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30.5.10

[Reti unificate] Chiude l'ostello Maderna


A fine settembre, dopo una trentina scarsa d'anni di onorato servizio e disonorato devasto, le strade mia e del mio appartamento si divideranno. A tempo debito suppongo che scriverò uno di quei post lagnosi in cui ricordo i tanti bei momenti passati assieme. Al momento, però, mi preme più che altro sottolineare una cosa: non tutto ciò che si trova qua dentro verrà via con me. Una sostanziale fetta di mobili, per dire, resterà qui. E c'è di tutto: plotoni di Billy e altre diavolerie Ikea (tipo un mobile da TV), un grosso guardaroba, un paio di letti, altrettante librerie, una lavatrice seminuova, scaffali, il tavolone e il tavolino, credenze assortite... In più è possibile, oserei dire probabile, che decida di disfarmi di un po' di fumetti (americani, giapponesi, italiani, la casa offre di tutto) e di riviste (per lo più cinema e videogiochi).

Ora, tutto ciò che non mi porto dietro può finire (1) alla discarica, (2) nelle mani di gente che ha voglia di comprare o (3) nelle mani di bisognosi. Chiunque mi legga e ritenga di voler comprare o di essere bisognoso (o di essere una discarica) si faccia pure avanti, da qui a fine settembre. Possibilmente più qui che a fine settembre.

I videogiochi, i libri e i DVD scordateveli, quelli me li porto nella tomba. E pure gran parte dei fumetti e delle riviste, sia chiaro.

28.5.10

Barolocast

Fulgido esempio di sei persone non hanno veramente nulla da fare e nulla da dire, il terzo episodio di Chiacchiere Borderline prova a toccare il fondo del barile, scavare e raggiungere nuovi mondi di idiota autoconsapevolezza. A tratti ci sono ancora conversazioni quasi serie, ma nel prossimo episodio cercheremo di evitarle. Dove lo trovate? Ma qui, ovvio!

Tolta la sigla di Babich, tutto l'accompagnamento musicale viene dalla colonna sonora di Leisure Suit Larry 7: Love For Sail! A parte una traccia, che viene da Leisure Suit Larry in the Land of the Lounge Lizards. Sta tutto qua.

27.5.10

Buffy l'ammazzavampiri - Stagione 2

Buffy the Vampire Slayer - Season 2 (USA, 1997/1998)
creato da Joss Whedon
con Sarah Michelle Gellar, Nicholas Brendon, Alyson Hannigan, David Boreanaz, Anthony Head, Charisma Carpenter, James Marsters, Juliet Landau


Passare dalla seconda stagione di Friday Night Lights alla seconda di Buffy l'ammazzavampiri è abbastanza straniante, perché ti ritrovi davanti a due modi di intendere e scrivere un telefilm completamente opposti. Da una parte il flusso continuo, il racconto che procede di episodio in episodio, dall'altra il vecchio modello della sottotrama portata avanti di sfondo alle puntate autoconclusive e che esplode ogni tanto nei momenti chiave. Da una parte uno stile di scrittura realistico, umano, che cerca di dare a ogni personaggio un taglio credibile, dall'altra un gruppo di protagonisti che fanno continuamente a gara a chi dice la battuta più ganza. Insomma, estremi opposti, appunto. Certo, poi ti guardi la quarta di Prison Break e ti ritrovi davanti il peggio dei due mondi, con personaggi che sparano solo minchiate ridicole in un racconto "unico" tenuto assieme con lo sputo. Ma lasciamo stare.

Il secondo anno di Buffy l'ammazzavampiri è quello in cui la serie inizia a trovare una sua forma, gli autori cercano i giusti equilibri e l'universo narrativo comincia davvero a strutturarsi. L'avvio non è dei migliori e nella prima metà c'è più di un episodio sottotono, anche se ancora una volta ci pensano l'adorabile atmosfera stupidina e il carisma dei cattivi di turno a tenere tutto in piedi, mentre comunque le belle idee si sprecano, a cominciare dal modo sprezzante in cui viene risolta una fra le questioni più delicate dell'annata precedente. Si sorride coi dialoghi sempre spiritosi e ricchi nel loro gusto per la citazione, si nota lo sforzo di far evolvere i personaggi e la rete di relazioni fra di loro verso quel tripudio emozionale che li avvolgerà poi, si percepisce la voglia di andare oltre.

E, a riguardarlo, si notano anche una marea di piccole cose che alla prima visione spiccavano magari solo a livello subliminale: tonnellate di accenni, dettagli, trovate, indizi che piano piano saranno negli anni ripescati e rimescolati per dar vita alle vicende, personaggi che da semplici comparse si trasformeranno in protagonisti fondamentali, basi per la creazione della delirante mitologia che sarà raccontata in seguito. Gli accenni al sindaco, le apparizioni di Jonathan, le cose dette e sussurrate a spizzichi e bocconi... a Joss Whedon e a chi lavorava con lui piacciono un sacco i fumetti americani e il modo in cui sviluppano la serialità, c'è poco da fare.

Ma nonostante tutto questo, e nonostante qualche episodio più riuscito degli altri, si diceva, per una decina di puntate la stagione fatica a decollare. Poi, però, succede qualcosa, e in una manciata di episodi la serie esplode, letteralmente. Si anima il meccanismo narrativo che - pur senza rinunciare allo schema del "mostro della settimana" - diventerà sempre più preponderante e trascinato di puntata in puntata. Si affina sempre più il fantastico equilibrio fra dramma e commedia, capace di lasciarti totalmente di sasso al termine di un episodio in cui non hai fatto altro che ridere.

E ti ritrovi davanti a una puntata spiazzante come Ted, cui è mancato il coraggio di portare fino in fondo la sua idea, ma che ti coglie impreparato fra le stupidate che lo circondano e ti agghiaccia per una mezzora buona. O la splendida Passion, che nonostante qualche ingenuità ti trascina senza tregua, lavorando proprio sulla capacità che ha la serie di farti amare i suoi personaggi, e ti stende sul colpo con quella splendida scena della telefonata. E poi la doppietta conclusiva, divertente, appassionante, drammatica, con un finale che levati.

La seconda stagione di Buffy è imperfetta, inciampa in più di un momento è finisce per essere molto meno coesa ed omogenea di come me la ricordavo. Ma ha dei picchi spettacolari, due o tre momenti fra i migliori dell'intera serie, e mostra chiaro il processo di maturazione e definizione che porterà ai successi futuri. E ha non uno, non due, ma ben tre cattivi tutti bellissimi, fortissimi e fighissimi. I miss Prague.

Nel simpatico ventesimo episodio c'è Scofield, che dieci anni prima era tale e quale a oggi, ma si sparava meno le pose e diceva molte meno minchiate. Il telefilm me lo sono guardato in DVD e in lingua originale (voci, traduzioni, battute, riferimenti pop, citazioni, censure, Yoda, McNuggets, yaggidy yack). Dal punto di vista audiovisivo 'sti DVD sono francamente dei mezzi cessi, va detto. Anche di questa stagione Alessandro Ianni aveva scritto su Nextgame, ma non linko perché fa troppo cacare e oltretutto non sono d'accordo con quel che aveva scritto. Comunque, se proprio ci tenete, usate il motore di ricerca. Che due clic in più non si buttano mai via.

26.5.10

Ti sogno Califogna


L'E3 del 2009 si è svolto dal 2 al 4 di giugno (e dintorni). Nei due anni precedenti, quelli del "basso profilo", si è svolto a luglio. E prima? Prima, per non so quanto tempo ma sicuramente tanto, si è sempre fatto a maggio. Maggio. Maggio era un bel mese, per andare all'E3. Faceva meno caldo, per dirne una. E soprattutto non era giugno, così, per dirne un'altra. Poi, capiamoci, a me va anche bene giugno, se si intende, come l'anno scorso, la prima settimana di giugno. Prima di qualsiasi altra cosa possa succedere a giugno. Che so, concerti, la rassegna del Festival di Cannes, gli stramaledetti Mondiali di calcio.

Ora, io non pretendo che questi si regolino in base ai festival o ai concerti a cui voglio andare io, però, porca puttana, per quanto siano americani, per quanto la loro squadra sia destinata a oscillare per sempre fra il "facciamo pena" e il "oh, ma guarda che bella sorpresa questi USA che hanno eliminato la squadra forte e se non gli avesse detto sfiga magari vai a sapere", per la miseria, ma possibile che debbano spostare tutto in avanti di due settimane e far quindi coincidere la fiera con la prima settimana dei Mondiali di calcio? E con la rassegna di Cannes? Ma sarete stronzi?

Che poi, uno dice, "ma di che ti lamenti, ti pagano per andare a Los Angeles una settimana a giocare coi giochini". E oddio, per carità, è anche vero. Però è vero anche che non mi pagano per andare a Los Angeles, ma per andare in fiera, passarci le giornate a correre di qua e di là come uno scemo assieme a degli scemi circondati da scemi, mangiare un po' quel che capita e trascorrere poi le serate - quando non le nottate - chiuso in camera a scrivere. Altro che i party e i cazzy e i mazzy. E, fra l'altro, anche avessi tempo di girare per Los Angeles, Los Angeles mi fa CACARE.

E insomma, l'anno scorso era tutto perfetto e preciso, si trascorreva la prima settimana di giugno nella colata di cemento in riva al mare e poi si tornava in Europa per fare le cose serie, i concerti, la rassegna, i concerti, i concerti, i concerti. Che poi, in realtà, quest'anno di concerti a giugno non mi pare di averne previsti e, se devo dirla tutta, la prima settimana dei Mondiali di calcio mi interessa molto meno dell'ultima volta. Anzi, quasi me ne sbatto le palle. Però la mia rassegnina, uffa. Ci sono affezionato, ci vado ininterrottamente da quando neanche ero maggiorenne!

"Eh, però, dai, è divertente andare in fiera". Certo, a me mi piace, mi piace fare le interviste, provare i giochini, fare lo scemo con gli altri, prendere in giro Puccettone, mangiare colesterolo in tutte le sue molteplici forme, mi piace tutto. Questo non impedisce però al tutto di essere una maledetta e massacrante mazzata, oltre che una ripetizione infinita dello stesso buffonesco carosello, sempre nella stessa schifosa città. Per me, che ci sono andato solo due volte. Figurati per quelli che ci vanno ininterrottamente da vent'anni. E non mi impedisce di rosicare perché l'hanno spostato avanti di due settimane. Sono uno scemo che rosica su una scemenza? Sì, ma, oh, intanto son riuscito a pubblicare un post anche oggi. Vediamo se riesco a fare una settimana intera.

E comunque americani brutti e cattivi.

Apprezzo in ogni caso il gesto di solidarietà da parte dell'ente organizzativo, che in segno di contrito rispetto e cordoglio ha deciso che da quest'anno non saranno più venduti gli abbonamenti per la rassegna. Del resto, se non lo compro io, che lo vendono a fare?

25.5.10

Accanimento Terapeutico - Stagione 4

Prison Break - Season 4 (USA, 2008/2009)
creato da Paul Scheuring
con Wentworth Miller, Dominic Purcell, William Fichtner, Michael Rapaport, Sarah Wayne Callies, Amaury Nolasco, Wade Williams, Jodi Lyn O'Keefe, Robert Knepper, Leon Russom


La quarta stagione di Prison Break si apre con un'amara ammissione di colpa, che brasa via quasi ogni avanzo della precedente. Personaggi inutili, morti ridicole, avvenimenti patetici... tutto ciò che è possibile cancellare senza far troppi danni viene spazzato via e per riparare al resto abbiamo un'annata intera. Tutto questo viene fatto per mezzo di due episodi orrendi, roba da far rimpiangere il terribile finale della seconda stagione. Cominciamo bene.

Poi le cose migliorano, forse perché s'era toccato il fondo, e la serie prende un certo abbrivio. C'è la sensazione di qualcosa che non va, di personaggi stravolti e scritti un po' a caso, di situazioni abbondantemente oltre il margine del ridicolo, ma perlomeno si guadagna in ritmo e il racconto del tentativo di vendetta nei confronti della Compagnia è tutto sommato un buon modo per cercar di ritrovare la passione dello spettatore disilluso. Ma sembra sempre esserci qualcosa fuori posto, qualcosa che non torna. Ti fanno gasare con il rapporto fra Mahone e la sua nemesi oscura, lo risolvono in maniera spettacolare, e poi ti rendi conto che ci si è bruciati troppo in fretta quel che di meglio la stagione aveva da offrire. Ti regalano una bella uscita di scena per Bellick, ma la sputtanano con una scrittura patetica, due dialoghi buttati lì a caso per provare a rendertelo simpatico nei minuti di recupero. Senza capire che simpatico lo era già, eccome, ma per ben altri motivi.

Ma tutto sommato, pur nella consapevolezza di star guardando roba inutile per solo amore di completezza e curiosità di scoprire che fine sia stata riservata all'unico personaggio rimasto in piedi (Mahone) e all'unico decente nato negli ultimi due anni (Self), si tira avanti. Certo, T-Bag è ormai l'ombra di se stesso, Scofield è ridotto a parlare solo per frasi fatte mentre si tiene il mento con la mano e Linc, beh, Linc è scemo come al solito. Ma si tira avanti. Poi, però, arriva la svolta di metà stagione, con cui davvero si sfonda il muro della cazzata a velocità ipersonica e non c'è più nulla da fare. Tutto scivola dal ridicolo al patetico, le immagini scorrono all'insegna del disinteresse e si passa il tempo cercando una ragione che è impossibile trovare, anche perché dietro ogni colpo di scena si cela una sana pernacchia.

Un attimo prima della fine, al ventesimo episodio, c'è quasi un lampo di risveglio, con addirittura due o tre momenti emozionanti. E quasi ti viene il dubbio di aver fatto bene a tirare avanti. Solo che poi arriva, hahahaha, no, guarda, neanche ce la faccio a scriverlo, hahhahahah, e, hahahahahah, e poi succede che hahahahahahaha, e torna HAHAHAHAHAHAHAH e HAHAHHARHAHARHARHRAHRAHRA. Santoddio. Per fortuna, dopo l'ultimo hahahahah, ci mostrano l'epilogo. Un finale duro, se vogliamo perfino coraggioso, che in qualche modo, così come altri momenti della stagione, prova a recuperare il romanticismo esasperato che tanto bene aveva fatto alla seconda annata. Il problema è che sa tutto di posticcio, manca tutto di mordente. Dopo una tale girandola di minchiate, dopo che l'atmosfera è andata a farsi benedire, dopo che sono riusciti a farti disamorare/disinteressare/disgustare per praticamente tutti personaggi che amavi, non possono mica sperare di farti commuovere. A far piangere, piuttosto, è il pensiero di che gran gioiello sarebbe stata questa serie se si fosse conclusa al momento giusto.

Quasi tre anni fa scrivevo: "una prima stagione da leccarsi i baffi, straconsigliata, che rimarrà per sempre nel mio cuore anche se le successive non dovessero rivelarsi all'altezza". Eh, ecco, insomma, mi sa che mi tocca rimangiarmi le parole, perché Prison Break c'è uscito abbastanza serenamente, dal mio cuore. Passando dallo sfintere.

Questo cumulo d'immondizia l'ho guardato in lingua originale, grazie al cofanetto comprato alla Feltrinelli di Corso Vercelli. Probabilmente in italiano puzza ancora di più. Fra l'altro, l'ho comprato in Italia e non sui soliti siti esteri perché c'era la conveniente offerta in accoppiata con The Final Break. Ora, questa serie si chiude con un finale. Un finale che è la versione moscia di quello che si sarebbe dovuto vedere due anni prima e che troppo bene ci sarebbe stato. Ma che è comunque un finale, netto, compiuto, degno nei limiti del possibile, anche se si dimentica di aggiornarci sul destino della cretina frignona e non ci fa vedere i due federali scemi che rosicano. E insomma, che caspita di senso potrà mai avere aggiungerci ancora un pezzetto? Che faccio, lo guardo?

24.5.10

Iron Man 2

Iron Man 2 (USA, 2010)
di Jon Favreau
con Robert Downey Jr., Don Cheadle, Mickey Rourke, Gwyneth Paltrow, Scarlett Johansson, Sam Rockwell, Samuel L. Jackson, Jon Favreau


Nell'avvicinarmi ad Iron Man 2 partivo da una situazione abbastanza diversa da praticamente chiunque altro abiti sul pianeta Terra: il primo film mi era piaciuto, eh, e siamo pure d'accordo che era superiore alla media dei film Marvel (L'Incredibile Hulk, no, dico), però, insomma, eh, ecco, dai, su. Divertente, simpatico, Robert Downey Jr. sempre adorabile, m'aveva perfino fatto simpatia la triglia lessa di Gwyneth Paltrow ma, boh, non ci allarghiamo. Sarà per questo che Iron Man 2 mi è piaciuto più di quanto sembra essere piaciuto a chiunque altro abiti sul pianeta Terra?

Può essere, però in questo film, al di là degli ancora più insistiti toni da commedia (che già erano l'aspetto migliore del precedente) e del tentativo di infilarci pure – udite udite – qualche idea di regia, ci sono alcune cose interessanti per davvero. Favreau (o chi per lui) ha saputo pescare dai fumetti originali un paio di aspetti che – perlomeno nel genere – non son neanche poi troppo banali. L'autodistruttività del protagonista, per esempio. Le condizioni ridicole e del tutto smitizzanti in cui riesce a ridursi ben esemplificate da quella scena del Tony Stark ubriaco. Che, certo, è solo ubriaco e non alcolizzato come gli è accaduto nella sua versione a fumetti, ma insomma, hai detto niente.

E poi la caratterizzazione feroce dei personaggi, tutti talmente antipatici, spocchiosi, presuntuosi e insopportabili scassaminchia da far uscire fuori ancora più di prima la Gwyneth come unico personaggio non solo simpatico, ma addirittura adorabile del film. E anche qui, hai detto niente. Poi ci sarebbe pure da dire che Favreau (o chi per lui) ha la saggezza di limitare quasi solo all'inevitabile macello finale le scene di robot che fanno a testate, concentrandosi invece sui personaggi. Anzi, sul personaggio. Su un Robert Downey Jr. semplicemente stellare, che ancora una volta domina la scena e piscia in faccia a tutti, in un contesto in cui “tutti” sono un come al solito ottimo e insopportabile Sam Rockwell, la faccia di bronzo di Samuel L. Jackson e Michelino “ho una presenza scenica che guarda basta che mi metti lì a respirare addormentato e il film guadagna punti” Rourke. Hai detto niente.

Il film l'ho visto in lingua originale durante una sera di noia in quel di Vancouver. Quando è apparso il titolo, un americano ha lanciato un urlo di gasamento. E son bei momenti, ce ne vorrebbero di più. Altro che il cretino cacasotto che deve chiacchierare per non spaventarsi quando guarda il film horror. Importanza di guardare questo film in lingua originale? Robertino bello se lo merita. Fastidio per il fatto che hanno tagliato dall'inizio quella scena divertente del trailer? Abbastanza, ma insomma, tanto l'ho vista nel trailer. Esaltamento per la scena messa dopo i titoli di coda? Meno di zero. Questa cosa del crossover gigante mi ha già rotto i coglioni ed è infilata pure durante il film in maniera abbastanza fastidiosa.

16.5.10

Resa

La scorsa settimana ho gironzolato a Londra, ma sono riuscito a far apparire comunque tre robe sul blog perché ero stato preso da sacro fuoco scribacchino, le avevo preparate in anticipo e le avevo messe in pubblicazione automatica. Questa volta il sacro fuoco ho dovuto sacrificarlo sull'altare del lavoro e non ho nulla da pubblicare in automatico mentre sarò a Vancouver. A parte le poche righe di mestizia che state leggendo in questo momento, s'intende. Quindi, boh, non so, se non mi metto a scrivere qualcosa in aereo (ma ne dubito, visto che non ho dormito), immagino che ci si rileggerà fra perlomeno sette giorni, se tutto va bene. Go Flyers!

Se poi proprio temete la crisi d'astinenza, ricordo a tutti che il frutto dei miei viaggi viene abbondantemente pubblicato su Nextgame, come testimonia anche il menu a tendina lì a destra (che in questi giorni non so quanto riuscirò ad aggiornare). Per dire, oggi dovrebbe essere stata pubblicata una roba su Green Day Rock Band, con tanto di sottoscritto e Delu che fanno gli scemi in video, e nei prossimi giorni arriveranno Shank e DeathSpank. Eh, oh.

14.5.10

Dead Space: La forza oscura

Dead Space: Downfall (USA, 2008)
di Chuck Patton
con alcune voci di gente sconosciuta


Dead Space: Downfall è figlio del videogioco e non può quindi che essere pensato, scritto e realizzato secondo la stessa mentalità malata che domina in quel settore. Quella mentalità secondo cui è sufficiente inserire imprecazioni, gente che scopicchia, sbudellamenti assortiti e citazioni a caso da questo o quell'autore famoso per ottenere narrativa adulta. Il giorno in cui la maggior parte degli sviluppatori si renderà conto che fra "adulto" e "per adulti" ci passa giusto un filo di differenza sarà il giorno in cui tutte le chiacchiere e le fanfare sulla maturità, l'intensità e la potenza del videogioco come forma di narrazione avranno un senso che vada oltre la baruffa da forum. Baruffa a cui partecipo sempre con gran piacere, eh, ma che in questa situazione lascia un po' tanto il tempo che trova.

Ma che roba è, Dead Space: Downfall? È un lungometraggio d'animazione che, tanto quanto i fumetti e il gioco uscito su Wii, racconta alcuni retroscena della storia di Dead Space. Il gioco quello che siccome il protagonista si chiama Isaac Clarke allora è adulto, maturo e colto. I retroscena in questione sono quelli legati all'esplosione del delirio di carne e sangue sulla nave stellare Ishimura, quindi paralleli agli eventi del fumetto che raccontava invece del bordello sul pianeta Aegis VII. Un'operazione insomma abbastanza superflua, che aggiunge pochi e insignificanti dettagli e ha giusto il discutibile merito di mostrare in maniera più approfondita alcuni eventi che nel videogioco si intravedevano nei vari diari. Tipo la morte del capitano Mathius.

Ora, fosse almeno una realizzazione di un certo livello, scritta, diretta e animata da un manipolo di virtuosi, ci si accontenterebbe senza problemi. Anzi, ci sarebbe proprio da gioire, visto che grosse produzioni animate horror occidentali non è che si vedano proprio tutti i giorni. Purtroppo così non è, dato che Downfall è scritto da far schifo, non ha un'idea di regia che sia una, è tecnicamente risibile ha uno stile grafico da sottoproduzione indie malriuscita e funziona pure male a livello di continuity, dato che si incastra a fatica negli eventi dei giochi. E no, non riesco a considerare un merito "a prescindere" l'utilizzo di parolacce e sbudellamenti in un cartone animato. L'unico vero pregio sta nel fatto che Kyne non è doppiato da Dario Argento.

L'ho visto in lingua originale, grazie all'ottimo Blu-Ray in offerta su play.com. Dicono continuamente "fuck".

12.5.10

Finché non cala il buio

Dead Until Dark (USA, 2001)
di Charlaine Harris


Finché non cala il buio è il primo romanzo della saga dedicata alle maialissime avventure di Sookie Stackhouse, da cui è stata tratta la serie TV True Blood. Serie su cui non ho mai posato gli occhi, ma della quale tutti mi parlano molto bene. No, non è vero, non me ne parlano tutti bene, diciamo che ci sono pareri contrastanti e, soprattutto, sembra essere una roba con tanti alti e bassi e che ha di buono soprattutto l'idea di fondo e l'ambientazione. E Anna Paquin che fa la maiala, aggiungerei.

Ecco, nel romanzo, che è una lettura molto leggera, scorrevole e - nonostante l'argomento - davvero poco horror/thriller/depaura, i pregi sembrano essere più o meno quei due. Lo spunto è affascinante: i vampiri sono in mezzo a noi, la cosa è dichiarata, fanno parte della società e provano pure a integrarsi. Il True Blood è il sangue artificiale che han cominciato a bere per evitare di fare cose poco eleganti come aprire il collo della gente, anche se ovviamente fa schifo e mica tutti lo accettano di buon grado. Non bastasse il doversi cibare di plasma OGM, i vampiri hanno anche la sfortuna di aver sostituito gli juventini nel ruolo di ultima ruota del carro nella grande scala sociale del razzismo. Ghettizzati, temuti e anche un po' schifati, vivono spesso da reietti, si isolano nei loro luoghi di ritrovo privati e sono addirittura ridotti a fare da attrazioni turistiche.

Non bastassero i vampiri, ci sono pure i supereroi. O quasi. Sookie, la protagonista, ha poteri telepatici, che controlla a fatica e che le spaccano le palle fin dalla tenera età. Quando incontra un vampiro particolarmente figo e scopre di non potergli leggere il pensiero, ovviamente se ne innamora e scatena un tripudio di sesso e sangue. Ne viene fuori un racconto che - pur non scivolando esattamente nel soft core - porta un attimino più in là del solito le canoniche tensioni sessuali del vampiro affascinante, seducente, pericoloso, vorrei ma non dovrei. Insomma, in Finché non cala il buio pensano un po' tutti a scopare e lo fanno di continuo. Il che, se vogliamo, aggiunge perlomeno un pizzico di credibilità.

Credibilità che poi - per quanto possa sembrare assurdo in un romanzo che parla di vampiri e telepati integrati nella società - è forse l'aspetto migliore del romanzo. Credibilità dell'ambientazione, soprattutto: una Louisiana sporca e fetente, abitata da quella gente lurida e redneck che piace tanto a Rob Zombie e che poco c'entra coi personaggi che di solito popolano i racconti di vampiri. E alla fine il fascino sta tutto lì, nel mostrare una protagonista semplice, ingenua, terra terra, e nel circondarla da quella bassa umanità che rende tanto particolare la provincia americana. È sufficiente l'ambientazione a farmi apprezzare un racconto che per il resto non dice nulla di nuovo, si basa su un mistero di cui non frega niente a nessuno e ha un finale emozionante come una scoreggia? Sì, dai. Sono addirittura curioso di leggere il secondo e dare un'occhiata alla serie TV.

Il libro l'ho letto in italiano, perché così è accaduto, e ci ho trovato la solita serie di espressioni tradotte talmente a caso che te ne accorgi pure senza aver davanti il testo originale. Oh, poi io parlo parlo ma mica l'ho mai tradotto, un libro: vai a sapere che disastri farei. Comunque, un'avvertenza: non andate a cercare foto di Charlaine Harris. Potrebbero farvi un attimino crollare tutta la poesia della cosa.

10.5.10

Rovine

The Ruins (USA, 2008)
di Carter Smith
con Jonathan Tucker, Jena Malone, Laura Ramsey, Shawn Ashmore, Joe Anderson


Rovine è un filmetto horror di poche pretese e che difficilmente può aspirare a una dignità superiore a quella riservata agli spettacoli estivi dei cinema italiani o alla tarda serata da Notte Horror che allietava l'infanzia di noi giovani psicolabili in erba. Però, in questo contesto, fa un paio di cose che gli valgono la mia stima. Regala un mostro, se così lo si può definire, talmente oltre il limite del ridicolo da fare il giro e diventare ammirevole per il coraggio. Del resto, si tratta della classica situazione in cui devi rendere su pellicola qualcosa che può funzionare solo nelle pagine di un romanzo (e forse neanche lì). Ma insomma, intanto lo fa, e senza particolare imbarazzo. In più, nonostante la presenza del mostro, la seconda parte non si trasforma in un delirio di smembramenti, preferendo concentrarsi invece sulla tensione psicologica e sul mettere in scena il degrado fisico e mentale di quattro persone e mezza infilate in una situazione senza via d'uscita. Nientemeno.

E tutto sommato ne viene anche fuori qualche momento abbastanza potente, ma che molto più forte avrebbe potuto essere se a dirigere il film non ci fosse stato un fesso. Essendoci al contrario proprio un fesso, ne viene fuori una robetta che - tolto il classico finale quasi lieto però aspetta comunque il mostro vive ancora - non ha difetti clamorosi e insopportabili, ma neanche qualità particolari. C'è tutta la solita roba, a partire dal cast di insopportabili personaggi-macchietta privi di una solida costruzione caratteriale, e manca tutta la soffocante atmosfera che l'ambientazione piuttosto evocativa dovrebbe garantire. Mancano, insomma, quelli che leggo in giro essere i maggiori pregi del libro a cui si ispira il film. E che ha un finale ben diverso. Peccato, quindi.

The Ruins l'ho visto su Sky, in lingua originale. Che bello che adesso Sky ti registra tutto, doppia lingua sia sull'audio che sui sottotitoli, e poi ti lascia scegliere in corsa. La comodità, proprio. Peccato solo che i film siano compressi da far vomitare e anche in HD sia un po' un fastidio guardare roba con tante scene ambientate al buio. Importanza di guardare questo film in lingua originale? Direi nulla. Anche perché voglio sperare che non abbiano doppiato in italiano i selvaggi. No, dai.

7.5.10

24 - Stagione 4

24 - Day 4 (USA, 2005)
creato da Joel Surnow e Robert Cochran
con Kiefer Sutherland, Dennis Haysbert, Carlos Bernard, Reiko Aylesworth, Jude Ciccolella, Mary Lynn Rajskub, Arnold Vosloo


La quarta stagione di 24 è la prima ad avermi davvero convinto fino in fondo, dall'inizio alla fine, appassionandomi e trascinandomi da una puntata all'altra quasi senza respiro. Non ho percepito lungaggini eccessive, non mi sono infastidito di fronte alla canonica sequela di colpi di scena e sfighe assortite, mi sono divertito senza tregua. Se dovessi indicare delle ragioni, punterei soprattutto su due cose: la figlia di Jack Bauer e il cattivo.

Iniziamo dalla prima questione: la figlia di Jack Bauer si è levata dalle palle. E si è portata dietro quel cretino del suo ragazzo. Non c'è più. Fine. Ha smesso di spaccare i coglioni. E il bello è che la cosa viene semplicemente presa come un dato di fatto, senza che ci debba essere chissà quale momento strappalacrime dietro. Non c'è fin dall'inizio e il tutto viene liquidato da Jack Bauer che al telefono dice: "La rompicazzo se n'è andata non so dove assieme all'idiota". O qualcosa del genere. Il tutto mentre si scatena per le strade di Los Angeles una parata che neanche al threepeat dei Lakers. Già solo per questo, la quarta stagione vince.

E poi è l'anno di Jack Bauer contro Imhotep. Niente colpi di scena a metà, niente cattivi da operetta per tappare i buchi, niente minchiate. Imhotep si manifesta dopo qualche episodio e porta avanti il suo cazzutissimo piano con cazzutissima presenza, cazzutissima fermezza e cazzutissima presunzione dall'inizio alla fine. Gestisce cose e persone, mette in crisi il maligno occidentale, quasi stermina la popolazione di L.A. e indirettamente riesce pure a scatenare un intero governo straniero contro Jack Bauer. Certo, poi alla fine perde, perché in 24 i buoni vincono e salvano torta di mele e stile di vita americano, seppur con qualche vittima collaterale. Però ne esce come il figo che è.

In più, la quarta stagione di 24 ha un altro paio di aspetti che me ne hanno fatto definitivamente innamorare. C'è il gusto per il seriale, per l'andare a riprendere anche piccoli accenni visti nelle tre stagioni precedenti e rimescolarli assieme, creando una continuità di eventi che a me, piccolo bambino cresciuto leggendo le scemenze Marvel, diverte troppo. E c'è sempre quella bella sensazione di pericolo costante di cui parlavo raccontando della terza stagione e che qui torna alla stragrande, facendoti davvero credere che un paio di personaggi fondamentali siano in costante pericolo di vita. E, ovvio, qualcuno ci resta pure secco. Voglio dire, per qualche episodio mi sono addirittura convinto che Imhotep avrebbe fatto saltare per aria L.A. e che la quinta stagione sarebbe stata ambientata in pieno fallout. Ed è questo il suo piano? Succede per davvero? Eh, oh, spoiler.

Ciò di cui parlo in questo post l'ho visto in lingua originale grazie al morbido cofanetto di DVD acquistato da Fnac al simbolico prezzo di 24 euro. Le robe americane in cui la gente parla militaresco e politichese vanno viste in originale, sono troppo più sborone. Ah, il cofanetto include pure i ventiquattro "mobisode" da un minuto l'uno che compongono 24: The Conspiracy. Fanno talmente schifo che a metà del terzo ho lasciato perdere.

4.5.10

Friday Night Lights - Stagione 2

Friday Night Lights - Season 2 (USA, 2007/2008)
creato da Peter Berg, Brian Grazer, Jason Katims
con Kyle Chandler, Connie Britton, Scott Porter, Taylor Kitsch, Minka Kelly, Zach Gilford, Aimee Teegarden, Adrianne Palicki, Gaius Charles, Jesse Plemons


La seconda stagione di Friday Night Lights ha un tratto abbastanza netto che la differenzia dalla precedente: meno football. Molto meno football. Che c'è, ovvio, non può mancare. Ma è soprattutto sullo sfondo, come presenza che aleggia sopra, sotto, dentro le vite di ogni singolo essere umano che viva a Dillon. Sta lì, sornione, si manifesta di continuo, scandisce le giornate dei protagonisti, ma non invade quasi mai il racconto e se ne sente anche un pochino la mancanza. Anche perché poi, quando arriva e ti offre l'occasione di far esplodere il tifo per i personaggi di cui sei innamorato, beh, è sempre potentissimo. Seppur mostrato di sfuggita, in secondo piano, con minore enfasi sulla sua spettacolarità drammatica. Insomma, capiamoci, nella prima stagione si vedono tredici partite, in questa sei. E alla fine te ne ricordi giusto due.

Certo, va pure detto che questi quindici episodi sono orfani degli ultimi sette, inizialmente previsti e poi cancellati per il simpatico insorgere dello sciopero degli sceneggiatori. Che probabilmente in quelle sette puntate si sarebbe vista una clamorosa impennata della quantità di football giocato. Che sulle basi poste dagli sceneggiatori sarebbe forse stata costruita una serie di momenti spettacolari, vibranti, carichi di passione e con quel pizzico di retorica sportiva che non guasta mai. E invece così non è, si chiude col respiro mozzato dal fantastico crescendo emozionale degli ultimi tre o quattro bellissimi episodi e ci si accontenta - immagino - di scoprire in avvio di terzo anno com'è andata a finire la stagione sportiva dei Panthers.

È un peccato? Certo che è un peccato. È per questo la seconda stagione di Friday Night Lights meno riuscita della prima? Sì, e neanche solo per questo, va detto. Ma, occhio, rimane comunque una serie splendidamente scritta e interpretata, che si porta dietro un fascino tutto particolare e che regala emozioni fortissime. E che, diciamocelo, ha pure un bel coraggio, nel cambiare così vigorosamente strada da un anno all'altro, rinunciando alla ripetitività macchiettistica che domina altrove e concentrandosi invece sull'importanza dei personaggi. Ci sono passaggi a vuoto, ci sono momenti meno riusciti di altri e fili narrativi non sempre solidissimi, ma c'è una capacità di emozionare, colpire a fondo, commuovere davvero strepitosa.

E poi c'è quella forza incredibile di rialzarsi dopo un errore, di tirare fuori il meglio dai passi falsi, che si adatta alla perfezione ai Dillon Panthers tanto quanto alla serie stessa e al modo in cui i suoi sceneggiatori sono in grado di prendere perfino il peggior stereotipo, la situazione più banale e vista mille volte, la svolta narrativa più sbagliata, e in qualche modo tirarne fuori gemme tutte belle sbrilluccicose, momenti dalla potenza micidiale che mostrano quanto sappiano essere veri quei personaggi. E c'è coach Taylor. Che è un figo e potrebbe salvare da morte cerebrale anche il peggior episodio di Beautiful, figuriamoci quello di una fra le serie migliori del pianeta.

Questa robetta bella l'ho guardata col mio cofanettino americano, quindi in lingua originale. Delle condizioni in cui viene trasmessa su Rai 4 col corroborante titolo High School Team non voglio sapere nulla, ma faccio presente che in questi giorni stanno mandando in onda gli episodi finali del primo anno. Rimane il fatto che questa gente parla e mangia texano e in texano va ascoltata. Ah, nota di colore: se play.com fa testo, in Europa è arrivata solo la prima stagione. Negli iuessei stanno alla terza, prossimamente in arrivo su questi scaffali.

3.5.10

Oligarchizine

Secondo episodio dell'Outcast con le rubriche, realizzato da un manipolo di valorosi abbandonato al suo destino da un manipolo di riottosi. Si parla di drammi esistenziali dell'uomo moderno. E lo si fa qui.

Ho fatto uno sforzo maggiore del solito per infilarci un sacco di musica in più. Ne varrà la pena?

 
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