non ti riesca di saltarci sopra. 

Insomma, si tratta di un grandissimo Mario, che mescola l'ariosità, il fascino e la potenza evocativa dei Galaxy con la struttura più inquadrata dei New, tirando fuori un oggettino strepitoso e, ancora una volta, sicuramente criticabile sotto diversi punti di vista (in primis lo "sdoppiamento" di cui sopra) ma che davvero, dopo averlo giocato, spolpato e vissuto fino all'ultimo pixel, come fai a lamentartene? Bene così.

L'ho giocato, come detto, mesi fa, a fine luglio. Ne ho scritto solo adesso perché stavo scrivendo di New Super Mario Bros. U per Outcast e mi ha improvvisamente fatto brutto non aver mai scritto questo post.

25.12.12

Buon Natale!


Orbene, oggi, come tanti, sono impegnato a mangiare come un porco e a digerire come se non ci fosse un domani. Vi saluto quindi tutti e vi auguro dei gran ruttazzi con la deliziosa immagine qua sopra, pescata dalla pagina Facebook del Commodore 64, e con il filmato qua sotto, suggeritomi dal Calcaterra. Burp!



Dimmi te cosa non mi invento per provare a tenere aperta la striscia di post consecutivi, mi riduco perfino a fare gli auguri di Natale. Roba da matti! Comunque non dura.

24.12.12

Zombie Shake


Allora, è successo che hanno confermato The Walking Dead per la quarta stagione, ma Glen Mazzara ha mollato la direzione della serie per divergenza di opinioni. Ora, Mazzara è quello che ha iniziato ad avere una forte influenza sullo show dopo la dipartita di Frank Darabont, vale a dire attorno al sesto episodio della seconda stagione. Vale a dire quando è un po' partita l'impennata qualitativa (fermo restando che a me comunque anche prima, pur con alcuni ma, piaceva). Per cui, insomma, volendo, potrebbe essere pure lecito preoccuparsi.

AMC dice che la scelta è giunta di comune accordo e che sono tutti grati, felici e orgogliosi di quanto fatto. Da entrambe le parti si parla di opinioni diverse su dove la serie sarebbe dovuta andare a parare e in ogni caso i rapporti restano assolutamente buoni, tant'è che il caro Glen se ne resta al suo posto per la postproduzione sulla seconda metà della terza stagione (in arrivo da febbraio).

E la dichiarazione ufficiale di Glen Mazzara, di preciso, che dice? La fa ancora più accomodante, sostenendo che lavorare su The Walking Dead è stato una ficata, ma ormai ha detto quel che aveva da dire e vuole passare ad altro. E, qua, ci si potrebbe vedere un filo di incoerenza: ma non avevate detto che c'erano opinioni divergenti su quel che volevate fare? Se hai detto tutto quel che avevi da dire, che opinioni c'hai, su cosa fare?. In tutto questo, Robert Kirkman dice che vuole bene a tutti, è convinto che alla fine la serie sarà sempre più fica e vogliamoci tanto bene. Insomma, le classiche dichiarazioni che non dicono nulla e, soprattutto, non ci dicono cosa ci sia di tanto diverso nelle rispettive “visioni” sul futuro della serie.

Certo, è bizzarro che una serie dal successo così grande, e in costante crescita, continui ad avere tutti 'sti problemi a livello produttivo. Però, dai, cerchiamo di essere positivi, pensiamo che, in fondo, magari fa bene veder cambiare teste pensanti ogni stagione e mezza. Boh.

Intanto mi sono comprato Dead Island versione GOTY a tipo sei euro grazie ai saldi di Steam.

23.12.12

Apocalissecast


Questa settimana abbiamo pubblicato quelli che, a meno di colpi di scena che manco l'M.Night Shyamalan dei tempi buoni, saranno gli ultimi due nostri podcast del 2012. A questo indirizzo qua, ci trovate il ventiduesimo episodio di Outcast: Chiacchiere Borderline, in cui si parla di tante notiziole, si regalano cose e si riflette su 2012 e 2013.


A quest'altro indirizzo qua, invece, ci trovate il ventottesimo episodio del Podcast del Tentacolo Viola, in cui si chiacchiera di Spike Video Game Awardz, Lo hobbit, un po' di giochini giocati, i diari di Prince of Persia, L'uomo con i pugni di ferro, 7 psicopatici, Young Adult e sicuramente altre cose che adesso non mi vengono in mente ma insomma ci siamo capiti.

E poi si riprende al ritorno dall'Italì, dai.

22.12.12

Opinionismo e pizze in faccia


Due segnalazioni veloci. La prima: dieci mesi dopo l'intervista su Recensopoli, di nuovo qualcuno ha pensato potesse essere interessante darmi voce, pensa te! Il simpatico Filippo Lorenzin ha voluto sentire leggere la mia sul lancio di Wii U e mi ha fatto un po' di domande, che stanno assieme alle risposte a questo indirizzo qua. Lo segnalo in quello scambio di amore, link e controlink che è l'internet moderna.

Già che ci sono, poi, segnalo di essere un pirla ("Old!!!", urlano dalle ultime file). Quando ho pubblicato questo post sui "making of " dei due Karateka, non mi sono minimamente accorto che nel post del blog di Jordan Mechner a cui stavo attingendo veniva detta una roba fondamentale. Quella splendida cosa che risponde al titolo di The Making of Prince of Persia - Journals 1985/1993, di cui ho scritto circa dieci giorni fa, ha un seguito. Anzi, un prequel, a voler ben vendere. Mechner ha infatti pubblicato l'equivalente relativo a Karateka. Si intitola, chiaramente, The Making of Karateka - Journals 1982/1985 e a questo indirizzo ci sono tutte le informazioni del caso. Agevolo di seguito un simpatico filmato pubblicitario che mette a confronto Apple II e Apple iPhone.



Chiaramente ho comprato il libro su Kindle appena me ne sono accorto. Kindle è brutto e cattivo. Ah, stasera parto per l'Italì, dove resterò per una dozzina di giorni. Ci sono concrete possibilità che il blog si fermi di botto. Finché è durato, è stato bello.

21.12.12

Postapocalismo


Parrebbe che siamo ancora vivi e non mi sembra di sentire scosse di terremoto o scorgere palle di fuoco volanti e/o astronavi aliene fuori dalla finestra. Forse (SPOILER!) niente apocalisse. Bene così. Mi sembra comunque d'uopo segnalare tre cose sfiziose a tema. La prima:



Dunque, sì, un film sull'apocalisse in cui degli attori sciamannati interpretano loro stessi alle prese con la fine del mondo. Tre mi stanno molti simpatici, gli altri meno, e ho l'impressione che ci siano alte probabilità di porcheria inguardabile, però magari viene fuori divertentissimo. Il trailer non capisco se mi piaccia, anche se due risate me le strappa. Comunque, The End of the World, in uscita ad agosto 2013, non ho notizie su date per l'Italia. Guardare l'elenco di attori e ruoli su IMDB è straniante. Poi:


La prima immagine di Tom Hardy nei panni di Mad Max, da Mad Max: Fury Road. Ora, su questo film si legge tutto e il contrario di tutto da non so quanto tempo e francamente non ho più ben chiaro quali siano le informazioni ufficiali. Io ero rimasto che sarebbe stato un seguito diretto del terzo episodio, ambientato poco dopo, ma con appunto Hardy a rilevare Gibson (presente in un cameo). Ricordo anche che George Miller parlava di volersi ispirare ad Akira e voler realizzarne pure un videogioco assieme a Cory Barlog (God of War II), ma vai a sapere. IMDB mi dice che le riprese sono terminate e che c'è Charlize Theron nel ruolo di tale Imperator Furiosa, che, così, me la gioco, immagino sia la cattivona di turno. Fra l'altro, si parlava pure del fatto che avrebbero girato due film in fila, col secondo intitolato appunto Mad Max: Furiosa.

Comunque, a Tom Hardy ci voglio bene, quindi approvo, dato che immagino la cariatide di Mel Gibson non fosse adatta per il film che volevano realizzare. Di George Miller mi fido e voglio fidarmi, in fondo i Mad Max li ha diretti tutti lui e i primi due me li ricordo meravigliosi. Certo, il terzo faceva abbastanza pietà e, oltretutto, dopo quello e Le strege di Eastwick (che c'era la Michelle Pfeiffer del 1987 e quindi era bellissimo e basta), ha messo in fila L'olio di Lorenzo, Babe va in città, Happy Feet e Happy Feet 2. Quattro film in ventiquattro anni. E che film, poi! Però, dai, voglio crederci. Davvero! Anche se nel cast c'è Megan Gale! Infine:



In tutta questa ondata di revival, di vogliamoci tanto bene, di gente che si è rotta le palle di lavorare per i grossi publisher e vuole mettersi in proprio a fare i giochini, ecco che rispunta il nome di Black Isle, con un bel sito e un simpatico filmato che chiaramente prendono per il culo tutta la faccenda dell'apocalisse e, altrettanto chiaramente, chiedono i nostri soldi per realizzare un gioco di ruolo come una volta che parla di cose che accadono dopo la fine del mondo e via dicendo. Ora, Black Isle = quelli dei primi due Fallout e di Planescape Torment, quindi ficata, dai. Per di più nel gruppo c'è Chris Taylor, cosa che sicuramente conforta, anche se comunque adesso non potete venirci a raccontare che è la stessa Black Isle di allora, dopo che son dieci anni che ci raccontate che quelli di Obsidian vengono in buona parte da lì. Anche considerando che Tim Cain, uno giusto un pochetto importante, per la nascita di Fallout, sta per l'appunto in Obsidian ed è al lavoro su Project Eternity, quel certo altro progetto fatto di donazioni e nostalgia.

Comunque, il gioco si intitola Project V13. Che però sarebbe un attimino quello che era il titolo provvisorio di Fallout Online. Posso sentirmi autorizzato a non stare più capendoci una sega? Che poi, rendiamoci conto, fra un po' va a finire che con Project V13, Project Eternity e Wasteland il genere dei giochi di ruolo tradizionali più o meno isometrici e vecchio stile si ritrova improvvisamente saturo. Nel 2013. Ma che è?

Questo post l'ho scritto stanotte e l'ho poi messo in pubblicazione automatica. Pensa che figura da pirla, se mi sveglio e sta saltando tutto per aria.

20.12.12

Vai Ralph, spacca


Oggi esce al cinema Ralph Spaccatutto, per gli amici Wreck-It Ralph, un film teoricamente fatto apposta per piacermi da matti, il cui primo trailer mi aveva causato un'improvvisa esplosione di gioia e che poi, a guardarlo, eh, insomma. Mi ci sono perfino un po' annoiato. Comunque, l'ho visto un paio di settimane fa e ne ho scritto su Outcast, a questo indirizzo qua. Chiaramente, poi, oggi escono diverse altre robe, ma ad attirarmi, in particolare, è quella cosa nuova di Ang Lee con la tigre. Solo che qui in Germania, o comunque qua in Germania nel cinema che dico io, arriverà quando sarò in Italia e ho un po' il timore che finirò per perdermelo. Mboh, vabbuò, vediamo.

Comunque andate lo stesso a guardarvelo, il Ralph. Apparte che c'è chi l'ha apprezzato più di me, quindi vai a sapere, mappoi, su, se vi piacciono i videogiochi, è comunque doveroso.

19.12.12

Anna Karenina


Anna Karenina (GB, 2012)
di Joe Wright
con Keira Knightley, Aaron Taylor-Johnson, Jude Law

Da ormai un bel po' di anni, sembra che per portare al cinema un classico della letteratura sia necessario attualizzarlo a tutti i costi, riadattarlo all'era moderna, trasformarlo in una storia di ghetto e guerra fra bande, renderlo insomma appetibile al gusto d'oggidì. E magari infilarci dentro un po' di sano musical, così, per rendere il tutto ancora più estroso e bizzarro. In fondo, questa cosa neanche mi dispiace particolarmente, senza contare che è di moda adesso, ma certo non nasce oggi, ché West Side Story è un film di cinquant'anni fa. Ecco, l'Anna Karenina di Joe Wright non attualizza o modernizza, anzi, ma si distacca comunque di prepotenza da quegli adattamenti classici e rigorosi che tanto piacevano negli anni Ottanta e nei primi Novanta. Lo fa tramite una messa in scena ben riassunta dal poster qua sopra, che piazza eventi e personaggi sul palcoscenico e si diletta in una lunga serie di virtuosismi registici che a tratti, davvero, lascia a bocca aperta. E del resto Wright il talento ce l'ha e l'ha sempre messo in mostra. Pure troppo.

La storia, per quanto magari riassunta e un po' riarrangiata nell'importanza e nella profondità dei vari personaggi, è bene o male quella originale, ma il modo in cui viene raccontata è bizzarro e affascinante. I personaggi sono "veri", inconsapevoli della propria natura di, appunto, personaggi, ma recitano su un palco, ne scendono e ne escono. La vita aristocratica occupa il palcoscenico, mentre i pezzenti, i poveracci e le anime perse stazionano al di sopra o dietro le quinte. E quando i personaggi vanno a teatro, si trovano seduti fra gli spettatori, a osservare la loro vita rappresentata sul palco. Questo spunto diventa il motore dell'intero film, rappresentato con un susseguirsi di splendide trovate visive, fra porte che si aprono e mettono in comunicazione il teatro con l'aperta campagna, modellini di treni che percorrono la steppa, impiegati che timbrano a ritmo di musica e mille altre diavolerie e coreografie. Uno spettacolo, davvero.

A pagarne, però, è il racconto, che appare un po' distante, non riesce a farsi strada fra le maglie della rappresentazione e a raggiungere uno spettatore distratto dalle lucine colorate. D'altra parte, in questo, pesa anche la sceneggiatura di Tom Stoppard, ben scritta come suo solito, ma che sembra essa stessa volersi un po' far da parte, in termini di approfondimento dei personaggi, per lasciare spazio alla maestosità della messa in scena. E così, invece di seguire un racconto potente e ricco di contenuti, ci si trova ad ammirare una serie di figurine monodimensionali che si agitano all'interno di uno splendido libro pop-up. Splendido, ma un po' vuoto, forse.

Fra l'altro, io il libro non lo sfioro dai tempi della scuola, ma dalla regia mi dicono che il racconto perde molto in ricchezza, soprattutto nella figura di Levin, che nonostante la sua apparente natura di comprimario, dovrebbe emergere come personaggio focale. E nel film ce la fa solo fino a un certo punto. Ah, l'ho visto qua a Monaco, in lingua originale, che merita perché c'ha tutto il suo bel parlare british e Jude Law è sempre un attore meraviglioso. In Italia il film arriva a fine febbraio, ovviamente. Ci mancherebbe altro.

18.12.12

L'uomo con i pugni di ferro


The Man With the Iron Fists (USA, 2012)
di RZA
con RZA, Rick Yune, Russell Crowe, Lucy Liu, Dave Bautista, Jamie Chung, Cung Le, Byron Man

La grande domanda del giorno: se sei un inglese/americano madrelingua, The Man with the Iron Fists ti risulta essere un titolo ridicolo e inguardabile tanto quanto quel L'uomo con i pugni di ferro che sta là sopra? Io il dubbio un po' ce l'ho, anche se poi rimane il fatto che alle spalle c'è tutto un discorso di abitudine "culturale" a un certo modo di far titoli. Sta di fatto che, se IMDB non mente, il film di RZA uscirà a fine febbraio in Italia con quel titolo lì, e, dai, una volta tanto, apprezziamo la fedeltà, tanto più che la sensazione trash restituita da questa traduzione è assolutamente coerente con lo spirito trash del film. Già, perché RZA, che è uno che c'ha una cultura sui film d'arti marziali dall'estremo oriente talmente ampia che ti ci senti preso a schiaffi, ha fatto un po' quel genere di operazione che tipicamente ci aspettiamo da Quentin Tarantino (che del resto "presents") e da suoi amiconi del calibro di Robert Rodriguez ed Eli Roth: "C'è questa cosa che mi piace tantissimo, la faccio pure io". Il problema è che il caro RZA non è Quentin e non è Robert (al massimo si potrebbe discutere del suo essere Eli).

The Man With the Iron Fists, infatti, è un film bruttarello, scarso nel ritmo, per nulla appassionante, che prova a mettere nei panni dell'eroe senza macchia quel faccia di sale che faceva il cattivo nel primo Fast and Furious e risulta francamente impacciato e trash un po' oltre quelle che sono le sue evidenti intenzioni. È anche un film che è difficile non prendere in simpatia, per carità, perché la passione, l'amore sincero e il rispetto per il genere si percepiscono pulsanti in ogni fotogramma, perché c'è un approccio alla violenza allo stesso tempo viscerale e buffonesco, perché è evidente che tutti si stanno divertendo come matti e perché, via, come fa a non starti simpatico uno che prende, dirige il film d'arti marziali dei suoi sogni, ci si infila nei panni dell'eroe cupo e silenzioso e organizza una scena in cui si mena con un Batista d'ottone?

Purtroppo, però, le cose non funzionano mica tanto bene. Da un lato, c'è il problema che la maggior parte degli attori appare un po' fuori ruolo, non tanto nella recitazione (Russell Crowe e Byron Man, in particolare, si mangiano tutti gli altri con le loro sbracate... anche se non ci vuole molto a mangiarsi quegli altri), quanto nell'azione, che, tolta quella bella coreografia di gruppo centrale al ristorante, non è niente di che. E lo stesso gran bordello finale a quattro vie lascia il tempo che trova, bello più nella concezione che nei fatti e con le mazzate fra RZA e Batista in grado di spiccare più per demeriti degli altri che meriti loro. Del resto, se il film ti mette da una parte la panza di Russell Crowe che si agita a caso, dall'altra due incapaci che neanche fan volare un pugno e in mezzo l'unico atleta davvero spettacolare sprecato contro Lucy Liu che arranca aiutata dal montaggio, ci vuole poco a vincere, quando tiri pizze di ferro a una faccia d'ottone (e manici di scopa). Ed è un peccato, perché poi, fra specchi, fumi, colori, effetti speciali e fiotti di sangue, oltre all'affetto, all'amore e alle citazioni, RZA ci mette pure qualche bell'immagine. Ma forse non è abbastanza. O forse sì. Magari uno s'accontenta anche.

Il film l'ho visto qua a Monaco, in lingua originale, circa tre settimane fa. In Italia, come detto, dovrebbe arrivare il 28 febbraio. Dubito col doppiaggio ci si perda molto, al di là di Russell Crowe che gigioneggia e di RZA che non si capisce niente quando parla.

17.12.12

Star Trekking


Allora, è uscito un nuovo trailer, o teaser trailer, o quel che caspita è, di Star Trek into Darkness, che agevolo qua sotto e ci guardiamo assieme.



Visto così, non mi sembra aggiunga molto a quello della settimana scorsa, soprattutto considerando che il momento di bromance col vetro in mezzo sul finale l'avevamo già visto nell'edizione giapponese di quello là (ah, il bello dell'internet). Mi sembra che si continuerà a picchiare su Kirk come personaggio che deve imparare a gestire la sua spocchia e il suo spirito da cacazibetto, perché poi c'ha addosso la responsabilità di un equipaggio e magari della galassia intera. In tutto questo, Sherlock Holmes continua a giurare che il suo personaggio non si chiama Khan e, boh, vai a sapere se è una pantomima sullo stile di quelle portate avanti da Marion Cotillard e Joseph Gordon-Levitt in preparazione a The Dark Knight Rises. Certo è che è inutile raccontarsi fregnacce: l'immagine delle mani col vetro in mezzo di cui sopra l'hanno messa nel trailer per un motivo solo e sappiamo quale. Il resto, immagino, lo scopriremo a tempo debito.

"Tu non lo sai, ma io avevo previsto tutto"

Va però detta una cosa: le mani che nel trailer si piazzano sui due lati del vetro sono accompagnate da una manica verde e una azzurra. E c'è questa foto qua sopra. Quindi, a salutarsi con affetto, parrebbero essere Sherlock Holmes e Spock, invece che, come nella famosa scena che ci vogliono far venire in mente questi furbetti, Kirk e Spock, . Oppure è tutto un gran prendere per il culo. Boh? Mi sento molto nerd. Al di là di questo, spero sinceramente che questa immagine qua sopra non ci stia svelando che Star Trek into Darkness è l'ennesimo film in cui il cattivo decide di farsi catturare apposta perché così poi glie la mette in quel posto ai buoni. Aiutatemi, oltre a questo e quest'altro (cliccate a vostro rischio e pericolo, anche se in entrambi i film la cosa è telefonatissima), ce ne sono stati altri, solo quest'anno?

Dai che maggio non è lontano, sempre che non si muoia tutti fra quattro giorni. 

Monkey Island, considerazioni da vecchio barbogio


Negli ultimi giorni si è parlato un po' di Ron Gilbert che, stimolato dall'acquisizione di Lucasfilm da parte di Walt Disney, vorrebbe farsi avanti per recuperare i diritti su Monkey Island (e perché non pure su altre cose, dai!). Che sicuramente è una prospettiva intrigante. Anche se, francamente, io preferirei che la serie fosse e rimanesse morta e sepolta. Dubito lo farà, ma mi piacerebbe molto. I primi due episodi sono e rimangono due fra le robe a cui sono maggiormente legato in assoluto, a cui associo alcuni fra i miei ricordi più piacevoli di videogiocatore e che nel mio cuoricino ci resteranno per sempre. Sono pietre miliari. Punto. E stanno benissimo così, come stanno, nel loro perfetto microcosmo composto da una storia che si apre e si chiude in maniera meravigliosa. Non c'è mai stato bisogno di seguiti. Eppure ce ne sono stati tre. E io, con quei seguiti, ho tre problemi grossi grossi grossi.

1. Lo SBAGLIO di The Curse of Monkey Island, che ha completamente stravolto la caratterizzazione innanzitutto visiva, ma in larga parte anche caratteriale, dei personaggi. Quei Guybrush, Elaine e LeChuck non sono quelli veri. Sono altri personaggi. E questa cosa, purtroppo, è rimasta negli episodi successivi.

2. Lo SBAGLIO di The Curse of Monkey Island, che ha provato a spiegare e a razionalizzare il finale di LeChuck's Revenge con quel suo orrendo prologo, stuprando una cosa che era perfetta e da lasciar stare. Quel finale lì è uno fra i più belli nella storia dei videogiochi, chiude meravigliosamente bene il racconto, omaggia con affetto la fonte d'ispirazione della serie tutta ed è, semplicemente, bellissimo. Poi, certo, è ovvio che se devi realizzare un seguito ti devi pur inventar qualcosa, ma prendere la faccenda di petto in quel modo e trattarla in quel modo è stato veramente brutto. Specie, poi, visti i risultati.

A conti fatti, alla luce dei due SBAGLI, The Curse of Monkey Island, per quanto mi riguarda, più che un seguito è stato quasi un reboot, tanti anni prima che questa parola diventasse di moda, e in fondo va pure bene, perché la cosa mi aiuta a considerare la serie divisa in due tronconi distinti e che poco o nulla hanno a che vedere l'uno con l'altro (non che serva molto aiuto, per riuscire a farlo). E d'altra parte non credo sia un caso, se i due SBAGLI non sono stati commessi e poi perpetrati dagli autori originali della serie.

3. Gli episodi venuti dopo LeChuck's Revenge vanno dal mediocre al simpatico. Che va pure bene, per carità, mica si deve sempre pretendere il capolavoro, possono comunque essere godibili e ci sono porcherie ben peggiori. Però, ecco, metterli nello stesso mucchio con quegli altri due, che capolavori sono e rimangono, mi fa un po' senso.

Al di là di tutto, comunque, il fatto è che a me non attira particolarmente, l'idea di Ron Gilbert e Tim Schafer che si mettono al lavoro su un nuovo Monkey Island, perché, ripeto, la serie è perfetta così com'è, con quei due episodi, che si concludono meravigliosamente bene e non necessitano d'altro. Mi attira molto di più l'idea di Ron Gilbert e Tim Schafer che si mettono al lavoro su una nuova avventura grafica, cosa che per altro è successa. E nel mio mondo ideale, Ron Gilbert acquisirebbe i diritti al solo scopo di non far uscire mai più un seguito. Poi, certo, se deve per forza esserci un nuovo Monkey Island, meglio che se ne occupino loro due. Possibilmente ignorando prendendo pesantemente per il culo gli episodi successivi al secondo.

A proposito di avventure grafiche, sto giocando il prequel di The Book of Unwritten Tales e non mi sembra affatto male. Bene.

16.12.12

Quel maledetto Outcast


A oltre un anno da quando abbiamo cominciato a chiacchierarne per la prima volta, a tanti mesi da quando ne abbiamo registrato metà per poi veder svanire il file come lacrime su un hard disk, a tre mesi da quando è saltata una registrazione perché Fotone è finito al pronto soccorso, a due mesi da quando abbiamo detto "Dai, è uscito Dishonored, è il momento buono", abbiamo finalmente pubblicato la Monografia dedicata a Deus Ex. Un parto? Un calvario? Mboh? Comunque, tre ore e spiccioli dedicate all'intera saga e a robe tangenti. Trovate il tutto a questo indirizzo qua.

Nella settimana entrante si registrano Outcast: Chiacchiere Borderline e Il Podcast del Tentacolo Viola. Poi pausa per le feste, eh, che ce la meritiamo.

15.12.12

Wolverazzo



Fica, questa cosa qua sopra, vero? È una versione in movimento del nuovo poster di The Wolverine, seconda pellicola dedicata all'X-Man più maschio di tutti, che racconterà del passaggio in terra nipponica del  nostro canadese preferito. Alla regia, James Mangold, dopo che la produzione ha fatto sapere a Darren Aronofsky che un'ora e mezza di Hugh Jackman ripreso alle spalle da una camera a mano non era esattamente quel che avevano in mente. E che avevano in mente? Bella domanda. Il film è ormai sostanzialmente completato, immagino sia in post-produzione, e arriverà al cinema a luglio 2013 (non ho notizie sull'Italia). Curiosando, sono capitato su questa sessione di domande e risposte con Mangold e Jackman condotta da un discreto nerd e risalente a ottobre.



Non è che si scopra molto, a parte il fatto che Mangold, come me, vorrebbe avere il potere di controllare la capoccia delle altre persone, e che The Rock ha dato a Hugh Jackman un po' di consigli sulla dieta da seguire e gli esercizi necessari per farsi i muscolazzi giusti. Il film, come è facile immaginarsi, si ispira a quella bella miniserie quasi omonima firmata da Chris Claremont e Frank Miller, che come punto di partenza buttalo. La differenza principale, almeno da quel che si sa, sta nella collocazione temporale: invece di dirci che i giri in Giappone fanno parte del passato di Logan, si passa al futuro, con il film che sarà ambientato dopo la trilogia degli X-Men di Bryan Singer, con il gruppo smantellato, l'amore perso come lacrime nella polvere, un po' tutto andato a mignotte e Wolvie in depressione dura. E si parla di un racconto realistico, crudo, violento, rabbioso, pieno d'azione, senza le esagerazioni sopra le righe del precedente film. Insomma, tutte le cose che sanno essere quelle giuste da dire. Se poi siano vere, lo scopriremo.

Ganzo anche 'sto poster, eh?

Il film è stato girato in tre mesi, per un paio di settimane in Giappone, per esempio a Tokyo e a Tomonoura, ma anche a Sydney, quindi a casina di Hugh Jackman. Gli attori, tolti Hugh, una russa a fare Viper e una vociferata partecipazione di Famke Janssen, sono tutti con gli occhi a mandorla e ci saranno tutti i personaggi che, conoscendo i fumetti, è lecito aspettarsi da una storia di Wolverine in Giappone. Ammetto che mi sta venendo un po' di voglia. Quantomeno stanno dicendo e mostrando tutte le cose giusto. Boh.

Si avvicinano le feste e presto me ne partirò per l'Italia, con conseguente crollo nella frequenza delle pubblicazioni qua sul blog. Però, dai, sono comunque orgoglione di questa lunga striscia di post quotidiani.

14.12.12

Lo hobbit: Un viaggio inaspettato


The Hobbit: An Unexpected Journey (USA, 2012)
di Peter Jackson
con Martin Freeman, Ian McKellen, Richard Armitage e una banda di nani e guest star

Allora, mettiamo per benino le mani avanti. Non sono un fan di Tolkien, non conosco a memoria libri e mitologia, non c'avevo la bava alla bocca per questo film. Lo stesso genere fantasy non mi scatena erezioni, pur comunque incuriosendomi sempre, fosse anche solo perché non è che di film di questo tipo se ne vedano poi molti. Sta di fatto che, a parte la roba di Tolkien, ho letto un po' di Conan, un paio di Shannara, Lei, qualche librogame, il ciclo di Elric, svariati Discworld e sicuramente altro che ora non mi viene in mente (ah, mi sono ammorbato coi primi due volumi italiani delle cronache che sappiamo di Martin e ho mollato lì). I libri di Tolkien, appunto, li ho letti e amati molto. Ma millenni fa, da adolescente. Il signore degli anelli durante un'estate abruzzese in cui non avevo nulla da fare e ho letto quello e It, per un totale di ben oltre duemila pagine, nel giro di due settimane scarse. E dell'anellide ho un gran bel ricordo, nel senso che proprio ricordo grande passione e divertimento, oltre a una forte malinconia sul finale. Però non ricordo nulla di preciso, giusto qualche lampo (Tom Bombadil, il ragno gigante... ) e fine. Lo stesso vale per Lo hobbit  e Il Silmarillion, dei quali ricordo anche meno (giusto la gara di indovinelli). Anche perché non li ho mai riletti, non per scarso gradimento, ma perché è davvero raro che io rilegga un libro.

Eppoi ci sono i film, altra faccenda su cui è meglio mettere le cose in chiaro per evitare equivoci. Per qualche motivo, nonostante quanto detto sopra, attendevo la trilogia di Peter Jackson con la bava alla bocca. Magari perché fino ad allora il Peter non mi aveva mai deluso. Magari perché ero affascinato dalla portata dell'operazione. Sta di fatto che La compagnia dell'anello sono andato a guardarmelo in zingarata automobilistica con degli improbabili compari a Zurigo, in lingua originale, quando ancora in Italia non era arrivato. E mi è piaciuto tantissimo. E l'ho rivisto all'Arcadia. E l'ho rivisto nell'edizione estesa su DVD, che mi è piaciuta molto. La zingarata si è ripetuta per Le due torri. Che però mi ha frantumato violentemente le palle. Ci ho messo un po' a rendermene conto, perché il mio cuore faceva a pugni col mio cervello e gli diceva "no, non è possibile, è sicuramente bellissimo pure questo", e invece no, mi sono proprio spaccato i maroni. M'è piaciuto un po' di più quando l'ho rivisto in DVD in versione estesa, but still. Infine, Il ritorno del Re. A cui non ho regalato la zingarata. Me lo sono guardato all'Arcadia, mi sono spaccato i maroni, mi sono imbarazzato su diversi passaggi che ho trovato piuttosto brutti e mi sono anche infastidito sui centododici finali. Non ho mai comprato l'edizione in DVD.

Un'istantanea dal quarantaduesimo finale.

Ed è insomma con questa base qua, di assoluto apprezzamento, ci mancherebbe, per la portata dell'operazione, di amore sconfinato per La compagnia dell'anello e di "sì, bel lavoro, peccarità, ma insomma" per gli altri due, che mi sono avvicinato al primo film di questa nuova trilogia. In ogni caso molto incuriosito, perché alla fine rimane una produzione assurda e affascinante, perché Peter Jackson comunque buttalo, anche se Guillermo Del Toro mi intrigava, e per tutta la faccenda dei 48 FPS. E poi, certo, anche con in testa il tormentone del "ma come si fa a trasformare un libro di trecento pagine in tre film da tre ore?". Eh, beh, una risposta a questa domanda non ce l'ho, perché comunque, come detto, il libro me lo ricordo appena, però, così, a istinto, mi verrebbe da dire che questa volta, invece di tagliare, ci hanno infilato tutto tutto tutto, e, come l'altra volta, si sono messi a riarrangiare la struttura narrativa per molti versi poco cinematografica, ad aggiungere elementi inediti, a infilarci cose pescate dal resto della mitologia tolkeniana. E, bonus, a schiantarci dentro le guest star dei "vecchi" film, in modo da tracciare un qualche filo conduttore che renda l'intera saga ancora più compatta e unita. E il risultato, oh, mi è piaciuto, mi ha divertito e non mi ha mai annoiato. Non siamo ai livelli di La compagnia dell'anello, eh. Ma se "mi ha divertito e non mi ha mai annoiato", sicuramente lo ritengo superiore agli altri due.

Chiaramente tutta l'operazione è frutto di una qualche forma di compromesso, dato che i toni del libro - almeno per quel poco che mi ricordo - sono molto più da fiaba e non è quindi banalissimo riuscire a raccontarlo mantenendosi coerenti col taglio epico dell'altra trilogia. In questo senso aiuta molto la caratterizzazione un po' buffona data a Gimli e in generale la capacità di sapersi prendere un po' in giro che emergevano a tratti nei vecchi film e che un po' facevano storcere il naso ai tolkeniani integralisti: è chiaro che, partendo da quella base, se racconti di un hobbit che se ne va in giro con tredici nani, beh, un po' di umorismo e dei toni che alternano momenti intensi e drammatici ad altri molto leggeri ci possono stare bene. Probabilmente, però, il risultato farà ancora più storcere il naso agli integralisti di cui sopra, perché un film che ti dà la sensazione di appartenere alla trilogia de Il signore degli anelli, in linea di massima, è un film che non è fedele per tono, taglio, atmosfera, a Lo hobbit. Anche al di là di tutte le considerazioni su quel che hanno cambiato, aggiunto, tolto, pescato magari da Il Silmarillion o inventato di sana pianta.

Inoltre, in termini di sforzo per creare un corpo unico con l'altra trilogia (e "unico" pure nel valutare la portata di tutto il baraccone), si è fatto un discreto lavoro anche nel ricucire i fili, inserendo qua e là questa o quella guest star. E, certo, a tratti si ha un po' l'effetto name dropping, specie in quella scena centrale in cui fanno tutti "cucù", ma il risultato è che sembra davvero di stare guardando un film girato assieme agli altri, invece che nove anni dopo, complici anche il buon lavoro sull'estetica dei personaggi "di ritorno", la bella, emozionante - e dal riciclo un po' più giustificato del solito - colonna sonora di James Horner e la presenza di un regista unico che comunque fa il suo (l'impressione è che Del Toro sarebbe stato ottimo per realizzare un Lo hobbit molto più fiabesco, e magari anche molto "suo", ma non per ottenere questo risultato qua). Il problema, casomai, è che forse ci si è spinti un pochino troppo in là nel voler dare questo tono di familiarità. Perché, diciamocelo, un po' appare bizzarro che ad accompagnare lo zio di Frodo ci siano, guardacaso, il mago Gandalf, un nano un po' burbero, un nano che tira le frecce e il capo nano più atletico, fico, intenso e dal passato drammatico degli altri e coi capelli e la barba ganzi. Ma alla fine va pure bene.

Al di là di tutto questo, il film è bello, ha un paio di passaggi magari un po' forzati, ma anche diversi momenti emozionanti, della bella azione e attori tremendamente in parte. Martin Freeman è uno splendido, splendido Bilbo ed è fra l'altro davvero credibile come versione giovane di Ian Holm. Ian McKellen è delizioso come sempre, soprattutto perché può divertirsi a interpretare un Gandalf un po' più spensierato e simpatico di quello visto in gran parte dell'altra trilogia. Richard Armitage riesce ad essere l'Aragorn (nano) della situazione senza farsi schiacciare dalla cosa, anzi, trovando anche una sua identità. Il racconto va via bene, si concede il lusso di accennare anche a tematiche interessanti, col confronto fra l'hobbit "pantofolaio" e i nani nomadi privati di una patria, e, sebbene ci siano appunto alcuni momenti poco riusciti, si parla di tre ore scarse che mi sono volate via come un soffio, divertendomi, emozionandomi e lasciandomi spesso a bocca aperta. E la scena fondamentale del confronto fra Bilbo e Gollum, quella che proprio non potevano sbagliare, è splendida e perfetta. Insomma, per me, vince.

E in quell'angolo ci mettiamo un altro po' di fotogrammi.

E poi ci sarebbe la faccenda dei 48 FPS. Il primo impatto è davvero straniante, c'è poco da fare. E, soprattutto, è qualcosa che non siamo abituati a vedere al cinema, quindi è anche un po' inevitabile che scattino le associazioni istintive con altro. Il problema è che "altro" finisce per forza per essere qualcosa che abbiamo visto in TV. Se va "bene", magari, è lo sport in HD. Se va male, viene in mente la fiction squanfida, la telenovela brasiliana o il poliziesco tedesco (e nelle parti con tanta computer grafica sembra di stare guardando l'introduzione di un gioco Blizzard... fra l'altro quanto computer, mi sembra proprio più che nell'altra trilogia, purtroppo). Ma non è una questione di estetica cheap, è proprio una faccenda di fluidità del movimento ed effetto bizzarro, strano, nuovo, non da cinema (perlomeno non da come il cinema ci è stato mostrato fino a oggi). Questo non significa che sia brutto, e fra l'altro può pure essere che dopo venti film guardati in questo modo non risulti più strano, ma rimane il fatto che adesso strano è, strano al punto di diventare una cosa a cui fai caso. E se fai caso a come si sta vedendo il film, non stai pensando al film, cosa che per alcuni potrebbe essere un problema. Col passare dei minuti (e delle ore), la cosa l'ho abbastanza assimilata e mi ci sono abituato, anche se ogni tanto emergeva ancora, e un po' mi veniva da pensare ai televisori a 100 hz e agli LCD con gli  schifosi effetti video digitali attivi. Di sicuro, comunque, si nota tanto sugli attori, sulle inquadrature da vicino, sui movimenti degli esseri umani, molto meno sulle panoramiche. Ah, visto che leggo in giro di nausea è disorientamento, puntualizzo che non mi ha dato alcun fastidio "fisico", però devo anche dire che a me nemmeno il 3D dà fastidio, mentre molti ne escono col mal di capoccia.

Dopodiché, che vantaggi ci sono? Il movimento stra-fluido è poi alla fine bello da vedere? Non saprei. Quel che posso dire è che si tratta di un film visivamente spettacolare, con una profondità di campo e una vastità nelle panoramiche che fanno spavento, un 3D ricco, convincente, davvero bello e soprattutto "naturale", privo di scie o problemi nella messa a fuoco. E anche un po' meno scuro del solito. È tutto merito dei 48 FPS o è solo perché ci hanno lavorato bene? Non lo so, non sono un tecnico, però, ecco, di sicuro, si tratta di un 3D che non dà fastidio perché sembra quasi vero. Non saprei spiegarlo meglio, quindi neanche ci provo. Ad ogni modo, penso valga la pena, potendo, di guardarselo così. Fosse anche solo per la curiosità.

I 48 FPS non riescono però a nascondere gli anni in più nella voce di Ian McKellen.

Comunque una cosa mi incuriosisce: questo qua, nella mia percezione, è un film come un altro. Cioè, è un grosso film in uscita quest'anno, per carità, ma non è assolutamente l'evento che fu l'apertura della trilogia originale. Ma neanche per sbaglio. È solo perché i due film successivi non mi sono piaciuti molto e, magari, per altri è un nuovo avvento del cristo tolkeniano? Immagino di sì.

13.12.12

OH MIO DIO


Ero lì tutto bello preso che stavo scrivendo il mio post su Lo Hobbit: Un viaggio inaspettato, e mi stava venendo bello lungo perché mi ero messo a divagare e sarebbe stato complicato riuscire a completarlo oggi epperò mi sarebbe dispiaciuto non pubblicare qualcosa oggi e comunque Lo Hobbit, dai, e stop. All'improvviso mi spunta il Castelli su Trillian che mi fa presente che sarebbe uscito il trailer di Pacific Rim.



Allora. Un attimo che respiro.

Dicevo. Allora, innanzitutto va chiarita una cosa fondamentale: se questo film l'avesse diretto Michael Bay o Zack Snyder, questo stesso trailer mi avrebbe comunque gasato, ma insomma, boh, beh, sai mai. Solo che guardarlo mentre nel cervelletto ti roteano le parole "Guillermo", "Del" e "Toro" è tutta un'altra faccenda e mi fa salire una fotta che adesso c'ho bisogno di fare una doccia fredda, fare due giri di corsa attorno all'edificio e poi fare una doccia calda altrimenti muoio congelato. Non è solo il film coi robot giganti dal design assolutamente giapponese però fatto da degli occidentali con Idris Elba che li pilota e arringa la folla urlando "Today we are canceling the apocalypse!!!" e poi la voce di GlaDOS che parla dentro i robot e poi i robot che saltano e cascano e sfondano e tirano le pizze in faccia ai mostri giganti giapponesi con gli occhi luminosi usciti dai portali dimensionali sotto terra e c'è tutta quell'aria molto figa e sporco-elegante e guarda perfino il DDDAAAAAANNNNN dei trailer post-Inception c'ha un suono un po' storto che mi rende possibile non esserne infastidito. Il fatto è anche che tutto questo è diretto da Guillermo Del Toro. Dai, su.

Ieri è anche uscito il nuovo trailer del nuovo G.I. Joe ma francamente chi se l'incula. Già meglio il poster del nuovo Wolverine con la spada. Lo agevolo.


12.12.12

Super Snyder


E allora, eccoci qua. Dopo i due teaser che facevano pensare tanto tanto al caro, solito, vecchio Superman di Richard Donner e Bryan Singer, solo un po' più imbruttito perché così si pretende dalla DC post-Nolan (peccato nessuno avesse avvisato Martin Campbell), sono arrivati il poster qua sopra e il primo trailer. Ed entrambi mostrano e dicono cose su Man of Steel / L'uomo d'acciaio, il rilancio del kryptoniano in calzamaglia che, dice, sarà il primo film di un simpatico gruppetto a tema Justice League of America. Ma ne parliamo, per l'appunto, dopo il trailer.



Allora, io, sia nel poster che nel trailer, ci leggo un po' una forte voglia di dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Ma giustamente, eh! Mi sembra un trailer che dice fortissimo due cose ben precise a due gruppi di persone ben diversi, anche se magari si intersecano pure. Da un lato, la gente a cui frega sotto zero di Superman e dei fumetti, sia quelli che si ricordano i film vecchi, sia quelli nati l'altro ieri. A questi si sta dicendo che - innanzitutto - il film non si intitola Superman, esattamente come il Batman che ha fatto veramente il botto non si intitolava Batman. Poi, gli si sta dicendo "Christopher Nolan" e "Zack Snyder quello di 300 e Watchmen, non di Sucker Punch, no no, sul serio, ti confondi, dev'essere un omonimo". E in generale, gli si mostra una roba "gritty", adulta, in cui voleranno anche due o tre pizze, ci saranno effetti speciali e, sì, c'è un cretino in pigiama e mantello, ma è depresso, ha la barba, è sporco e ci sono i soldati.

Allo stesso tempo, però, si sta parlando anche a quelli che invece Superman lo conoscono davvero e lo amano. E gli si sta dicendo che, guarda, OK, non stiamo per buttare fuori quella specie di remake-amarcord che aveva fatto Singer, però comunque c'è il rispetto per il personaggio, il tono epico, i suoi tratti fondamentali, il rapporto con la famiglia, la malinconica difficoltà di essere unico, diverso e fuori posto sulla Terra, la voglia di scoprire il proprio passato di nome Krypton, quello stesso passato che ti insegue e viene a tirarti le pizze in faccia, il semi-dio che potrebbe piallare brutalmente il pianeta e sceglie invece di abbassarsi al livello di chi lo circonda fino al punto di farsi mettere in manette e, diciamocelo, anche un velocissimo sguardo alla prospettiva di uno scontro spettacolare fra Superman e Zod, che ai tempi di Christopher Reeve e Terence Stamp non era proprio possibile mettere in scena in questa maniera.

A me, tutto sommato, un pochino di fotta è venuta, perché comunque il trailer se la gioca bene, perché tutte queste cose elencate qua sopra mi intrigano e perché poi Michael Shannon ed Amy Adams. Certo, sappiamo perfettamente che i trailer sono trailer, possono raccontarti tutto e il contrario di tutto, ma poi bisogna vedere cosa realmente sarà il film. Lo scopriremo a giugno.

Intanto oggi vado a vedermi il nano maledetto di Peter Jackson, all'unico spettacolo da qui a due settimane in cui non era prenotato ogni singolo centimetro quadrato del cinema.

11.12.12

Finalmente Oblivion al cinema!


Allora, finalmente abbiamo un trailer per l'attesissimo film tratto dalla saga di The Elder Scrolls. Mi pare un po' bizzarro che abbiano scelto di basarsi su Oblivion, che ormai c'ha i suoi anni, e non su Skyrim, che è l'episodio del momento, ma, ehi, magari è una questione di tempistiche di lavorazione. Protagonista Tom Cruise, che, correggetemi se sbaglio, torna per la prima volta al fantasy dai tempi di Legend, un film che non si capisce mai se sia bello o brutto, ma in fondo è stato diretto da Ridley Scott quando ancora era uno che dirigeva come se fosse sceso dal Regno dei Cieli a spiegarci il verbo, per cui così brutto non poteva certo essere. Il problema della presenza di Tom Cruise è che tende a magnarsi l film, rendendo qualsiasi cosa faccia un film di Tom Cruise a cui incidentalmente ha lavorato altra gente e che parla sicuramente di qualcosa, ma chi se lo ricorda, c'è Tom Cruise. Di buono c'è che quando attacca a recitare alla sua maniera, agitandosi e mettendocela tutta, mostra più animazioni lui in cinque minuti di quante se ne siano viste in vent'anni di The Elder Scrolls. Comunque, guardiamoci 'sto trailer.



OK, no, avevo male interpretato, chiaramente non è un film tratto dalla serie Bethesda. È invece la versione "live action" di Wall-E, con Tom Cruise nel ruolo del nano (eh... ) robotico e Morgan Freeman in quello di Eve. No? Nemmeno? Allora, forse, considerando il teatrino Casa Vianello fra Tommaso e Andrea "Cortana" Riseborough, si tratta del tanto atteso adattamento cinematografico per la saga di Halo. Anche se mi pare un po' bizzarra, questa scelta di levare l'armatura a Master Chief. Cioè, che Tom Cruise possa interpretare personaggi alti il doppio di lui ci è stato già detto col trailer di Jack Reacher, ma l'armatura, dai. No, dev'essere un'altra cosa. Tipo il film ufficiale di Apple, con le astronavi ispirate agli scarabocchi fatti da Steve Jobs sul letto di morte?

Ad ogni modo, sembra bello, no? Il regista è Joseph Kosinski, uno a cui hanno messo in mano una cosetta studiata a tavolino per replicare trent'anni dopo e con inevitabilmente troppo fascino in meno una cosetta costruita a tavolino e che ne ha tirato fuori una cosetta, sì, ma comunque una cosetta gradevole, a tratti spettacolare e tutto sommato un po' troppo criticata in nome della nostalgia per i tempi in cui si stava meglio, o forse peggio, o forse molto più cotonati. Ed è anche quello che ha diretto lo spot Mad World per Gears of War, che buttalo. Il trailer, al di là del fatto che tutto quello che si vede è già stato visto da qualche altra parte, e al di là anche del fatto che il remake di Total Recall mi ha reso antipaticissima questa fantascienza tutta "slick", mi ha discretamente gasato. Dove "discretamente" sta a indicare il fatto che non mi sono messo a correre per strada ribaltando le macchine, ma "gasato" sta a indicare il fatto che sono comunque molto curioso di guardarmelo. Eppoi, dai, la nostalgia per com'era la Terra prima che venisse distrutta è sempre gradevole e dalle facili emozioni. Esce in tutto il mondo ad aprile, speriamo bene.



In tutto questo, comunque, il bello è che siamo tornati a quei tempi fantastici in cui dagli iuessei arrivavano sempre i film a coppie. Al cinema e nelle grosse produzioni, intendo, non con le folli versioni pezzenza della Asylum. Dopo Volcano e Dante's Inferno, dopo Armageddon e Deep Impact, dopo Robin Hood con l'accento del New England e Robin Hood con quell'attore che ho già visto ma non mi ricordo come si chiama, ecco Oblivion e After Earth.



Eh, beh, che dire, potenzialmente sembra pure interessante, anche se l'accoppiata Smith & Smith non è che mi faccia fare i salti di gioia. Magari è pure la volta che Shyamalan torna a fare un gran bel film, vai a sapere. Divertente, comunque, questo fatto che stavolta il twist ce l'ha messo direttamente alla fine del trailer, per fare prima. Vedremo. A giugno, per la precisione.

Volevo solo aggiungere che stanotte ho preso la quinta stella a New Super Mario Bros. U e ci ho messo due ore di troppo perché non riuscivo a capire cosa mi mancasse e infine mi sono reso conto che a furia di cercare uscite segrete c'era un livello da cui ero uscito solo attraverso l'uscita segreta e non avevo mai usato quella normale. Virgola. Vorrei inoltre aggiungere che nel nuovo trailer di Tomb Raider Lara ha recuperato l'accento brit e io sono molto contento. Punto.

10.12.12

Cloud Atlas


Cloud Atlas (USA/Germania, 2012)
di Lana Wachowski, Andy Wachowski, Tom Tykwer
con Tom Hanks, Halle Berry, Jim Broadbent, Hugo Weaving, Jim Sturgess, Doona Bae, Ben Whinshaw, Hugh Grant e un po' di altra gente

A un primo sguardo viene spontaneo pensare che Cloud Atlas sia una grossa produzione hollywoodiana, un film dei Wachowski a cui ha partecipato Tom Tykwer. In realtà, poi, guardi più in profondità e ti rendi conto che in fondo hanno ragione i miei concittadini, qui a Monaco, a considerarlo un film tedesco in tutto e per tutto. Una produzione fuori dagli schemi del grosso cinema iuessei e che, probabilmente, in quel contesto tradizionale non sarebbe riuscita ad avanzare oltre tutti i vari problemi e si sarebbe arenata in qualche pantano produttivo. O, comunque, non avrebbe potuto diventare il film che è, certamente sontuoso nella messa in scena e trainato da volti famosi, ma proprio al di fuori delle logiche di certi blockbuster, incapace di servirti la pappa pronta e tenerti sempre sull'attenti con una scena d'azione ogni cinque minuti, concentrato sul raccontare quel che vuole raccontare, come lo vuole raccontare, in barba a tutto il resto. Insomma, non è probabilmente sbagliato considerare Cloud Atlas, alla sua paradossale maniera, una produzione indipendente. Ed è sicuramente giusto parlarne come del primo vero colossal di stampo hollywoodiano prodotto da queste parti, fermo restando che, certo, senza i Wachowski e senza Tom Hanks, probabilmente non l'avremmo mai visto. Ma, al di là di queste chiacchiere, che cos'è Cloud Atlas?

È l'adattamento cinematografico del romanzo omonimo di David Mitchell, che, lo dico subito, ho comprato su Kindle cinque minuti dopo aver visto il trailer del film ma, per un motivo o per l'altro, ancora non ho letto. Il romanzo racconta sei storie diverse, che in qualche maniera si intrecciano fra loro pur essendo tutte ambientate in epoche separate. Mitchell, nello scrivere, ha adottato una divisione dei capitoli simmetrica (o circolare? o quel che è), partendo dalla storia ambientata nel 1850, avanzando poi con quelle successive (1931, 1975, 2012, 2144) e arrivando al capitolo centrale, ambientato nel futuro più remoto, attorno a cui si compie il giro di boa per poi procedere a ritroso, ripercorrendo le epoche precedenti fino a tornare al punto di partenza. Il film segue un approccio diverso: i Wachowski e Tykwer si sono divisi i sei racconti, due a testa, e li hanno girati cercando di mantenere un filo conduttore stilistico omogeneo, per poi amalgamare gli episodi fra loro, portandoli avanti contemporaneamente, in un montaggio alternato che salta continuamente da un'epoca all'altra, in una maniera magari un po' incasinata, ma perfettamente comprensibile. Il risultato è un continuo inseguirsi di cliffhanger, racconti abbandonati e poi ripresi, che ha il pregio di mescolare fra loro in maniera assolutamente elegante episodi più e meno riusciti senza costringere a subirsi mezz'ora di un racconto poco interessante nella speranza che il successivo risulti più gradevole. Fermo restando che, sì, ci sono alti e bassi, ma alla fine fatico a indicare un episodio davvero mal riuscito.

Ma soprattutto questa organizzazione narrativa rende più leggibile un sottotesto di ciclicità degli eventi, che sembra parlare di reincarnazione e di ineluttabilità del proprio destino, con uomini e donne che in ogni epoca rivivono le stesse vite e ripetono gesti, azioni, scelte morali sempre coerenti, seppur con l'unica eccezione di un personaggio la cui vita appare indissolubilmente legata a quella della sua anima gemella e alla possibilità di incontrarla o meno. Un discorso che del resto si riflette anche nella scelta degli attori, con tutti i membri del cast principale presenti in ogni episodio, a interpretare ruoli dai volti e, spesso, anche dall'importanza radicalmente diversa, con Tom Hanks che magari qui è protagonista, là fa da personaggio di supporto, in un'altra epoca ancora è semplice comparsa (eppoi così si risparmia sul cast, ché già il film costa di suo).

Ma al di là di tutto questo, di nuovo, che cos'è Cloud Atlas? È un gran gran bel film, che riesce a coniugare un eccellente senso dello spettacolo, della scoperta, della sorpresa, della meraviglia, con la voglia di raccontarsi in una maniera particolare e complessa ma, tutto sommato, pienamente comprensibile senza grosse difficoltà. È uno spettacolo capace di sorprendere quasi dal primo all'ultimo minuto, impiegandone fra l'altro 171 che scorrono via senza uno sbadiglio o una distrazione e che per il primo paio d'ore mi hanno lasciato a bocca spalancata e salivazione azzerata, completamente rapito da quel che stavo osservando. È anche un film che, sì, racconta alcune storie più belle e interessanti di altre, ma riesce a non fartelo pesare. E cala magari un po' nella mezz'ora conclusiva, in cui riesce però a chiudere con grazia centomila discorsi aperti. E non era semplice. Ed è anche un film che dice cose belle, intense e toccanti, magari non originalissime, ma comunque raccontate in maniera sincera e sentita. È, insomma, il filmone che vuole essere.

E di cosa parla, Cloud Atlas? Non ve lo dico.

Il film l'ho visto qua a Monaco, in lingua originale. È decisamente un film da guardarsi al cinema per farsene sommergere, anche se non ci si deve certo aspettare una valanga di azione e spettacolo sci-fi come dai precedenti film dei Wachowski. Le stesse scene ambientate nel futuro di Neo-Seoul, su cui comprensibilmente il trailer spinge per attirare, sono molto misurate e poco spettacolari, nonostante, volendo, si prestassero a ben altro trattamento. Ad ogni modo: cinema, per favore. Abbiate pazienza e aspettatelo al cinema. Aggiungo che, potendo, è davvero da guardare in lingua originale, per gustarsi non solo le interpretazioni, ma anche i diversi modi di parlare che si evolvono nelle epoche, compreso quel bizzarro linguaggio utilizzato nel futuro più remoto, che in italiano perderà per forza d'impatto, in qualsiasi modo decidano di giocarsela.

9.12.12

Battlestar Galactica: Blood & Chrome #9/10



Battlestar Galactica: Blood & Chrome #9/10 (USA, 2012)
creato da David Eick e Michael Taylor
diretto da Jonas Pate
con Luke Pasqualino, Ben Cotton, Lili Bordán

E con una svolta che ci avevano telefonato già da un paio di settimane, ma che comunque ha il suo bell'impatto una volta vista in scena, si conclude questo Battlestar Galactica: Blood & Chrome, una miniserie che ha un po' girato in tondo, ma tutto sommato ha raccontato un episodio gradevole nella storia del Galactica moderno e, soprattutto, ha fatto bene il suo dovere, presentando uno scenario affascinante e, anche con quella cosetta che si vede sul finale, di bella prospettiva per sviluppi futuri. Sempre nel caso in cui dovesse diventare una serie vera e propria. E sempre con ben in mente il fatto che, quando ci si mette a pasticciare su queste cose, è un attimo sbracare e creare dei gran casini di continuity.

Però, tutto sommato, mi piacerebbe si andasse avanti. Perché in fondo Pasqualino Adama non è malaccio e vederlo trasformarsi piano piano nel ruvido Edward James Olmos potrebbe essere sfizioso. Perché le basi poste qui raccontano di possibili sviluppi interessanti per un periodo di quell'universo narrativo che ci è stato più volte suggerito e brevemente mostrato, ma mai raccontato per intero. E poi, perché, per uno che si diverte con gli intrecci di continuity come il sottoscritto, l'idea di veder spuntare prima o poi le versioni giovani di questo o quel personaggio di Battlestar Galactica non è affatto male. Insomma, dai, incrociamo le dita. E se poi non dovesse andare in porto, poco male: ci siamo comunque visti una miniserie gradevole.

Bene, e adesso che son finiti questo e The Walking Dead, che faccio?

8.12.12

Making and Remaking Karateka (1982-2012)


Di recente è uscito su Xbox Live Arcade, poi è arrivato su PC, presto sarà anche altrove, il remake di Karateka. Io, prima di giocarmelo per recensirlo su IGN, mi sono andato a recuperare l'originale, grazie alle magie dell'emulazione, e ho trovato una roba invecchiatissima e oggi poco proponibile, ma che conserva comunque un fascino tutto particolare. E che è poi troppo intrigante per il modo in cui mostra già in maniera fin troppo chiara i semi di quello splendido albero che nascerà poi con Prince of Persia.

In Outcast Magazine #21, a questo indirizzo qua, ho parlato di entrambe le versioni del gioco, mentre per IGN ho scritto la recensione del remake (e sta a questo indirizzo qui). Riassumendo, posso dire che il remake mi è piaciuto, e mi è fra l'altro piaciuto molto, più di quanto mi sembrasse in un primo momento. Cose che capitano. Che piaccia o non piaccia il remake, comunque, qua sotto ci sono quattro bei filmati, pescati dal blog di Jordan Mechner, in cui si fa un po' di "dietro le quinte" sulla lavorazione dei due Karateka, l'originale e il remake.

Nel saltare fra passato e presente, si vedono i filmati del rotoscoping effettuato per Karateka, si ascoltano gli interventi di Jeff Matsuda, John August e Christopher Tin, si vede il padre di Jordan Mechner al pianoforte mentre viene raccontato il suo apporto alle musiche del Karateka originale, si mostrano i prototipi del gioco, si fa un parallelo fra le difficoltà dell'epoca e quelle attuali e si va anche a parlare di Prince of Persia e The Last Express, mostrando cose piuttosto sfiziose. Insomma, guardateveli, che sono belli, brevi e molto interessanti.



Vi ricordo fra l'altro che i diari di Prince of Persia sono una meraviglia da leggere per forza.

7.12.12

Lupi e lupetti al cinema


Ieri sono usciti in Italia un po' di film, però io ne scrivo oggi perché ancora non mi sono tarato su questa cosa delle uscite al giovedì, quando me ne sono reso conto avevo già pubblicato il post sul trailer di Star Trek into Darkness senza la virgola e, insomma, mi fa comodo avere questa cosa facile da pubblicare oggi. Perché ormai ci ho preso gusto, alla storia di impegnarmi a metter fuori un post al giorno, anche breve, anche inutile. E quindi oggi parliamo dei film in uscita, più che altro per segnalare che di un paio ho scritto mesi fa, quando sono arrivati nelle sale del mondo civilizzato.

Trattasi di Moonrise Kingdom e The Grey. Il primo l'ho visto a giugno ed è un film di Wes Anderson, con tutto quel che ci si aspetta da un film di Wes Anderson. A me, un po', Wes Anderson fa innervosire, però Moonrise Kingdom mi è piaciuto. Ne ho scritto a questo indirizzo qua. Il secondo l'ho visto a marzo ed è un film di Joe Carnahan, senza tutto quel che ci si aspetta da un film di Joe Carnahan. Nel senso che è bello e non ci sono carri armati che si lanciano da aerei in volo. Ne ho scritto a quest'altro indirizzo qua.

Eppoi sono chiaramente uscite anche altre cose, un paio pure piuttosto interessanti, ma non le ho viste, non ne ho scritto e quindi che devo fare?

Ieri sono andato a farmi un double bill un po' schizofrenico: Ralph Spaccatutto e Anna Karenina. Del primo, anche noto come Wreck-It Ralph, ho scritto oggi su Outcast. A questo indirizzo qui.

 
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