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30.11.13

La robbaccia del sabato mattina: Bound


Questa settimana non ho molta robbaccia da segnalare, magari perché non ce n'è proprio, magari perché sono stato distratto, magari perché ho da fare, magari perché proprio non è sucesso niente. Comunque, leggo in giro che le voci di un Paul Rudd in corsa per il ruolo da protagonista nell'Ant-Man di Edgar Wright corrisponderebbero a realtà e a me l'idea piace tantissimo, ce lo vedo proprio bene. Sempre in zona supereroi, segnalo un sito davvero sfizioso legato a X-Men: Giorni di un futuro passato, che presenta una sorta di reportage giornalistico sulla partecipazione di Erik "Magneto" Lehnsherr all'omicidio di John Fitzgerald Kennedy. Il video qua sotto viene da lì.



Poi c'è questo teaser trailer per The Boxtrolls, il nuovo film della gente che ha fatto Coraline e Paranorman. Sembra davvero tanto pucci. E poi ha le voci di Simon Pegg ed Elle Fanning. E poi ho aperto la scheda di Elle Fanning su IMDB, ho visto che ha ancora quindici anni e sono scappato urlando.



Infine, questa doppietta di video che mi ha fatto piangere. Sul serio.





E basta, tutto qui. Buon fine settimana. A Parigi piove. Sempre.

29.11.13

Upstream Color

Upstream Color (USA, 2013)
di Shane Carruth
con Amy Seimetz, Shane Carruth

Shane Carruth è un laureato in matematica che ha iniziato la sua carriera lavorativa impegnato nella creazione di simulatori di volo e poi ha deciso di darsi al cinema, facendolo senza compromessi, nel ruolo di sceneggiatore, regista, attore, produttore e financo autore della colonna sonora di film stra-personali, realizzati di testa sua, in maniera totalmente libera e indipendente, senza tollerare alcun tipo d'ingerenza da parte di produttori o chicchessia. Nel 2004 è uscito Primer, suo film d'esordio, che ha vinto numerosi premi ed è generalmente noto come "Quel film sui viaggi nel tempo in cui non si capisce niente e forse, se ti concentri molto, alla terza o quarta visione capisci metà di quel che racconta". Dopodiché, probabilmente anche un po' per quella storia bizzarra del "Faccio come dico io e non rompetemi le palle", per vedere il suo secondo film si è dovuto aspettare il 2013. Nove anni di attesa, durante i quali il suo nome è spuntato praticamente solo in relazione a Looper, per il quale ha contribuito alla sceneggiatura con qualche annotazione. E com'è, Upstream Color? Beh, è "Quel film in cui non si capisce niente e forse, se ti concentri molto, alla terza o quarta visione, capisci perlomeno di che cosa parla."

Considerando che io di visione ne ho alle spalle una sola, oltretutto risalente ormai a quasi due mesi fa, potrebbe risultarmi un po' complesso riassumere in poche parole il soggetto alla base del film. Ma, intendiamoci, mi sarebbe risultato altrettanto complesso farlo subito dopo averlo visto. Anzi, ricordo distintamente più di una chiacchierata con altre persone in cui (non) raccontavo quel che avevo visto. Provo quindi a segnalare alcuni punti fermi. Al centro del film c'è una storia d'amore, o qualcosa del genere. All'inizio del film c'è un personaggio che alleva dei vermi, o qualcosa del genere, che gli permettono di controllare volontà, movimento e comportamento delle persone a cui li inocula (o qualcosa del genere). Dopo l'avvio del film, questo personaggio scompare del tutto e la storia si concentra sul rapporto complicato fra due reduci - un lui e una lei - del trattamento di cui sopra, dal quale difficilmente si esce bene. Ah, c'è anche un tizio che alleva dei maiali.

E dunque? Dunque, Upstream Color è innanzitutto un film tremendamente affascinante per le sue atmosfere, la sua messa in scena surreale, la sua stordente cura per l'immagine e il gusto tutto particolare con cui riesce a piazzarti in fila una lunga serie di visioni e scene molto evocative. Preso scena per scena, fra l'altro, ti dà anche l'impressione di stare capendo quel che accade: è quando provi a trovare un filo logico che unisca tutto quanto, che emergono i problemi. Non perché il filo logico manchi, anzi, è evidente e neanche troppo sottile, ma perché se si cerca di trovare un senso lineare nel racconto si finisce per impantanarsi nel whaddafuck. E allora godersi Upstream Color diventa in fretta molto facile: assimilato lo stato delle cose, butti fuori dalla finestra il disperato tentativo di star dietro alla storia e ti limiti a immergerti nel mondo stralunato di Shane Carruth, godendoti il suo tripudio d'immagini assurde, la forza romantico-depressa del rapporto fra i due protagonisti e la riflessione sul libero arbitrio e sul senso d'identità che nonostante tutto, pur nel delirio sconclusionato della narrazione, emerge di prepotenza. Per il resto ci sono la seconda, la terza e la quarta visione. E le successive.

Ho visto Upstream Color a settembre, al cinema, durante il Fantasy Filmfest a Monaco di Baviera. Il film è uscito nei cinema americani a distribuzione limitata e pure in quelli britannici. Esiste inoltre in formato DVD e Blu-ray, ma al momento solo in America. Non tratterrei il fiato in attesa di una distribuzione italiana.

28.11.13

Agents of S.H.I.E.L.D. 01X09: "Lavori in corso"


Agents of S.H.I.E.L.D. 01X09: "Repairs" (USA, 2013)
creato da Joss Whedon, Jed Whedon, Maurissa Tancharoen
episodio diretto da Bill Gierhart
con Clark Gregg, Brett Dalton, Chloe Bennet, Iain De Caestecker, Elizabeth Henstridge, Ming-Na Wen

In linea teorica, oggi dovrei partire col solito pippone sul fatto che hanno rotto le scatole, che ancora una volta prendono di petto il passato di un personaggio ma poi se la giocano sbriciolando fuori solo qualche minimo dettaglio, mantenendo un "affascinante" alone di mistero sul nocciolo della questione. Ma se mi sono stufato di scriverlo io, figuriamoci quanto può essere piacevole da leggere. E comunque, di fondo, l'ho appena fatto. In senso assoluto, l'episodio di questa settimana ha il pregio di mettere al centro delle vicende May e offrire per la prima volta, dopo l'anteprima del precedente episodio, uno sguardo un po' più approfondito sul personaggio, l'unico a cui ancora non ci si era dedicati. E la cosa, via, è apprezzabile, anche se i risultati non è che siano poi così tanto approfonditi.

Per il resto, la puntata si concentra su un nuovo caso della settimana, dai poteri magari non originalissimi - ma d'altra parte mi chiedo se sia ancora possibile, nel 2013, inventarsi dei poteri originalissimi - però efficaci e divertenti sul piano visivo, oltre che della messa in scena di un po' d'azione. Purtroppo la cosa viene abbastanza sprecata per la caratterizzazione sempliciotta e bambinesca che hanno scelto di dare al personaggio, per altro in linea con i siparietti da quarta elementare messi in piedi dal trio di giullari che si diverte in laboratorio. E il risultato è un episodio che alterna passaggi molto riusciti a momenti davvero stancanti, sprecando un po' il ritorno sulla tematica della gente comune alla prese coi mondi fantastici. In un certo senso, si potrebbe quasi dire che la puntata tutta sia un perfetto riassunto in breve dei pregi e dei difetti che la serie in generale si porta dietro.

Al di là dell'episodio più o meno riuscito, però, l'impressione è che si stia arrivando al dunque. Dopo la pausa della prossima settimana, ci aspetta una puntata in due parti, che rimetterà al centro dell'attenzione il conflitto con l'organizzazione segreta Centipede e riporterà in scena il personaggio di Mike Peterson, magari con l'intenzione di proporlo come nuovo membro più o meno semi-fisso del cast. In un colpo solo, quindi, la serie prova ad alzare un pochino le ambizioni a livello di struttura narrativa e a spingere più forte sull'utilizzo di personaggi con superpoteri. D'altra parte, con questi due episodi si arriva a metà stagione, vale a dire il momento che è stato annunciato come giro di boa, punto dopo il quale il team ha iniziato a poter lavorare in piena consapevolezza di quale sarebbe stato il destino della serie. Vediamo un po'.

Ma 'sto Tobias Ford è completamente inventato o si ispira a qualche personaggio dei fumetti? Dalla regia mi suggeriscono Ghost, ma magari la cosa non è voluta.

27.11.13

Jiro vuole bene al sushi anche in Italia



Da quel che leggo in giro, pare che oggi esca in Italia Jiro Dreams of Sushi, il bel documentario a tema pesce affettato e spalmato sul riso che ho visto l'anno scorso all'Asia Filmfest di Monaco e di cui ho scritto a questo indirizzo qua. L'edizione italiana si intitola Jiro e l'arte del sushi ed è distribuita da Feltrinelli Real Cinema. Non ho idea di che genere di diffusione possa avere, ma non mi aspetto di vederlo combattere ad armi pari con Checco Zalone, diciamo. Segnalo comunque che Feltrinelli ha organizzato una serie di eventi collegati. Per esempio domani, giovedì 28 novembre, alle 18:30 presso la Feltrinelli di Corso Buenos Aires, si può ascoltare Hirazawa Minoru, chef del ristorante Poporoya, mentre chiacchiera di sushi, per poi tuffarsi nella degustazione e guardarsi il film al cinema Arcobaleno (il tutto pagando dieci euro). E buon appetito.

Oggi, però, mi faccio una bella pastasciutta.

26.11.13

The Walking Dead 04X07: "Peso morto"


The Walking Dead 04X07: "Dead Weight" (USA, 2013) 
con le mani in pasta di Scott Gimple e Robert Kirkman 
episodio diretto da Jeremy Podeswa 
con David Morrissey, Audrey Marie Anderson, Jose Pablo Cantillo, Enver Gjokaj, Alanna Masterson, Meyrick Murphy 

E si è conclusa più o meno come da previsione la doppietta di episodi dedicati al Governatore e al suo periodo in lista infortunati, con un recupero anticipato sul previsto e un rientro in campo fissato al match della prossima settimana, quello che assegnerà il titolo di campione invernale. Complimenti a Philip "Brian" Blake e allo staff medico tutto per la guarigione incredibilmente veloce, contro ogni previsione. Nei momenti immediatamente successivi all'incidente, si temeva potesse trattarsi di un infortunio talmente grave da porre fine alla sua carriera e di certo il recupero è parso inizialmente improbabile. Poi, però, l'ottima idea di coinvolgere delle specialiste prelevate dai romanzi e l'incredibile forza di volontà del paziente hanno finito per far svanire nel nulla gli imprevisti e hanno permesso di gettare il cuore oltre l'ostacolo: oggi ci ritroviamo per le mani un Governatore nuovo di zecca, forte e combattivo come lo ricordavamo, perfino più agguerrito e motivato dalla nuova squadra, capace di conquistarsi nuovamente sul campo il ruolo di capitano. Ora si può puntare davvero al titolo, nonostante la sfida vada giocata ancora una volta in trasferta.

Ieri Il Governatore è tornato per la prima volta in campo, a minutaggio limitato. 

Sulla carta, quel che gli autori di The Walking Dead hanno voluto fare con questi due episodi è interessante per tanti motivi. C'è la voglia di dare maggior profondità a un personaggio fondamentale, c'è il colpo di teatro del mollare tutto e raccontare altro per due settimane di fila, c'è il tentativo di recuperare e integrare in qualche maniera diversi elementi presi dalla continuity del fumetto, anche tirando in mezzo il carro armato che chiunque abbia letto il The Walking Dead originale si aspetta di vedere in scena da un anno e mezzo. Inoltre, sicuramente, il percorso di "redenzione", fra virgolette come non mai, è interessante anche perché palesemente poco convinto e senza troppa speranza fin dal primo minuto. Non si trattava di una persona pentita per quel che ha fatto e in difficoltà di fronte alle conseguenze delle proprie azioni, era solo un uomo sconfitto in battaglia e bisognoso di trovare nuove forze. Le ha trovate, prevedibilmente, nell'unico elemento di "debolezza umana" che aveva già mostrato di avere, l'amore per la propria figlia (e, toh, magari anche in generale il desiderio di avere al suo fianco una donna). E questo non l'ha certo portato a trasformarsi in amorevole padre di famiglia. Anzi, al contrario, ha semplicemente ridato forza al manipolatore, comandante ebbro di potere che già conoscevamo. L'ha rimesso in piedi.

In questo senso, si tratta di due episodi molto riusciti, perché assolutamente coerenti con il personaggio tratteggiato nel corso della terza stagione e anche perché in grado di proporre elementi d'interesse e scene azzeccate, a cominciare dalla resa dei conti con Martinez. Il problema di fondo rimane quello emerso la scorsa settimana, una sensazione di fretta nello svolgersi degli eventi e l'impressione che il tutto sia stato trattato con la delicatezza di un elefante scaricato di violenza in una cristalleria. Tutto l'arco narrativo in questione si basa su sviluppi triti e prevedibili, coincidenze al limite dell'assurdo e personaggi magari anche efficaci, ma non proprio scritti in maniera sottile (penso per esempio ai due fratelli di questa settimana). E in generale, la sensazione è di un grosso nulla di fatto, una divagazione, che ci ha riportati bene o male nella stessa situazione in cui stavamo prima del finale della terza stagione, solo con un carro armato e qualche arma da fuoco in più.

E la prossima settimana sembra proprio che si andrà al dunque. Tempo di totomorti!

25.11.13

Drug War


Du zhan (Cina, 2013)
di Johnnie To
con Louis Koo, Honglei Sun, Yi Huang

Non sono, ahimè, un profondo conoscitore dell'opera di Johnnie To e ammetto senza problemi di non sapere molto della sua evoluzione come regista, di come la sua poetica possa essere andata modificandosi negli anni, di cosa significhi per lui un film come Drug War. Oh, capita, non si può sapere tutto, e poi scrivere di cinema non è mica il mio lavoro, no? È uno dei buchi che ho sempre voluto colmare, c'ho lì da qualche parte un txt con appuntati perlomeno i suoi film che mi hanno segnalato come fondamentali, non ce la farò mai. La sostanza, comunque, è che io e To non ci frequentiamo dai tempi di Exiled e dei suoi balletti di pallottole al rallentatore. Forse per questo motivo, sulle prime, Drug War e la sua estetica sporca, quasi documentaristica, mi hanno po' spiazzato. Ma è durato poco, perché poi sono stato rapito da uno splendido film.

Il racconto segue le vicende di una squadra di polizia che, come magari il titolo potrebbe far intuire, è impegnata nella lotta al traffico di droga. Tutto viene raccontato attraverso il punto di vista dei poliziotti e infatti, per una volta, non ci si trova di fronte al classico melodramma orientale tutto onore ed eleganza criminale. Gli unici lampi di "simpatia criminosa" arrivano da Jimmy Choi, un trafficante costretto dalla polizia a fare il doppio gioco per sostenere una complessa rete di schemi in cui praticamente chiunque, fra poliziotti e criminali, si nasconde dietro una maschera. Gran parte del film ruota attorno al rapporto di (scarsa) fiducia che viene a crearsi fra lui e il capitano di polizia Zhang e l'unico bagliore di umanità espressa dalla "fazione criminale" si manifesta nella suggestiva scena che vede Choi riunirsi ai suoi collaboratori e struggersi in lutto.

La cosa magari è figlia del fatto che si tratta del primo film d'azione girato da Johnnie To in Cina, probabilmente costretto per questo a muoversi all'interno di limiti produttivi ben precisi e mostrare un dipartimento di polizia irreprensibile contro dei criminali senza ritegno, ma il risultato è comunque un gran poliziesco, teso, crudo, brutale, pieno di piccole idee fulminanti nella risoluzione dei conflitti e ricco di personaggi interessanti. Senza contare che comunque, di fondo, riesce a raccontare tanto degli antagonisti infami, ma profondamente umani, quanto degli eroi sì incorruttibili, ma certo non infallibili e che commettono anzi continuamente errori dalle conseguenze gravissime. Il tutto, poi, è messo in scena in una maniera incredibile: Drug War è un film pieno di immagini splendide, ambizioso nella costruzione di scene d'azione in esterni ariose, ricche, splendidamente coreografate e in cui - pazzesco! - si capisce sempre perfettamente cosa stia accadendo, con un'attenzione fenomenale per gli spazi, le geometrie, l'evoluzione delle sparatorie, senza per questo rinunciare a un approccio serio, a modo suo credibile, lontano, come detto, dai balletti assurdi che ci si potrebbe aspettare in un film orientale di questo genere.

Ho visto Drug War a settembre, durante il Fantasy Filmfest a Monaco di Baviera. Al momento, se IMDB non mente, il film è stato distribuito solo sul mercato asiatico e si sta girando un po' tutti i festival del mondo, compreso quello di Roma. Esiste comunque già un'edizione in Blu-ray americana. Il 19 marzo 2015 è arrivato in Italia direttamente in home video.

24.11.13

Lo spam della domenica mattina: Kosher!


Incredibile ammisci, questa settimana posso segnalare un articolo pubblicato su IGN. Uno di quelli in cui tratto giochi bizzarri che non si caga nessuno, fra l'altro! Trattasi infatti di The Shivah: Kosher Edition, la cui recensione si trova a questo indirizzo qui. E non solo: abbiamo pure la recensione di Wii Karaoke U su Outcast e le solite cose settimanali sempre su Outcast, The Walking Podcast e il nuovo Old! dedicato al novembre del 1993. Ah, segnalo anche il Cinquepercinque sulla next gen, ché le domande le ha partorite Nabacchio, ma poi ho gestito io, eh.

Oggi giornat(on)a conclusiva del festival, con i cortometraggi internazionali, The Wicker Man - Final Cut e Wolf Creek 2.

23.11.13

La robbaccia del sabato mattina: I'm gonna destroy them


Si parla da un po' della serie TV spin-off di The Walking Dead, quella che fa Robert Kirkman tutto contento perché può lavorare su una storia ambientata in quel mondo ma non legata o limitata in alcun modo dal fumetto. Ebbene, leggevo l'altro giorno che la messa in onda è prevista per il 2015, le vicende saranno ambientate da tutt'altra parte e con personaggi diversi e la voce che va per la maggiore è che si tratterà di un prequel ambientato nel momento in cui è esplosa l'epidemia. O forse non è più una voce ed è ufficiale, boh. Interessante? Sì, dai. Mungimento di vacca? Sì, dai.



OK, abbiamo il trailer lungo del film di Need for Speed. E? Mboh, mi sembra ci sia veramente un tasso di melodrammone esagerato e fra l'altro, non ci posso fare niente, per me Aaron Paul, anche se ha una voce ganza, è l'alcolista sfigato di Smashed e vedere 'sto tappo che si spara le pose da figaccione scambiandosi facce brutte con quell'altro tappo di Dominic Cooper mi fa un po' tristezza. Ma è sicuramente un problema mio. Poi c'è (quell'altro tappo di) Michael Keaton. Dai, vediamo.



Con chi parlava alla radio Sandra Bullock in quella strana scena di Gravity? Risponde alla domanda Jonas "figlio di Alfonso" Cuaron con Aningaaq, il cortometraggio qua sopra. Che è molto bello, anche se, non so, quella scena tutta un po' surreale e bizzarra, forse è il classico caso in cui preferisco non sapere cosa ci sia davvero dall'altra parte.



Sabotage, il nuovo film diretto da David Ayer, regista degli ottimi Harsh Times, La notte non aspetta ed End of Watch, scritto però da Skip Woods, sceneggiatore del primo Wolverine, del quinto Die Hard e di altri gioielli simili. Cosa ne verrà fuori? Bella domanda. Certo è che se parti con Arnie che afferma "I'm gonna destroy them", non parti male. Ah, bonus dell'ultimo minuto, il trailer di Nymphomaniac non esattamente safe for work. Sta qui. Lars Von Trier trollone.



Sono nel bel mezzo del Paris International Fantastic Film Fest e devo decidere se andare stasera a spararmi la maratona Stephen King, con quattro film in fila a partire dalle 22:00. Il programma offre Christine, Pet Sematary, Creepshow e il nuovo Carrie. Che faccio?

22.11.13

Raze


Raze (USA, 2013)
di Josh C. Waller
con Zoe Bell, Rachel Nichols, un po' di altre donne, qualche guest star e la nonna di Sherilyn Fenn

Raze racconta una storia già vista altre cinque o seimila volte: della gente ricca sfoga la sua voglia di emozioni forti assistendo a (e scommettendo su) tornei di poveracci che si devono riempire di calci sulle gengive fino alla morte. I contendenti partecipano non di spontanea volontà, ma perché rapiti, ingabbiati e costretti col ricatto, grazie a videocamere costantemente puntate sui loro familiari, che gli organizzatori sono pronti a uccidere con uno schiocco di dita. Insomma, la classica storiellina allegra farcita di gente che muore male e che può finire solo in due modi: coi lottatori che s'incazzano, si ribellano, tirano giù tutto e riescono a scappare o coi lottatori che muoiono tutti. O entrambe le cose assieme, anche. Il twist di questo film? I lottatori sono lottatrici, quindi madri di famiglia, figlie di famiglia, amiche di famiglia, cose così. E una di loro, come illustra il manifesto, è quell'animale di Zoe Bell.

Mentre guardavo Raze, per un attimo, m'è passato da qualche parte nel cervello un pensiero da persona scandalizzata perché, ehi, ma che è, un film basato sul mostrare donne in canotta che si pestano fra di loro e fanno fini bruttissime, sepolte di cazzotti, ossa spezzate e sangue a litri. Poi, però, mi sono chiesto per quale motivo dovessi pormi il problema, se non me lo pongo quando guardo un film in cui le stesse cose accadono a uomini in canotta, e mi sono risposto che non c'era motivo di farlo. Le questioni, alla fine, a prescindere dal genere dei protagonisti, rimangono sempre le stesse. Il film è appassionante? La brutalità colpisce nel segno? I combattimenti sono spettacolari e ben girati? C'è una qualche forma di sottotesto, di messaggio, di satira, di che ne so? Insomma, c'è un motivo di interesse? Eh, non molto.

I pregi di Raze ruotano un po' tutti attorno a Zoe Bell, una che c'ha addosso una carica allucinante, che emette forza e brutalità da ogni poro e riesce a rendere credibile il suo personaggio e la sua capacità di cavarsela in ogni situazione. Poi si apprezza la potenza dell'avvio, che butta senza premesse nel mezzo dell'azione e in cui si giocano la carta delle due attrici dalla fama più o meno comparabile per aggiungere un po' di imprevedibilità all'esito della faccenda. Menzione d'onore, anche, per l'effettiva ed efficace brutalità dei combattimenti, per la presenza di una guest star a caso che in qualche modo fa il suo effetto, per Sherilyn Fenn nel ruolo della zia vecchia della Sherylin Fenn che mi piace ricordare, per un finale che prova ad essere molto cupo e per la partecipazione di Rachel "Dovevano ingaggiare lei per la Vedova Nera" Nichols, che è sempre un bel vedere. E basta.

La Vedova Nera, quella vera.

Tolti questi fattori, che comunque, via, ti fanno arrivare alla fine, rimane un film abbastanza piatto e privo di mordente. La sceneggiatura butta lì un po' a caso qualche discorso sull'abuso delle donne, ma lo fa in maniera svogliata e poco efficace. I personaggi sono una serie di insopportabili macchiette, quindi diventa anche difficile farsi coinvolgere sul piano emotivo e trascinare quando volano le mazzate. E le mazzate non sono nulla di spettacolare, per quanto, ripeto, molto efficaci sul piano della brutalità; hanno scelto di buttarla sul realistico, quindi i combattimenti sono molto poco dinamici e spettacolari, più che altro sanguinari e spesso veloci. Il che ha senso, anche considerando che poche delle partecipanti hanno dalla loro un allenamento da atleta, ma il problema è che se scegli questa impostazione devi costruirci attorno un film. Raze, invece, se ne sta lì a metà, non vuole fare il film d'arti marziali assurdo e pieno di coreografie esaltanti ma non ha la forza espressiva ed emotiva necessaria per accompagnare un approccio più ancorato alla realtà. E non è neanche, casomai venisse il dubbio, un film che ti guardi perché pieno di donne bellissime che si prendono a schiaffi costantemente seminude. Insomma, cui prodest?

L'ho visto a settembre, al cinema, durante il Fantasy Filmfest di Monaco. Se IMDB non mente, il film, al momento, non è uscito da nessuna parte.

21.11.13

Agents of S.H.I.E.L.D. 01X08: "Il pozzo"


Agents of S.H.I.E.L.D. 01X08: "The Well" (USA, 2013)
creato da Joss Whedon, Jed Whedon, Maurissa Tancharoen
episodio diretto da Jonathan Frakes
con Clark Gregg, Brett Dalton, Chloe Bennet, Iain De Caestecker, Elizabeth Henstridge, Ming-Na Wen

Ieri sera, mentre guardavo il nuovo episodio di Agents of S.H.I.E.L.D., sono stato improvvisamente colto da illuminazione e mi sono reso conto di cosa realmente m'infastidisce del modo in cui gli sceneggiatori stanno portando avanti i segreti, i segretini e la trama di fondo. Non è il fatto in sé di prendersela comoda, è questo impacciato e fastidioso voler tenere il piede in due scarpe. Mi spiego, prendendola molto alla lontana, come mio solito. Tanto tempo fa, c'era X-Files. Gli episodi erano tutti autoconclusivi, col mostro della settimana. Ogni tanto saltava fuori la singola puntata, o la coppia di puntate (o il tris, magari col film di mezzo) dedicata alla "mitologia", in cui si portavano avanti le faccende, per poi tornare agli episodi singoli. Era una formula ben definita, all'epoca funzionava così (bene o male, ricordo una struttura simile anche per Star Trek: The Next Generation).

Col passare degli anni, le cose si sono fatte più sfumate, si è iniziato a sperimentare con la serialità. Penso per esempio alla guerra durata tanti episodi di Star Trek: Deep Space Nine. Penso a Buffy l'ammazzavampiri, in cui ogni episodio era autoconclusivo ma portava anche avanti in maniera organica il racconto. E poi arriva Lost, arriva la storia raccontata in maniera ininterrotta da una puntata all'altra, seppur mantenendo sempre una struttura ciclica degli episodi. Tutti questi, sia chiaro, sono solo i primi esempi che mi sono venuti in mente di serie di alto profilo che hanno fatto queste cose, non mi interessa star qui a discutere su chi le abbia fatte per primo. Il punto è che tutte queste serie, pur magari sperimentando e commettendo errori, avevano una direzione chiara, sapevano quel che stavano facendo. Agents of S.H.I.E.L.D. mi sembra invece andare davvero troppo a tentoni e soprattutto mi sembra stare facendolo in maniera furbetta e poco convinta. Il problema non è costituito dagli episodi autoconclusivi, il problema è che all'interno degli episodi autoconclusivi fai finta di stare portando avanti anche una trama di fondo, ma lo fai mostrandomi ogni volta una scorreggia da due minuti che non dice sostanzialmente nulla. Ecco, questo, per me, ha il sapore della presa per il culo. Poi, per carità, è dichiarato che si tratta di una cosa in larga parte figlia dell'essere partiti senza sapere di che morte sarebbero morti e che da metà stagione in poi, ora che sono stati confermati i ventidue episodi, le cose dovrebbero decollare, però, eh, che palle.

 L'ho già detto che le serie da 22 episodi, secondo me, sono sempre un errore? La foto non c'entra nulla.

Il succo di tutto 'sto pippone sta nel fatto che è bello vedere lo sforzo per cominciare a introdurre qualche elemento in più sui personaggi, fra l'episodio incentrato quasi completamente su Ward, l'accenno a una vita fuori dallo S.H.I.E.L.D. per i due nerd, l'ammiccare a cose nel passato di May, ma, per la miseria, che modo stressante e stitico di trattare le cose. Praticamente tutta la puntata ruota attorno al fatto che Ward sbrocca e ripensa a un suo trauma infantile, però comunque non ce lo spiegano, ci buttano lì un po' di immagini a caso pescate dagli scarti della batcaverna di Christian Bale e si chiude ancora sul non detto, su chissà quale incredibile segreto MACHEPPALLE! E poi, inevitabilmente, ci sono anche i due secondi di questa settimana su Tahiti e su Coulson che sta sbroccando. La prossima settimana avremo l'episodio dedicato a May e a raccontare cinque minuti del suo passato, poi tre secondi di Tahiti, Simmons telefona a sua zia, tanti saluti. Bah.

Al di là di queste considerazioni, l'episodio in sé è anche gradevole, ha un paio di gag azzeccate (ma anche un paio di battute che si sforzano davvero troppo), parla un po' di universo Marvel in senso ampio e mette in scena un personaggio asgardiano. Che, di fondo, anche se non fa praticamente nulla dall'inizio alla fine, quantomeno riesce a dare più del solito la sensazione di star guardando un telefilm basato su un universo fumettistico pieno di divinità, alieni e cose bizzarre e potentissime. In più l'attore che lo interpreta è bravo come al solito e l'accenno al fatto che non conosce Thor è simpatico, dai. Peccato solo che tutta la fanfara sul primo crossover con un film Marvel sia stata una gran presa per i fondelli figlia del marketing.

Di fatto, il cuore dell'episodio non ha nulla a che vedere col film, anche se si parla di Asgard e si cita velocemente il nuovo status di Thor. Il caso della settimana ruota attorno a una reliquia sepolta da un millennio e non affronta minimamente le conseguenze di quanto avvenuto al cinema. L'unico vero "incastro" sta nel prologo britannico, anche simpatico, ma con una gran puzza di posticcio e appiccicato, tant'è che guardacaso la parte prima dei titoli è chiaramente spezzata in due sezioni. Il paradosso, poi, è che se non se la fossero menata tanto con "Ehi, arriva il crossover!" sarebbe magari stata una piacevole sorpresa, ma partendo da quella base diventa difficile non sentirsi un po' presi per i fondelli. Ma insomma, son dettagli.

Ma poi, quando arrivano a metà stagione, fanno la pausa invernale o che?

20.11.13

Per la barba di Odino!


Oggi esce al cinema in Italia Thor: The Dark World. Oddio, in realtà l'han già proiettato ieri in anteprima in ennemila sale, ma oggi esce ufficialmente in ennemilaX2 sale. Comunque, ieri, oggi, quel che è. Io l'ho visto qua a Parigi un paio di settimane fa e non mi ha fatto esattamente impazzire ma ci ho trovato dei lati positivi. Ne ho scritto a questo indirizzo qui.

Ieri è cominciata l'edizione 2013 del Paris International Fantastic Film Festival. Fra quello e il miliardo di cose che ho da fare, c'è il rischio che nei prossimi giorni i post sul blog rallentino un po'. O magari no, vai a sapere. Va detto che non guarderò miliardi di film, un po' perché il programma non è proprio smisurato, un po' perché quelli in lingue strane li evito perché coi sottotitoli in francese ho paura di non godermeli abbastanza, un po' perché alcuni li ho già visti al Fantasy Filmfest di Monaco. Fra l'altro devo ancora finire di scrivere i post su quello. Ah, così tante cose da fare, così poco tempo...

19.11.13

The Walking Dead 04X06: "L'esca"


The Walking Dead 04X06: "Live Bait" (USA, 2013)
con le mani in pasta di Scott Gimple e Robert Kirkman 
episodio diretto da Michael Uppendahl
con David Morrissey

Ecco, questo è proprio il tipo d'episodio di The Walking Dead che quando mi (ri)guardo la stagione in botta, tutta d'un fiato nel giro di pochi giorni, mi piace, perché va a divagare mostrando un retroscena e raccontando un pezzo di storia del tutto scollegato dagli eventi principali. Non diventa per questo uno splendido episodio, eh, però assume un senso molto diverso da quello che ha se te lo guardi nel bel mezzo di un vuoto da quattordici giorni. E invece, così, messo qui, dopo la puntata della scorsa settimana e in attesa di capire cosa accadrà la prossima, mi lascia addosso un enorme senso di whatever e di "Sì, OK, abbiamo capito, andiamo avanti". Ma questo potremmo considerarlo un problema secondario.

Però c'è anche il fatto che si forza probabilmente in troppo poco tempo un'evoluzione del personaggio che meriterebbe magari più spazio. OK, il racconto ci dice che gli eventi della puntata si verificano nell'arco di mesi, ma rimane il fatto che, dopo aver impiegato un'intera stagione a prendere un personaggio già bastardo e dai metodi brutali in partenza e trasformarlo in un completo psicopatico che perde la brocca e ammazza tutti quanti, ci infilano in gola a forza un suo percorso di redenzione e rimessa in sesto nel giro di un'oretta scarsa, pubblicità compresa, giustificando il tutto col solo fatto che gli manca sua figlia. Mi pare francamente un po' esagerato. Ma, volendo, potremmo considerare questa cosa un problema tollerabile, in una serie in cui comunque si racconta di gente che, avendo per l'appunto perso la brocca, ha comportamenti imprevedibili.

Solo che poi c'è l'episodio in tutto il suo splendore, un tripudio di luoghi comuni e stanco trascinarsi fra questa e quella cosa che s'intuiscono tutte dieci minuti prima. Non dico manchino i momenti almeno un po' azzeccati, tipo la partitella a scacchi o gli zombi della settimana, ma ci sono anche dei tuffi nel pacchiano dalla potenza rara (a cominciare da tutta la parte iniziale... e comincio a non tollerare davvero più il modo in cui vengono usate le canzoni per accompagnare i momenti drammatici) e nel complesso mi è sembrato un episodio davvero debole, anche se apprezzo sempre la voglia di uscire improvvisamente dai binari e spiazzare un po' passando a parlar d'altro sul più bello. Di buono, comunque, c'è David Morrissey, che alla fine fa sempre il suo, e c'è il tirare di gomito ai fan, fra l'omaggio al Governatore capellone e a Brian, l'introduzione dei personaggi di Lilly e Megan e in generale la sensazione - legata anche al trailer del prossimo episodio - che si stia in qualche modo iniziando a preparare il disastro vero che i lettori dei fumetti conoscono bene. Vediamo un po'.

No, sul serio, non le tollero, le canzoni.

18.11.13

Byzantium


Byzantium (GB, 2013)
di Neil Jordan
con Gemma Arterton, Saoirse Ronan e un po' di maschi inutili

Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana, Neil Jordan portava al cinema i vampiri di Anne Rice con un film molto bello, magari poi invecchiato maluccio, che di fatto anticipava tutte le storie di vampiri che si prendono sul serio, se la menano tantissimo e c'hanno la cosmologia delle società segrete e dei mondi sommersi (quindi, chi più chi meno, Buffy, True Blood, Underworld, Twilight e chissà che altro). Era un film aggrappato con forza alla tradizione dei vampiri classici e completamente incentrato sui maschi, i maschi belissimi, i maschi seducenti, i maschi col bromance, i maschi col romance senza il bro, al punto che l'unica presenza femminile degna di nota era una Kirsten Dunst vampirizzata e minorenne per sempre, tanto per buttarci dentro pure un po' di sottotesto pedofilo. Vent'anni dopo, Neil Jordan torna ai film di vampiri con Gemma Arterton e Saoirse Ronan come protagoniste e uno un po' s'aspetta di vedere la stessa roba virata al femminile.

E in un certo senso è quello che si trova, anche se in realtà Byzantium è un film abbastanza diverso da Intervista col vampiro, pur condividendone il tono da vampiri tutti seri, dannati e poetici, l'idea dei vampiri (maschi) che si organizzano nei secoli mettendo in piedi la loro bella società segreta che vuole dominare il mondo dall'ombra e l'attenzione alle bizzarre evoluzioni familiari che questi esseri immortali si portano dietro. Da un certo punto di vista, anche se si tratta di un universo narrativo differente - qui i vampiri non sono quelli tradizionali, hanno abitudini e poteri diversi, anche se comunque ti ipnotizzano, ti seducono e ti svuotano i vasi sanguigni - sembra davvero di guardare l'altra metà dell'universo vampirico che Jordan aveva già raccontato a suo tempo. Quei vampiri lì tutti cupi e seriosi cosa ci fanno, alle donne? Le odiano, le considerano dei sottoprodotti di scarto, le isolano e non le vogliono fra le scatole. La mitologia di Byzantium, sostanzialmente, è un grosso metaforone sul maschilismo spinto e su come i maschi siano delle brutte bestie cattive che ghettizzano le donne, le escludono dai ruoli di peso sul posto di lavoro e, insomma, preferiscano fare le cose fra di loro, dandosi il cinque e guardando il Monday Night Football armati di birra e nachos. Fila in cucina e non rompere le palle. E i maschi umani sono anche peggio: abbindolano le fanciulle ingenue in spiaggia, le stuprano e poi le assegnano a un bordello.

Ovviamente ci sono le eccezioni e, anche nel mondo tutto pieno di uomini brutti e cattivi, vampiri o meno, raccontato da Neil Jordan e dalla sceneggiatrice Moira Buffini (Tamara Drewe, Jane Eyre), esistono uomini degni di considerazione, sfigati che si innamorano delle gnocchissime protagoniste e vogliono solo il loro bene, eroici vampiri che sanno accettare anche la presenza di donne fra le loro fila, insegnanti realmente preoccupati per il destino delle loro allieve, cose così. Il che, quantomeno, aiuta a non far sconfinare troppo il film in zona Sofia Coppola. Ma, metaforoni a parte, Byzantium è anche e soprattutto un film che racconta la difficile convivenza fra una vampira condannata ad essere adolescente per sempre e la sua "madre vampirica" condannata ad essere una gnocca allucinante per sempre. Al centro della storia ci sono le paranoie di un'adolescente che non scoprirà mai cosa significhi diventare adulti, il suo rapporto con il ragazzino anemico che s'innamora degli occhioni dolci di Saoirse Ronan e la relazione complicata fra madre e figlia, assieme alla difficoltà di sopravvivere da reiette non solo in quanto non morte che si cibano di sangue, ma pure perché respinte e odiate dalla propria stirpe di vampiri.

E cosa ne viene fuori? Un film fatto soprattutto di potenziale sprecato. I temi ci sono, le possibilità sul piano dell'azione e della suspense pure, il sangue non manca, eppure Byzantium è una robetta che scorre placida, non morde e a cui fondamentalmente manca l'anima, magari perché quando vieni trasformato in vampiro te la perdi per strada. Le trovate originali o interessanti si esauriscono in cinque minuti e per il resto il film sta in piedi soprattutto grazie al fatto che Saoirse Ronan è molto brava e tanto carina e Gemma Arterton è una donna pazzesca che si magna tutto quanto ogni volta che entra nel fotogramma: bravissima, bellissima e costantemente strizzata dentro vestiti sempre in procinto di farla esplodere. Per il resto, però, poco da segnalare, qualche guizzo ogni tanto, un paio di scene molto evocative, ma anche un po' l'impressione che Neil Jordan stesso non ci credesse molto (o che a sessant'anni abbondanti non c'abbia più la forza di crederci molto).

L'ho visto a settembre, al cinema, in lingua originale, durante il Fantasy Filmfest di Monaco. Ne ho scritto adesso perché c'ho avuto da fare. Nel frattempo è uscito un po' dappertutto, tranne che in Italia. Ma insomma, è un film horror con la gnocca: prima o poi arriva.

17.11.13

Questione di tempo


About Time (GB, 2013)
di Richard Curtis
con Domhnall Gleeson, Rachel McAdams, Bill Nighy

Oggi torniamo a parlare di quella subdola pratica dei trailer ingannevoli. Tanto ingannevoli? Poco? Volontariamente? Vai a sapere. Il punto, però, è che ogni tanto uno va a vedersi un film aspettandosi quel che si vede nel trailer e trovandosi poi davanti qualcosa di un po' diverso. Osserviamo, nello specifico, il trailer di About Time. Anzi, facciamo due, per non sbagliare.





Ora, dopo aver visto il primo trailer, e maggior ragione dopo aver visto il secondo ogni santa volta che sono andato al cinema nelle scorse settimane, io mi aspettavo una specie di versione zuccherosa e un po' più brit di Ricomincio da capo. Sbagliavo? Può essere. E invece? E invece, a voler essere superficiali, l'ultimo film di Richard Curtis è in effetti una versione sconsigliata ai diabetici di quel film là con Bill Murray e le marmotte, ma in realtà va abbastanza a parare altrove e punta molto meno sul lato comico della faccenda. Le scene mostrate nei trailer sono bene o male le uniche (o giù di lì) che giocano davvero sul lato comico del viaggiare nel tempo e oltretutto nel film sono pure state accorciate, con meno "esperimenti". Quindi, insomma, si ride decisamente meno di quanto i trailer facciano pensare. È un problema? Beh, innanzitutto dipende anche un po' da quel che uno s'aspetta di vedere, ma no, non è un problema, così come non è un problema - anzi! - il fatto di non ritrovarsi davanti a una copia tutta brit di quell'altro film là, perché le fotocopie non piacciono a nessuno, no?

Intendiamoci, per quanto agrodolce, Questione di tempo è sicuramente una commedia, ma è anche una commedia che, pur abbracciando senza pudore il suo essere romantica e zuccherosa, sfugge abbastanza a tanti stereotipi e snodi narrativi "obbligatori" del genere, è scritta più che bene nel dare un senso ai personaggi e a quel che dicono e di fondo, pur avendo al centro del racconto una storia d'amore e i viaggi nel tempo, parla soprattutto della crescita personale del protagonista e del suo rapporto col padre (e col proprio diventare padre). Quello che sembra un tema sullo sfondo diventa in realtà molto velocemente la colonna portante del film e là dove ti aspetteresti il canonico momento drammatico che mette in crisi la situazione di coppia, si va improvvisamente a parare da tutt'altra parte. Il risultato è quindi un bel racconto di crescita e una bella storia di legame forte fra genitori e figli, che dietro alle risatine sceme e al soggetto assurdo nasconde temi dalla carica emotiva potente e la voglia di affrontare discorsi anche profondi, seppur inevitabilmente risolvendo un po' tutto con una morale in zona Perugina. Il film poi è tenuto in piedi da una truppa di ottimi caratteristi e bravi attori, col trio principale Gleeson / McAdams / Nighy che domina e ti fa venire voglia di abbracciarli e sposarli tutti e tre. Insomma, ottimo.

E poi loro due sono tremendamente cicci.

Però ci son dei problemi. Innanzitutto, c'è la sorella del protagonista, che è il solito personaggio femminile tutto pazzerello e dolce e stralunato ma che simpatica guarda è adorabile ma com'è buffa le voglio tanto bene UCCIDITI. Non la descrivo oltre perché altrimenti mi torna alla memoria Elizabethtown e divento volgare, ma va detto che, per fortuna, si tratta di un personaggio secondario, dallo scarso minutaggio, e la cui esistenza, se vogliamo, è - volontariamente o meno - giustificata dal fatto che lo zio del protagonista è un ritardato. Quindi, insomma, magari la cosa è ereditaria. Ad essere onesti, va detto anche che un po' tutta la famiglia del nostro eroe è percorsa da quella vena di "ma quanto siamo bizzarri e simpatici", però si tratta di un aspetto fortunatamente secondario. Non siamo in un film di Wes Anderson, per capirci. E soprattutto, il personaggio di Rachel McAdams è un'adorabile donna normale, non una fottuta squilibrata.

In secondo luogo, c'è il fatto che a un certo punto viene applicata una regola totalmente arbitraria ai viaggi nel tempo, all'insegna del "perché sì", palesemente perché c'era bisogno di inserire un limite che mettesse il protagonista di fronte a un dilemma morale. E la trovata funziona, è legata a ciò che si vuole raccontare e si inserisce comunque in un film che fin dal primo minuto mette in chiaro di non essere interessato a chissà quale approccio rigoroso ai paradossi. Solo che, nella scena in cui tutto questo viene introdotto, il funzionamento dei viaggi nel tempo entra in contraddizione con se stesso in maniera abbastanza palese, trattando diversamente due personaggi coinvolti nello stesso "salto". È un peccato perché si tratta di una cosa che poteva essere tranquillamente evitabile senza cambiare di una virgola il resto del racconto, ma alla fine, anche qui, non si tratta di un elemento fondamentale del film. E oltretutto è coinvolta la sorella, quindi vai a sapere, magari il tutto dipende dal suo essere cretina. Poi ci sarebbe il finale, che è toccante e azzeccato in quel che racconta, ma soffre un po' della sindrome di dover mettere il tutto nero su bianco, col pippone che illustra la già di suo chiarissima morale in favore dei non capenti.

Per tutti questi motivi, non si tratta del gran, gran film che sarebbe potuto essere, ma Questione di tempo è comunque una bella e intelligente commedia, che si merita sicuramente una chance. A patto di non patire fortissimo i toni senza dubbio zuccherosi, di non essere soggetti a chiusura immediata della vena sul collo di fronte alle sorelle pazzerelle e SIMPATICISSIME (però, insomma, se ho retto io... ) e di non farne una malattia se il film esagera un po' con la voce narrante del protagonista e col volerti infilare a forza in gola la sua morale. Troppo?

Ah, è una commedia britannica, piena di umorismo al sapore di fish & chips, con un personaggio americano di mezzo: devo dirlo, che sarebbe meglio guardarsela in lingua originale?

Lo spam della domenica mattina: Indielusione


Questa settimana abbiamo pubblicato ben tre podcast. Sciambola! Il quattordicesimo The Walking Podcast, il ventiseiesimo Outcast: Chiacchiere Borderline e il trentacinquesimo Podcast del Tentacolo Viola. Inoltre, sempre su Outcast, si è ovviamente manifestato l'episodio di Old! dedicato al novembre del 1983. Su IGN, invece, me ne sono uscito con la recensione un po' sconfortata di Contrast.

Ieri sera sono andato a vedere la commedia col tizio inglese che viaggia nel tempo perché vuole quagliare con Rachel McAdams. Ora provo un forte bisogno di Escape Plan.

16.11.13

La robbaccia del sabato mattina: C'hai l'acqua in casa

 
Questa settimana, il mio sabato all'insegna delle cose a caso si apre su un filmato iper-nerd, una versione alternativa del finale di Wolverine - L'immortale pescata dall'edizione home video, in cui Logan e Yukio fanno wink wink con la delicatezza di un elefante mostrando un certo qual costume di Wolverine in versione "motociclista all'orientale coi colori di Bruce Lee". Non ho trovato il video comodamente embeddabile con una ricerca al volo, facciamo prima se linko una pagina da cui sbirciarlo. Nel mentre, continuano a spuntare informazioni e voci a caso sui prossimi film e telefilm Marvel e DC. Da un lato è tutto un vociare su Batman Vs. Superman (titolo provvisorio o forse no), in cui ci saranno Wonder Woman, Nightwing, Alfred, Lex Luthor, Geppetto e il mago Zurlì. Dall'altro si scopre che il nostro amico Drew Goddard (Quella casa nel bosco e anni di lavoro sulle serie di Joss Whedon e su Lost) scriverà il telefilm di Daredevil e che Melissa Rosenberg (Dexter, Twilight) scriverà quello su Jessica Jones, nell'ambito della produzione multipla annunciata da Marvel e Netflix. La cosa curiosa, o forse no, sta nel fatto che la Rosenberg doveva già occuparsi dell'abortita serie TV su Jessica Jones che sarebbe dovuta andare in onda anni fa sulla ABC. Inoltre, ci fanno sapere che il nuovo film sui Fantastici 4, diretto dal Josh Trank di Chronicle, è stato rinviato al 2015, anno vagamente intasato di progetti che tendono un po' a mirare tutti allo stesso pubblico.



Questa cosa qua sopra mi ha fatto schiantare dal ridere. Il finto documentario in stile 30 for 30 sulla partita di Space Jam. È bellissimo. No? Sì. Ah, una notizia che mi sono dimenticato sopra: Justin Lin dirigerà il prossimo Bourne. Improvvisamente mi è venuta voglia di aspettare il seguito di uno fra i film più inutili e meno interessanti che abbia visto l'anno scorso.



E, hahahahah, boh? Noah, il film di Darren Aronofsky su Noè, proprio lui, quello con l'arca. Onestamente non so neanche bene cosa aspettarmi. Però mi fa abbastanza ridere. Comunque, chiudo segnalando questa cosa semplicemente meravigliosa che metto qua sotto e una pagina tutta dedicata a Jennifer Lawrence piena di link, filmati e gif sull'argomento.



Oh, è uscito Escape Plan in Francia! Devo andare a vederlo.

15.11.13

Rush

Rush (USA, 2013)
di Ron Howard
con Chris Hemsworth, Daniel Brühl, Olivia Wilde, Alexandra Maria Lara, Pierfrancesco Favino

Quando guardo un film sportivo, mi viene spesso da chiedermi se la semplicità con cui vengono tratteggiati i personaggi sia considerata in qualche modo "necessaria" per far funzionare il genere o sia di fondo in larga parte figlia di che genere di persone sono, nella realtà, i protagonisti di queste storie. Pare brutto dirlo, magari anche irrispettoso, ma in effetti, se ti vai ad ascoltare le interviste alla maggior parte degli atleti, non è che dipingano proprio esseri umani profondamente interessanti. Poi è chiaro che ci si mette di traverso la necessità di dare sempre la risposta "giusta", ma insomma. Immagino la verità stia nel mezzo e che nel mondo dello sport, come in qualsiasi altro ambito, ci siano personaggi d'ogni risma. Fatto sta che, alla fin fine, a far la differenza fra un "semplice" film sportivo, anche molto bello come Rush, e altre pellicole in grado di trascendere la propria natura, c'è soprattutto questo, l'approccio ai personaggi e la voglia di utilizzarli non solo come figuranti al servizio della storia e dei meccanismi da mettere in scena.

Intendiamoci, io James Hunt me lo immagino sempliciotto nella vita più o meno come lo dipingono nel film, e vai a sapere, ma rimane il fatto che se incentri un film sul rapporto fra due personaggi che, di fatto, non vanno molto oltre l'essere due archetipi, beh, al tuo film manca qualcosa. Il che è un problema soprattutto nel momento in cui scegli, magari anche per dichiarato disinteresse del regista nei confronti dello sport specifico, di puntare molto più sul rapporto umano che sullo spettacolo in strada. Perché Rush ha un paio di scene motoristiche davvero convinte e davvero splendide, ma per il resto tende a raccontare la Formula 1 (e quel che viene prima) passando più attraverso gli sguardi e i sentimenti delle persone coinvolte in tutta la vicenda, che tramite i rombi delle vetture. E tutti i suoi limiti stanno qui, anche considerando il fatto che attorno ai due archetipi ronzano personaggi se possibile ancor più vuoti e fumosi. Per fortuna, però, ci sono anche un sacco di pregi che, ripeto, lo rendono un gran bel film sportivo, probabilmente uno fra i migliori degli ultimi tempi.

E son tutti pregi che vengono probabilmente dal word processor di Peter Morgan, bravissimo soprattutto a raccontare il piccolo e folle mondo di questi pazzi furiosi disposti a mettere in gioco la propria vita ogni fine settimana, solo perché mossi dalla passione e dall'agonismo. In Rush si respira proprio quel genere di follia, di vita totalmente staccata dalla realtà quotidiana dell'uomo comune. Si viene sbattuti in un mondo di eterni adolescenti convinti della propria immortalità, che però ogni tanto si trovano costretti a guardare in faccia la morte e vedono improvvisamente sparire dai loro occhi ogni traccia di sicurezza, di arroganza, di spocchia, per lasciar spazio al puro terrore. In questo, Rush, è davvero un gran film, così come nel puntare il dito su un aspetto fondamentale per la carriera sportiva di praticamente chiunque: appena diventi compiacente, appena ti senti arrivato, appena per qualsiasi motivo perdi quella carica fortissima e brutale, quel desiderio bruciante, magari semplicemente perché hai trovato altro di fondamentale nella tua vita, è finita, non sei più in cima a guardare tutti dall'alto. Poi, certo, il dito viene puntato anche con una scena di un pacchiano allucinante, con Niki Lauda nella notte in preda a un attacco fulminante di frasifattismo acuto, ma insomma, dai, si può sopravvivere.

Oltre a questo, Rush ha anche un altro pregio, non fra i più diffusi nel genere dei film sportivi (in tempi recenti, me lo ricordo giusto in Warrior): non c'è un protagonista ganzo per cui tifare mentre lotta contro incarnazioni del male o avversari anonimi spessi come il cartoncino. Ci sono due personaggi che hanno lo stesso peso, che vengono raccontati tanto come figure affascinanti, degne di rispetto e per cui viene a tratti da parteggiare, quanto come antipatici e insopportabili boriosetti superdotati. Il teorico protagonista biondo superfico è alla fin fine un insopportabile fessacchiotto, oltretutto incapace di mettere realmente a frutto il proprio talento e di conservare la voglia di vincere dopo il suo primo titolo, finendo per buttar via una carriera dopo per altro essere stato in grado di trionfare solo in una stagione semplicemente folle come quella raccontata. Il teorico antagonista insopportabile precisino regoletti è quello che ci racconta le vicende attraverso il suo sguardo e le sue parole, che si impara a conoscere meglio e i cui tratti più umani, sotto la scorza competitiva, si finisce per apprezzare. E alla fine, quando le cose vengono al dunque, non sai bene se rallegrarti per l'uno o rimanerci male per l'altro. Sembra poco, ma intanto è uno degli aspetti che, sì, rendono Rush ben più interessante del film sportivo medio. Anche se magari poi non trascende.

Rush è il primo film che ho visto al cinema qua a Parigi, appena arrivato, ma per qualche motivo non ne ho mai scritto fino a oggi. L'ho visto in lingua originale, cosa che mi ha un po' spiazzato quando parlavano in francese (senza sottotitoli) e in tedesco (coi sottotitoli in francese). Ma alla fine capivo tutto, via. Il francese si capisce. Più o meno.

14.11.13

Agents of S.H.I.E.L.D. 01X07: "L'Hub"


Agents of S.H.I.E.L.D. 01X07: "The Hub" (USA, 2013)
creato da Joss Whedon, Jed Whedon, Maurissa Tancharoen
episodio diretto da Vincent Misiano
con Clark Gregg, Brett Dalton, Chloe Bennet, Iain De Caestecker, Elizabeth Henstridge

È chiaro fin dalla prima puntata che questa serie sta pagando i classici problemi di tutte (o quasi) quelle che iniziano senza conoscere il proprio destino e vanno avanti un po' a braccio, scoprendo in corsa quanti episodi dovranno essere per la stagione e mettendosi pian piano in carreggiata. O magari sono io che sovrainterpreto, ma l'impressione è nettamente quella. In questo senso, fa piacere vedere che con calma sta venendo fuori una certa struttura di fondo e si stanno portando avanti due discorsi paralleli. Da un lato, quello dell'organizzazione rivale (A.I.M.? Hydra? Il club delle Giovani Marmotte?), dall'altro quello del conflitto interno fra la squadra di Coulson e l'organizzazione dello S.H.I.E.L.D., che fa un po' venire in mente - fatti i debiti paragoni - la storica miniserie Nick Fury vs. S.H.I.E.L.D. e offre del potenziale interessante.

Nel mentre, in questo - gradevole e divertente - episodio viene introdotto un altro personaggio preso di peso dai fumetti, Victoria Hand, che presumibilmente giocherà un ruolo importante nel conflitto suggerito, e si riesce, una volta tanto, a fare un po' di strizzatine d'occhio ai malati della continuity (il Triskelion, l'agente Sitwell) senza dover per forza andare a citare The Avengers. La serie sta cercando di avanzare seguendo un equilibrio precario fra la voglia di pescare i miliardi di possibili elementi dalla mitologia Marvel, la necessità di costruirsi una personalità propria e l'imperativo di andarsi a incastonare nella continuity cinematografica senza far casino. Non è semplice, non lo si sta facendo forse nel migliore dei modi, ma tutto sommato, sotto questo punto di vista, io non mi lamento e preferisco l'approccio che hanno scelto, rispetto a un ipotetico insistere sul proporre a ogni puntata il personaggio Marvel della settimana.

Dopodiché, questo episodio recupera e approfondisce i temi della scorsa settimana, mostrando un Fitz in difficoltà per quanto avvenuto nel finale di quell'episodio, e torna di nuovo a sbilanciarsi un po' più sull'umorismo che sul dramma, cosa che immagino non faccia piacere a chi non ama il tono buffonesco della serie, ma che di fondo io continuo a trovare perfettamente coerente con lo spirito che ogni singolo film Marvel - escluso magari l'incredibilmente noioso L'incredibile Hulk - ha avuto fino a oggi. Si vede però anche un Coulson che tenta di proseguire con la linea dura da uomo che segue le regole e prende le decisioni difficili, come negli ultimi due episodi, ma stavolta, messo di fronte alla brutale realtà, si fa due domande. E in questo senso è anche bello vedere che finalmente si rende conto di quanto sia bizzarro il suo rispondere in automatico ogni volta che gli menzionano Tahiti.

La differenza fra film Marvel e DC secondo Leo Ortolani.

Il problema, però, è che la faccenda sulla guarigione di Coulson, che pure in sé sarebbe intrigante, trascinata avanti così, una briciola a settimana, ha veramente scassato i maroni. Ma da tre episodi almeno, fra l'altro. Senza contare che un personaggio con il passato oscuro che si trascina da una puntata all'altra, nascondendo la verità e sventolandotela davanti senza mai concedertela, neanche fosse una compagna di classe a caso alle superiori, già da solo rischia di far innervosire. Quando ci aggiungi i segreti indicibili di Skye portati avanti allo stesso modo, il nervoso si fa certo. Se poi contiamo pure May è finita. Il suo personaggio, per carità, funziona bene così, tutto zitto e facce marziali ("What non expression is this?” battuta carina, dai), ma sarebbe anche ora di spiegarci che cacchio nasconda pure lei. Incentrare tre personaggi su sei attorno ai MISTERIOSI SEGRETI non è sano. Opinione mia, eh. Ad ogni modo, la prossima settimana arriva il crossover con Thor: The Dark World, così perlomeno abbiamo un nuovo film da cui trarre materiale. Sembra che si tornerà a parlare di gente comune che se ne va a male perché esistono i supereroi. Vedremo.

Per la cronaca, il film esce al cinema in Italia mercoledì prossimo, giusto per complicare le cose ai malati di continuity. Ma d'altra parte il telefilm in Italia ancora non lo trasmettono.

13.11.13

Across the Universe


Across the Universe (USA, 2007)
di Julie Taymor
con Evan Rachel Wood, Jim Sturgess

Across the Universe, a detta della sua regista, nasce partendo innanzitutto dalle canzoni. Non c'era la voglia di realizzare un film a cui è stata appiccicata la selezione musicale targata Beatles. Si è invece proprio partiti dalle canzoni e dai loro testi, costruendo su quella base un racconto che potesse in qualche modo legarle tutte assieme, cosa che è stata fatta in maniera magari a tratti disordinata o un po' forzata, ma efficace e di grande effetto. Quel che ne viene fuori è un musical moderno, che affronta la faccenda senza il minimo timore, facendo proprie le canzoni "sacre" dei Beatles e adattandole, talvolta anche brutalmente, alle sue esigenze. Insomma, magari il purista ne esce un po' schifato, anche se a me un purista dei Beatles ha detto che l'ha trovato ottimo, a parte qualche spezzone ("Per dire non mi è piaciuta molto, musicalmente, Being fot the Benefit of Mr. Kite (circo)").

Purismo a parte, però, il punto è che Across the Universe è un pazzesco spettacolo per gli occhi e per le orecchie. Il materiale di partenza, rimaneggiato o meno, non è che debba stare qui a commentarlo io. Il modo in cui è stato preso, smontato, rimontato attorno a una storia e infilato dentro alla macchina da presa è, perlomeno a tratti, semplicemente meraviglioso. Quasi ogni singola scena del film di Julie Taymor ha una personalità e una dignità autonoma pazzesche, che la rendono a modo suo un perfetto videoclip indipendente. Eppure, allo stesso, tempo, pur fra qualche lungaggine e un po' di sbandate, si ha la sensazione di un'opera organica e percorsa da un unico filo conduttore ben tracciato. E se qualche guest star appare forse un po' infilata a forza, se certi modi di utilizzare i testi delle canzoni sono tanto azzeccati quanto un po' troppo wink wink, il punto è che l'insieme dei vari pezzetti funziona, senza che ci sia una singola ragione credibile per cui debba farlo.

Across the Universe racconta una storiella semplice semplice, se vogliamo anche banale nei suoi sviluppi, eppure riesce a far funzionare tutto quanto grazia alla sua schizofrenica atmosfera sognante, allo splendore della messa in scena, alla semplice efficacia dei suoi interpreti e alla faccetta dolce da strizzare tutta di Evan Rachel Wood. Ogni tanto sbraca, ogni tanto s'attarda, ma alla fine fai davvero fatica a non volergli bene e a non assecondarlo quando ti urla in faccia che All You Need is Love. Ti prende e ti travolge sparandoti continuamente addosso un tripudio di immagini, suoni e colori. Ed è un'esperienza davvero bella, che un po' mi pento di non aver vissuto al cinema.

Perché a suo tempo non sono andato a vederlo al cinema? Boh? Non ne ho davvero idea. Ricordo che sapevo a malapena della sua uscita. Mah. Comunque l'ho visto adesso perché me l'ha detto Roger Ebert.

12.11.13

The Walking Dead 04X05: "L'inferno"


The Walking Dead 04X05: "Internment" (USA, 2013)
con le mani in pasta di Scott Gimple e Robert Kirkman 
episodio diretto da David Boyd
con Andrew Lincoln, Scott Wilson, Chandler Riggs, Steven Yeun, Lauren Cohan

Ci sono serie che vanno avanti seguendo lo schema del caso della settimana, il mostro della settimana, il cattivo della settimana, il freak della settimana. The Walking Dead, in parte, fa questa cosa con lo zombi tutto strano e fantasioso della settimana, ma in realtà, con questa stagione, si è chiaramente configurata una struttura che prevede ogni volta la tematica della settimana. O il metaforone della settimana, se vogliamo. E se scrivo un'altra volta "della settimana", sparatemi nelle cervella. Questa settimana (quasi!) ci si è concentrati con forza sul personaggio di Hershel e sul raccontare il suo viaggio personale, il suo tentativo disperato di salvare i malati della prigione, mettendoli al riparo non solo dalle conseguenze del morbo, ma anche dallo sconforto umano che inevitabilmente serpeggia in una situazione del genere.

Anche Hersel, come tutti i suoi compagni di stagione, sta provando a mediare fra la sua nuova vita e la voglia di rimanere ancorato alla persona che era prima che scoppiasse il finimondo. Per riuscirci, è per lui fondamentale continuare a conservare una qualche forma di fede e, allo stesso tempo, mantenere salda la convinzione che ci sia un limite a quanto si guarda in faccia la realtà. Non è probabilmente casuale che questo episodio arrivi dopo quello in cui si è "gestita" la faccenda Carol. Hershel è un personaggio in totale contrapposizione con il suo: là dove lei ha preso decisioni "crudeli" ma che riteneva necessarie, lui si lascia andare all'umanità, permette a un padre di rimanere nella cella col figlio moribondo, perde tempo per non "finire" i cadaveri di fronte agli altri, rischia la vita del gruppo per salvare il singolo. E forse, anzi, sicuramente, proprio a causa di queste scelte, muore qualcuno in più del dovuto. Però, alla fine, in qualche modo, la situazione viene riportata sui giusti binari. Di contro, la scelta di Carol non è servita a nulla, per quanto da un punto di vista "pratico" potesse avere perfettamente senso. Chi ha ragione? Il problema, alla fin fine, è che in una situazione del genere non esiste "avere ragione". Esiste solo fare del proprio meglio.

Ha ragione, Rick, ad aver fatto quel che ha fatto? Sembra chiederselo lui in quell'avvio teso con lo sguardo perso nel vuoto, se lo chiede Maggie quando si sente raccontare cos'è successo, sarà interessante vedere cosa ne penserà Daryl la prossima settimana. Ma il bello sta proprio nel fatto che, nonostante ovviamente i personaggi dicano la loro, la posizione degli autori appare sfumata, per quanto il diverso esito delle varie "azioni" faccia pensare che di fondo si stia dalla parte di Hershel. In tutto questo, poi, l'episodio prosegue anche nel portare avanti il solito discorso sull'impossibilità di nascondersi dietro a un dito e tenere a tutti i costi lontani dal pericolo - e in generale da questa nuova vita - i propri cari. Lo si vede nel montaggio alternato con cui un Carl (finalmente!) maturato e ragionevole si ritrova ad aiutare il padre nell'emergenza e una Maggie disperata sceglie di sfondare le barriere e introdursi nel lazzaretto per salvare i suoi. Tutto davvero molto bello, in un episodio che personalmente ritengo fra i migliori visti fino a oggi in questa serie, oltre che il primo di questa stagione ad avermi davvero appassionato dall'inizio alla fine, scatenandomi il tanto atteso "wow". Ben preparato in quel che s'è visto nelle scorse settimane, "bravo" nel farmi credere che forse sarebbe successa quella cosa, davvero ben messo in scena da un regista che, del resto, aveva già dato ottime prove nella seconda e nella terza stagione (e con esperienze in saccoccia su serie come Firefly, Friday Night Lights e Deadwood, cosa gli vuoi dire?). E poi c'è il finale.

Facciamo così, copincollo quel che ho scritto in chat altrove:
Hhahahaha la cosa fantastica è stata la progressione:
- Hershel piange, fine puntata;
- "ah, no, va avanti. Ok, allora succede qualcosa di grosso";
- hershel e michonne salgono in macchina, lei sorride;
- "ok, finisce che dal nulla sparano in testa a Hershel, è il governatore, rapisce Michonne e alla prossima [censura] in [censura]";
- partono;
- attacca la musica del governatore;
- "ROTFL";
- lo inquadrano."

Can't wait.

11.11.13

Snowpiercer


Snowpiercer (USA/Corea del sud, 2013)
di Joon-ho Bong
con Chris Evans, Jamie Bell, Kang-ho Song, John Hurt, Octavia Spencer, Tilda Swinton, Ed Harris

Quello di Snowpiercer è uno di quei futuri fantascientifici mandati in vacca all'insegna delle migliori intenzioni. Nei suoi primi minuti, il film ci racconta che l'umanità, posta di fronte a una situazione di riscaldamento globale ormai innegabile e totalmente fuori controllo, decide infine di agire, sparando in cielo una sostanza chimica pensata per riportare la situazione a livelli accettabili. Solo che la sostanza in questione funziona troppo bene e finisce per scatenare una nuova era glaciale a cui non sopravvive praticamente nessuno. Si salva unicamente chi è salito a bordo di un treno dal moto perpetuo, capace di autoalimentarsi e tenere in vita i propri passeggeri. Al suo interno, quindi, si trova ciò che rimane dell'umanità e ovviamente ci vuole molto poco perché si crei il classico ecosistema con i benestanti che vivono nel lusso dei primi vagoni alle spese dei pezzenti rintanati in coda al treno. Ma ai pezzenti girano i cinque minuti e a quel punto comincia il film.

Le premesse di Snowpiercer sono, ovviamente, parecchio assurde e immagino ci voglia poco a smontare la credibilità di questo trenino che se ne va in giro felice salvando i suoi passeggeri. Una volta assorbito questo "problema", e se non si è in grado di assorbirlo è forse meglio farsi un esamino di coscienza e lasciar perdere, ci si può godere il notevole film d'esordio occidentale per Joon-ho Bong (Memories of Murder, The Host, Mother), ultimo - e probabilmente non ultimo - nel recente carosello di registi sudcoreani importati dalle nostre parti. Snowpiercer, nonostante le sue assurde premesse, è un film di fantascienza (o fantasy o quel che vi pare) solido, intelligente, che ha qualcosa da dire e che appassiona con la sua forza brutale e trascinante. Ha la forza e la personalità del suo regista, che del resto ha scritto la sceneggiatura di mano sua (assieme al notevole Kelly Masterson di Onora il padre e la madre), uno sviluppo amaro e convincente, nonostante magari qualche salto logico rivedibile, e una scena d'azione centrale dalla bellezza stordente. Arrivato a quel punto, ammaliato fin dall'inizio, ho deciso che era appena diventato il mio film preferito di quest'anno fra quelli che dubito arriveranno in Italia quest'anno.

Snowpiercer avanza assieme ai suoi protagonisti da un vagone all'altro, riservando ogni volta una sorpresa, perché tanto loro quanto gli spettatori non sanno mai cosa si celerà dietro ogni porta. E le sorprese arrivano davvero, pur fra qualche banalità, all'insegna dello spirito surreale che ci si aspetta da Joon-ho Bong e che in qualche modo unisce qui la sua meravigliosa costruzione dell'immagine con un gusto e un approccio più occidentali. È un film micidialmente cupo, che non risparmia i colpi bassi, affronta il suo futuro distopico interrogandosi su quanto e cosa siamo disposti a fare per sopravvivere, sulla moralità posta di fronte alla sopravvivenza, e tira dritto sul proprio binario (ehm) fino alla potente conclusione. Ha forse il solo limite di rallentare un po' troppo nel pre-finale, quando viene dato spazio agli spiegoni firmati Ed Harris, per arrotolarsi attorno ai suoi colpi di scena e preparare il botto conclusivo. La cosa, di fondo, funziona, ma quel suo improvviso tirare il freno dopo un'ora che - nonostante un ritmo piuttosto blando - acchiappa disperatamente per non mollarti un secondo, beh, sgonfia in parte l'entusiasmo.

Ed è subito copertina su Facebook!

Eppure, nonostante questo, Snowpiercer rimane un gran film, proprio per il suo far quel che deve e vuole senza guardarsi mai indietro. Oltretutto, al servizio di Joon-ho Bong c'è un cast eccellente: i caratteristi di contorno sono perfetti come sempre ed Ed Harris e Tilda Swinton vanno brutalmente sopra le righe, ma il contesto lo richiede e da un film del genere, diretto da un regista del genere, non ci si può aspettare altro. Quanto al trio di testa, più o meno, non si può dire loro nulla: Kang-ho Song è una certezza, Jamie Bell non si fa odiare e Chris Evans è sorprendentemente bravo, una volta tanto, a tenersi il film sulle spalle e a interpretare un ruolo cupo, con tanto di monologo drammatico sul finale espresso in maniera dignitosa. Per uno che fino a oggi ha sempre dato il meglio quando doveva fare la spalla cretina, non è poco. Che questo avvenga per mano di un regista coreano, forse, vuole dire qualcosa. Anche se non so bene cosa.

L'ho visto al cinema qua a Parigi. Se IMDB non mente, la Francia è l'unica nazione occidentale in cui il film è già uscito, nonostante il cast lo renda sicuramente appetibile. Immagino abbia giocato un ruolo nella distribuzione il fatto che Snowpiercer è ispirato a un fumetto francese. Se Wikipedia non mente, i diritti per l'Italia sono in mano a Koch Media. Speriamo bene.

 
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