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30.1.14

Il ladro di orchidee

Adaptation (USA, 2002)
di Spike Jonze
con Nicolas Cage, Meryl Streep, Chris Cooper

A volte, nelle scelte di adattamento dei titolisti italiani, ci sono dei colpi di genio che neanche capisci se siano volontari o meno. Il ladro di orchidee si intitola così perché va a recuperare il titolo del libro di Susan Orlean a cui è ispirato il film. Ma il titolo originale del film non è The Orchid Thief, perché Charlie Kaufman, nello scriverlo, ha deciso di prendere e svicolare in maniera brutale, raccontando non la storia dell'indagine su John Laroche e della riscoperta spirituale di Susan Orlean, ma la storia di Charlie Kaufman stesso incartatosi nel tentativo di adattare quelle vicende per il cinema. Le vicende del libro diventano quindi un tema secondario, comunque innegabilmente presente, ma anche preso in giro e pasticciato fino a diventare una sorta di squallido thriller, in una parodia del trattamento che spesso Hollywood riserva ai romanzi di cui si appropria (e non parliamo dei remake!). Ed è il titolo della versione italiana del film, in una auto presa per il culo che chiude il cerchio. Fantastico.

La presa in giro del processo creativo che si sviluppa attorno a questi adattamenti è un secondo strato che si arrotola attorno al raccontino di Susan Orlean e che vede Kaufman accanirsi su tutta la catena produttiva dei film basati su opere altrui. Ci sono le chiacchiere sul bugiardo amore per questo o quel libro, le contrattazioni, le sceneggiature scritte a caso, i cliché... non manca nulla. Ma, anche qui, si tratta in fondo di uno strato sotterraneo in un film che Charlie Kaufman e il suo compagno di giochi Spike Jonze utilizzano per costruire un'acida riflessione sullo scombinato e bizzarro funzionamento della mente umana alle prese con la creazione. Oltre che per divertirsi nell'estremizzare ulteriormente il folle mondo posto di traverso fra realtà e finzione che già avevano accennato nel loro precedente film.

Lo stesso Charlie Kaufman, suo fratello e il suo allucinato mondo di genio inconcludente, insicuro e un po' schizzato, sono i protagonisti di un film allo stesso tempo chiarissimo e contorto come pochi. La narrazione procede spedita e "accogliente", non è preda delle suggestioni inquietanti di un David Lynch, eppure racconta un'infinità di storie e piani di realtà che s'incontrano e s'incrociano fra di loro, andando a creare un miscuglio da cui è difficile tirar fuori un racconto che abbia senso compiuto. Fra attori che interpretano loro stessi, attori che interpretano personaggi di finzione, attori che interpretano personaggi reali che non sono loro stessi, attori che interpretano attori che interpretano personaggi reali che forse non sono loro stessi e Nicolas Cage che interpreta Charlie Kaufman e il fratello di Charlie Kaufman, il mindfuck è completo e diventa facilissimo lasciarsi andare, perdendosi in un film ricco d'invenzioni, divertentissimo, stralunato.

Adaptation trascorre tutto il suo minutaggio impegnandosi tantissimo a non farti capire se stia raccontando la verità, la finzione, un delirio tossicologico di Charlie Kaufman, una versione romanzata dei fatti, un sogno a base di peperonata, una satira dell'Hollywood moderna o direttamente una presa per il culo dello spettatore. Ma tutto questo casino è comunque assemblato con una gran lucidità, parole taglientissime, la furbizia di giocarsi un atto finale che smarmella tutto quanto giustificandosi col tema della satira e una manciata di attori in stato di grazia. Meryl Streep è Meryl Streep, e vabbé. Chris Cooper è meraviglioso, e OK. Nicolas Cage è semplicemente fantastico e riesce a rendere credibili due fratelli gemelli completamente assurdi, forzatamente sopra le righe, diversissimi fra loro ma allo stesso tempo davvero uguali. E di fondo, Adaptation è un viaggio allucinante nella testa bacata di un uomo che, forse, è il più grande sceneggiatore emerso nello scorso decennio. Hai detto niente.

L'ho visto qualche tempo fa, in DVD e in lingua originale, che ci vuole. Non l'avevo mai visto prima, anche perché era uscito al cinema nel periodo in cui mi s'è chiusa la vena sul collo contro il guardare i film doppiati e quindi me l'ero perso. L'ho recuperato di recente perché me l'ha detto Roger Ebert.

13.11.13

Across the Universe


Across the Universe (USA, 2007)
di Julie Taymor
con Evan Rachel Wood, Jim Sturgess

Across the Universe, a detta della sua regista, nasce partendo innanzitutto dalle canzoni. Non c'era la voglia di realizzare un film a cui è stata appiccicata la selezione musicale targata Beatles. Si è invece proprio partiti dalle canzoni e dai loro testi, costruendo su quella base un racconto che potesse in qualche modo legarle tutte assieme, cosa che è stata fatta in maniera magari a tratti disordinata o un po' forzata, ma efficace e di grande effetto. Quel che ne viene fuori è un musical moderno, che affronta la faccenda senza il minimo timore, facendo proprie le canzoni "sacre" dei Beatles e adattandole, talvolta anche brutalmente, alle sue esigenze. Insomma, magari il purista ne esce un po' schifato, anche se a me un purista dei Beatles ha detto che l'ha trovato ottimo, a parte qualche spezzone ("Per dire non mi è piaciuta molto, musicalmente, Being fot the Benefit of Mr. Kite (circo)").

Purismo a parte, però, il punto è che Across the Universe è un pazzesco spettacolo per gli occhi e per le orecchie. Il materiale di partenza, rimaneggiato o meno, non è che debba stare qui a commentarlo io. Il modo in cui è stato preso, smontato, rimontato attorno a una storia e infilato dentro alla macchina da presa è, perlomeno a tratti, semplicemente meraviglioso. Quasi ogni singola scena del film di Julie Taymor ha una personalità e una dignità autonoma pazzesche, che la rendono a modo suo un perfetto videoclip indipendente. Eppure, allo stesso, tempo, pur fra qualche lungaggine e un po' di sbandate, si ha la sensazione di un'opera organica e percorsa da un unico filo conduttore ben tracciato. E se qualche guest star appare forse un po' infilata a forza, se certi modi di utilizzare i testi delle canzoni sono tanto azzeccati quanto un po' troppo wink wink, il punto è che l'insieme dei vari pezzetti funziona, senza che ci sia una singola ragione credibile per cui debba farlo.

Across the Universe racconta una storiella semplice semplice, se vogliamo anche banale nei suoi sviluppi, eppure riesce a far funzionare tutto quanto grazia alla sua schizofrenica atmosfera sognante, allo splendore della messa in scena, alla semplice efficacia dei suoi interpreti e alla faccetta dolce da strizzare tutta di Evan Rachel Wood. Ogni tanto sbraca, ogni tanto s'attarda, ma alla fine fai davvero fatica a non volergli bene e a non assecondarlo quando ti urla in faccia che All You Need is Love. Ti prende e ti travolge sparandoti continuamente addosso un tripudio di immagini, suoni e colori. Ed è un'esperienza davvero bella, che un po' mi pento di non aver vissuto al cinema.

Perché a suo tempo non sono andato a vederlo al cinema? Boh? Non ne ho davvero idea. Ricordo che sapevo a malapena della sua uscita. Mah. Comunque l'ho visto adesso perché me l'ha detto Roger Ebert.

1.3.13

Essere John Malkovich


Being John Malkovich (USA, 1999)
di Spike Jonze
con John Cusack, Cameron Diaz, Catherine Keener, John Malkovich

Ciò che più mi ha colpito guardando Essere John Malkovich non è l'idea assurdamente geniale alla base del racconto, non è il tono surreale della narrazione e non è neanche il modo in cui la storia riesce a stupire coi suoi sviluppi fino all'ultimo minuto. No, ad essermi rimasto nella capoccia è soprattutto il fatto che si tratta di un film popolato solo da personaggi genuinamente insopportabili, che non fanno nulla per nascondere il loro essere dei gran bei stronzi. La storia raccontata da Charlie Kaufman e Spike Jonze si apre facendo finta di stare mostrando il classico John Cusack perdente incompreso e tanto poetico, l'eroe che siamo convinti si nasconda dentro noi tutti, ma scopre le carte molto in fretta e mostra che il suo protagonista è in realtà un patetico sfigato, sconfitto innanzitutto da se stesso e solo in secondo luogo dalla vita. E attorno a lui ci sono una Cameron Diaz tanto amante degli animali quanto cretina, una Catherine Keener gnocchissima vuota e stronzetta (ma, nella sua semplice e odiosa onestà, per paradosso, forse personaggio più positivo del gruppo), una serie di personaggi di contorno che sembrano scemi ma forse sono solo falsi e un John Malkovich non so quanto fedele alla persona reale, ma certo lodevole nell'interpretare se stesso come vuota macchietta inquietante. Per non parlare del modo quantomeno ambiguo in cui viene dipinta la parabola di successo del protagonista: artista incompreso costretto a trovare la fanta-scorciatoia per affermarsi nel mondo crudele o marionettista da quattro soldi che abbindola un mondo di cretini grazie al nome famoso?

Poi, certo, c'è anche tutto il resto. C'è una scrittura dei dialoghi e dei personaggi semplicemente perfetta, che funziona a meraviglia nonostante la semplice assurdità degli eventi e del modo in cui anche l'aspetto più insensato viene accettato dai protagonisti senza batter ciglio. Ci sono degli attori perfetti nell'interpretare ruoli senza capo né coda in maniera totalmente naturale e credibile. E c'è la forza pazzesca delle idee che si rincorrono per tutto il film, con una trovata più fuori di cozza dell'altra e, soprattutto, la cui forza risulta ancora maggiore quando, quattordici anni dopo, ti rendi conto di non aver sostanzialmente ancora visto niente di anche lontanamente paragonabile a queste due ore scarse di delirio. Ma il bello è che Essere John Malkovich non vive solamente della sua idea e di un paio di gag derivate: ci costruisce attorno un film, un racconto che non si limita a inseguire la facile via della risata assurda e riesce invece allo stesso tempo ad essere serio, toccante, intelligente, addirittura profondo.

Non che le risate manchino e, oltretutto, alcune gag, col senno di poi, acquistano ulteriore sapore. Tipo, che so, il cameo di Charlie Sheen, proprio per spararne una a caso. Ma limitare questo fulminante doppio esordio alla sola follia delle idee e al divertimento di una scena come quella, leggendaria, in cui John Malkovich entra nella testa di John Malkovich, significherebbe raccontare solo parte della storia e fare un torto a un film di spessore ben maggiore. E che tanti anni dopo, forse, questo sì, proprio grazie alla sua natura così storta, conserva tutta la sua forza.

Roger Ebert mi ha detto di guardare Essere John Malkovich. In realtà, a questo punto, mi avrebbe detto di guardare Adaptation, ma insomma, nell'elenco ci stanno entrambi, mi sembrava più carino guardarli in ordine cronologico.

16.1.13

Turista per caso


The Accidental Tourist (USA, 1988)
di Lawrence Kasdan
con William Hurt, Geena Davis, Kathleen Turner, Bill Pullman

Nel 1988 avevo undici anni. E in quel periodo ero un maschietto che guardava un certo tipo di film e ne evitava accuratamente altri. Quali evitavo? Quei film che identificavo come "da mia mamma". Qualsiasi cosa volesse dire. Turista per caso rientrava appieno nella categoria, tanto più che c'aveva dentro William Hurt, che a mia mamma piaceva tanto. E infatti non l'ho mai visto, fino a qualche giorno fa, quando l'ho recuperato in qualche maniera, dato che non è esattamente un blockbuster stampato e ristampato in centomila edizioni rimasterizzate in digitale e in accaddì, e me lo sono finalmente visto. Scoprendo un film molto bello e affascinante, oltre che graziato da attori davvero bravi.

Scritto e diretto da Lawrence Kasdan quando quel nome e quel cognome facevano pensare quasi solo a cose positive, Turista per caso è un film delizioso, che racconta di una famiglia devastata da un evento terribile, mettendone in scena la micidiale apatia e rassegnazione, descrivendo il tortuoso viaggio necessario per recuperare la capacità di sorridere. E William Hurt è strepitoso nel mostrare la crescita di un personaggio che parte completamente apatico, depresso, incapace di esprimere sentimenti, di aggrapparsi a qualcosa o a qualcuno, e pian piano viene scardinato, aperto, spalancato da quel che gli succede attorno. Il film lo segue un passo alla volta, raccontando gli eventi con uno sguardo freddo che rispecchia lo stato mentale del suo protagonista, passando di continuo dalla commedia al dramma senza inseguirne i toni, filtrando tutto attraverso una nebbiosa patina di apatia. Ma la storia si evolve assieme a lui, inseguendone il viaggio compiuto assieme al bizzarro personaggio di Geena Davis.

A guardarlo oggi, poi, Turista per caso è uno spettacolo per il contesto temporale. Sono trascorsi venticinque anni ed è folle osservare uno scrittore che batte a macchina e deve spedire pagine su pagine per posta, una persona che si perde in auto perché non ha in tasca un telefono col GPS e che, non avendo in tasca un telefono, non può essere raggiunta con una semplice chiamata, per capire dove sia e come stia. Inoltre, col senno di poi, viene da pensare che Turista per caso, oggi, sarebbe il classico film da Sundance Festival, con il protagonista circondato da una famiglia un po' strana e con la donna tutta bizzarra e simpatica che si infila a forza nella sua vita e conquista un Oscar mostrandogli quanto possa essere fantastico questo pazzo pazzo mondo. Oddio, mi sta venendo in mente Elizabethtown, lasciamo stare.

Perché ho guardato oggi, per la prima volta, questo film? Perché me l'ha detto Roger Ebert.

9.1.13

A proposito della notte scorsa...


About Last Night... (USA, 1986)
di Edward Zwick
con Rob Lowe, Demi Moore, James Belushi, Elizabeth Perkins

Ogni volta che poso gli occhi su un film risalente alla seconda metà degli anni Ottanta, o alla prima dei Novanta, soprattutto poi quando si tratta di pellicole popolari, magari un po' tamarre, comunque "facili", non posso fare a meno di pensare che quello sia il periodo che invecchia peggio di tutti, e da cui del resto non si esce vivi. Quando poi di mezzo non ci si mettono i dolci ricordi, perché A proposito della notte scorsa... non l'avevo mai visto (e, a dirla tutta, non avevo mai visto, forse, un film con protagonista la meteora Rob Lowe), ecco che si fa tutto più complicato. Ma in fondo è giusto così, quando decidi di fare archeologia, sai bene che dovrai sopportare un'estetica, degli stereotipi e un modo di fare che ti sembreranno mortalmente sbagliati, e vai a sapere se invece trent'anni fa funzionavano a meraviglia. Fatto sta che mi sono guardato il film d'esordio di Edward Zwick, uno che andrà a conquistare il suo momento di massima gloria appena tre anni dopo, per poi rimanersene rinchiuso in quell'anonimato dei registi di cui finisci per guardare molti film senza ricordarti mai chi cacchio li abbia diretti. E com'è? Interessante.

Tratto da un lavoro teatrale di David Mamet, e fra i principali responsabili dell'esplosione cinematografica di James Belushi, che di lì a poco sarebbe stato un po' dappertutto, A proposito della notte scorsa... mi ha ricordato parecchio Ti odio, ti lascio, ti... nel suo tentativo di dipingere in maniera credibile e deprimente la nascita, la lenta nuclearizzazione e la conclusione di un amore fra due persone, infilandoci dentro degli elementi da commedia, ma senza virare completamente in quella direzione. Insomma, c'è il dramma. Al di là dell'età dei protagonisti (fra i venti e i trenta qui, fra i trenta e i quaranta nel film con Jennifer Aniston e Vince Vaughn), la differenza principale sta nel fatto che il lato comico risulta qui molto meglio integrato nel tessuto del racconto, senza dubbio grazie a Jim Belushi (soprattutto) ed Elizabeth Perkins, che non fanno solo da spalle, provando invece a raccontare l'impatto che una storia d'amore, coi suoi alti e bassi, ha non solo sui diretti interessanti, ma anche su chi sta loro attorno.

E ne viene così fuori una storia tanto banale, dallo sviluppo inevitabile, quanto interessante perché scritta in maniera credibile e interpretata più che degnamente da quasi tutti, probabilmente anche grazie alla buona direzione di Zwick, che a tratti rende convincente perfino la cartella da scemo di Lowe. Ma solo a tratti. Brevi e circoscritti. I personaggi del film e il loro modo di esprimersi, al di là di qualche tratto esagerato che denuncia in fondo le origini teatrali del racconto, sono bene o male tutti credibili e simili a questa o quella persona che prima o poi ci è capitato di conoscere. E infatti paiono tutti dei cretini un po' in balia di quel che accade. Purtroppo, inevitabilmente, il film è invecchiatissimo. Lo è nell'estetica e nella scelta musicale, davvero difficile da digerire, e lo è anche nella scrittura, con modi di fare lontani anni luce e con certi dialoghi che all'epoca erano magari ganzi, o perfino di rottura, e adesso fanno abbastanza tenerezza. Ma tra le pieghe di una vecchiaia fin troppo evidente, se si riesce ad applicare il filtro, emerge un racconto che in fondo è ancora attuale e si lascia guardare. Certo, ci vuole dello stomaco.

Perché ho guardato oggi, per la prima volta, questo film? Perché me l'ha detto Roger Ebert.

5.1.13

Le quattro stelle di Rogerino Ebert


A Natale mi han regalato il libro ritratto qua sopra, Roger Ebert's Four-Star Reviews 1967-2007. Il titolo dice tutto: è la raccolta di ogni singola recensione da quattro stelle (il suo voto massimo) che Roger Ebert ha scritto fra il 1967 e il 2007. Un meraviglioso tomo da 944 pagine, che ho piazzato in salotto sullo scaffale dove tengo i videogiochi e le serie TV "in corso", oltre ai film che voglio guardarmi a breve. Così ogni tanto lo piglio, apro in un punto a caso, o magari curioso per vedere se ha messo quattro stelle a quel film là, e leggo una o due recensioni di uno che amo leggere, trovo sempre interessante ed è probabilmente la persona che mi piace di più quando voglio leggere di cinema. Anche se non sono sempre d'accordo con lui, ma ci mancherebbe pure che non fosse così. Il libro si apre con una bella introduzione in cui Ebert chiacchiera dei suoi esordi e di con che spirito ha sempre provato a scrivere di cinema. E dice anche che magari, a riguardare oggi l'elenco, ad alcuni di quei film leverebbe una stella o due, mentre inserirebbe film a cui col senno di poi ha dato troppo poco. Ma insomma, è pure normale. In totale ci sono circa centordicimila recensioni, messe in ordine alfabetico e con pure un indice per argomenti in coda. Una gran bella roba che consiglio proprio senza il minimo dubbio. Eventualmente, sta su Amazon, anche su Kindle.

Fra l'altro ho anche deciso che voglio guardarli (o riguardarli) tutti, dal primo all'ultimo, seguendo l'ordine del libro. Considerando quanti sono e quanti film guardo in media in un anno, non ce la farò mai. Ma, insomma, anche se fallisco nell'impresa, avrò comunque guardato tanti bei film.

About Last Night... (A proposito della notte scorsa...) - La recensione di Roger Ebert
The Accidental Tourist (Turista per caso) - La recensione di Roger Ebert
Across the Universe - La recensione di Roger Ebert
Adaptation (Il ladro di orchidee) - La recensione di Roger Ebert
Affliction - La recensione di Roger Ebert
Being John Malkovich (Essere John Malkovich) - La recensione di Roger Ebert

 
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