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28.4.06

Very Big Camionz



26.4.06

Forbidden Siren

Siren (SCE, 2003)
sviluppato da SCEJ - Keiichiro Toyama


Sorta di "stealth game" virato all'horror, Forbidden Siren propone un approccio al terrore diverso da tutti i suoi simili e costringe a "giocare" sul serio, piuttosto che permettere di passeggiare spensieratamente fra un filmato e un enigma, zigzagando fra morti viventi e demoni infernali. Qui i cattivi, gli shibito, sorta di zombie dotati di coscienza, sono cattivi per davvero, non muoiono mai e se ti colgono alla sprovvista ti fanno a pezzi. Non ci si può mettere a fare lo slalom, perché significa quasi morte certa. Bisogna, insomma, giocare stealth, à la Splinter Cell, con il sightjack al posto delle telecamere e i mostri al posto delle guardie. Il problema è che da Splinter Cell la produzione Sony eredita la rigida impostazione, ma non la stessa fluidità di gioco.

Secondo quella che sembra essere la maledizione dell'horror videoludico, infatti, Forbidden Siren ha un sistema di controllo da mani nei capelli. Farraginoso e impacciato nei movimenti e nell'incedere, esattamente come un Project Zero, un Silent Hill o un Resident Evil qualsiasi, ha i suoi pregi, ma anche tanti difetti di scomodità, non ultima la pasticciata interfaccia di manipolazione degli oggetti. Il dramma è che tutto questo si inserisce, come detto, non in una passeggiata, ma in un gioco estremamente difficile.

Forbidden Siren non concede nulla e non lascia margini di errore, mette in situazioni estreme, di grande impatto emotivo e dall'atmosfera palpabile, ma che vengono talvolta rese frustranti da un sistema di controllo quasi impresentabile. A questo bisogna aggiungere la trovata intrigante del "non automapping", che rende bene l'idea del disorientamento vissuto dai protagonisti, ma ovviamente complica le cose, specie nelle ambientazioni con pochi punti di riferimento. Impossibile, poi, non citare l'assurdo sistema di salvataggio, che obbliga a portare nuovamente a termine anche le missioni già viste per poter memorizzare eventuali nuovi obiettivi raggiunti rigiocandole.

Tutti questi sono elementi che, presi uno per uno, non rappresentano forse peccati capitali, ma messi assieme vanno a generare la grande contraddizione rappresentata da Forbidden Siren. Un gioco dal taglio adulto e maturo, per i toni ultraviolenti, per le atmosfere opprimenti, ma anche per uno stile narrativo tutt'altro che banale. Ma anche un gioco che richiede un impegno e una dedizione tutt'altro che comuni nel giocatore adulto e più caratterizzanti dell'appassionato adolescente. Indeciso sul target di riferimento, Forbidden Siren si perde quindi "fra le linee" e paga il fatto di esercitare nei confronti del suo pubblico una sorta di spocchia che, visti i difetti d'impostazione, non può forse permettersi.

Ed è un peccato, perché sotto quella coltre di strafottente intransigenza si nasconde un vero gioiello, un capolavoro mancato che meriterebbe l'attenzione anche di chi non è tanto fesso da dedicarsi anima e corpo a un gioco che lo prende per il culo. Basti pensare al sightjack, una fra le più esaltanti e convincenti trovate degli ultimi anni. Il potere di osservare il mondo tramite gli occhi di qualsiasi altro essere vivente (o poco meno che), sfruttando le ronde dei nemici per scrutare l'ambiente e scoprire segreti nascosti, lascia di stucco per efficacia sia in termini di gioco che nel suo utilizzo "narrativo".

E i pregi di Forbidden Siren stanno anche e soprattutto nella sceneggiatura che, al di là di qualche dialogo un po' troppo "da videogioco", racconta una storia splendida, agghiacciante e struggente. La struttura a episodi concatenati e disordinati funziona a meraviglia e l'intreccio si dipana un pezzetto alla volta, con tante piccole tessere che vanno a unirsi piano piano, formando un mosaico complesso e articolato. L'utilizzo di dieci diversi protagonisti permette una varietà di situazioni e atmosfere notevole, offre svariati punti di vista sulla stessa vicenda e si presta a clamorosi cambi di prospettiva, che in più di un'occasione spiazzano davvero, specie quando ci si trova a combattere contro chi, fino a qualche minuto prima, consideravamo un prezioso alleato.

Ma tutto il gioco si basa su uno script pieno di trovate geniali, fra cui svetta quella fantastica missione in cui si osserva, tramite il sightjack, una famiglia shibito che prova inutilmente a riprendere le proprie abitudini e vivere una vita normale, fatta di piccole cose e oggetti quotidiani. O ancora quella lenta e inesorabile trasformazione della cittadina in un enorme nido di mostri, perpetrata un pezzo di legno alla volta, nel corso di tutto il gioco. Forbidden Siren nasconde talmente tanto di meraviglioso che viene voglia di convincere chi l'ha abbandonato a riprenderlo in mano, magari munendolo di una guida, che gli permetta di vivere questa bella esperienza in tranquillità e senza impazzire dietro alle sue contraddizioni.

Gli imperdonabili errori di progettazione che hanno reso Forbidden Siren tanto inaccessibile per molti giocatori rappresentano quasi un crimine nei confronti dell'umanità. E non a caso pare proprio che nel secondo episodio si sia fatto in un certo senso dietrofront, inserendo un meccanismo di automapping, offrendo un sistema di salvataggio più flessibile e snellendo l'interfaccia di controllo. Tutto questo non basterà forse a renderlo appetibile per chi, educato da un decennio di Resident Evil e Silent Hill, considera la paura un ostacolo sufficiente e si accontenta di passeggiare nei suoi incubi. Ma perlomeno dovrebbe rendere la serie più accessibile e meno stupidamente elitaria.

23.4.06

Cell


Cell (USA, 2006)
di
Stephen King

Nel suo ultimo libro Stephen King omaggia apertamente, fin dalla dedica iniziale, il Richard Matheson di Io sono leggenda e gli zombie di George Romero. Da entrambi prende lo spunto di partenza, con un'umanità messa alle corde da un'improvvisa e incomprensibile mutazione, in grado di trasformare buona parte di noi in bestie assetate di carne e sangue. E lo stesso sviluppo della storia sta a metà fra la deriva fantascientifico-futurista di Matheson e l'horror di forte satira sociale che caratterizza l'opera di Romero.

Non solo. King, dopo un avvio che ricorda tantissimo l'ottimo L'alba dei morti viventi diretto da Zack Snyder (che fra l'altro, apprendo da imdb, sembra aver preso in mano 300, Watchmen e Rainbow Six, figata!), abbraccia la visione "evoluzionistica" del Romero recente e dipinge stormi di umani mutati che sviluppano una coscienza collettiva e si avvicinano sempre più ad essere una versione deviata, malata, ma non poi così rincretinita, della razza umana. Le atmosfere sono palesemente quelle del cinema di zombie e non possono che far saltare di gioia chiunque ami il genere (figuriamoci, poi, a leggere il libro mentre si sta giocando, come il sottoscritto, Forbidden Siren, che mette in scena proprio un tipo di pseudo-zombie "quasi intelligenti").

Insomma, finalmente Stephen King ha deciso di affrontare forse l'unica grande icona horror che gli mancava, e l'ha fatto eseguendo il compitino. In un certo senso si potrebbe dire che la storia raccontata da Cell si evolve in maniera simile alla quadrilogia cinematografica di Romero, partendo dalla sola e unica sensazione di panico iniziale, proseguendo con un tentativo di satira sociale e arrivando a mostrare degli zombie più "vispi" e intelligenti ma, forse proprio per questo, molto meno spaventosi. Proprio come quelli de La terra dei morti viventi.

La seconda parte del romanzo abbandona quasi completamente le atmosfere iniziali e diventa una sorta di racconto fantascientifico, che vede il classico gruppo di ribelli impegnati contro un oppressore onnipotente. Ma, forse anche a causa di un protagonista poco carismatico, viene un po' a mancare la potenza del racconto. Cell, comunque, rimane un romanzo appassionante e divertente, con un incipit fenomenale e almeno un lungo episodio - il centinaio abbondante di pagine intitolato "Accademia di Gaiten" - davvero memorabile.

Campione d'inverno


Si è più o meno chiuso il girone di andata del FROGEvolution Soccer Tour 2. Dico "più o meno", perché in realtà manca ancora qualche partita e, fra l'altro, se n'è pure giocata già qualcuna del girone di ritorno ma, almeno per quanto mi riguarda, il girone di andata si è concluso, e direi anche molto bene. Mi sono infatti ritrovato al primo posto, con due lunghezze di vantaggio sul Duspa, che senza dubbio si è rivelato il "nemico" più pericoloso (e non a caso è l'unico altro ad aver chiuso il girone da imbattuto).

Nel complesso, direi che non mi posso lamentare: giunti al giro di boa i numeri dicono nove vittorie e quattro pareggi, miglior difesa - guidata da un titanico Stam - a parimerito con quella di Zave e probabilmente miglior attacco del torneo. Fatico a far emergere un credibile miglior marcatore dei miei, ma in fondo è una cosa positiva, perché vuol dire che il turnover funziona e segnano tutti. Del resto, ho Larsson e Brian Laudrup a cinque gol (due in meno del capocannoniere del torneo Gullit), Saha e Henry a quattro e una marea di gente con due o tre reti.

Detto che fortuna e sfortuna mi sembra si siano equilibrate, perché, a fronte di un paio di pareggi che mi vanno stretti, ho anche vinto almeno due partite con gol "improbabili" e ne ho pareggiata una segnando in pieno tempo di recupero, sono soddisfatto dei miei risultati. Ma sono anche solo a metà dell'opera: l'obiettivo, chiaramente, resta di lottare per lo scudetto fino alla fine.

E magari di sconfiggere i quattro con cui ho pareggiato nel girone di andata: Vètova e Alepolli, che si confermano le due "piccole" in grado di mettermi più in difficoltà, Il Toso, che i coglioni me li rompe solo nei tornei, e il Duspa, con cui, bisogna dirlo, ho all'attivo due pareggi e una sconfitta. Vediamo che succede.

18.4.06

The Boondock Saints


The Boondock Saints (Canada/USA, 1999)
di
Troy Duffy
con
Sean Patrick Flanery, Norman Reedus, Willem DaFoe, David Della Rocco

Cosa succede se un irlandese che si è visto tonnellate di polizieschi orientali decide di dedicarsi alla regia? Succede The Boondock Saints. L'opera prima (e ultima) di Troy Duffy, infatti, pesca a piene mani da quell'immaginario con gli occhi a mandorla, fatto di personaggi smodatamente sopra le righe, estremizzazione di valori e sentimenti e situazioni ben oltre il limite del ridicolo, seppur tenute in piedi da una certa carica autoironica.

The Boondock Saints, ovviamente, non si limita a questo, ma attinge da tutta la cinematografia di genere occidentale. Un pizzico di Tarantino, una spruzzata di Scorsese, un po' di deriva religiosa e il minestrone soddisfa grazie una scrittura rozza, ma efficace, caratterizzata da idee interessanti e da un divertente inseguirsi di lingue e accenti da tutto il mondo.

Sorta di The Punisher innaffiato di birra, sulla distanza la pellicola di Duffy mostra un po' la corda, per la continua ripetizione delle stesse soluzioni narrative - interessanti, ma pochine - e per l'incapacità di realizzare una chiusura degna. Resta comunque un'opera prima interessante, della quale però non si sono visti seguiti.

16.4.06

Il mambo degli orsi


The Two Bear Mambo (USA, 1995)
di
Joe R. Lansdale

Nel terzo volume del ciclo dedicato a Hap Collins e Leonard Pine, i nostri eroi si trovano come sempre infilati in guai clamorosamente più grossi di loro, e ancora una volta per colpa di una ex del prode Hap. Non una ex qualunque, fra l'altro, ma la Florida coprotagonista di Mucho Mojo, scomparsa dopo essere partita per una cittadina che ospita dei simpatici figuri che amano vestirsi di lenzuoli bianchi.

Il mambo degli orsi è un romanzo divertente e, seppur in una maniera un po' distorta, molto spensierato. Mescola assieme i generi, proponendo una sorta di racconto trasversale, un po' noir, un po' western, un po' ironica presa in giro di entrambe le cose, e copre il tutto con un velo di triste e struggente malinconia, che lascia l'amaro in bocca anche dopo la risata più gustosa.

Ancora una volta genere allo stato brado, estremamente cinematografico e adorabile per la prosa asciutta e la capacità di non prendersi mai troppo sul serio. Vien voglia di leggerne subito un altro, nella speranza che un giorno qualche regista con le palle decida di tirare fuori una serie di film da questi romanzi. Ci sarebbe da divertirsi.

12.4.06

Usenet Amarcord #010


Nel febbraio del 1999, nel contesto del mitologico mega crosspost [RAMANDO E' RICCHIONE], svariate persone si mettono a discutere dell'onnipotenza di Tex Willer e di come potrebbe cavarsela in duelli con altri personaggi dei fumetti. Vincenzo Beretta e Moreno Roncucci si inseriscono tirando fuori una divertente analisi su come vari sceneggiatori potrebbero raccontare un eventuale scontro fra Tex e Superman.

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Tex contro Superman

Se lo scrive G.L. Bonelli:
Tex lo acceca a furia di pallottole negli occhi (non lo uccidono, ma e' peggio di un moscerino, gli lacrimano e non vede piu' niente) e poi lo prende a sberle indossando i bracciali dono dello stregone navajo (Superman e' vulnerabile alla magia)

Se lo scrive Sergio Bonelli - Guido Nolitta:
(prima maniera, anni 70)
Tex prende in ostaggio Lois Lane e lo costringe alla resa
(seconda maniera, anni 80-90)
Tex convince Lois Lane a fingersi un ostaggio e lo costringe alla resa.

Se lo scrive Boselli:
Tex va da El Morisco, che gli fa una lezione approfondita sugli avvistamenti di kryptonite negli ultimi 200 anni secondo gli annali dell'epoca e le leggende indiane. Dopo una lunga ricerca, di centinaia di pagine, in cui scopriamo il vero volto della civilta' Hopi, Tex si fa consegnare da uno stregone di quel popolo la krypronite.
Nelle ultime 2 pagine, Tex farcisce le pallottole, trova Superman, gli spara. Fine.

Se lo scrive Nizzi (10 anni fa)
Come per il caso di G.L. Bonelli, ma Tex prende anche ferocemente per il culo superman mentre lo gabba...

Se lo scrive Nizzi (oggi)
Tex ne prende tante, ma tante! (non da Superman, da Lois Lane!) Superman guarda la scena a ride, ma per un colpo di fortuna in qul momento passa Doomsday che uccide superman e lois lane. Tex commosso ringrazia e passa il resto dell'albo a struggersi per la sorte di Carson, a casa con un unghia incarnita...

Se lo scrive il Berardi di Ken Parker:
Nel villaggio navajo, nasce una splendida storia d'amore fra un giovane guerriero e Lois Lane. La storia prosegue fra intermezzi umoristici e scene drammatiche, e conosciamo uno alla volta una buona meta' degli abitanti del villaggio, ciascuno con i suoi problemi e particolarita'. Alla fine i due coronano il loro sogno d'amore fra il giubilo generale.
Ogni tanto, sullo sfondo, si intravede Tex che prende a cazzotti Superman...

Se lo scrive il Berardi di Julia:
Giuliano Gemma prende a pugni Cristopher Reeve, mentre nel villaggio si svolge una storia d'amore in stile telenovela fra Brad Pitt e Winona Rider. In un Tepee (gia' apparso in "Piccolo Grande Uomo",) Whoopi Goldberg fa le pulizie mentre Audrey Hepburn scrive un enciclopedia in 16 volumi su cosa ha fatto la mattina prima di colazione. ("tratta da "colazione da Tiffany")
Un topolino esce da sotto il tappeto (gia' visto in "Balla coi Lupi"). Sgomento fra tutti i personaggi che per un attimo non lo riconoscono. Sospiro di sollievo una volta appurato trattasi di Topo Gigio...

Se lo scrive Medda:
Superman, pensando fra se e se', ripercorre le tappe della sua vita. Con la morte nel cuore e perso nei suoi cupi pensieri, ripensa ai tanti errori, alle tante occasioni. perdute, al cielo inquinato, alla solitudine, alla guerra, alle cartacce nei parchi, al vino annacquato, ai programmi TV, a Lois che non gliela da'. Poi arriva Tex, e Medda comincia a scrivere anche a lui le didascalie in prima persona. Ma il Tizzone d'Inferno e' troppo veloce per uno sceneggiatore intimista! Lo fredda con la fida 45, e si scrive da solo la storia dove pesta Superman...

Se lo scrive Antonio Serra:
"Vediamo... Xet Relliw arriva a Robber City, dove si spaccia per un bandito per sgominare la banda di criminali, OK, e fino a pag.30 ci siamo. Namrepus muore, poi rinasce in 4 versioni, poi diventa blu e rosso, e fino a pag.60 ci siamo... poi adesso, per farli incontrare... Ehi! come sarebbe a dire che non esistono storie dove Tex e Superman si incontrano? E come cavolo faccio a scrivere la storia adesso? Ah, ho trovato! Xet usa il cristallo, si trasforma in una combattente vestita alla marinaretta, e stende Namrepus con il potere della Luna!"

Se lo scrive Memola:
Tex va in avventura, e uccide 23.456 goblin, 345 ogre, 45 hill giant, 6 draghi di colori assortiti e 1 Tarrasque. Con i punti esperienza guadagnati, raggiunge il trentaseiesimo livello, acquisisce l'incantesimo "Wish" e con quello fa secco Superman...

Se lo scrive Manara:
Tex si tromba Lois Lane. Superman, affranto, di fronte alle prestazioni del ranger si dichiatra sconfitto...

Il thread originale su google gruppi.

Una versione "rimasterizzata", sempre su google gruppi.

10.4.06

Space Truckers


Space Truckers (USA, 1996)
di
Stuart Gordon
con
Dennis Hopper, Stephen Dorff, Debi Mazar, Charles Dance

Space Truckers è un fantastico esempio di cinema che si diverte e non si prende mai sul serio, neanche per sbaglio. B-Movie a basso budget, tutto basato sulle idee, sull'umorismo demenziale e sul carisma dei protagonisti, il film di Stuart Gordon mette in scena un delirante cast di personaggi e uno scoppiettante immaginario.

Un divertissement, che omaggia la fantascienza in tutte le sue varianti e si diverte a prenderla in giro. Non ci sono particolari pretese, così come senza pretese è necessario porsi davanti allo schermo per la visione. Serve solo voglia di divertirsi con un film che sa ridere di se stesso.

9.4.06

Elektra


Elektra (USA, 2005)
di
Rob Bowman
con
Jennifer Garner, Goran Visnjic, Kirsten Prout, Will Yun Lee, Cary-Hiroyuki Tagawa, Terence Stamp

Daredevil era un film poco più che mediocre, scritto male e diretto in maniera abbastanza piatta, ma perlomeno dotato di un buon ritmo e tenuto in piedi dal carisma dei due personaggi negativi, fra i quali svettava un brillantissimo Colin Farrell, gigione e divertente dal primo all'ultimo minuto. Elektra, incredibile ma vero, è un film talmente insufficiente da far brillare di luce nuova il suo predecessore.

Piatto e banale nella scrittura, insulso nella regia di un Rob Bowman che non può più nascondersi dietro alla scusa di stare lavorando su materiale televisivo, Elektra non parte neanche male, con un efficace incipit che cita apertamente la piacevole storia Il bersaglio, pubblicata in italia nel volume Elektra - Gioco di potere. Peccato che basti una manciata di secondi a svelare la grossolaneria della messa in scena e il taglio dozzinale dello script.

A conti fatti si salva solo l'intrigante design degli antagonisti di Jennifer Garner, banali e monocorde nella scrittura e nella recitazione, ma perlomeno affascinanti nella concezione, comunque derivativa. Un tonfo clamoroso, insomma, da un regista che pure aveva dato qualche - probabilmente menzognero - segnale di vita col divertente Reign of Fire.

8.4.06

Sky Cinema comincia a rompere il cazzo


Io sono abbastanza dichiaratamente un fan del servizio offerto da Sky. Mi piace tantissimo la redazione sportiva, che racchiude alcuni fra i migliori "specialisti" italiani (Rino Tommasi, mica cazzi), racconta lo sport come fino a qualche anno fa neanche credevo fosse possibile fare e, per dirne una, realizza gli unici programmi di calcio parlato degni di essere seguiti. Mi piace molto anche l'offerta di canali tematici, dai documentari, alla "zona telefilm", all'irrinunciabile Gambero Rosso. E non parliamo poi di MySky che, pur con tutti i suoi difetti, è ormai diventato una droga.

Peccato che, in tutto questo, la redazione di Sky Cinema debba cominciare ad andarsene affanculo. Negli ultimi anni non ho mai sfruttato più di tanto l'abbonamento a Sky Cinema, tanto che ho spesso pensato di eliminarlo, senza mai prendere la decisione di farlo perché poi, alla fin fine, mi sarebbe dispiaciuto rinunciare a questa o quella cosa. Adesso che, però, grazie a MySky, sto realmente guardando un sacco di film via satellite, beh, mi viene voglia di eliminarlo per davvero, 'sto pacchetto cinema.

Lasciamo stare i problemi con la registrazione del doppio audio o dei sottotitoli, che alla fin fine rientrano più nella questione MySky. Non parliamo della programmazione, di cui molti si lamentano, ma che in linea di massima mi soddisfa abbastanza. Ma come cazzo è possibile che la stessa gente che un tempo faceva un vanto del rispetto del formato originale "sempre e comunque" mi debba trasmettere film visivamente stuprati con un orrido pan & scan? Ma poi senza la minima vergogna, proprio secondo il modello TV terrestre, coi titoli di testa e di coda nel formato giusto e le striscione nere che calano di dimensioni durante il film.

Ora, la cosa non avviene sempre, ma poco ci manca. L'impressione è che si tenda a voler "riempire" lo schermo, non più delle TV in classico formato 4:3, quanto di quelle 16:9. E allora tutti i film che "eccedono" quel formato vengono macellati in questo senso, quando non proprio "ridotti" al formato 4:3. O, se non tutti, quasi. Oltretutto, lo stesso film può essere trasmesso nel formato giusto o sbagliato a seconda del passaggio e generalmente, ma non sempre, il formato corretto è rispettato solo su Sky Cinema 16:9 (ma in realtà ho visto film in 2.35:1 anche su altri canali). Una figata, insomma: su ottantamila canali cinema disponibili, praticamente, va a finire che, se voglio vedere film girate in formato "gigapanoramico" senza avere un travaso di bile, posso usarne solo uno.

Anche perché altrimenti finisce che mi ritrovo a guardare La foresta dei pugnali volanti (che IMDb mi indica essere in formato 2.35:1) e interromperlo dopo una manciata di minuti per il nervoso. Me la meno troppo con queste cazzate? Può anche essere, magari sono esagerato, ma non ci posso fare nulla, mi girano le palle a vedere una sequenza di dialogo fra due attori, palesemente pensata per averli entrambi sullo schermo, in cui nessuno dei due è visibile. Anzi, peggio, se ne vede un pezzetto: un po' di naso, un accenno di bocca, un pezzetto di gamba. Bella merda.

Sky Cinema, forse non è ancora giunto il momento di andare a cacare, ma siamo molto vicini.

Il calcio in farmacia


Il calcio in farmacia (Italia, 2005)
di Mauro Barletta


Mauro Barletta è un giornalista dell'Ansa che, cito dalla prefazione di Marco Travaglio, pratica "costante, attenta e scrupolosa attività informativa". Usualmente impegnato nella cronaca giudiziaria, Barletta ha seguito tutto lo svolgersi del processo alla Juventus e, più in generale, dell'inchiesta sul doping portata avanti dalla procura di Torino.

Da quei fatti Barletta prende spunto per un libro che tratta l'argomento in maniera più ampia, andando a toccare tutto il mondo del calcio italiano e non limitandosi alla faziosità di chi vede nella sola Juventus il coacervo di tutti i mali. Il calcio in farmacia è, in buona sostanza, una raccolta di fatti, documenti, carte, dichiarazioni, interviste e altro, tutto messo in fila e ordinato secondo un filo conduttore cronologico e divulgativo.

Non vengono espressi giudizi, non viene fatta facile ironia, se non quando, obiettivamente, nasce per autocombustione. E ne esce fuori l'abituale ritratto inquietante e deprimente, oltre che con tutta probabilità riduttivo, della condizione in cui versa il calcio italiano. Insomma, la solita botta di allegria.

7.4.06

Everybody's Golf

Minna no Golf Portable (SCE, 2004)
sviluppato da Clap Hanz


La serie Everybody's Golf nasce nel 1997 su PlayStation, partorita da quel team Camelot che andrà poi a realizzare il capolavoro Mario Golf per Nintendo 64. E non a caso le similitudini, anche nei successivi episodi sviluppati da Clap Hanz, sono impressionanti. A otto anni di distanza, comunque, il golf "leggero" esclusiva del mondo PlayStation ha trovato una sua identità, inevitabilmente di clone della serie Nintendo, ma capace anche di distinguersi per certe scelte stilistiche.

Nella sostanza, comunque, si tratta veramente dello stesso gioco, ricco di umorismo e con una caratterizzazione caricaturale di personaggi e paesaggi, ma non per questo semplicistico nelle meccaniche. In Everybody's Golf, così come in Mario Golf, sono insomma richiesti senso strategico, precisione e allenamento tanto quanto in un Links o un Tiger Woods. Solo che tutto è molto più "tranquillo" e accessibile.

In un paio di cose, però, Everybody's Golf, o perlomeno questo episodio portatile, si distingue dal suo cugino nintendiano: varietà e monotonia. Il gioco sviluppato da Clap Hanz è una fantastica bestia da multiplayer (perfetto, quindi, per PSP, anche se la mancanza dell'Online è un po' fastidiosa), ma in solitario dopo un po' finisce per stancare. Il motivo principale è costituito dalla scarsa intelligenza artificiale, che rende le sfide uno contro uno mere formalità e i tornei quasi più una questione di fortuna e casualità che altro.

Il senso di sfida, insomma, non è proprio il massimo. E, come se non bastasse, si aggiunge pure una certa ripetitività, sicuramente intrinseca nel tipo di gioco, ma aggravata dalla quasi totale assenza di modalità alternative. Mario Golf (perlomeno quello per N64, l'ultimo che ho giocato) offre una miriade di minigiochi e prove alternative che aiutano a tenere alto l'interesse fino in fondo. Qui, quasi il nulla. E, francamente, a un certo punto ci si rompe anche po' le palle.

6.4.06

Il signore delle mosche


Lord of the Flies (UK, 1954)
di William Golding

"L'uomo produce il male come le api producono il miele."

Parlare di un classico della letteratura, per di più scritto da uno a cui poi han dato il Nobel, beh, mette un po' in imbarazzo. Francamente, non credo di possedere strumenti critici adeguati e, più in generale, fatico ad andare oltre il livello di lettura maggiormente "terra terra". Intendiamoci, che Il signore delle mosche sia un libro della madonna me ne accorgo pure io. Anzi, diciamola tutta: entra ufficialmente nel Club del libro di giopep, lo metto pure fra i preferiti nel profilo qui su Blogger. Però, che posso dire di più?

Posso dire che è un ritratto agghiacciante della natura umana. William Golding non aveva proprio una grande opionione di noi bipedi, e non è che gli si possa dare troppo torto. E allora ci racconta questo gruppo di ragazzini e bambini, che si ritrovano soli e abbandonati su un'isola deserta. E la loro avventura rispecchia per filo e per segno il ciclico imbastardimento della razza umana.

Inizialmente i ragazzi più grandi cercano di organizzarsi, formano una struttura gerarchica, si assegnano compiti necessari per assicurarsi la sopravvivenza e per cercare una via di salvezza. Tentano, insomma, di gestire la situazione, pensando fra l'altro anche a stare dietro ai bimbi più piccoli. Poi, però, qualcosa va storto. Per la precisione, la natura umana.

E piano piano tutto va a catafascio, si creano rivalità fra i capetti, ognuno inizia a perseguire i suoi interessi, le responsabilità vanno a farsi benedire e inevitabilmente scoppia la violenza, che potrà essere arrestata solo da un intervento esterno. Il signore delle mosche, comunque, oltre ad avere questo simpatico, ottimista e svolazzante sottotesto, è soprattutto un libro scritto mostruosamente bene. Scorrevole, appassionante e credibile nel modo in cui tratteggia i vari personaggi e concatena gli eventi. Una roba davvero agghiacciante, insomma.

4.4.06

FROGEvolution Soccer Tour 2


Finalmente è partito il FROGEvolution Soccer Tour 2, il nuovo torneo interredazionale di Pro Evolution Soccer 5 del quale ho già parlato qui. Il draft con cui abbiamo creato le squadre mi ha dato molte soddisfazioni: ho preso gli idoli Peter, Brian e Michael, ho messo assieme quello che penso sia il miglior attacco e credo di avere la panchina più completa.

Nelle prime sei partite ho ottenuto cinque vittorie e un pareggio abbastanza sfortunato col Toso (gran gol di Brian, pareggio di Rummenigge su un rimpallo, occasioni a raffica per la vittoria sprecate da Brian, Henry ed Eto'o). In generale, sono estremamente soddisfatto delle mie punte: Brian ha fatto tre gol e praticamente chiunque altro ne ha fatti due, con Eto'o che si è riscoperto grande uomo assist. Molto bene pure i tre portieri, il centrocampo, anche se i miei uomini di fascia faticano un po' a imporsi, e la difesa, nella quale ovviamente spicca Stam.

Delude un po' Jankulovski, stellare nelle amichevoli precampionato, ma davvero poco efficace, fino adesso, nei match ufficiali, anche se ha dipinto uno splendido assist proprio nella partita col Toso. In generale, come detto, sono estremamente soddisfatto delle riserve: in almeno due partite ho schierato qualcosa come otto o nove panchinari fin dal primo minuto senza per questo pagare dazio sul piano del gioco (anche se ovviamente mancavano un po' i numeri dei campionissimi). Sto riuscendo a far riposare molto la Santa Trinità, e anche questo è fondamentale. Peccato solo che la grande coralità di squadra difficilmente mi permetterà di piazzare ancora una volta un giocatore in cima alla classifica marcatori.

Visto anche l'avvio incerto del campione in carica Patriarca (un pareggio e una sconfitta), direi che meglio di così non si poteva iniziare. Certo, la strada è ancora lunga, ma penso di potermela giocare fino in fondo per la vittoria. Ah, è anche nato un blog dedicato al torneo, in cui saranno convogliate le varie e-mail con le cronache delle partite e in cui, quando avrò voglia, aggiornerò le varie statistiche.

3.4.06

Gli Incredibili


The Incredibles (USA, 2004)
di Brad Bird
con le voci di Craig T. Nelson, Holly Hunter, Jason Lee, Samuel L. Jackson


Gli Incredibili rappresenta una perfetta sintesi di tutto ciò che è Pixar, passata attraverso lo sferzante filtro della visione di Brad Bird, che già si era fatto notare con Il gigante di ferro, lungometraggio d'animazione "tradizionale" che ha ormai raggiunto lo status di piccolo cult (non solo) fra gli appassionati e che, mannaggia la miseria, non ho mai visto e prima o poi devo recuperare.

L'ultima produzione Pixar cita tanto quanto i due Toy Story, ma senza essere altrettanto compiaciuta. Recupera alla grande il senso di meraviglia che dominava in A Bug's Life e latitava nelle successive produzioni non dirette da John Lasseter. Elargisce a piene mani splendide trovate visive come Monsters inc. e Finding Nemo, ma non sconfina nella farraginosità del primo o nel bambinesco del secondo. The Incredibles fa tutto ciò che i lungometraggi Pixar avevano fatto prima, lo fa meglio e innalza il tiro affrontando anche tematiche mature, senza limitarsi a sfiorarle strizzando l'occhio al paparino che porta i figli al cinema.

Questa opera seconda cinematografica di Bird è vero cinema per tutta la famiglia, in grado di far sognare il bambino, gasare l'adolescente, divertire l'adulto. Appassionante ed esilarante fino alle lacrime, tratteggia benissimo i suoi protagonisti (anche se Helen e Dashiell svettano per ricchezza su altri personaggi più monodimensionali) e, pur seguendo un copione molto classico, emoziona e tiene sulla corda grazie a una sceneggiatura estremamente brillante.

Inoltre, merito non da poco per il sottoscritto, sprizza da ogni fotogramma passione e conoscenza del fumetto di supereroi, che riproduce sul grande schermo come mai si è visto prima e probabilmente ancora a lungo nessun film "vero" potrà fare. Omaggia con rispetto la mitologia Marvel e DC, ma fa palese riferimento anche a un capolavoro "indipendente" come Watchmen (il cui adattamento cinematografico pare essere precipitato nel limbo).

Insomma, un vero gioiello, che ancora una volta dimostra come i veri eredi della Disney che fu siano quelli al soldo di Luxo e Luxo Junior.

1.4.06

Solo due ore


16 Blocks (USA, 2006)
di Richard Donner
con Bruce Willis, Mos Def, David Morse

Otto anni dopo l'ultimo Arma Letale, Richard Donner torna sul terreno che forse conosce meglio, con un film che racchiude praticamente qualsiasi stereotipo del poliziesco "light": un luogo da raggiungere/compito da portare a termine entro un certo limite di tempo, una banda di poliziotti corrotti, una spalla comica di colore che non sta mai zitta, Bruce Willis ridotto ai minimi termini entro la fine del film...

Solo due ore, pur non dicendo nulla di nuovo e non portando in dote particolari sorprese, è comunque un film ben confezionato. Diverte e scorre via liscio, pur non appassionando esageratamente, forse per l'eccessiva prevedibilità dell'intreccio. Ottimi gli attori, con un Bruce Willis trasandato più che mai e un David Morse perfetto figlio di buona donna.

Capitolo a parte per Mos Def, la cui interpretazione viene definita sorprendente e assai brillante da chiunque abbia visto il film in originale. La versione italiana, purtroppo, ci regala un doppiaggio da ritardato mentale, che biascica in maniera insopportabile dall'inizio alla fine. E, forse, il vero motivo per cui il film non appassiona consiste nel fastidio causato proprio dall'interpretazione completamente sballata di Simone Mori.

Comunicazione di servizio


Ormai quasi due mesi fa, per la precisione qui, ho segnalato l'arrivo di Firefly su Canal Jimmy e ho consigliato di seguirlo. Oggi, vagando su it.arti.cinema, ho trovato queste tristi considerazioni di Antonio toto Fanelli: "Per quanto ami il telefilm, non consiglio di seguirlo su Jimmy: il doppiaggio fa schifo, i personaggi parlano un italiano corretto invece dell'inglese bastardo, hanno tagliato l'immagine, originariamente in 16:9, così spesso gli attori parlano con nessuno, ed hanno eliminato TUTTE le imprecazioni in cinese :(((((".

A chi consiglia di sfruttare il doppio audio per seguire la serie in originale, Fanelli risponde puntualizzando: "Purtroppo per Firefly Jimmy non ha i diritti per l'edizione originale, quindi dovete beccarvi solo quella doppiata :(".

Gioia e tripudio, insomma.

 
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