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30.11.11

Gilbert+Schafer=Bene



Ron Gilbert ha pubblicato sul suo blog queste due immagini, che ritraggono due dei personaggi "giocanti" del nuovo gioco su cui sta lavorando per Double Fine. Immagini accompagnate da un breve testo in cui spiega di stare appunto lavorando su questo fantomatico gioco con la gentaglia di Double Fine e di essere particolarmente gasato. Si tratta - dice - di un'idea che ha avuto in testa per un sacchissimo di tempo, tipo da prima ancora di realizzare Maniac Mansion e (ovviamente) Monkey Island. E si tratta di un gioco "that needed to be made". Non può aggiungere altro, ma presto lo farà.

Ora, ammetto di essere un po' gasato pure io, seppur con quella placida flemma da uomo che non vuole mai far vedere di essere trascinato dall'hype. Insomma, stiamo parlando di Ron Gilbert che torna a lavorare con Tim Schafer (notizia uscita a dire il vero qualche tempo fa e accolta col giusto grado di tripudio universale). Leggere quei due nomi assieme regala per forza un brividino. Come si fa a non essere perlomeno un po' tanto curiosi, o anche solo a non farsi prendere dall'amarcord? A pensare al tempo trascorso spaccandomi la testa su Maniac Mansion e Zak McKracken per Amiga? A mia madre che mi porta a casa il primo Monkey Island e io che lo gioco sdraiato a letto, con la febbre e il cavo dell'alimentazione che si scollega e mi costringe a rifare enne volte la scena del bacio sul pontile? A quando ho provato a far rimanere Guybrush per dieci minuti sott'acqua per scoprire se avrebbe mollato il colpo? A io e Ciaccolini che recuperiamo Monkey Island 2, ci fiondiamo a casa sua a giocarlo e ci ammazziamo dal ridere sulla scena del cimitero? All'introduzione di Day of the Tentacle con Hoagie che fa il surf nella macchina del tempo? A tutti quei momenti passati appiccicato ai giochi Lucas in quei begli anni che sono andati perduti come lacrime nella pioggia e non torneranno mai più? Pavlov scorre potente in me.

Chiaramente le mandrie di vecchietti già bramano una nuova avventura grafica, ma in verità a me non interessa molto il genere di gioco che ne verrà fuori. Quel che mi interessa è il pensiero di quei due che lavorano assieme in un contesto, quello della nuova Double Fine, che nel giro di poco tempo ha partorito cosette interessanti come Stacking, Costume Quest e Trenched. Insomma, bene, molto bene. Adesso devono solo salvare Dave Grossman da quel brutto posto che è diventata Telltale e poi unirsi per la vittoria del bene in un trionfo di amore e comicità.

Mi sto sforzando di continuare a scrivere qua dentro e questo mi sembrava un buono spunto, ma in questi giorni sto facendo proprio fatica. Il problema è che sono spossato da un lungo articolo che sto scrivendo per quell'altro sito là e che, se tutto va bene, dovrebbe essere pubblicato venerdì. Forza e coraggio.

29.11.11

The Walking Dead 02X07: "Muore la speranza"



The Walking Dead 02X07: "Pretty Much Dead Already" (USA, 2011)
creato da Frank Darabont e Robert Kirkman
episodio diretto da Michelle MacLaren
con Andrew Lincoln, Jon Bernthal, Scott Wilson, Sarah Wayne Callies, Norman Reedus, Jeffrey DeMunn





SPOILER, che non ho voglia di girarci attorno.





Un po' me l'aspettavo, un po' ci speravo, ma francamente non ci contavo, e invece l'hanno proprio fatta, la ganzata di farcela ritrovare nel granaio. Ed è un bel momento, forse un po' tirato per le lunghe - evidentemente tutto quello che riguarda quella maledetta deve essere tirato per le lunghe da contratto - ma che ha il suo impatto. E che allo stesso tempo fa incazzare, perché poi si torna sempre lì: se fosse stata un personaggio, e non un guscio vuoto da sventolarci sotto il naso per sette episodi, quanto sarebbe stato più bello e forte questo finale? Insomma, capiamoci, questa non la vediamo da sei puntate e nella prima stagione era come se non ci fosse: quando è uscita, per un attimo mi sono chiesto se fosse lei, se fosse la figlia di Hershel, chi cacchio fosse. Poi è partita la musica e ho capito. Però, eh. In ogni caso, anche così com'è, il suo impatto la scena ce l'ha, vuoi per come è costruita bene la puntata, vuoi perché quell'Hershel che vede il mondo e tutte le sue convinzioni crollargli piano piano addosso, con quella faccia lì, mi è piaciuto proprio, vuoi perché alla fin fine The Walking Dead si conferma una serie che mantiene lo spirito del fumetto nel tirare colpi bassi e non farsi problemi ad ammazzare, sventrare, colpire duro.

Al di là di quello, poi, si conferma anche una serie costantemente preoccupata di costruire, accumulare, aggiungere dosi su dosi di materiale per far evolvere i rapporti fra i personaggi fino all'esplosione, che prima o poi arriva. E di cose interessanti, in un episodio che ti lascia lì appeso come pochi, specie pensando che ora bisognerà aspettare febbraio, ce ne sono parecchie. Dall'evoluzione di Shane, che certo non è orchestrata in punta di fioretto, ma è senza dubbio ben gestita, all'idea di vedere come si risolverà adesso la permanenza alla fattoria. Il problema, magari, è che si passa troppo tempo a costruire e poco a risolvere, ma certo è che le cose, quando vengono fuori, soddisfano. Insomma, alla fin fine continuo a gradire, nonostante i problemi di queste prime sette puntate, e ho soprattutto una gran curiosità di vedere come si evolveranno le cose. Fra l'altro l'ottavo episodio, se l'Internet non mente, si intitola "Nebraska". Il che fa presumere una ripresa del vagabondaggio. Solo che nel fumetto, in Nebraska, non ci passano proprio, dato che sia la Wiltshire Estate (saltata a piè pari, ma vai a sapere, magari la recuperano) sia la prigione stanno in Georgia. Insomma, che stanno a combinare?


Un saluto carico di affetto a chi decide i titoli italiani degli episodi e pensa sia il caso di usarli per descrivere il finale degli episodi stessi. Poi non è detto che uno unisca i puntini, eh, e del resto io l'ho fatto quando ho letto il titolo italiano dopo averlo visto, l'episodio. Però, eh.

28.11.11

The Good Wife - Stagione 1



The Good Wife - Season 1 (2009/2010)
creato da Robert King e Michelle King
con Julianna Margulies, Josh Charles, Matt Czuchry, Archie Panjabi, Chris Noth, Christine Baranski, Alan Cumming

Non esistono parole per descrivere quanto mi fa pietà il modo di usare le musiche di questo telefilm. Non c'è proprio modo, e quindi evito. Ma  è più in generale un certo qual tono, l'insistenza sul finale ganzo che taglia appena prima della battuta che tutti vogliamo sentire, la presenza dell'insopportabile detective donna di spessore, che quando fa la faccia da arrapata al bancone del bar sembra il ragionier Fantozzi di fronte alla signorina Silvani... insomma, la roba di cui avevo parlato qui. Tutte cose che erano tremendamente forti nel terribile episodio pilota e che mi avevano fatto passare completamente la voglia. Poi, però, spinto da forze oscure, ho voluto dare fiducia. E ho fatto bene.

Tanto per cominciare, The Good Wife è una serie che su diverse cose procede palesemente a tentoni, imparando per strada. Del resto la fiducia è aumentata in corsa, col passaggio dagli inizialmente tredici previsti a ben ventidue episodi, e le nuove forze inserite a quel punto nel team creativo hanno chiaramente portato il loro, centrando un sacco di correzioni che erano doverose ma non per questo scontate. Tanti degli elementi più stantii, infatti, si perdono mano a mano, lasciando spazio a una scrittura più armoniosa e meno incentrata - o comunque in maniera meno evidente - sui tormentoni e sulla ripetizione ciclica. Poi aumenta lo spazio dato a personaggi in precedenza un po' trascurati, e in generale cresce il senso di coesione del racconto, andando a formare un'unica storia che procede passo a passo, incastrando tutti i suoi pezzetti.

Gli stessi "casi" della settimana, che non mancano mai, diventano via via sempre più interessanti, sia per quel che propongono, sia per come spesso si intrecciano con le vicende umane dei protagonisti, talvolta facendo da metafora, talvolta proprio riguardandoli direttamente. Un po' come accade nei migliori momenti di Nip/Tuck, per capirci. E se da un lato, a conti fatti, non è che io abbia necessariamente qualcosa contro il caso della settimana (in fondo quanti telefilm ho seguito col mostro della settimana, il paziente della settimana, l'alieno della settimana?), sicuramente fa piacere che questi vengano utilizzati con una certa grazia. Aggiungiamo che The Good Wife è proprio scritto bene, al di là di qualche caduta, ha personaggi interessanti, al di là della maledetta detective, e sviluppa le sue due o tre cosette migliori in maniera credibile e convincente. Insomma, la frittata è fatta, sono dentro, voglio andare avanti, arrivo addirittura a consigliarlo.

Certo, il fatto che ogni singolo giudice debba per forza essere un po' pazzerello, simpaticamente adorabile, con le sue piccole follie (o, al limite, corrotto), fa un po' ridere. Ma vai a sapere, magari è veramente così. E, certo, la detective deve morire fra atroci sofferenze, ma la possiamo sopportare. Però lo spunto di partenza è intrigante, gli attori sono per lo più bravi, gli sviluppi sono ben strutturati e i casi della settimana sono spesso molto più affascinanti di quanto avrei detto e di quanto l'episodio pilota mi avesse fatto temere (certo, ce ne sono anche un paio all'insegna del fortissimo MACCOSA). E poi c'è Alan Cumming. Insomma, bene così. Anche e soprattutto tenendo conto che si tratta di una prima stagione palesemente messa assieme con lo scotch e senza aver troppo chiaro dove si sarebbe andati a finire. Per dirne una, dopo il raddoppio di durata, gli episodi dovevano essere ventidue, e infatti la stagione si conclude palesemente col ventiduesimo. Solo che poi ne hanno aggiunto un ventitreesimo. E non è un episodio, è un insopportabile "prossimamente" di quaranta minuti che si preoccupa solo di far annusare quel che verrà l'anno dopo. Ecco, la speranza è che l'anno dopo certe cadute di tono se le siano risparmiate. Perché il materiale per una gran bella serie, comunque, c'è tutto.

Sia comunque messo agli atti che sono andato avanti a guardarlo perché mi era stato fatto credere che avrei visto la detective prendersi delle centre in faccia e non è successo neanche una volta.

23.11.11

Buried - Sepolto



Buried (Spagna/USA/Francia, 2010)
di Rodrigo Cortés
con Ryan Reynolds

La chiave per godersi Buried sta tutta nella capacità di berselo fino in fondo. Non si tratta necessariamente di una scelta, più o meno conscia, di un pregio o di un limite, ma alla fin fine la faccenda sta tutta lì. Se te lo bevi, lasci perdere le sovrastrutture e ti limiti a farti accalappiare dal suo "racconto", è un'esperienza vibrante, che non ti molla un secondo dall'angosciante avvio all'eccellente finale. Certo, ti fermi comunque magari un attimo a bearti di quelle due o tre trovate di regia e ogni tanto non puoi fare a meno di notare lo sguardo vacuo di Ryan Reynolds, ma è comunque solo ed esclusivamente un piacere. Oppure ti fermi prima, rimani bloccato fuori dallo spettacolino e ti ritrovi solo a soppesare questa specie di tesi di laurea sperimentale. E magari le trovi tutti i difettucci e le minuzie e le svolte improbabili che vuoi. E poi alla fine era meglio la Sposa di Tarantino. Per carità.

Però rimane il fatto che si sta parlando di un film che ti chiude davvero per un'ora e mezza in una bara assieme a Ryan Reynolds, senza mai mai mai concedersi uno sguardo fuori. Neanche mezzo. Certo, si deve appoggiare all'espediente del telefono cellulare, perché altrimenti come cacchio fai, ma tutto funziona a meraviglia, la tensione è altissima, Ryan Reynolds è convincente nonostante lo sguardo vacuo e alla fine sei lì che ansimi con lui sperando che magari forse dai ce la facciamo. E che altro gli vuoi chiedere, a un film che ti chiude per un'ora e mezza in una bara con Ryan Reynolds?

Che poi dev'essere un'esperienza allucinante, stare un'ora e mezza in una bara con Ryan Reynolds. Ah, nel Blu-ray c'è anche, fra i contenuti extra, il film d'esordio di Cortés, tale The Contestant. Sono curioso, così come sono curioso di vedere il suo prossimo Red Lights, vista anche la gente coinvolta.

22.11.11

The Walking Dead 02X06: "Segreti"



The Walking Dead 02X06: "Secrets" (USA, 2011) 
creato da Frank Darabont e Robert Kirkman 
episodio diretto da Guy Ferland
con Andrew Lincoln, Jon Bernthal, Sarah Wayne Callies, Norman Reedus


Ci aspettavamo tutti con forza che in questo episodio scoppiasse finalmente il bordello e così non è stato, anche se si presume accada nel prossimo. Anzi, dai, totocliffhanger di metà stagione! Chiudiamo la faccenda Hershel con il granaio che vomita fuori il suo contenuto? Se ne vanno tutti dalla fattoria? Se ne vanno secondo gli stessi termini del fumetto (al netto delle faccende Otis e Shane, s'intende)? Rimane tutto mozzato lì e ancora da risolvere? Pucchiacche? Vai a sapere. Ciò che non so, ma di cui mi sento abbastanza convinto, è che fra una settimana non rivedremo Merle e men che meno la bambina dispersa. A meno che non facciano la ganzata di farcela ritrovare nel granaio, ma dubito ne abbiano voglia e/o coraggio.

Ad ogni modo, tutto sommato, di cose ne sono accadute. Ed è stato un bell'episodio, perché incentrato sull'evoluzione di personaggi e caratteri, oltre che sul far venire al dunque determinate questioni. C'è stato pure il momento zombi, per carità, con una scena in farmacia che, diciamocelo, è stata un'ottima scena da film di morti passeggianti: prevedibilissima, si capiva lontano un miglio, ma ben costruita. Tolta quella, tutto un gran chiacchierare, ma con momenti parecchio riusciti, un Glenn sempre adorabile, un Dale che mi piace tanto e soprattutto un bel lavoro sulla scena conclusiva: niente urla, interruzioni buttate lì a far sensazione, verità non dette o spettacolino, ma un affrontare le cose in maniera - occhio - perfino quasi credibile. Si potevano fare le stesse cose in tanti modi molto meno eleganti e viene quasi da dire che si percepisce la sensibilità femminile di chi l'episodio l'ha scritto.

Al di là di questo, una puntata interessante anche nell'ottica dell'adattamento e del modo esplosivo in cui la faccenda Shane sta spingendo a rielaborare tutta una serie di cose e a porre basi sempre più interessanti per ciò che verrà. Il rapporto fra Andrea e Dale, per esempio, la gestione della gravidanza di Lori e in generale di tutto il triangolo, che sono proprio curioso di vedere che strada prenderà. E poi anche l'evoluzione di Carl, che inizia a venire fuori. Shane sta mettendo sempre più radici, insinuandosi nello sviluppo di tantissimi aspetti e diventando qualcosa di ben più interessante. E insomma, guarda, dopo tanto "mah, moh, meh", finalmente un episodio che mi convince per davvero, pur senza esaltarmi. Dai che magari l'interruzione di metà stagione arriva su una nota alta.

Fra l'altro, sempre nell'ottica dell'adattamento, quando han parlato di andare a cercare la bimba nella zona residenziale, pensavo si stesse preparando il terreno per Wilshire. Che in teoria doveva essere prima, e magari sarà dopo e tutto sommato vedrei bene per il ritorno della bimbetta dispersa che ci ha rotto i maroni. Magari sarà nella seconda metà della seconda stagione. O magari non sarà e l'hanno solo omaggiata qui. O magari vai a sapere. Ammetto forte curiosità.

21.11.11

Back To The Future - Episode 1: It's About Time


Back To The Future - Episode 1: It's About Time (Telltale Games, 2010)
sviluppato da Telltale Games - Michael Stemmle, Andy Hartzell, Jonathan Straw

La stima incondizionata di cui Telltale Games gode e/o ha goduto, l'ho detto più volte (per esempio chiacchierando di cosa potranno mai combinare con The Walking Dead), non l'ho mai condivisa troppo, non perlomeno con quello stesso entusiasmo generalizzato. La mia esperienza coi loro giochi rimane limitata, bisogna dirlo, però da un lato sono un vecchietto spaccamaroni e dall'altro la prima stagione di Sam & Max, pur discreta, non mi ha fatto scatenare in salti di gioia. E, soprattutto, non mi ha ancora fatto venire voglia per davvero di giocare la seconda, o una qualsiasi loro altra serie. Insomma, un grosso grosso meh, che per inciso mi sembra stia prepotentemente cominciando a farsi strada anche nell'opinione pubblica della gente che videogioca. Alla buon ora.

Il loro Back to the Future non avevo molta voglia di provarlo, un po' appunto per la scarsa fiducia, un po' per questa nuova ganza idea di farti comprare tutta la stagione sulla - per l'appunto - fiducia, un po' perché, sì, ho amato la trilogia di Zemeckis e ne conservo un bellissimo ricordo, ma sono fan sfegatato fino a un certo punto. Poi, però, Telltale ha avuto questa bella idea di offrire il primo episodio in download gratuito, per accalappiare qualche nuovo giocatore. E io ho avuto questa cattiva idea di scaricarlo e provarlo. E mi ha fatto schifo. Sulle prime sembrava anche potermi convincere. In fondo ascoltare quella musica, rivedere quei personaggi, riportare alla memoria certe cose ha il suo bel perché. Il problema è che poi, andando avanti, ci si rende conto che non c'è altro e che devi davvero essere il fan sfegatato alla ricerca solo di quello, per non rendertene conto.

E io ci ho pure provato, a farmelo piacere, a entrare nella mentalità "giusta", a coglierne lo spirito goliardico, ma ogni volta che sembrava essere sul punto di convincermi ecco che spuntava fuori un altro suo aspetto impresentabile. Scritto all'insegna del minimo indispensabile, senza la minima carica d'inventiva, solo con un proporre e riproporre questo o quell'elemento di nostalgia. Piatto, noioso, per nulla divertente nelle gag e nei dialoghi. Mediocre nella realizzazione tecnica e - colpa ben più grave - nel girare attorno ai suoi limiti, con una gestione delle inquadrature contraddittoria sul piano degli spostamenti del personaggio e un puerile tentativo di infilare cutscene spettacolari in un contesto esteticamente inguardabile (e dalla regia terribile). Assolutamente moscio nella struttura di gioco, con enigmi mostruosamente piatti, un sacco di andare in giro a vuoto per allungare il brodo e, soprattutto, pochissime sorprese. Che si tratti di un gioco sostanzialmente semplice e abbordabile mi va benissimo, visto il target e visto che tanto ormai non ho più la testa per gli enigmi spaccacranio. Che l'unica situazione vagamente intrigante arrivi nel finale, con quel simpatico dover interpretare dialoghi origliati per risolvere il problema, mi va un po' meno bene. Specie se poi mi riesci a rovinare anche quella tirandola troppo per le lunghe. Il risultato è che, nonostante la mia cronica voglia di completare i giochi che inizio e la mia altrettanto cronica tendenza a buttare soldi nel cesso, oh, non l'ho comprato, il resto della serie.

E allora dai, guardiamoci negli occhi, gettiamo alle ortiche il buonismo figlio della stima e dell'affetto che tutti - me compreso, a conti fatti, incomprensibilmente, almeno un po' - nutriamo per Telltale Games e ammettiamolo, diciamocelo, che questa roba è una porcheria bella e buona. Dai, non è poi così difficile. 


Perché tutto ciò l'ho scritto un anno dopo l'uscita, nonché alcuni mesi dopo che l'ho giocato? Innanzitutto perché, anche in ritardo, mi sembrava giusto comunicare al mondo che questa roba secondo me fa schifo, sai mai che salvi qualcuno dall'esperienza. Eppoi perché proprio in questi giorni, preso da una botta di masochismo, ho scaricato e installato il nuovo Jurassic Park di Telltale. Ci hanno mandato più codici del necessario per quell'altro sito là, quindi perché no? Devo ancora metterci mano, e per onestà intellettuale devo anche dire che quando l'ho provato alla GDC non mi aveva disgustato, ma ho come l'impressione che ne riparleremo quando avrò finito di vomitare.

19.11.11

Outcaddì


Giusto ieri è accaduto che ho pubblicato Outcast Magazine #12, nuova uscita del podcast di videogiochi più simpatico, baffuto e borderline che c'è. In questo episodio si parla di Sideway: New York, PixelJunk SideScroller, Skyrim, Uncharted 3, Braid, Ico & Shadow of the Colossus HD e seghe mentali assortite. C'è pure un simpatico regalo in palio per i nostri ascoltatori, pensa te! Sta tutto a questo indirizzo qui.

Di solito, appena finiamo di registrare, ci sembra di aver prodotto una roba indegna. Poi assemblo l'episodio ed è molto meglio di come sembrava "in diretta". Questa volta "in diretta" sembrava figo, quindi, in linea teorica, una volta montato fa cacare (oppure è ancora più figo del solito). Boh.

18.11.11

I mercenari


The Expendables (USA, 2010)
di Sylvester Stallone
con Sylvester Stallone, Jason Statham, Dolph Lundgren, Jet Li, Eric Roberts, Randy Couture, Steve Austin, Gary Daniels, Terry Crews, Mickey Rourke, Bruce Willis, Arnold Schwarzenegger

C'è stato un momento in cui per qualche motivo un po' di gente si è convinta che The Expendables sarebbe stato l'equivalente cinematografico (action) di prendere un NBA 2K a caso e organizzare un All-Star Game con Jordan, Bird, Magic, Russel, Doctor J, Shaq, Pelé, Maradona, Lendl, McEnroe, Alberto Tomba, Senna, Robocop, Er Monnezza e Mazinga Z. Nessuno l'aveva promesso e noi sapevamo che non sarebbe stato così. Sapevamo che Schwarzenegger e Bruce Willis avrebbero solo fatto una breve apparizione (fra l'altro "uncredited", giusto per sorprendere quei due che non si erano accorti della loro presenza). Sapevamo che Stallone aveva raccattato solo chi gli dava retta e di Van Damme, Steven Seagal e Chuck Norris non se ne parlava. Sapevamo che non puoi avere dodici protagonisti e che per questo la maggior parte dei "nomi" avrebbero fatto poco più che le comparse, ognuna con la sua scenetta. Eppure c'era un po' di brutta gente che faceva finta di niente, faceva spallucce e credeva alla favole. E che poi ci è rimasta male. Per fortuna ci sono anche persone in grado di avere aspettative sensate e di prendere le cose come vengono. 

Anche perché, parliamoci chiaro, quel rimanerci male lì è un rimanerci male che non rende giustizia a quello che comunque The Expendables è. Non la madre di tutti gli All-Star Game, certo, ma comunque un All-Star Game mediamente riuscito, con i campionissimi del momento, qualche superstar a fine carriera che ancora tiene botta, quello che ormai non ce la fa più ma l'hanno votato e quindi bisogna invitarlo, quel paio che si sono inventati un infortunio per non partecipare e quei due o tre che non c'entrano nulla ma per qualche motivo ci sono lo stesso. Ed esattamente come un All-Star Game, a conti fatti, The Expendables funziona: nessuno difende, alcuni stanno lì per far presenza e si mettono comodi in disparte, altri si vogliono divertire, più o meno tutti hanno il loro momento di gloria, qua e là ci scappa la giocata spettacolare che non potresti vedere da nessun'altra parte e poi, verso la fine, già che ci siamo, si prova a giocare davvero e a mettere in piedi una partita sensata, con del significato, in cui si lotta per vincere.

Ecco, quella roba lì, che bene o male ci guardiamo tutti gli anni, perché in fondo è piacevole star dietro al carrozzone, perché ci sono i momenti di stanca ma, cacchio, quelle due o tre giocate ti danno una scarica che levati e perché il bordello finale è uno spettacolo. Fra l'altro, siamo seri, guardiamoci nelle palle degli occhi: scorrete la pagina verso l'alto e date un'occhiata al manifesto e alla lista degli interpreti. Fatto? Ecco. Ok, non è quello che volevate ma, cacchio, non è comunque una roba di un certo spessore? Non è comunque un cross-over bello pesante che volevamo tanto vedere? Certo, sarebbe stato meglio avere lo stesso film vent'anni fa, però non è che ci si possa sempre lamentare di tutto, cazzo. Ed è altrettanto certo che se sei uno a cui piace solo la buona pallacanestro, il rispetto per il gioco, la partita tutta fotta e sudore dall'inizio alla fine, non ti potrai mai divertire davanti a questa roba. Anche se essere comunque davanti a ventiquattro di quei tizi che saltano in quel modo è una cosa insensata, specie se ti capita dal vivo, al palazzetto, con la gente che si esalta assieme a te nel guardarli (e, similmente, The Expendables è il tipico film che offre il meglio dal vivo, nel cinema pieno di buzzurri come te, che si esaltano, urlano e ti danno il cinque lanciando in giro bottiglie di birra).

E non è giusto, non rendergli giustizia, al povero Sly, che ha scritto un abbozzo di storia su un tovagliolo del suo pub preferito, ha messo assieme tutti quelli che trovava e ha tirato fuori un film che è tutto amore e passione per la carnazza becera dell'action movie di secondo piano anni Ottanta. Che ti piazza lì all'improvviso, senza alcun senso, una sequenza bellissima come quella dell'aereo. Che quando mette in chiesa i tre più grandi di tutti tira fuori un momento semplicemente meraviglioso. Che mette comunque in fila il siparietto giusto per ogni partecipante. Che regala una scena d'azione finale lunga, violenta, spettacolare, ritmata, rimbombombombombombombante in cui la gente si picchia fortissimo, Steve Austin picchia fortissimo Stallone, Jet Li e Jason Statham picchiano fortissimo Gary Daniels, Terry Crews lancia fortissimo i missili con le mani, Steve Austin si picchia fortissimo con Randy Couture e tutto esplode fortissimo.

E alla fine dipende tutto da come ti ci poni davanti, certo. Io mi ci pongo che mi sono divertito nonostante i tanti ovvi limiti, che per ogni cosa che non va (alla fin fine i cattivi non sanno farsi odiare, certo non come, che so, quello di 13 Assassini) ce ne sono due che vanno (vogliamo parlare di Dolph Lundgren o del solito monologo di Mickey Rourke che ogni volta è lo stesso e ogni volta ci commuove nel nostro DNA di uomini e ci fa reinnamorare di lui?), che magari nessuno ha lo spazio che ci piacerebbe avesse ma tutti hanno un lampo di quel che sanno fare meglio, che comunque è esattamente il film che mi aspettavo fosse. Magari non quello che speravo fosse, ma certamente quel che mi aspettavo. In più - occhio - è un film importante. Lo è non per la storia del cinema e magari neanche per questo decennio che inizia, ma certamente lo è per tutte le persone che lo hanno apprezzato e, diciamocelo, anche per quelle che volevano disperatamente apprezzarlo ma non ci sono riuscite. E che devono esserne liete.

Perché?

Perché dopo che Stallone si è messo a fare questa roba, ha cominciato a muoversi tutto quanto e sembra che adesso non si possano più fare film d'azione senza metterci dentro un tot di "nomi" a caso, tanto per. Hanno fatto un Fast & Furious V mettendo assieme l'All-Star di tutta la serie e infilandoci dentro The Rock che si picchia fortissimo con Vin Diesel. Stanno facendo secondo lo stesso criterio un quarto Universal Soldier con tutta la gente che ha popolato i primi tre e Scott Adkins come bonus. E Stallone, per The Expendables II (inevitabile, visto il successo del primo, con buona pace di tutti i Curzii Maltesi di questo mondo), si è messo da parte affidando la regia a Simon "ho esordito con un film divertente e poi non ci ho più capito nulla per vent'anni" West, con una scelta perfettamente in linea con il suo voler dare una mano a gente senza più carriera o dignità. Segue elenco che, oh, a me qualche scossa la regala.

Jason Statham, Bruce Willis, Sylvester Stallone, Liam Hemsworth (avremmo tutti voluto il fratello, ma si capiscono le ragioni), Arnold Schwarzenegger, Jean-Claude Van Damme, Jet Li, Chuck Norris, Dolph Lundgren, Scott Adkins, Terry Crews, Randy Couture.

Inoltre. Pare che Willis e Schwarzy avranno un pelo più di spazio, anche se di contro Chuck Norris apparirà probabilmente per due minuti circa. Van Damme sarà un cattivo che si chiama Jean Vilain e ci sarà una scena in cui si picchia fortissimo con Stallone. Steve Austin potrebbe tornare interpretando suo fratello gemello. Stallone sta cercando di tirare dentro chiunque altro gli passi per la testa e si è parlato con insistenza di Donnie Yen (non si è capito se per sostituire Jet Li o per picchiarlo fortissimo, io spero ci siano entrambi, ma temo nessuno dei due). Mickey Rourke non ci sarà perché è impegnato a girare un altro film con un mucchio di attori messi insieme a cazzo di cane e per questo lo perdoniamo, anche considerando che pare la sua uccisione a tradimento sia lo spunto di partenza, quindi magari stavolta ci scappa un cattivo da odiare per davvero. E Stallone ha dichiarato che questa volta l'amore sarà tutto rivolto con violenza verso i film di arti marziali. 

I rest my case.

Ne ho scritto adesso perché l'ho visto adesso, in Blu-ray, e me ne dispiaccio. Però il seguito andrò a vederlo in un cinema pieno di tedeschi ubriachi e mi divertirò quindi più di voi. Ah, visto in originale, The Expendables è un'esperienza lisergica. Ci sono solo attori "foreign" che non sanno parlare bene in ammerigano, attori che sanno parlare bene in ammerigano ma sbiascicano apposta, attori britannici e Sylvester Stallone. Non si capisce un cazzo.


17.11.11

One Day



One Day (USA, 2011)
di Lone Scherfig
con Anne Hathaway e Jim Sturgess


Di una cosa a Lone Scherfig bisogna dare atto, ed è che sa come si dirigono gli attori. Poi, per carità, avere a che fare con materiale umano del calibro di Carey Mulligan e Peter Sarsgaard (An Education l'ho visto, non ne ho mai scritto e mi sa che rimarrà sempre nel gruppone delle bozze mai completate) aiuta, ma il merito alla regista danese è difficile toglierlo. Così come non le puoi togliere il fatto di saper dirigere con garbo, eleganza, gusto, solidità, rara capacità di non scivolare mai nel patetico un film come One Day, sempre lì lì sull'orlo del cascarci, vuoi per il suo barcamenarsi fra il melodrammone e la commedia romantica, vuoi perché di fondo una storia del genere quante volte l'abbiamo vista? Io, per esempio, l'ho vista poco meno di due anni fa, in un film italiano.

Eppure il bello di One Day sta nell'eleganza con cui riesce a raccontare di questo tira e molla lungo vent'anni, nella capacità di scivolare sopra allo stereotipo e alla macchietta dandogli un senso, nel gusto con cui anche il momento più prevedibile, tipo quella rincorsa lungo le vie di Parigi, assume un senso grazie alla chiusura successiva, nella bravura nel rendere la struttura narrativa a episodi armoniosa e non posticcia, dando al film un ritmo tutto particolare e gustosissimo. E, certo, puoi andare a picchiettare di qua e di là cercando questa e quella cosa che non ti convincono o sottolineando un paio di scelte furbette, ma è l'insieme a rendere One Day cosi gradevole. E poi è scritto bene, ha dialoghi asciutti e divertenti, riesce a dare un bel senso di credibilità all'evoluzione dei caratteri, ha l'intelligenza di sorvolare su mille cose che altri registi ti sbatterebbero in faccia ed è, meglio ribadirlo, interpretato benissimo da attori proprio bravi. Certo, è quel che racconta e nulla più, ma tutto sommato, da una storiella d'amore con Anne Hathaway e Jim Sturgess, uno può aspettarsi ben di peggio che un bel film appassionante, divertente, romantico, emozionante, mai stucchevole, mai pasticciato, mai fastidioso. No?

Comunque, lo dico: An Education mi è piaciuto molto ma, insomma, non lo so, non ci ho visto questo miracolo e non mi è parso così meglio di questo. Ecco. Ah, in lingua originale ci si possono gustare gli attori inglesi, gli attori americani che fanno l'accento inglese e Anne Hathaway che tenta di fare l'accento inglese. Vedete un po' voi.

16.11.11

Xbox, dieci anni e un giorno dopo


Il cassone nero tanto perculato e insultato per forma, peso, dimensioni, marchio, luci, colori, suoni, lettera, testamento, perché Microsoft era cattiva e non ci capiva niente, perché di qua e di là e di su e di giù, a modo suo, occupa uno spazietto importante nella mia storia di videogiocatore e nel mio cuoricino. Anche se magari citarlo fra le proprie macchine preferite non ha la stessa aria da salotto buono che ti dà affermare "PC Engine" e "Dreamcast", o quella da grande intenditore contro la massa volgave che ti avvolge se parli di GameCube o, ancora più elite, Nintendo 64. Come spesso mi capita, non l'ho comprato al lancio, perché sossoldi e alla fin fine raramente ne vale la pena (anche se va pure detto che un Halo al lancio mica ce l'hanno avuto tutti. È comparabile ai Mario dei lanci Nintendo di una volta? Sì, dai, soprattutto in relazione al target). Ci ho messo invece mano più tardi, quando ho beccato un'offerta lusso per il bundle con Panzer Dragoon Orta e Project Gotham Racing. Da Mondadori Informatica, se non sbaglio. Fra l'altro, dei due, il primo non l'ho mai giocato (eh, lo so) e il secondo l'ho invece giocato fino alla morte, ovvero fino a quel punto in cui era chiaro che avevo raggiunto i miei limiti, ben lontani da medaglie di platino e simili. Ed è anche il gioco con cui, più di qualunque altro, mi sono divertito a smanettare con l'opzione per farti le tue colonne sonore sfruttando la musica sull'hard disk. All'epoca era davvero uno sbattimento, adesso sarebbe tutto più comodo e non me ne frega più niente. Pensa te.

Dall'esatto istante dell'acquisto, Xbox è diventata per me la console di riferimento per quando volevo rilassarmi, giocare, cazzeggiare nel tempo libero. Perché su PlayStation 2 ci mettevo quotidianamente le mani in ufficio, otto ore al giorno, per lavoro, e inevitabilmente per me quello finiva per essere: lavoro. Certo, ho giocato tante cose PS2 anche a casa, perché volevo e non dovevo, ma alla fin fine sempre l'Xbox mi ritrovavo ad accendere (in tutto questo il GameCube è stato dalle mie parti pesantemente ostracizzato, messo da parte, acquistato e giocato in ritardo, causa reazione allergica alla brutta gente della stanza a fianco che se gli criticavi una virgola di qualsiasi gioco del cubetto era più o meno come se gli stessi stuprando la madre, la fidanzata e la gatta in contemporanea).

Xbox era per me un po' l'erede del Dreamcast. Perché aveva quell'aria da console destinata a non farcela contro PS2 dal punto di vista commerciale, e quindi apprezzabile per il sempre amato amore per l'underdog (anche se considerare Microsoft underdog è un po' delirante, ma alla fine è bello così). Perché Sega, almeno per un certo periodo, si era messa a spostare tutte le sue belle serie lì sopra, con perfino quell'attimo di illusione che Shenmue potesse trovare un senso e un seguito. Perché - cosa dal mio punto di vista fondamentale - le serie sportive inaugurate da Sega su Dreamcast avevano proseguito su tutti i formati, ma solo sullo scatolo Microsoft rendevano al meglio, per qualità tecnica e funzionalità online. E sì, lo so che sotto altri punti di vista il paragone è forzato, ma poco importa.

Xbox è stata anche la macchina che mi ha fatto (tornare a) giocare online e volendo, pure nel suo essere avanti agli altri sul fronte online la si poteva considerare figlia del Dreamcast. Prima di Xbox, per me, c'erano stati dei momenti, Quake III Arena, Unreal Tournament, Worms 2, Pegball e quel cacchio di gioco stile Pictionary di cui mi sfugge il nome, con tutto il divertimento dei tornei di it.fan.studio-vit. Ma con Xbox, Xbox Live e le cuffiette è cominciata tutta un'altra faccenda. C'è stato un periodo in cui, ogni volta che usciva un gioco sportivo per me interessante, trascorrevo sostanzialmente un mese (almeno) a non fare niente altro che giocarlo online, tirando orari senza senso. Top Spin, PES (nonostante fosse l'unico gioco per il quale rimpiangevo il DualShock), i vari sportivi Sega con ovviamente in testa NBA 2K. E poi Amped 2, unico gioco di snowboard, assieme al primo 1080° e a Steep Slope Sliders, con cui mi sia davvero divertito giocandolo fino allo sfinimento totale... e quanto era figa la modalità online! Già solo per questo e per tutto il divertimento che ne è venuto fuori, Xbox nel mio cuore avrebbe vinto con violenza.

Anche perché la novità dell'headset, del fatto che tutti avevano l'headset e si chiacchierava con tutti quelli con cui giocavi online, era uno spettacolo. PES non si prestava, troppo da partitella veloce e non mi spaccare i maroni, ma quante chiacchierate spettacolari con gente da tutto il mondo mi sono fatto durante le lunghe partite con gli NBA 2K e gli NFL 2K, ah! Ricordo ancora con affetto quella partita a NFL 2Kqualcosa chiacchierando con un gallese subito prima di una Italia Galles di qualificazione a un qualche europeo o mondiale di calcio. O anche quel ragazzino siciliano che avevo schiantato incontrandolo in una partita a caso e che poi voleva sempre giocare contro di me. E la grande idea di XSN, purtroppo appiccicata a una manciata di giochi sportivi Microsoft fra i quali se ne salvavano davvero solo un paio, ma che per esempio su Top Spin fu un gran divertimento. E poi i tornei con la gente di XT e l'avvio del sodalizio online con Holly, che, sì, è esploso davvero giocando tutta la roba in cooperativa su Xbox 360, ma è cominciato in quel periodo lì, probabilmente con il multiplayer di Splinter Cell Pandora Tomorrow: quanto era un'idea spettacolare? Fra l'altro, di tutte le robe uscite con scritto Splinter Cell in copertina, quel multiplayer lì è l'unica che abbia mai giocato per davvero.

Eccerto, poi c'è stato anche Halo, il gioco a cui si deve l'esplosione degli FPS in ambito console, anche se non sono del tutto sicuro che sia un merito fino in fondo, e che è stato il primo di una serie di giochi affrontati in cooperativa con la Rumi, e che per questo si merita tutto l'affetto del mondo. E ci sono stati sicuramente tanti altri giochi usciti solo lì sopra, o che lì sopra erano meglio, per i quali è bello ricordarsi del cassone in nero con la croce verde. Ma la verità è che la mia Xbox è soprattutto quella lì, quella della simpatia per il progetto e per la sua burinaggine, quella della convinzione espressa all'epoca, in tempi non sospetti, che Xbox avrebbe straperso ma sarebbe stata un primo passo fondamentale per successi di là da venire, quella del periodo in cui davvero ho giocato online come mai prima e come, tutto sommato, mai dopo. Perché ormai non ho più tempo, forza e voglia di giocare online con regolarità e perché ormai pure le sessioni in cooperativa con Holly si fanno rarefatte, da quando fa l'uomo di casa e non ha tempo per le persone che veramente contano nella vita. Ciao Holly.

A voler ben vedere, comunque, ripensandoci, ci sono un altro paio di cose che mi piace ricordare di Xbox. Per esempio il pad ciccione, che io in realtà trovavo piuttosto comodo (causa mani grosse, suppongo), oltre che ulteriore indice di eredità dal Dreamcast. L'idea del cavo del pad che si staccava se tiravi forte, in modo da non portarsi dietro la console e sfondare il pavimento, trasformatasi in tragedia nel momento in cui io ho tirato fortissimo bestemmiando (do per scontato che stavo giocando a qualche roba sportiva online) e il cavo si è staccato, ma nello staccarsi si è pure rotto, ruotando il pezzetto di plastica contenuto nel jack. E allora poi il primo impatto con il glorioso servizio clienti Microsoft:
"Mi si è rotto il pad... "
"Sereno, te ne mandiamo un altro"
"Ma non lo volete indietro, quello rotto?"
"No"
"... mi si è rotto il mouse!"

E poi la scomparsa di giopep e la comparsa di VIT giopep. Perché all'epoca non esisteva Xbox Live Silver e se smettevi di pagare, semplicemente, dopo un tot di tempo ti bloccavano l'account. E io a un certo punto smisi di pagare, visto che avevo un po' smesso di giocare. E quando poi mi ritrovai fra le mani Xbox 360 e tentai di recuperare il mio vecchio account, non si poteva. Ormai era bloccato.
"Ma come bloccato? L'avete cancellato? Quindi posso crearne uno uguale!"
"No, sta lì, bloccato, irrecuperabile."
"No, dai, sbloccatemelo, per Dio, voglio darvi dei soldi, prendeteveli."
"No."
"..."

E il polpastrello del pollice destro incancrenito dalle partite a Top Spin. Aveva le sagome dei tasti incise nella carne.

Vittoria. Con violenza.

La roba che ho giocato su Xbox, e che alla fine non è mica tanta e soprattutto è tanto sport:
Amped 2
Black
Buffy The Vampire Slayer
Halo
Halo 2
Midtown Madness 3
NBA 2K3
NBA 2K4
NBA 2K5
NCAA College Football 2K3
NFL 2K3
NFL 2K4
NFL 2K5
NHL 2K3
NHL 2K5
Pro Evolution Soccer 4
Pro Evolution Soccer 5
Project Gotham Racing
Second Sight che era bello bello bello e sto barando perché l'ho giocato su PS2 e recensito su PSM ma la mia copia personale recuperata per due euro a un qualche GameStop è per Xbox
Star Wars Knights of the Old Republic
The Suffering che era divertente divertente divertente e sto barando perché l'ho giocato su PS2 e recensito su PSM ma la mia copia personale recuperata per due euro a un qualche GameStop è per Xbox
TimeSplitters 2
Top Spin
World Series Baseball 2K3

La roba che mi sarebbe piaciuto giocare su Xbox ma non è capitato e vai a sapere magari prima o poi lo faccio tanto se sto ancora giocando a Fallout 2 che problema c'è:
Jade Empire
Jet Set Radio Future
Oddworld Munch's Oddyssee
Oddworld Stranger's Wrath
Panzer Dragoon Orta
Star Wars Knights of the Old Republic II
The Warriors
ToeJam & Earl III

La roba che mi sarebbe piaciuto giocare su Xbox perché all'epoca non avevo un PC degno ma poi l'ho vista girare su Xbox e ho detto "no, grazie":
Deus Ex: Invisible War
Doom 3
The Elder Scrolls: Morrowind

E poi c'è sicuramente tanta altra roba che avrei giocato volentieri, non ho giocato, non possiedo e così a muzzo non mi viene in mente. In compenso ci sono altri tre o quattro giochi che stanno qua sullo scaffale e sono ragionevolmente convinto non abbiano alcuna possibilità di essere giocati dal sottoscritto. Mai.


15.11.11

The Walking Dead 02X05: "Chupacabra"



The Walking Dead 02X05: "Chupacabra" (USA, 2011)
creato da Frank Darabont e Robert Kirkman
episodio diretto da Ernest R. Dickerson
con Andrew Lincoln, Jon Bernthal, Sarah Wayne Callies, Norman Reedus

Prometto che è l'ultima volta che lo scrivo e poi mi limito a masticare amaro nel silenzio della mia triste vita, però non c'è niente, proprio niente da fare: ho scelto la serie sbagliata per concedermi un'eccezione e mettermi a seguirla un episodio a settimana, perché The Walking Dead mette in scena in maniera lancinante quel che non mi piace del seguire un telefilm in questo modo. E invece di godermi il flusso continuo di eventi fra cui spiccano i punti più alti e in cui si perdono le trovate meno convincenti, così come è accaduto quando mi sono riguardato a maratona la prima stagione, ecco che invece quei bei momenti diventano più che altro quelli da salvare in un pantano di narrazione che avanza a difficoltà.


Perché poi alla fin fine di buono ce n'è parecchio, ed è sempre in quei piccoli quadretti di normalità disperatamente inseguita in un mondo di sopravvivenza. Il modo in cui si conclude quel dialogo fra Glenn e Dale, certi scambi fra i personaggi buttati lì con naturalezza e tutto sommato anche il lavoro svolto sull'evoluzione dei caratteri. La costruzione di Andrea e l'evoluzione del suo rapporto con Dale, per esempio, è davvero piacevole da seguire, così come il confronto fra Rick e Hershel. Già meno convincente l'evoluzione di Daryl, anche se lui è ganzo e ci va bene così, un po' burino anche nella scrittura. E poi, insomma, il momento del risveglio in cui alza la testa, smartella, sradica, trapana, scala, urla, sbiascica e si trascina sbavando... su, dai, è ganzo.



Spacco culi, stacco orecchi.


E poi, per fortuna, le cose cominciano a smuoversi e sembra che finalmente ci si stia per decidere a far succedere qualcosa, sembra che tutta questa staticità e questo girare attorno un po' a vuoto stiano per prendere una direzione ben precisa, che poi è quella che sappiamo. Chiaro, poi il dubbio rimane: se non fossi qui ad aspettare come uno scemo le cose che verranno, troverei altrettanto fastidioso questo tirare per le lunghe? O mi sembrerebbe un solido lavoro di costruzione dei personaggi in attesa dell'arrembante esplosione che mi attendo per i prossimi due episodi? Magari sì, magari no, magari a breve non sarà più un problema. Eppure, rimane l'impressione che quando, se, mi riguarderò un giorno tutto in fila, sarà un piacere ben diverso. Boh.



Dai, voglio crederci, secondo me nel prossimo episodio ne succedono di tutti i colori e ci si diverte un sacco, anche nell'ottica di chi ha letto il fumetto e si aspetta certe cose che invece...

11.11.11

L'ultimo anno e un mese a fumetti di giopep (Prima parte)


Ed eccoci di nuovo con il regolarissimo appuntamento che tutti aspettano, quello in cui ogni settimana commento i fumetti che mi passano per le mani. Solo che il regolarissimo appuntamento non si presenta da ottobre 2010, quindi ci sarebbe in teoria una valanga di roba di cui parlare. Ovviamente la teoria non corrisponde alla pratica, anche perché, siamo seri, come cacchio faccio a parlare di un fumetto che ho letto, per dire, ad agosto 2010? Senza contare che sarebbe anche un po' tanta roba di cui scrivere e che dubito di essermi realmente appuntato tutto quello che ho letto in questi tredici mesi. Il fatto che però abbia continuato ad appuntarmi quasi sempre le cose nella bozza di questo post ha, in effetti, un non so che di inquietante. Comunque, ci provo, buttando nel mucchio ovviamente roba nuova e roba molto meno nuova e roba proprio vecchissima. Vediamo che ne esce fuori.

Quelli su cui credo di avere qualcosa da dire
Ignition City #1 ***
Rappresentante della categoria "western strambi", propone le avventure di frontiera trasportate in un'ambientazione fantascientifica piena di alieni disgustosi, ma in cui alla fin della fiera ruota sempre tutto attorno alle solite cose: soldi, alcol, sesso, sceriffi corrotti e pistole molto potenti. Divertente, non poi troppo prevedibile, tenuto in piedi da una protagonista dura come la sella di un cosacco.

Un marzo da leoni #1/3 ***
Un manga di quelli assurdamente strani, che racconta di giovani depressi, partite a go, amori e pianti a profusione. Logorroico tanto nella scrittura quanto, talvolta, nel riempire le tavole di elementi, dettagli, trovate, ha sicuramente un taglio tutto suo e affascinante e merita ulteriore investigazione. Sono usciti altri numeri, ma in fumetteria mi hanno saltato il quarto e sono fermo lì. :-|

Fables #14: "Witches" ****
Fables #15: "Rose Red" ****
E anche la seconda grande saga di Fables si è conclusa, in maniera spettacolare, convincente, emozionante. Francamente, nel momento successivo al termine della guerra con l'Avversario, non avrei mai detto che si sarebbe tornati su questi livelli. Errore mio, immagino, perché a quanto pare Willingham ha ancora parecchio da raccontare e se da un lato è inevitabile che dopo cento numeri la carica sia un po' andata persa, dall'altro il livello è ancora altissimo. E, soprattutto, ancora riesce a mettere addosso curiosità di scoprire come andranno avanti le cose. Non è poco.

Cinderella ***
Un racconto delizioso, divertente, senza grosse pretese, che approfondisce un personaggio spesso lasciato un po' in disparte nel colossale affresco di Fables. È impressionante come anche le piccole storie di contorno, anche quelle che alla fine sono semplici, oneste divagazioni, riescano a mantenere questo livello qualitativo. Ed è forse testimonianza dello strepitoso lavoro svolto da Bill Willingham, che si mantiene tale anche quando al timone non c'è lui.

Jack of Fables #7: "The New Adventures of Jack and Jack" ***
Jack of Fables #8: "The Fulminate Blade" ***
Jack of Fables #9: "The End" ***
Per esempio, anche Jack of Fables, che per sua inevitabile natura cazzona e sopra le righe non avrebbe mai potuto raggiungere le vette qualitative dei migliori momenti di Fables, è e rimane una serie dalla coerenza strepitosa, capace di rimanere intrisa dello spirito assurdo che la caratterizza fino all'ultima, singola vignetta. Scemo, dissacrante, ammiccante, divertente fino in fondo, tale e quale al suo protagonista.

Invincible #12: "Still Standing" ****
Invincible #13: "Growing Pains" ****
Invincible #14: "The Viltrumite War" *****
Il dodicesimo paperback in realtà l'ho lasciato lì per completezza, ma l'ho letto talmente tanto tempo fa che nemmeno ricordo di cosa parli. I due successivi, comunque, tirano le fila di praticamente tutti i discorsi aperti fino a oggi, e del resto il titolo del quattordicesimo è piuttosto esplicito. Volano un sacco di centre, in un tomo fra l'altro un po' più corposo del solito, e si chiude in maniera drammatica e intelligente una saga che va avanti da ormai parecchio tempo. Anche se ovviamente restano aperti una marea di discorsi. La lettura è come al solito eccellente, ed è fra l'altro molto gradevole vedere come Kirkman, nel suo piccolo, sia riuscito a costruire un piccolo universo narrativo carico di personaggi e spunti che hanno vita propria altrove. Sono curioso, comunque, di vedere come andranno avanti le cose, visto che siamo a uno spartiacque un po' sullo stile dell'ottavo TP di The Walking Dead. Vediamo adesso che succede.

The Astounding Wolf-Man #2 ****
Ecco, a proposito di universo allargato, questa è appunto una serie che sta lì in mezzo, da cui - visti il titolo e il soggetto - non mi aspettavo molto e che invece mi sembra davvero parecchio divertente e coinvolgente. Non c'è niente da fare: Kirkman, sui personaggi di sua ideazione, è proprio bravo.

Crossed #1 *****
Un'apocalisse (pseudo) zombi ideata  e scritta da Garth Ennis in versione "faccio sul serio", senza buttarla sul dissacrante, ma pestando durissimo col suo solito stile che non guarda in faccia a nessuno. Agghiacciante, appassionante, mozzafiato. Sono poi uscite altre storie ambientate nello stesso contesto, ma con altri personaggi e scritte da David Lapham. Quelle non so come siano, ma questa merita davvero.

The Boys #4: "We Gotta Go Now" ***
L'altro Ennis, quello cazzone, sboccato e che pensa solo a riempire le storie di piscio, sangue e merda. Sono parecchio indietro con la lettura, anche perché ho mollato la pubblicazione italiana e sto piano piano recuperando i volumi in originale, ma per il momento continua ad essere una roba piuttosto divertente - a patto che piaccia il genere - anche se, tolto l'effetto sorpresa dei momenti iniziali, mi sembra abbia perso un po' di forza. In questo volume, comunque, si prendono pesantemente per il culo gli X-Men.

American Vampire #1 *****
Premio Eisner 2011 per la miglior nuova serie, American Vampire è una creatura di Scott Snyder, alla cui scrittura di questa prima saga ha partecipato Stephen King. In pratica si sono divisi i compiti: King ha scritto la parte ambientata nel far west, Snyder quella ambientata negli anni Venti, e le due storie procedono in parallelo con montaggio alternato. Di che si parla? Ovviamente di vampiri, ma con la voglia di approcciarli secondo un taglio magari non nuovo, ma sicuramente piuttosto raro, specie negli ultimi tempi. Via i fighetti barocchi, spazio alla furia animale e a a creature che davvero abbracciano fino in fondo la loro natura, senza farsi tante paranoie. Non so se sia davvero spaventoso come lo dipingono, però l'ho trovato molto molto valido, appassionante, carico di idee e con un ricco potenziale per il futuro, soprattutto contando che sembra voler giocare molto (altra cosa non nuovissima, per carità) sull'immortalità dei personaggi per raccontare la loro epopea in epoche sempre diverse. È già stato raccolto in volume il secondo ciclo, ma fa parte di quelle serie per le quali fanno i furbi e pubblicano prima il cartonato, per passare al paperback solo in un secondo momento. Non mi avranno, posso aspettare. Ah, ne ho parlato nel diciottesimo episodio del Podcast del Tentacolo Viola, casomai.

Blue Exorcist #1/2 ***
Esorcismi, passati oscuri, comicità standard nippo, potenziale per essere un simpatico guilty pleasure di quelli che seguo più per abitudine che per altro (ciao Naruto!). Non ho idea di come sia proseguito, dato che la roba italiana la recupero quando, ehm, passo in Italia, e non ci passo da giugno. Ne riparliamo a Natale, insomma, anche se c'è la crisi e i guilty pleasure magari li posso anche evitare, su.

Locke & Key #2: "Head Games" ****
Locke & Key #3: "Crown of Shadows" ****
Ho letto il primo paperback di Locke & Key ormai due anni fa, eppure ero convinto di averlo letto non più di qualche mese fa. Come passa il tempo quando ci si diverte! Ma in effetti, a far mente locale, questo spiega come mai non mi ricordassi un tubo di quel primo volume e abbia avuto bisogno di rileggerlo per non sentirmi completamente perso. Ad ogni modo, direi che a questo punto è confermato che si tratta di una serie spettacolare, una specie di horror/fantasy che mescola suggestioni inquietanti, trovate da romanzo per ragazzi, sangue, crudeltà, divertimento e un sacco di idee fenomenali nel dare un senso alle chiavi "magiche" attorno a cui ruota la storia. Lo sceneggiatore, Joe Hill, è il figlio di Stephen King ed evidentemente qualcosa dal padre ha ereditato. Oltre alla faccia, che è uguale. È già uscito il quarto volume, ma ancora solo cartonato, e me lo devono puppare.

The Walking Dead #12: "Life Among Them" ****
The Walking Dead #13: "Too Far Gone" *****
The Walking Dead #14: "No Way Out" ****
E anche questa nuova lunga saga di The Walking Dead è arrivata al dunque, e ci è arrivata in maniera molto riuscita ed emozionante, per quanto tutto 'sto continuo alzare il tiro dei pugni nello stomaco, non so, forse mi sta anestetizzando un po' al dramma che vivono i vari protagonisti. Aggiungiamo che comunque, inutile girarci attorno, i personaggi patiscono un po' il non essere convincenti come quelli che c'erano prima, e l'impressione è che cominci un po' ad essere ora di pensare a una conclusione. Sbaglio?

RASL #1: The Drift ****
Il nuovo fumetto dell'autore di Bone, e già questo da solo basterebbe. Poi è pure bello. Una storia allucinata, piena di misteri, appassionante, violenta, splendidamente raccontata. È andata parecchio avanti e leggo in giro di qualche calo. Boh, vedrò. Certo è che l'inizio è fenomenale.

Dragonero ***
Mh. Non so bene cosa dovrei aspettarmi da questi "romanzi a fumetti Bonelli", anche se d'istinto mi viene da pensare a storie un po' fuori dagli schemi dell'editore, a racconti autoconclusivi belli spessi e ricchi e un certo margine per la sperimentazione. Ora, da un lato, volendo, Dragonero è esattamente questo, dato che si tratta del primo fantasy "puro", classico, totalmente ortodosso di casa Bonelli. Il problema, però, è sempre lo stesso: non è che siccome per la prima volta esce in casa Bonelli una storia di questo tipo, automaticamente mi devo dimenticare tutto quel che altri hanno fatto prima. Mettici in mezzo che a me il fantasy "standard" affascina fino a un certo punto e, boh, per quanto non sia un prodotto mal confezionato, mi sono ritrovato in fretta a chiedermi perché lo stessi leggendo. Errore mio.

Gli occhi e il buio ****
Un bel poliziesco a tinte fosche, che ha il vantaggio di sfruttare come si deve l'ambientazione italiana non proprio - paradossalmente - comunissima nel fumetto popolare italiano, che non si vergogna a puntare su scene abbastanza forti e che gioca come si deve sui diversi punti di vista dei suoi personaggi. Forse, da quel che leggo in giro, un po' sopravvalutato, forse un po' troppo alla ricerca del colpo a effetto e con protagonisti non tratteggiati bene fino in fondo, ma insomma, è anche un po' volergli fare il pelo. Una storia solida, interessante, gradevolissima e sicuramente superiore alle altre due che ho letto in questa collana di "romanzi".

Sighma ***
Una storia di fantascienza che verrebbe voglia di definire banale e già vista ma, vai a sapere, magari è solo che vuole citare i classici con tanto amore. C'è però davvero poco di interessante o sorprendente e alla fine si va avanti in maniera prevedibile solo per stare dietro ai bei disegni di Casini. Insomma, altra roba un po' sprecata.

Ayako #1 *****
Su questo magari scriverò qualcosa dopo aver recuperato gli altri due volumi, comunque mi sembra un Osamu Tezuka ai massimi livelli. Splendidamente disegnato e raccontato, agghiacciante e crudele come al solito nel tratteggiare dinamiche che hanno poco (o magari tantissimo) di umano. Per non apprezzarlo bisogna odiarlo.

Quelli che ne ho scritto su Players e quindi se vi interessa potete andare a leggere lì
Cerebus #1/2 ***** (Ne ho scritto sul numero 2 di Players)
Y-The Last Man ***** (Ne ho scritto sul numero 1 di Players)
Nemesis **** (Ne ho scritto sul numero 7 di Players)
Ex Machina **** (Ne ho scritto sul numero 5 di Players)
Eden ***** (Ne ho scritto sul numero 3 di Players)

Quelli che veramente non c'ha senso stare a commentare ogni singolo numero, eddai
Berserk #69/70, Birdy The Mighty #4/5, Cross Game #15, Echo #3/4, Gantz #27, Homunculus #11/12, iComics #3/4, Il grande sogno di Maya #45/46, Lilith #5/6, L'immortale #26, Naruto #49/53, Vagabond #48/50, Worst #21/22
Sempre intriganti Echo e Homunculus, che delusione Birdy The Mighty, non ce la faccio a seguire iComics nonostante sia in fondo un peccato, comincio a stancarmi un po' di tutto il resto.

Ce ne sarebbe un'altra manciata che avevo appuntato e di cui voglio scrivere, ma questo post mi ha già stroncato le forze così com'è, quindi facciamo che diventa la prima parte e la seconda vedrà la luce appena possibile. Anche perché ci tengo a pubblicare un post alle 11:11 del giorno 11/11/11. Oh.

10.11.11

Il regno del fuoco


Reign of Fire
(USA/UK, 2002)

di Rob Bowman
con Matthew McConaughey, Christian Bale e Izabella Scorupco

La prima volta che ho visto Il regno del fuoco era il 2002, ero al cinema, Gerard Butler era meno famoso del dottor Bashir di Deep Space Nine, Christian Bale era quello ganzo che forse non hai ben presente chi è ma a me piace un sacco e poi mi han detto che era il bambino di quel film di Steven Spielberg, Matthew McConaughey era il più famoso dei tre. Quasi dieci anni dopo, ho visto lo stesso film spaparanzato sul divano grazie a un DVD da cestone del supermercato e le cose sono un po' cambiate, ma la sostanza è rimasta la stessa, ovvero quella di una scemenzina simpatica, divertente, con un bello spirito smargiasso da filmetto un po' horror, un po' fantasy, un po' d'azione, un po' Nati per Vincere su Italia Uno. Sigla.



Ok, non è la sigla di Nati per Vincere, ma quella non l'ho trovata e il senso si capisce lo stesso. Il regno del fuoco è il film con l'apocalisse e i mostri cattivi che hanno spazzato via l'umanità tranne una sacca di coraggiosa resistenza che finirà per ricacciarli a calci in culo nel buco da cui sono usciti. Solo che i mostri cattivi sono i draghi, proprio quelli fantasy che volano e sputano fuoco, e il buco da cui sono usciti è quello della metropolitana di Londra. Ora, il film di Rob Bowman (uno che si è fatto vent'anni di televisione, poi ci ha provato al cinema con questo, poi ha diretto Elektra e giustamente l'hanno rimandato in TV accompagnandolo con dei dolci coppini) cerca di viaggiare dall'inizio alla fine su quel simpatico confine, così tanto amorevolmente anni Ottanta, che separa la serietà dal cazzeggio.

L'impianto narrativo si prende sul serio, i draghi sono cupi, carnivori e violentissimi, i personaggi fanno battute su Camelot e approcciano la fisiologia dei dragoni con fare scientifico e alla fin fine è tutto un piangersi addosso, un rimpiangere il passato e uno sperare nel futuro. A stuprare qualsiasi dubbio che 'sta roba voglia fare il film di spessore, però, ci pensa Van Zan, idolo delle folle: interpretato da un McConaughey ovviamente quasi sempre mezzo nudo, però tatuato come se non ci fosse un domani, disinteressato ad essere il bello della situazione, pelato, con il culo di un sigaro sempre in bocca, passa più tempo a grugnire che a parlare. Il film lo tiene praticamente in piedi lui da solo con le sue sbiascicate, mentre il resto fa da puro contorno di rappresentanza. Oltre a quello ci sono gli incontri coi draghi, tutti secondo copione, i personaggi che hanno scritto in faccia "morirò" lo fanno tutti al momento giusto e insomma ci si diverte in maniera buzzurra e tranquilla senza pretendere nulla di più.

I draghi fanno la loro figura, anche se ovviamente gli effetti speciali sono invecchiati un po' peggio rispetto, che so, a un Jurassic Park qualunque. Bowman fa il suo sporco lavoro senza inventarsi nulla di particolarmente creativo e regalando una sola immagine davvero (molto) suggestiva, che però è copiata di netto da Pitch Black. E lo scontro finale, per quanto prevedibilissimo, funziona esattamente come funziona il timballo della zia ogni volta che lo mangi: sai cosa sta arrivando, non ti sorprenderà di certo, però è sempre un piacere. Vogliamo aggiungere che il dragone acquattato per terra che si muove guardingo e fa i versacci è affascinantissimo e caga ancora in testa a quello tamarro e noioso di Zack Snyder? Aggiungiamolo. E aggiungiamo anche che sull'uscita di scena di Van Zan, a un Dylan Dog Horror Fest qualunque, sarebbe scattata un'ovazione che rimbomberebbero ancora le orecchie oggi.

Alla fine era meglio lui di Emily Browning, dai.

Chiudiamo con un'altra sigla che ci ricorda di quando da piccoli guardavamo le cose educative in TV.



Non ricordo come Il regno del fuoco fosse doppiato, però guardarlo in originale è divertente per tutta la questione degli accenti e dei britannici che si azzuffano con gli yankee, oltre che perché Gerard Butler è sempre uno spacco da ascoltare, con le sue errre tutte spesse.

9.11.11

The Good Wife: errore mio?


C'è un motivo se The Good Wife non aveva mai attirato la mia attenzione, neanche per sbaglio, ed è che si tratta di una serie "drammatica" CBS, e a me quelle serie là, le varie CSI, NCIS e proceduralità assortita, non hanno mai detto nulla. Non mi affascina la struttura del caso della settimana, così come non mi affascina un certo modo di "fare" personaggi e intrecci narrativi, anche se ovviamente mi rendo conto che non è il massimo gettare tutto in un gruppone qualunquista. Limite mio, per carità, ma così è. Col senno di poi, quindi, è ovvio che il mio radar non poteva proprio farcela a intercettare la serie prodotta dai simpatici fratelli Scott.

Il senno di poi, però, arriva appunto poi. Prima, c'è della gente dai gusti confortanti (Mad Men, per dire) che te ne parla benissimo, c'è il fatto di Ridley e Tony coinvolti, che comunque un minimo di fiducia ancora te la ispirano, e soprattutto c'è lo spunto di partenza piuttosto intrigante. Abbastanza da convincermi a dare una chance senza stare a informarmi ulteriormente. E così mi guardo l'episodio pilota. Che parte benissimo, con una scena ottima per regia e scrittura, oltre che per una davvero brava Julianna Margulies. Solo che poi c'è il resto dell'episodio e, ehm, si rientra nel territorio del "no, dai". Tutti quei personaggi prevedibili ai limiti del macchiettismo, tutte quelle passeggiate con loro che si parlano portando avanti il caso, tutte quelle situazioni che è evidente già alla prima volta che saranno tormentoni, tutti quei momenti da lampadina accesa sopra alla testa... pelle d'oca, fastidio, noia, sconforto, non ce la posso fare.

Il problema è che la faccenda di fondo, la storiella personale della protagonista, mi affascina, e mi piacerebbe troppo guardare una bella serie HBO dedicata alla cosa. Quello che non mi va di guardare è una serie di casi dei quali non me ne frega nulla con attorno dei pezzetti della storia che mi interessa seguire. Anche se, sicuramente, ogni tanto ci sarà l'episodio bellissimissimo con il caso davvero interessante e intrigante. Quindi, insomma, croce sopra. Solo che poi, comunque, uno sguardo in giro per l'internet l'ho dato, e OVVIAMENTE nelle recensioni si legge tutto e il contrario di tutto. Chi lo critica, alla fin fine, esprime per filo e per segno il mio pensiero. Però chi ne parla bene dice cose interessanti. Aggiungiamo che al mio check-in su Miso ricevo due risposte su Twitter un po' dissonanti: "Secondo me è una grande serie, ben sviluppata e ben recitata, con qualche personaggio davvero riuscito." e "the good wife è terribile fermati finché puoi ;-)".

Insomma, boh.

Ora, la questione è in linea di massima piuttosto semplice, dato che ho subito calato il sipario e non mi sono messo a guardare nemmeno il secondo episodio. Croce sopra e fine. Però, lo ammetto, il dubbio che alla fin fine possa valerne la pena mi è venuto, presumo alimentato dalla fatica patologica che faccio a iniziare un libro/film/fumetto/videogioco/[aggiungere a piacere] e mollarlo prima di averne visto la fine. Quindi chiedo delle risposte a chiunque sia in ascolto e abbia risposte da darmi. Ne vale la pena? Ci sono momenti di grandissima televisione che non mi posso perdere? La parte che mi interessa è talmente azzeccata che vale la pena di sorbirmi tutto quel che, per quanto magari ben fatto, non ha proprio modo di piacermi? Ma soprattutto: la detective ganza muore di morte violentissima e/o dolorosissima e/o soffrendo tanto e male stile Gwyneth Paltrow in Contagion? No, eh? :(

Ovviamente non mi risponderà nessuno e non guarderò mai più un singolo episodio di The Good Wife. Bene così.

8.11.11

Oplà, nuova faccia


Ieri sera, che si è velocemente trasformata in notte e che sto scrivendo questo post (quasi) alle due e adesso non so se mettermi a guardare la diretta degli Eagles fra mezz'ora... Dicevo, ieri sera, colto da voglia improvvisa di fare 'sta roba che volevo fare da qualche centinaio di settimane, ho cambiato il template del blog. Nel farlo, sono andati persi dei pezzi, ho deciso di eliminare dei pezzi, ho aggiunto dei pezzi, però mi sembra di essere riuscito a fare più o meno tutto quel che volevo fare. Sicuramente mancheranno cose, ci saranno cose che devo sistemare e ci saranno pezzetti che mi sono perso per strada senza accorgermene. Ovviamente accetto suggerimenti di qualsiasi tipo, dritte, insulti, pacche sulle spalle.

Di mio posso dire che mi sembra un pochino più snello e leggibile, che finalmente tornano ad essere evidenziati i link senza che io debba farci le magie attorno, che il nuovo slideshow in home page mi piace parecchio, che non sono ancora del tutto sicuro di cosa ho messo e cosa ho tolto lì a destra, che però mi piace il selettore per vedere tre diversi pezzi di colonna lì a destra, che i menu là in cima mi piacciono, che in fondo in basso ci ho messo le cose dell'amicizia perché è giusto stiano in fondo dato che l'amore è sofferenza, che già da solo vedo qualche cosa strana e qualche cosa che non sembra funzionare come dovrebbe, che chissà che razza di avanzi di html stanno infilati in giro e non so bene dove scovarli e che basta.

Il momento in cui sì, ok, dai, carica il nuovo template, cambia tutto, sono sicuro, clic, è sempre un momento di grande panico. Che ancora non sai quanto andrà completamente in disastro tutto quanto, ancora non sai quanto ci vorrà per mettere tutto a posto, ancora non sai se ne uscirai vivo. In compenso sai di non poter più tornare indietro.

7.11.11

The Walking Dead 02X04: "La rosa Cherokee"



The Walking Dead 02X04: "Cherokee Rose" (USA, 2011)
creato da Frank Darabont e Robert Kirkman
episodio diretto da Bill Gierhard
con Andrew Lincoln, Jon Bernthal, Sarah Wayne Callies


L'inizio di questa puntata mi ha fatto dire "oh". Perché per la prima volta ho trovato una delle robe che più mi avevano gasato della prima stagione di The Walking Dead, ovvero quei due o tre avvii di episodio che ti fanno dire "oh". Tutta la parte del funerale, anche se l'avevo già vista nello sneak peak su Youtube, soprattutto con poi il crescendo della solita e sempre fichissima musica che sale e lancia i titoli di testa (che non sarà Bad Things, ma insomma, rimane una gran bella sigla da telefilm) mi ha fatto dire "oh". Il problema è che poi si torna nel mondo di una serie che continua ad alternare cose molto riuscite, cose che ti solleticano sotto il mento nel modo giusto se hai letto il fumetto (grande Glenn, sei tutti noi!) e cose che funzionano molto meno.

Più in generale, c'è sempre quella sensazione di girare in tondo per allungare un po' il brodo, anche se tutto sommato qua, pur nella natura dalla logica insensata di un po' tutta la faccenda del pozzo, lo svolgimento mi è parso meno sconclusionatamente inutile che nel terzo episodio. In più, stanno prendendo l'avvio alcune cose di là da venire, la stalla comincia a puzzare di marcio, i personaggi si lanciano gli sguardi torvi e si sta palesemente preparando il terreno per diverse situazioni note e altre un po' meno note. Solo che, appunto, sembra sempre un po' tutto un preparare, mentre preferirei che ci fosse più succedere, perché a furia di promettere e basta poi va a finire che scoppia tutto in una bolla di sapone.


Di contro va pure detto che continuano ad esserci quelle piccole cose di questa serie che mi piacciono davvero tanto, sia per i fatti loro, sia per il modo in cui rielaborano elementi presi dai fumetti. Per esempio quel bel momento fra Rick e suo figlio a letto, il modo in cui si sta sviluppando il rapporto con Hershel o l'evoluzione che sta subendo il personaggio di Andrea, il lento trasformarsi in quel che poi sarà. A non funzionare, invece, è il crescendo finale, la "grande rivelazione" che praticamente chiunque si aspettava dalla fine della prima stagione o che comunque, insomma, m'è parsa proprio costruita in maniera poco convinta, per quanto interessante in prospettiva futura (non dimentichiamoci che quando è saltata fuori nel fumetto era già accaduto quel che doveva accadere).

Di sicuro, comunque, è evidente che il lavoro su Daryl, pur dalla qualità che va e viene, è finalizzato al rientro in scena di Merle. Magari legato alla bimbetta scomparsa? Boh, non so, ero qui che me lo chiedevo e mi dicevo che sarebbe ora di tirarlo nuovamente fuori e poi sono andato a guardarmi su Youtube il promo del quinto episodio. E, ehm, ecco.

6.11.11

Rainbow 6 7


L'unico Rainbow Six che abbia mai provato a giocare per davvero è il primissimo, del quale ho fra l'altro un ricordo piuttosto confuso. Apparteneva a una categoria di giochi per me affascinantissima, quella delle robe che a sentirle descrivere mi gasavo e mi veniva una voglia matta di giocarci, ma poi, quando mi ci mettevo, facevo una fatica bestia, perché alla fine forse non sono abbastanza intelligente. Al di là di quello, ho giusto messo mano velocemente alla versione console di Rainbow Six 3, durante il mio primo press tour di un certo spessore (primo viaggio a San Francisco, con tanto di visita ad Alcatraz), maturando una certa qual vaga impressione che si fosse mandato al macero tutto quanto per venire incontro agli siemi come me, e ora che ci penso forse ho pure provato la demo di Rainbow Six: Vegas. Fine. 

Presumo che questa mancanza nel mio curriculum sia assimilabile al motivo per cui - attenzione - non ho mai giocato un singolo FPS ad ambientazione guerresca (se non per motivi di lavoro, magari per fare un'anteprima a qualche evento). Niente Medal of Honor, niente Call of Duty, niente Battlefield, niente Ghost Recon. Niente. Ho sempre pensato fosse perché non mi affascina giocare uno sparatutto ad ambientazione guerraiola, ma forse, facendo mente locale su Rainbow Six, la parola chiave è "realismo". Oppure anche "casualità". Comunque, basta divagare: l'altro giorno ha visto la luce questa specie di trailer, non trailer, prototipo, c'era stato il leak, adesso ve lo mostriamo noi, del nuovo Rainbow 6 Patriots


Casomai qualcuno non l'avesse visto: qua di seguito commento quel che succede.


Ora, questa roba, innanzitutto, è forse il primo gioco del quale si fa veramente fatica a dire che non sia stato influenzato da Heavy Rain. Dirlo per tutti i quick time event a valanga che si vedono di recente, non so, mi sembra un po' pretestuoso, perché quello è un fenomeno che va avanti da prima di David Cage e che mi sembra sia veramente esploso con God of War. Ma, cacchio, qua dentro di Heavy Rain ce n'è davvero parecchio. Ce n'è in maniera fin troppo palese nell'avvio, nel farti provare a vivere una sequenza "tranquilla", normale, di vita, facendotela giocare e non solo guardare, per darti immedesimazione naturale coi personaggi, basata su sensazioni che non siano solo da action movie. Ce n'è, ovviamente, in quei comandi contestuali che appaiono in giro per lo schermo in quella maniera lì. E ce n'è poi anche in maniera forse meno appariscente nel modo in cui si gioca con la prospettiva, col punto di vista, con la narrazione.

Ti fa vivere il momento drammatico di un personaggio e poi ti mette nei panni di un altro che quel personaggio se lo trova davanti e si trova costretto a doverlo uccidere. E compiere quell'azione, se già sarebbe un gesto "forte" di suo, assume tutta un'altra emotività nel momento in cui tu, fino a pochi minuti prima, "eri" il personaggio che se ne deve cascare giù dal ponte. Chiaro, poi si mette sempre in mezzo il problema dell'interattività, del giocare e del modo in cui uno si pone di fronte a queste cose, perché è ovvio che se le vivi solo come una serie di pupazzetti a cui sparare in faccia, beh, ti fai due risate e vai avanti. Però c'è uno sforzo di andare oltre il "semplice" darti la possibilità di uccidere gente a caso in aeroporto e mi piace, mi sembra interessante.

Più in generale, oltre a questo, il trailer mi piace per un po' di motivi. Intanto perché mostra le classiche tematiche scomode (o magari comode) che genereranno tanta polemica e tanta pubblicità, ma che mi fa piacere vedere affrontate. Poi perché sperimenta appunto con la narrazione interattiva, che è una cosa che mi affascina e mi piace molto. Per cui, insomma, sono intrigato. Allo stesso tempo, però, ho un po' il timore che dietro questi momenti dalla coreografia azzeccata finisca poi per esserci qualcosa di molto meno interessante, un gioco a cui se levi queste due o tre trovate lineari e gradevoli non rimane altro che una serie di sparatorie mediocri (e, a dirla tutta, già nel trailer la parte di sparatoria mi sembra di una noia mortale: "Fai questo, fai quello, vai di su, vai di là"). Poi si parla di sistema di scelte, moralità, decisioni, e già mi immagino i soliti bivi con addosso il peso del mondo in cui se vai a destra muoiono in dieci e se vai a sinistra muoiono in altri dieci e, boh, mi viene voglia di andare avanti a giocare a Fallout 2, che ha una storia semplice semplice, la butta tutta sul ridere, ma altro che bivi, è una rotonda continua.

Ma quanto è impossibile, su una scala da Resident Evil 6 a Van Buren, che un giorno salti fuori un nuovo Rainbow Six sullo stile dei primi due? Ma quanti grideranno allo scandalo perché questo gioco non c'entra nulla con il Rainbow Six che conoscono loro e che non c'entrava nulla con il Rainbow Six che non riuscivo a giocare io? Ma quanto sarebbe bello se lo intitolassero Rainbow 6 7?

5.11.11

Tentacolazzo


Così tante cose da fare, così poco tempo per farle, meglio dedicarsi allo spam. In attesa che mi colga fuoco sacro e ritorni ai livelli di produzione di due mesi fa, segnalo che i miei sicuramente tantissimi ed esigentissimi fan possono continuare a seguirmi in quell'altro posto di là, dove sto scrivendo come un ossesso, come non manco di segnalare su Facebook, su Twitter e negli appositi spazi accessori di questo blog. Sempre a loro, segnalo che domenica scorsa Davide ha pubblicato il nuovo episodio del Podcast del Tentacolo Viola, in cui si parla di qualsiasi cosa ci passi per la testa, anche se nominalmente il tema è "videogiochi". Lo trovate a questo indirizzo qui.

Fra le tante cose da fare, ci sarebbe anche il cambio di template del blog, ché finalmente ne ho trovato uno che mi aggrada. Però è uno sbattimento, nun c'ho voglia. Fra l'altro devo pure sistemare i link dei vecchi episodi di Outcast post cambio di server. Madonna che palle 'ste attività collaterali fatte per passione e che non portano soldi.

 
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