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30.7.11

Players #7


Mercoledì è uscito il settimo numero di Players, la rivista digitale che parla di qualsiasi cosa. Circa un mese dopo mercoledì, sarà possibile leggerla gratuitamente. Adesso, invece, se la legge solo chi ha scucito il grano, cosa che fra l'altro permette di godere anche di altre incredibili featurez. Ovviamente adesso se la legge anche chi fa l'echer. Ci mancherebbe. Link.

Su questo numero i miei fan possono leggere una recensione di Polisse, un film francese abbastanza bellino che ho visto alla rassegna milanese di Cannes, e una recensione di Nemesis, simpatico fumetto a firma Millar/McNiven che fra l'altro ho intravisto su uno degli ultimi Anteprima e immagino sia quindi uscito o stia per uscire pure in Italia. Questa volta niente amicici, però. Credo.

La nuova formula non mi ispira il doppio spam, quindi da adesso segnalo il nuovo numero solo qua, senza farlo anche dall'altra parte. Ho aspettato oggi a farlo perché una volta tanto che mi coglie il sacro fuoco e scrivo un po' di post, beh, mi pare brutto rinviarli solo per fare dello spam. E mi piace rimanere sui ritmi da un post al giorno, perché non vorrei allargarmi troppo. Ah, segnalo che martedì è stato reso disponibile il numero 6 in versione pezzenza.

29.7.11

Buffy l'ammazzavampiri - Stagione 3


Buffy the Vampire Slayer - Season 3 (1998/1999)
creato da Joss Whedon
con Sarah Michelle Gellar, Nicholas Brendon, Alyson Hannigan, Anthony Head, Charisma Carpenter, David Boreanaz, Seth Green, Eliza Dushku, Harry Groener


La terza stagione di Buffy è quella che mette forse più palesemente in scena la metafora di fondo dell'intera serie, su cui un po' tutto il racconto, dall'inizio alla fine, si basa. Le difficoltà della crescita, del cercare il proprio ruolo nel mondo, di sconfiggere il destino infame e di sbocciare, novelle e meravigliose farfalle, scavandosi il proprio cammino al di fuori dal tristo bozzolo che circonda la nostra adolescenza. Insomma, roba da ragazzetti, che del resto erano il target principale della serie. Non che ci volesse un genio, a decidere di puntare forte su quest'aspetto nell'anno in cui i protagonisti delle storie si devono diplomare, ma tant'è.

Un anno di cambiamenti, insomma, che proietta tutta la serie in una seconda fase più adulta (si fa per dire), da cui nasce il serial parallelo dedicato ad Angel, e dove si fa un po' piazza pulita di molte faccende messe sul piatto in precedenza, senza ovviamente rinunciare a porre le basi per gli sviluppi futuri. Chiaramente la presenza della gemella malvagia Faith - altra metafora di quelle sottiline - è il massimo emblema di questa attenzione al tema della crescita, delle scelte, della ricerca di una propria identità. Per quanto - o forse proprio grazie al fatto che è - interpretata dall'insopportabile Eliza Dushku, Faith è un personaggio che funziona a meraviglia e si infila perfettamente nel cast della serie.

Rispetto all'anno precedente, si spinge con meno forza sul pedale del melodrammatico romanticismo, ma pregi e difetti sono molto simili, a cominciare dalla struttura a episodi autoconclusivi, che per lunghi tratti impedisce alla serie di decollare davvero, soprattutto per manifesta assenza di un cattivo carismatico. Il Sindaco Mengacci è un gran personaggio, e anche a rivederlo in azione continua a farmi schiantare dal ridere, ma rimane in disparte troppo a lungo e solo nella seconda metà di stagione inizia davvero a mostrare il suo potenziale.

Rimane però costante anche il bello spirito trash e dissacrante (tanto quanto la seconda stagione, questa terza si apre sostanzialmente liquidando in due mosse tutto il DRAMMA COLOSSALE della precedente), cui si accompagna la voglia di sperimentare con singoli episodi fuori dagli schemi e ricchi di idee particolari. Comincia poi a prendere definitivamente piede quel meccanismo adorabile in base al quale sono spesso gli episodi più scemi, bizzarri, demenziali a scatenare conseguenze anche fortissime e in grado di ripercuotersi molto a lungo sulla continuity della serie.

Per esempio l'assurdo Band Candy, oppure Lovers Walk, che fra l'altro mette bene in mostra, col temporaneo ritorno di Spike, quanto in quella prima metà manchi davvero un cattivo di carisma, o ancora i due malinconici episodi dedicati alla Willow vampira e la divertentissima The Zeppo. E se alcune svolte narrative appaiono forse un po' forzate, magari obbligate dal dover preparare i cambiamenti dell'anno successivo, ancora una volta il crescendo finale è da antologia, con una serie di episodi che si collegano l'un l'altro in una maniera splendida, fino a giungere a quell'emozionante scena del ballo di fine anno e alla spettacolare doppia puntata conclusiva, che chiude tutto con una fiammata. Termina una fase nella vita dei protagonisti, se ne apre una tutta nuova, frizzante, sbirulina e piena di robe fantastiche in arrivo.

La serie l'ho vista tanti begli anni fa e rivista verso la fine dell'anno scorso, entrambe le volte grazie al fetido cofanetto DVD. La visione in lingua originale è giusto un attimino consigliata, vuoi per il livello medio bassino di doppiaggi e adattamenti per 'sto telefilm, vuoi perché comunque le sceneggiature sono un florilegio di battute, doppi sensi e riferimenti pop che sarebbero andati in larga parte persi anche se ad occuparsene fosse stata gente in grado di farlo. Five by five.

28.7.11

La città verrà distrutta all'alba (2010)


The Crazies (USA, 2010)
di Breck Eisner
con Timothy Olyphant, Radha Mitchell, Joe Anderson, Danielle Panabaker


Non ho mai visto (o non ricordo di aver mai visto, che poi fa lo stesso) l'originale di George Romero, quindi mi interessa ancora meno del solito interrogarmi su quanto questo remake lo rispetti nello spirito, nella trama, nelle idee, nelle citazioni piene d'amore. Preso da curiosità, ho appena dato una letta alla scheda su Wikipedia e ho scoperto che, da bravo horroretto dei primi anni '70, era molto più violento, stronzo, pessimista, senza speranza e "muoiono tutti e comunque chi si salva non fa una gran bella fine" rispetto al remake. Non che avessi molti dubbi al riguardo, però così me li sono tolti, e mi sono fra l'altro anche sputtanato qualsiasi possibile sorpresa potesse darmi l'originale se mai lo guarderò. Ma tanto non lo guarderò mai. E comunque lasciamo perdere che mi sono incartato.

Dicevamo. Com'è, questo film, senza aver mai visto l'originale? Beh, è un sorprendentemente solido horroretto dei nostri tempi. Pulito, semplice, diretto, non si perde in troppe chiacchiere, non ci pensa manco per sbaglio a buttare nel mucchio il sottotesto politico che sicuramente l'originale di Romero ha (in realtà non lo so, ma visto il soggetto e visto che stiamo parlando di Romero, beh, lo darei per scontato). Ha un inizio di gran bell'impatto, un ritmo che non ti molla mai, un protagonista - Timothy Olyphant - che ha un po' la faccia da bambino scemo imbronciato ma gira e rigira finisce per piacermi in qualsiasi cosa faccia, non gioca più di tanto sui BUH improvvisi facili facili e alla fin fine diverte in maniera liscia e ben fatta per tutti i suoi centouno minuti.

Insomma, di sicuro, se ti piace il genere, non ti penti di averlo guardato. Certo, poi magari ci si può anche interrogare sulla sua mancanza di ambizioni, sul suo limitarsi a fare solo il compitino preciso e nulla più. Però, oh, non dev'essere poi così facile farlo bene, il compitino, se la maggior parte degli horror recenti che hanno provato a fare la stessa cosa hanno finito per fare completamente schifo. Da guardare sul laptop durante un viaggio in treno va più che bene, dai, specie se vuoi darti una botta d'ottimismo la sera in cui stai tornando a Milano dopo due giorni al mare. Anche se al posto di Joe Anderson ci avrei visto bene Norman Reedus con una balestra. Ma non si può avere tutto.

Il film l'ho visto in lingua originale, ma insomma, non è che urla e schiamazzi cambino molto. Però l'audio in presa diretta fa sempre una bella scena, quando c'è da creare atmosfera. Il titolo italiano è assurdo, però in fondo è lo stesso del film originale, quindi che gli vuoi dire? Fra l'altro chi s'è inventato 'sto titolo è un genio. "Come lo intitoliamo?" "Che ne dite di una descrizione del finale?" "Grande!"

27.7.11

The Walking Dead prossimi venturi (3 di 3)


Quando Robert Kirkman ha chiuso la lunga saga di The Walking Dead dedicata alla permanenza nella prigione, beh, ha affrontato un momento non proprio dei più semplici. Si trattava di porre fine a un racconto che, di fatto, aveva definito la serie, trasportandola di botto dallo status iniziale di “uah, ma figata!” a quello di “oddio, ma è un capolavoro!”. E non bastasse questo, dalla prigione ce ne siamo andati con addosso un'ansia, un fiatone, un'agonia, un magone pazzeschi, grazie a un crescendo finale che levati. Le palle strizzate, i brividi lungo la schiena, il sudore sotto le ascelle, i peli tutti ritti. La meraviglia! E poi?

E poi non è facile, perché devi quasi ripartire da capo, specie dopo una svolta narrativa di quel genere, del resto non casuale. Devi trovare qualcosa che non deluda delle aspettative insostenibili e magari, già che ci sei, alzare pure la proverbiale asticella, perché non si sa mai. Per dire, Berserk, da una situazione sostanzialmente identica (inizio intrigante ma non convincente fino in fondo, poi lunga saga meravigliosa, poi, ehm, che facciamo?), è uscito in maniera rovinosa, andando completamente a catafascio e trasformandosi da “oddio oddio ma quanto è bello sto male ne voglio ancora!!!” a “ma quando finisce?”. Ormai con Berserk siamo entrati in quella zona “Dylan Dog attorno al numero cento, un po' prima, un po' dopo” in cui vai avanti a leggerlo per inerzia, abitudine, affetto, chiedendoti costantemente perché lo fai, dimenticandoti della sua esistenza fra un numero e l'altro, senza trovarci più nulla di interessante, al di là di quella vagamente morbosa voglia di sapere come andrà a finire.

Ecco, The Walking Dead, una delle serie più potenti manifestatesi nel decennio scorso (e sarà un caso se fra le altre c'è Invincible, altra creatura del Kirkman? Ovviamente no), stava in quella situazione lì, correva quel rischio lì. E i momenti dell'immediato post-prigione, quelli del decimo paperback, un accenno di quell'aria l'hanno pure fatto respirare. E un po' temevo. E un po', se vogliamo, è anche successo, perché così come l'utlimo degli sfigati della Squadra dei Falchi può guardare dall'alto in basso tutti i personaggi apparsi successivamente in Berserk, beh, una gran parte di chi si è manifestato dopo la prigione in The Walking Dead mi sembrava avere poco mordente.

Ma in verità era solo risacca, acqua che si trascinava via stancamente dopo il maremoto. Bisognava tirare il fiato, era inevitabile. Poi ha ripreso tutto a funzionare per benino, le cose si sono accumulate pian pianino, i personaggi hanno iniziato a crescere in maniera subdola e costante, come è proprio delle grandi opere seriali, ed ecco che, improvvisamente, siamo ritornati a quelle belle sensazioni di adorabile stillicidio, in cui a ogni pagina che volti hai paura per la tua stessa vita.

Ecco, è più o meno con questo stato d'animo che aspetto di leggere il quattordicesimo trade paperback di The Walking Dead, che ho ordinato un paio di giorni fa su Play.com (me l'hanno spedito ieri, mi arriverà nel 2013). Sta per andare di nuovo tutto a mignotte, è evidente, e sono troppo curioso di scoprire in che modo il Kirkman saprà nuovamente ribaltarmi le budella. Anche se, non so, ho come l'impressione che si rischi comunque, da un momento all'altro, che il tanfo di morto e stantio si trasferisca dagli zombi alla storia. Quanti altri luoghi di speranza da raggiungere, render propri e veder poi sbriciolarsi sotto i propri piedi potranno trovare Rick Grimes e chi gli sta attorno? Quanti altri personaggi riusciranno a sostituire degnamente quelli che sono venuti prima, senza risultare patetici e superflui? Si arriverà al punto in cui il Kirkman avrà addirittura il coraggio di far fuori Rick per rilanciare da zero la serie? O magari per concluderla? Boh?

Non ne ho idea, e sinceramente manco me ne frega troppo. Fino a che sborsare quella decina di euro ogni tot mesi significherà procurarmi dosi di piacere purissimo ed emozioni forti, continuerò serenamente a farlo. E poi vediamo come va a finire.

Per chi fosse interessato e non sapesse, The Walking Dead è una serie a fumetti mensile – nei classici albetti da venti pagine circa – che esce negli USA da un po' meno di otto anni. Da un annetto è partita anche una ristampa, The Walking Dead Weekly, che ripropone gli stessi identici albetti, dal primo numero, con cadenza settimanale. In più esistono diverse ristampe in volume. La primissima versione, quella che seguo io, è costituita da raccolte brossurate che includono sei albetti ciascuna. A seguire, sono uscite sempre nuove versioni, in volumi sempre più grossi e lussuosi, da dodici, ventiquattro e addirittura quarantotto albi l'uno. L'edizione italiana, curata da Salda Press, riproduce fedelmente i trade paperback da sei albetti l'uno, ma esce con un ritardo allucinante rispetto agli USA. Ed è in italiano. Pick your poison.

26.7.11

The Walking Dead prossimi venturi (2 di 3)



Questo qua sopra è il trailer della seconda stagione di The Walking Dead. Ora, calma e sangue freddo: un trailer non fa e non deve mai fare testo. Sappiamo benissimo che anche la peggiore porcheria può sembrare roba di spessore grazie a un trailer montato ad arte. Senza contare che, spesso, i trailer ti mostrano tutte le scene migliori. E poi ti guardi il film e scopri che non c'è altro. Insomma, relax. Però, oh, a me questo trailer l'ha fatto venire barzotto.

Son passati quasi otto mesi dalla trasmissione della prima stagione e, se provo a lanciare verso l'infinito il cervello, le sinapsi e quel che resta della mia memoria ridotta ai minimi termini, i ricordi che mi rimangono addosso sono pochi ma chiari. Innanzitutto ricordo una serie fatta di notevoli alti e bassi, e penso che il non essere riusciti a mantenere una qualità costante su appena sei episodi è una roba abbastanza triste. Però, complessivamente, mi rimane in testa il pensiero di una gran bella cosa, che ha avuto degli alti pazzeschi (il primo episodio, la seconda metà del terzo, l'avvio e la parte finale del quarto, la splendida prima parte del quinto... momenti intensi, emozionanti, da pugnetto chiuso e occhi spalancati).

E poi ricordo quella bella sensazione di stare sostanzialmente seguendo una rilettura "un po' diversa" di The Walking Dead, in cui le stesse cose vengono narrate di nuovo, ma da una prospettiva diversa. Il bel giocare con le aspettative di chi ha letto il fumetto (ah, la scena nel bosco!), il rielaborare in maniera diversa o più approfondita personaggi e situazioni, il voler dare più spazio e sostanza a Shane (ma che bello l'inizio della sesta puntata!), la capacità di raccontare la stessa roba, mentre racconti in realtà altro, mantenendo intatto lo spirito. E anche il fatto che quello spirito abbia generato qua là qualche caso di situazioni che magari nel fumetto ci sarebbero anche state bene, ma in un telefilm ti lasciano perplesso. Sì, dai, i sudamericani.

Il tutto, comunque, ruota attorno a una chiarissima sensazione di "ne voglio ancora".

E questo trailer cosa dice, a uno che "ne voglio ancora"? Dice tutte le cose giuste, perché questa è gente che ne sa e sa come organizzare queste robe. Dice innanzitutto tanto senza dire quasi nulla. Un po' come i miei post. A occhio, racconta giusto le premesse del primo episodio, ma vai poi a sapere quanto queste premesse si trascineranno. Mette in mostra velocemente i temi che già erano emersi l'anno scorso, punta forte forte il piede sul pedale del lirismo e dell'atmosfera, organizza un bel crescendo e dà l'idea di una roba emozionante. Parte con Shane in guai grossi, e se sai quel che sai ti chiedi se si stia parlando di quel momento là. Fa vedere Daryl Dixon in sella a un chopper. E chiude pensando proprio a te, che sai quel che sai, mostrandoti al volo quel che, avendo letto il secondo volume, ti aspetti di vedere nella seconda stagione.

Meglio di così, giusto se ci mettevano dentro anche Michonne.

Cliccando su "Zombiepep", là in alto, si va a una pagina con elencate varie cose, fra cui i post che ho scritto dopo la visione di ogni singola puntata della prima stagione. Casomai interessasse. Che poi, dato che mi sono comprato il Blu-Ray, presumo prima o poi me lo guarderò e ne scriverò ancora. Fra l'altro, quando sarà ora di ottobre, che farò? Tornerà di scena l'autocontrollo, o mi lascerò acchiappare dall'ansia e mi metterò a seguirlo di nuovo un episodio alla volta? Per sei puntate ancora ancora, ma farlo per tredici settimane non è che mi faccia impazzire, come idea. Uhm.

25.7.11

The Walking Dead prossimi venturi (1 di 3)


Questa qua in cima è la prima foto resa disponibile da Telltale Games relativa a The Walking Dead, un altro dei circa centododicimila progetti basati su questa o quella licenza che hanno in cantiere. Io a Telltale, in potenza, dovrei volerci solo bene. Perché portano avanti un genere che mi piace e mi ha dato tanto. Perché ripescano classici che ho amato (Sam & Max, Monkey Island, ora pure King's Quest), perché realizzano giochi basati su licenze a cui sono legato (Bone, Back to the Future, Jurassic Park, The Walking Dead, Fables), perché mostrano indiscutibili passione e amore per i loro progetti, oltre che rispetto per chi è venuto prima (il commento di Gilbert-Grossman-Schafer per Monkey Island II, il tentativo di far lavorare Roberta Williams su King's Quest, il coinvolgimento di Bill Willingham su Fables). Insomma, brava gente. Il problema è che la loro roba non mi piace.

In realtà non mi va troppo di giudicare, perché ho giocato davvero troppo poco delle loro produzioni, però la prima stagione di Sam & Max non mi ha entusiasmato, i remake di Monkey Island mi paiono stilisticamente agghiaccianti e il primo episodio di Back to the Future mi ha fatto talmente pietà da sconfiggere la mia mania di portare a termine quel che inizio e convincermi ad abbandonare lì la serie. E la demo di Jurassic Park che ho provato alla GDC non mi ha esattamente scatenato un'erezione. Insomma, non ci siamo.

Eppure, sarà che sono un inguaribile ottimista, sarà che sull'argomento sono vittima facile, sarà quel che sarà, questa foto qua sopra mi regala vibrazioni positive. Intanto mi piace la scelta stilistica. Ultimamente s'è fatto un gran parlare (in negativo) dello stile adottato da Digital Extremes per The Darkness II. Io l'ho visto da vicino, ho osservato le tecniche e gli studi che ci stanno dietro, ci ho giocato un po' e lo trovo al contrario molto efficace, pungente e adatto a quelle atmosfere, anche grazie al fascino del contrasto. Poi, chiaro, può non piacere, ma questo è per dire che non vedo assolutamente come sbagliata a prescindere la scelta "fumettosa" per un gioco che vuole avere atmosfere lugubri e inquietanti. Anche perché, fra l'altro, se la mettiamo in quest'ottica, si potrebbe discutere parecchio anche dei disegni del The Walking Dead a fumetti.

E insomma, cacchio, quest'immagine qua magari è menzognera, magari non rappresenta a dovere il gioco che verrà fuori, magari boh, però a guardarla, a guardare quelle linee nette, a guardare quello stile dei volti non molto distante da quello di Adlard, a guardare quell'uso dei colori, a pensare che magari poi il gioco in movimento avrà quella faccia lì, oh, un po' l'erezione mi viene. E non è esattamente qualcosa che mi aspettavo, sulla base della grafica messa in mostra da uno qualsiasi dei giochi citati in precedenza. Poi, chiaro, c'è da vedere come verrà fuori, quanto sarà efficace la storia, se le meccaniche saranno intriganti. O anche se ci saranno, delle meccaniche, vista la piega che han preso ultimamente le produzioni Telltale. Ma insomma, il soggetto di partenza sembra perlomeno efficace e l'idea dell'avventura grafica che offre al giocatore poteri decisionali su svolte chiave, specie in un contesto da pressione forte come quello dell'apocalisse zombi, è sempre positiva. Magari va bene. Io voglio crederci.

Galvanizzato da questa foto e dal trailer della seconda stagione del telefilm, stavo scrivendo un post per chiacchierare di entrambe le cose e già che c'ero pure del fumetto. Ma mi è venuto lungo, e allora facciamo che lo spezzo in tre. Ci si rilegge domani.

22.7.11

La famiglia Savage


The Savages (USA, 2007)
di Tamara Jenkins
con Laura Linney, Philip Seymour Hoffman, Philip Bosco


Appena un paio di giorni fa ho scritto di un piccolo film che racconta di piccole cose mettendo in scena personaggi semplici e realistici. Ecco, questo piccolo film qui fa le stesse cose, meglio, con due attori pazzeschi per cui stravedo e senza tirare in ballo amori dannati e melodrammi esistenziali esasperati. La famiglia Savage è una semplice semplice commedia drammatica che parla di esseri umani alle prese con la morte, i sensi di colpa, il rancore represso, il difficoltoso rapporto con la famiglia.

Lo spunto di partenza è quanto di più semplice e banale possa capitare nella vita di un fratello e una sorella, che si ritrovano alle prese con un padre vecchio, stanco, rompicoglioni e rincoglionito, costretti ad accudirlo e per questo a confrontarsi con i fantasmi del passato. Dietro la facciata di due persone intelligenti, colte, di successo, si nascondono infatti due bambini che ancora portano addosso i segni del difficile rapporto col loro padre. E che ne vivono le conseguenze tutti i giorni, in ogni ambito della loro vita, a cominciare dalla maniera disastrosa in cui si risolvono le loro relazioni sentimentali.

Da questo materiale, Tamara Jenkins (che il film se l'è pure scritto, e bene) tira fuori un racconto piacevolissimo, intenso, divertente, che non sfocia mai nel dramma forzato e che si ciba a pieni bocconi dei suoi strepitosi interpreti. Una di quelle robe che passano inosservate e che dopo due anni non si ricorda praticamente più nessuno, a parte io che ce l'avevo fra le bozze di Blogger. Ed è un peccato!

Anche questo l'ho visto circa quattrocento anni fa, durante un viaggio in areo per andare chissà dove. Sta cominciando a divertirmi, questa cosa di scrivere di film guardati nel pleistocene. Ah, lingua originale, attori bravi, blablabla.

21.7.11

Poliziotti fuori


Cop Out (USA, 2010)
di Kevin Smith
con Bruce Willis, Tracy Morgan, Guillermo Diaz, Sean William Scott


C'è stato un momento della mia vita in cui ero abbastanza nettamente un fan di Kevin Smith. Mi piacevano più o meno tutti i suoi film, trovavo motivi d'interesse anche nei meno riusciti, mi divertiva la sua comicità, godevo della scelta di inserire tutto in un universo comune, mi beavo delle apparizioni e riapparizioni dei vari attori, sapevo che esisteva una versione dal doppiaggio edulcorato di Chasing Amy, avevo visto e rivisto Mallrats, non m'era dispiaciuto Jersey Girl, apprezzavo molto la sua chiacchierata con Stan Lee e riuscivo a difendere perfino Jay & Silent Bob Strike Back. Oh, mi sono pure guardato la serie a cartoni animati di Clerks (ancora meglio: ho il cofanetto in DVD). Insomma, mi piaceva proprio. Nulla di male, per carità, in fondo a chi non è mai capitato almeno una volta nella vita di essere' fan di Kevin Smith?

Si tratta, però, almeno per me, di un periodo chiuso. Ho visto Clerks II in estremo ritardo e mi ha fatto piuttosto pena. Talmente piuttosto pena che ho paura a riguardarmi i suoi vecchi film, per il timore che non mi piacciano più. Non me n'è fregato nulla di guardare Zack & Miri Make a Porno, anche se immagino che prima o poi gli darò una chance. Ho provato ad ascoltare lo Smodcast e l'ho trovato di una noia rara. L'apparizione di Kevin Smith nell'ultimo Die Hard m'è parsa inverosimilmente triste. E a leggere il suo twitter mi sembra un idiota. Insomma, basta.

Sarà per questo che Cop Out non mi ha fatto cacare?

Di sicuro, l'approccio è fondamentale. Non solo per la solita storia che se tutti ti dicono merda, beh, poi l'annusi e in fondo non sembra puzzare così tanto, ma anche perché un passo fondamentale sta nello stato d'animo che ti mettono addosso quei primi minuti che aprono il film. Che sono di una sincerità totale, aperta in maniera quasi imbarazzante. E certo, Bruce Willis che fa le didascalie per spiegare le citazioni messe in scena da Tracy Morgan nel suo interrogatorio impoverisce la gag, ma il punto è proprio quello. Cop Out è un omaggio (detto alla francese), totale e totalmente privo di vergogna. Non gli interessa essere altro che quello. Un film sciemo, con le musiche scieme degli anni ottanta, con Bruce Willis che fa Bruce Willis (o, perlomeno, il Bruce Willis pacato e sornione, certo non quello di Arma Letale), Tracy Morgan che fa l'idiota, citazioni a getto continuo e nulla d'altro.

Se la cosa ti diverte, il film scorre via che è un piacere. Se la cosa ti sembra vuota, pesantuccia e stantia, ecco che ti accorgi di stare guardando un film piuttosto brutto. Perché poi, diciamocelo, Cop Out fa anche abbastanza cacare, ha una regia da minimo sindacale, condotta da uno che ci prova con tutto l'amore e le forze, ma proprio non ce la fa. Perché ok, vuoi fare l'omaggio, ma dell'omaggio deve far parte anche una solida regia da poliziesco, se non da film d'azione, e qui invece, a vedere Morgan che si rotola per terra tutto serio con lo sguardo del bambino che ci crede, cascano veramente le braccia sotto terra.

Ma son momenti. Brutti, ma comunque momenti. La verità è che Cop Out funziona quando abbandona i panni del film e veste quelli della minchiata, quando smette di essere il compitino diligente fatto dal nerd che in fondo è solo contento perché sta dando ordini a Bruce Willis e lascia spazio ai suoi attori. In sostanza, quando Tracy Morgan prende in mano la situazione e si scatena con il suo delirio di stronzate, soprattutto poi quando si mette in mezzo anche un fenomenale Sean William Scott, si ridacchia per davvero. Nonostante quella fastidiosa sensazione – che già mi aveva dato Clerks II – di film che si sforza tanto, troppo, troppissimo di essere una cosa ben precisa, di voler essere solo quella, di crederci tantissimo, di provarci a tutti i costi e con tutte le forze.

E quando ti sforzi così tanto, poi, esce la cacata.

(In particolare le musiche così adorabilmente eighties, mamma mia, all'inizio ti fanno anche sorridere, dopo mezz'ora non ne puoi più e arrivato alla fine ti esce il sangue dalle orecchie e stai urlando “BASTA, HO CAPITO, L'OMAGGIO, BASTA, PIETÀ”)

Il film l'ho visto in lingua originale. Non fatemi nemmeno cominciare a parlare di quanto non abbia senso ascoltare Tracy Morgan doppiato. Fra l'altro, ecco, il fattore Tracy Morgan è talmente decisivo che penso sia necessario essersi guardati almeno una stagione di 30 Rock (apprezzandolo) per potersi divertire con questo film. Perché se non ti piace Morgan che fa il pagliaccio, se non ci sei abituato e non sai come godertelo, beh, di Cop Out non rimane davvero nulla.

20.7.11

Two Lovers


Two Lovers (USA, 2008)
di James Gray
con Joaquin Phoenix, Gwyneth Paltrow, Vinessa Shaw


I padroni della notte l'ho visto alla rassegna di Cannes del 2007 e mi è parso un film pacchiano, abbastanza deludente, senza nulla di particolarmente interessante da dire e sostanzialmente un po' sopravvalutato, magari in nome di quel bellissimo - davvero! - inseguimento sotto la pioggia e delle mutande di Eva Mendes, che fanno sempre colore. Era, fra l'altro, il primo film di James Gray con cui avevo a che fare (non che prima ci fosse molto con cui avere a che fare: due film in dieci anni). Due anni dopo, un Gray che evidentemente s'era risentito perché avevo scritto che raccontava sempre di mafia russa, se n'è tornato a Cannes con questo Two Lovers, tutto incentrato su drammi esistenziali, amori impossibili e gente depressa. Senza morti ammazzati, o quasi.

Un morto ammazzato, in Two Lovers, in realtà c'è, ed è il protagonista. Che morto non lo è, ma è come se lo fosse. Two Lovers pare la versione depressa e occidentale di Orange Road, o di un qualsiasi manga romantico per adolescenti. Il triangolo è sostanzialmente lo stesso: un idiota indeciso e affascinato dalla bella un po' misteriosa, la bella un po' misteriosa in questione e, a fare da terzo vertice della sfiga, la brava ragazza innamorata e speranzosa che non si arrende mai, anche se rischia seriamente di restare al palo. Certo, qui non ci sono poteri psichici, gente che spruzza sangue dal naso e siparietti demenziali, ma insomma, siamo lì.

E com'è, Two Lovers? Strano. Non ha nulla, ma proprio nulla di anche solo vagamente paragonabile a quell'inseguimento là de I padroni della notte, e ha oltretutto fra i protagonisti una Gwyneth Paltrow non ancora resa sopportabile da Iron Man. Roba che per farci credere a tutto il carosello hanno dovuto mettere come terzo vertice questa un po' sfatta Vinessa Shaw. Altrimenti chi ci credeva, all'indecisione di Joaquin Phoenix? Ma soprattutto Two Lovers schiva tutto ciò che del precedente film di Gray mi aveva dato fastidio. La banalità, le pacchianerie, gli scivoloni di genere.

Al contrario, questo è un film delicato e controllato, che si concentra sui suoi personaggi cercando di dar loro (e, cosa ancor più rara, a chi ruota loro attorno) un taglio credibile, vivo. Vien quasi da pensare che sia gente – un po' sfigata – che magari ti abita a fianco. La bionda del quarto piano, o il tipo strano che ogni tanto incroci sul pianerottolo. Non la star del film di Hollywood, ecco. Ed è forse soprattutto per questo che un film così tranquillo, statico, in cui alla fin fine non succede praticamente nulla dall'inizio alla fine e si torna a poco più che il punto di partenza, riesce comunque a funzionare tanto bene.

Il film l'ho visto – in lingua originale ma senza sottotitoli – talmente tanto tempo fa che non mi ricordo neanche più quando, dove e come sia stato. E certo non mi ricordo se e perché possa meritarsi particolarmente una visione in lingua originale, al di là del fatto che i bravi attori come Joaquin Phoenix se la meritano a prescindere. Ne ho scritto adesso perché c'è sempre in corso il programma “quasi me ne dimenticavo”, con cui provo a recuperare post dimenticati nelle polverose pieghe delle bozze di Blogger. E sono quasi agghiacciato da come mi sia venuto fuori tanto liscio un post su una roba guardata così tanto tempo fa. Probabilmente son tutte scemenze sparate a caso.

19.7.11

Crosscast


Luglio, col bene che ti voglio, mi adagio e mi faccio registrare dagli altri mentre chiacchiero. Questo mese niente Outcast, perché non è proprio cosa per motivi logistici, però ho partecipato al celebrativo cinquantesimo episodio di Ringcast, in cui si parla di (e con) podcast italiani assortiti, e a un episodio speciale del Tentacolo Viola tutto incentrato sui fumetti al cinema.

Ringcast sta a questo indirizzo qui.

Il tentacolo viola sta a questo indirizzo qui.

Stiamo comunque preparando una roba particolare per Outcast (che, vi ricordo, sta a questo indirizzo qui), ma dovremmo registrarla lunedì prossimo e dubito sarà pubblicata prima di agosto. E fra l'altro secondo me verrà fuori un disastro.

18.7.11

London Boulevard


London Boulevard (UK, 2010)
di William Monahan
con Colin Farrell, Keira Knightley, Ben Chaplin, David Thewlis, Ray Winstone, Anna Friel

London Boulevard rappresenta l'esordio dietro la macchina da presa – ma senza abbandonare quella da scrivere – per William Monahan, sceneggiatore in passato al soldo di Ridley Scott e Martin Scorsese. A quest'ultimo, fra l'altro, ha fatto vincere il classico Oscar alla carriera per un film che si meritava giusto due calci in culo (e cominciamo subito divagando con la polemica sterile a cui non credo nemmeno io).

E com'è, questo esordio? Ma neanche male, dai, soprattutto se lo vai a vedere aspettandoti il peggio del peggio. Perché in fondo ha un bello spirito romantico e noir di quelli che piacciono a me, tutto perdente e sconfitto in partenza, pure banalmente prevedibile nello sviluppo (HINT: un attimo prima della fine va tutto a mignotte), ma a cui in fondo si vuole bene per le intenzioni. E poi ha un cast piuttosto azzeccato, con i soliti bravi caratteristi di contorno, l'inevitabile Ray Winstone, il tizio che faceva Al Capone in Boardwalk Empire e qui invece fa il mafioso irlandese, e pure due protagonisti in giornata buona.

E questo di sicuro a Monahan bisogna concederlo: sembra proprio bravo a dirigere gli attori, perché Colin Farrell e Keira Knightly non è che ci riescano proprio tutti tutti a farli recitare bene. Poi gli si può anche concedere che ha un taglio vagamente elegante, che tira fuori due o tre sequenze piuttosto coinvolgenti e che è fra i pochi in grado di costruire con gusto una colonna sonora interamente fatta di canzoni e canzonacce (mi chiedo a questo punto se abbia messo le mani anche sulla stupenda soundtrack di The Departed). Insomma, buttalo.

E allora, si chiederanno quei quattro che mi leggono, cosa c'è che non va? Perché lo si legge tra le righe, che qualcosa non va. Beh, intanto non va la sceneggiatura. D'altra parte l'ha scritta uno che ha vinto un tanto immeritato quanto perfettamente comprensibile Oscar per la migliore sceneggiatura, quindi direi che tutto torna. Non funzionano i dialoghi, con in particolare Lei scritta completamente a cazzo di cane e in generale tutto l'intreccio romantico che si rivela una roba a cui fai un favore definendola “affrettata”. Non funzionano i personaggi minori, che si piazzano lì con in mano un cartello con scritto sopra enorme “Sono qui perché Monahan non sapeva come far succedere [inserire snodo chiave della trama a piacere]” e attendono il loro turno. Non funziona soprattutto l'amalgama dei singoli elementi, dando vita a un film che invece di mescolare in maniera armoniosa tante belle cose dà semplicemente l'impressione di non saper che pesci pigliare.

E non aiuta la natura del tutto risaputa della storia. Che a me va benissimo, un film in cui succede tutto quel che ti aspetti e che sai che deve succedere in film di quel genere. Specie se parliamo di un noir. Solo che poi, se ci sono tutti quei difetti là sopra, il piacevole e solido rispetto delle regole rischia più che altro di diventare monotona e prevedibile noia.

Il film l'ho visto in lingua originale con sottotitoli in italiano al cinema Arcobaleno di Milano, nel contesto del sempre amabile ciclo Sound & Motion Pictures. E i film ambientati a Londra vanno visti in lingua originale, su, dai. Specie poi se c'è un Ben Chaplin che recita in quel modo lì.

12.7.11

X-Men: L'inizio


X-Men: First Class (USA, 2011)
di Matthew Vaughn
con James McAvoy, Michael Fassbender, Kevin Bacon, Jennifer Lawrence, Rose Byrne, January Jones


L'ho già scritto altre volte, ma in questo caso particolare è molto d'attualità: tutti, o quasi, i film di supereroi hanno quel momento. Quello con Batman appollaiato per la prima volta sul doccione, nella notte, sotto la pioggia. Quello con Iron Man che sfreccia in cielo tutto bello rosso e luminoso. Quel momento lì, in cui gli anni passati a leggere 'ste robe tornano prepotentemente fuori e mi rincoglioniscono di violenza. Quel momento in cui anche il peggiore dei film sui supereroi riesce a darmi un brivido di piacere e a mollarmi lì, bocca aperta e occhi lucidi.

Ecco, questo momento, con le avventure degli Isc Men in versione teenager, si era manifestato già ben prima di entrare in sala. Nel momento in cui ho visto la mia pelle inspessirsi di fronte a quei mini trailer dedicati ai singoli poppanti, che mostravano Banshee urlare, Havok lanciare i dischi volanti e così via, beh, ho capito che su 'sto film sarei stato poco equilibrato. Poi mi sono ritrovato davanti a mezz'ora di Michael Fassbender che regala una performance da uomo più ganzo del pianeta, a una catena enorme che viene arrotolata attorno a uno yacht, a un Kevin Bacon che veramente non puoi non volergli bene e a quelle scene lì, quelle dei trailerini, infilate ottimamente nel film... beh, ero già tutto contento.

E poi. È poi è successo che, di fronte a quella bella scena ambientata nella base segreta, eh, m'è appunto scattata l'estasi suprema che è propria dell'idillio dell'amore. Ma un po' peggio, perché stavolta è andata avanti ininterrotta fino alla fine del film. Da lì in poi, proprio, ho – consciamente o meno, non lo so – staccato tutto e, semplicemente, era la figata. Punto. Rincoglionimento totale di fronte agli omini in tuta colorata che volano e fanno cose come quando li leggevo sui fumetti. E vittoria.

A questo trionfo della mia pochezza cerebrale ha comunque contribuito il fatto di trovarmi di fronte a un filmetto bello solido e ben fatto, nel suo muoversi bene all'interno dei confini – per carità – limitati che si è scelto. Matthew Vaughn l'è bravino, sa il fatto suo, e se la cava anche in un ambito che un tempo aveva schifato (ricordiamo agli amici in ascolto che aveva mollato il terzo X-Men perché non gli davano abbastanza tempo per farlo, e poi questo l'ha girato in meno tempo ancora). Fassbender e Bacon orinano in testa a tutti quanti per bravura e presenza scenica, ma in linea di massima un po' tutti fanno il loro dovere in maniera più che egregia, a parte January Jones che non solo è incapace, ma interpreta la gnocca più gnocca e consapevolmente gnocca dell'universo Marvel con l'aria di una appena uscita da una clinica di disintossicazione (e a questo punto mi voglio riguardare la prima stagione di Mad Men, perché lì mi sembrava bellissima, oltre che perché così magari poi mi guardo anche le stagioni successive che sarebbe ora).

Comunque, sto divagando: bel filmetto d'azione, strapieno di riferimenti e cosucce che da fan che se ne sbatte del rispetto dell'opera originale sacra e inviolabile mi divertono un sacco, con tre o quattro momenti davvero emozionanti, un paio di situazioni che in sala hanno scatenato l'applauso (true story!) e un finale che si infila bene nelle tematiche della serie, anche se i missili a singhiozzo fanno un po' ridere. In più fa più o meno tutto quel che dovrebbe fare un prequel: racconta una storia decente anche per i nuovi arrivati, si riallaccia bene e in maniera ammiccante a quanto verrà dopo, mostra cose che ti fanno rileggere in maniera diversa, o comunque più ricca, i film originali e mantiene poi anche una forte coerenza tematica e stilistica con il resto della serie (il ritorno all'ovile di Bryan Singer, presumibilmente, non ha fatto male).

In particolare, l'impressione è che il terzo film, la pecora nera di Brett Ratner, ne guadagni molto: al di là di Nicholas Hoult (che bravo!) che si impegna a imitare un po' la cadenza di Kelsey Grammer, tutto il discorso di Bestia e Mystique e del loro rapporto traumatico con la “cura” esce senza dubbio accresciuto dal bel rapporto a tre (io, lei e la siringa) sviluppato qui. Certo, a sviluppare meglio una roba che Ratner aveva appena accennato perché lì il punto era far saltare tutto per aria ci vuole poco. But still.

Comunque, insomma, il succo è che X-Men Poppanti è un gran bel filmetto di supereroi, magari privo della verve di un Iron Man o di quell'aria “guarda quanto me la tiro da film serio” di un Il cavaliere oscuro, ma è proprio bello bello bello. È il più bello della serie, come più di una persona sostiene? Non lo so, anche perché a me X2 era piaciuto davvero tanto tanto tanto. Però non mi sembra un'affermazione priva di fondamento, ecco. E hai detto niente.

Il film l'ho visto a Monaco nel mio bel cinemino che mi fa vedere i film in lingua originale. E Fassbender e Bacon, doppiati, sono molto meno ganzi. Trattasi di legge fisica, a prescindere da chi li abbia doppiati e da quanto bene. Ne avrei voluto scrivere subito, una volta tanto, per dare una parvenza d'attualità al blog, ma non è accaduto. Ne scrivo adesso perché sono in treno e mi annoio. Ma quanto sarebbe comodo avere un robo che ti proietta in un file word la roba che hai nel cervello senza doverti mettere a farlo tu?

8.7.11

Players #6


Il sesto numero di Players è quello che inaugura il nuovo corso. A partire da questo numero, cambiano un sacco di regole. Tipo che la versione gratuita pezzenza esce dopo trenta giorni e comunque solo da consultare sul sito, mentre se vuoi scaricare il pdf devi pagare. E poi ci sono altre cose, per chi paga, tipo la versione mobile della rivista tramite Mygazines e ulteriori sciccherie ben spiegate sul sito. Link.

Su questo numero i miei fan possono leggere una recensione di 13 Assassini, il nuovo film di Takashi Miike che non è più l'ultimo film di Takashi Miike perché quello è pazzo e ne gira di continuo, però è l'ultimo film di Takashi Miike uscito in Italia. Ed è stupendo. E poi ci sono tante altre belle cose, tipo che si parla di film, fumetti, libri, musica, internette e pure altro.

Ah, mi sembra giusto segnalare gli amicici: Marco Passarello scrive del Games of Thrones televisivo, Quedex bello nostro scrive di Brink.

Come da prassi, questo post è in parte riciclato da quello fatto dall'altra parte all'uscita della versione per donatori e in parte riciclato da quello fatto qua dentro il mese scorso. Fra l'altro, quando ho scritto il post dall'altra parte, ancora non mi ero accorto che Players era entrata nel nuovo regime. Oggi, invece, sono a Milano da poco meno di una settimana. No, in realtà, quando ho scritto questo post dovevo ancora partire, ma ora che lo state leggendo sono a Milano da poco meno di una settimana e ci devo restare fino a fine mese. E do per scontato che faccia un caldo umido boia tale da avermi spinto a intraprendere la canonica tosatura annuale. La vera domanda, però, è: essere a Milano a fare lavoro d'ufficio e a sucarmi un paio d'ore di mezzi pubblici al giorno avrà nuovamente acceso la mia produzione di post per il blog o l'avrà definitivamente uccisa? Io voto "uccisa". Feedburner sostiene che ci sono duecento persone in preda alla suspence.

4.7.11

Noirecast


Nel uichend ho pubblicato il nuovo Outcast Magazine, in cui raccontiamo di questo, quel gioco e quell'altro, con tanto di finale lunghissimo in cui parliamo di L.A. Noire (facendo spoiler a valanga), per un totale che ancora un attimo e superava in lunghezza il micidiale Reportage sull'E3. Anvedi. Sta tutto a questo indirizzo qui.

È cominciato il luglio di morte e sudore. Vediamo come va.

 
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