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31.8.12

Brake


Brake (USA, 2012)
di Gabe Torres
con Stephen Dorff

Brake parte da una premessa molto simile a quella di Buried, anche se poi va a parare da tutt'altra parte, ed è una tutt'altra parte che chiaramente non posso approfondire, perché si finisce un po' per rovinare la visione. Il punto, comunque, è quello: c'è Stephen Dorff che si sveglia prigioniero dentro una specie di bara di vetro. Non sa perché e percome, sa solo che è circondato dal vetro, si trova al buio e davanti ai suoi occhi c'è un grosso timer con un conto alla rovescia che scorre implacabile. E chiudiamo qui con le spiegazioni, visto che poi alla fin fine Brake si basa per intero proprio su un continuo svelamento di sorprese e, ovvio, sull'ottima interpretazione di Stephen Dorff, che per il 90% del tempo è l'unico personaggio in scena, anche se in un modo o nell'altro trova sempre una via per comunicare con altr... occhei basta non dico nulla.

E alla fine è proprio nella faccenda delle sorprese che sta la principale differenza col film di Rodrigo Cortes. Mentre lì, sì, ci sono chiaramente dei misteri da svelare, ma il punto è soprattutto creare una situazione di totale e opprimente angoscia, qua ci si gioca invece tutto su un ritmo e un tipo di atmosfera diversi. Nonostante anche in questo caso il regista se ne stia sostanzialmente tutto il tempo inscatolato assieme al suo attore (anzi, subito fuori dalla scatola, visto che tanto è di vetro), Brake è quasi un film d'azione, ha un incedere ben più "veloce" e getta sul piatto colpi di scena, rivelazioni e ribaltamenti di fronte a ritmo continuo.

È chiaro che, procedendo in questo modo, e volendo continuare a sorprendere fino alla fine, si debba costantemente alzare il tiro e si finisca piuttosto in fretta per sfondare il muro della cazzata, anche nell'ottica del voler sorprendere chi si sente tanto furbo ed è convinto di aver capito tutto (eccomi!). E infatti l'efficacia di Brake, oltre che dalla bravura di Stephen Dorff, dipende tutta dal tasso di sopportazione dello spettatore e da quanto questi sia disposto a stiracchiare il patto di credibilità stretto col film. Fermo restando che, se si accetta l'avvio con Stephen Dorff inscatolato nel vetro col timer davanti, beh, poi non ci si può lamentare troppo delle assurdità, stando al gioco ci si diverte. Eventualmente anche ridendone, del gioco.

Non ho notizie sulla distribuzione italiana, ma segnalo che il film ha iniziato a uscire un po' in giro per il mondo direttamente nell'home video. Ah, SPOILER: Fra i colpi di scena della parte finale c'è la circonferenza raggiunta dal corpo di Tom Berenger.

30.8.12

After


After (USA, 2012)
di Ryan Smith
con Steven Strait, Karolina Wydra

La premessa di After non è magari delle più originali, ma è sempre affascinante: lui e lei sono da soli su un autobus, lei è manza, lui è un po' sfigato, lui prova ad attaccare bottone, lei lo respinge un po'... e poi l'autobus si schianta e loro due si risvegliano in una specie di non luogo che sembra la loro cittadina ma c'ha palesemente qualcosa di strano (nel senso che è deserta, ogni tanto ci sono strane apparizioni dal passato e la zona è circondata da una roba che sembra il nulla de La storia infinita o, in alternativa, il bordello attorno al cinema di La notte del drive-in). Allo spettatore è subito chiaro che questi sono morti, o al limite in coma, e si trovano in un qualche luogo dell'aldilà, di transito, di purgatorio o cose del genere. I due protagonisti, chiaramente, non se ne rendono conto, impiegano un po' del film a capirlo e poi cercano di venirne fuori in qualche modo. Magari non originalissimo, ma non male, no?

Il problema è che After viaggia in quel limbo fatto di elementi, situazioni, idee che è facile far funzionare in un fumetto, un cartone animato, un videogioco, ma un gran casino non rendere ridicoli in un film "live action". Ci vuole una sensibilità forte, ci vuole grande personalità, ci vuole magari un budget di spessore e, possibilmente, ci vuole Guillermo Del Toro. Qui, invece, abbiamo un regista esordiente che si impegna ma fa un po' fatica a trovare il giusto equilibrio (non aiutato da una colonna sonora che esagera i toni epici e drammatici di un film a cui avrebbe invece fatto bene un po' di understatement), degli effetti speciali abbastanza poveri, anche se tutto sommato spesso usati in maniera intelligente, un protagonista quasi simpatico ma che sembra il fratello meno talentuoso di James e David Franco, una protagonista manza e, beh, e nient'altro che manza.

Il risultato è un film che non sfocia forse mai nel ridicolo, ma ci va spesso pericolosamente vicino, col suo raccontare di grandi drammi esistenziali, colpe represse, mostri cannibali incatenati e porte dell'inconscio da aprire trovando la chiave giusta. E alla fin fine, pur risultando abbastanza impacciato quando tenta in tutti i modi di farti commuovere, riesce ad essere simpatico e a modo suo interessante, soprattutto quando si limita ai toni lievi, ironici e avventurosi che gli riescono meglio.

Nonostante il poster lì sopra sentenzi "ONLY IN THEATERS", IMDB sostiene che non è ancora uscito da nessuna parte. Ma quanto è bello che ieri, nel programma del Fantasy Filmfest, ci fossero di fila The Day e After?

The Day


The Day (USA, 2011)
di Douglas Aarniokoski
con Shawn Ashmore, Dominic Monaghan, Ashley Bell, Shannyn Sossamon, Cory Hardrict

The Day si apre con una specie di prologo tutto bello colorato e alternato ai titoli di testa, in cui si capisce che c'è stata una qualche apocalisse ma non si capisce bene a base di cosa. Magari sono zombi, magari sono mostri, magari c'è stata la guerra, non si sa. E ci viene mostrato l'Uomo Ghiaccio che lascia un attimo sua moglie in macchina per andare a rubacchiare provviste in una casa, poi torna e puf, la moglie non c'è più. Un genio, insomma. Sbrigata la pratica di spiegarci i sensi di colpa in base ai quali il protagonista del film si comporterà come un disperato cretino, si passa alla vicenda vera e propria, che sembra proporsi come una versione un po' più tamarra di The Road: cinque tizi sporchi, luridi, malati e disperati che vagano nel post-apocalittico alla ricerca di speranza e salvezza, il tutto in bianco e nero.

Ci sono però due problemi. Innanzitutto il fatto che fra i cinque tizi si cerchi di far passare il cretino di cui sopra come quello intenso coi monologhi riflessivi e l'hobbit scemo de Il signore degli anelli come il capo ruvido, con la voce rugosa e che fa le scelte difficili. Il resto del cast, fra l'altro, andrebbe anche bene: Cory Hardrict urla contro i cattivi, Ashley Bell è quasi credibile come picchiatrice cazzuta (soprattutto perché non è super umana e prende anzi un sacco di schiaffi da gente più grossa di lei) e Shannyn Sossamon fa quella che vorresti portarti a letto anche se è sporca ma vorresti riempire di schiaffi perché è stronza. Purtroppo ci sono appunto gli altri due, credibili più o meno come se quei ruoli li interpretassi io.  L'altro problema è rappresentato da Aarnioski, uno che, porello, ha come highlight in carriera il quarto Highlander (quello in cui si incontrano i MacLeod di film e telefilm) e, pur riuscendo bene o male a confezionare qualche immagine piuttosto suggestiva, non sa proprio decidersi fra il film d'introspezione e la tamarrata. Il risultato è una tamarrata che prova ad essere introspettiva con un paio di monologhi da coma etilico e finisce per essere ridicola.

Poi, per carità, qualche momento gradevole c'è, l'idea di non spiegare nulla crea una bella sensazione di spaesamento e, soprattutto, fino alla rivelazione di metà film, ti lascia bene in sospeso. La sceneggiatura, poi, prova a prendere di petto tutto il discorso su come certe situazioni finiscano per disumanizzare anche il più simpatico degli ometti, ma è veramente tutto trattato in maniera grossolana e fra l'altro non aiuta una colonna sonora fin troppo insistente, che stupra la scena con la delicatezza di un fullback sparato in una cristalleria. Volendo, si può anche apprezzare per simpatia umana il fatto che nella parte conclusiva il gruppetto di amici (l'Uomo Ghiaccio e l'hobbit hanno anche co-prodotto) getti platealmente la maschera: tutta la faccenda è un pretesto per mettere in scena un omaggio a La notte dei morti viventi. Il risultato, però, fa acqua da tutte le parti. E insomma, il meglio che gli possiamo dire è che è simpatico, s'impegna, ma proprio non c'ha le qualità ed è davvero trascurabile.

Poi, volendo, uno si potrebbe pure chiedere come mai uno nato, cresciuto e andato a scuola negli iuessei c'ha l'accento di Dominic Monaghan, ma magari è invece normale. Del resto che ne so, io, di come dovrebbe parlare un compagno di classe di Shawn Ashmore? Ah, ovviamente non so nulla di un'eventuale distribuzione italiana, ma francamente chissenefrega.

29.8.12

V/H/S


V/H/S (USA, 2012)
di Ti West, David Bruckner, Glenn McQuaid, Joe Swanberg, Adam Wingard, Radio Silence
con un sacco di gente

V/H/S è il classico film horror a episodi che tanto ci piaceva venti o trent'anni fa, un po' in stile Creepshow, con una debole storiellina a fare da filo conduttore per legarne in qualche modo fra loro altre cinque. Nello specifico, ci si ritrova a seguire quattro deficienti/teppisti/criminali, abituati a riprendere su videocamera le loro bravate, che vengono pagati per introdursi in una casa e rubare una videocassetta. Solo che ne trovano una valanga e si mettono a guardarle per cercare di capire quale sia quella giusta. Il risultato è appunto una raccolta di cortometraggi tutti uniti dal fatto di essere realizzati sotto forma di found footage, cosa che immagino farà scappare in preda al vomito e al mabbasta un sacco di gente. Fra l'altro, per sicurezza, aggiungiamo anche che buona parte dei cortometraggi è realizzata in maniera "realistica", quindi con le videocamere che tremano e saltano in giro senza tregua. Pure io che di solito non ho problemi, lo ammetto, a un certo punto ho avuto un accenno di nausea e/o mal di testa.

I registi, per la cronaca, sono un gruppetto di amici che si danno il cinque a vicenda e si vogliono bene da tempo, come dimostra la rete incrociata di collaborazioni che emerge cercandoli su IMDB e Wikipedia. Fra di loro c'è qualche esordiente, c'è il collettivo che risponde al nome di Radio Silence e ci sono anche nomi un po' più noti, per esempio Ti West, uno che l'horror ha dimostrato di padroneggiarlo bene (l'anno scorso, fra l'altro, al Fantasy Filmfest c'era il suo Innkeepers), Adam Wingard (A Horrible Way to Die, non strettamente un horror, sempre l'anno scorso qua a Monaco) e l'anche attore Joe Swanberg. Tutti assieme uniti per vincere, ma soprattutto per divertirsi e darsi di gomito l'uno con l'altro.

E insomma, se si sopravvive al fastidio stilistico-digestivo, cosa c'è sotto? C'è il classico film horror a episodi dalla qualità altalenante. Alcuni sono davvero riusciti, altri molto meno, ma tutto sommato l'atmosfera è azzeccata dall'inizio alla fine, c'è il minimo sindacale richiesto di sbudellamenti gratuiti e, in mezzo a tante cose già viste e che paiono scopiazzate dalle fonti più disparate (un episodio sembra la classica puntata di Halloween di Buffy l'ammazzavampiri, in uno ci sono tre poveretti che provano a fare sesso con la Witch di Left 4 Dead e uno, ma forse è solo impressione mia, mi ha fatto tanto tanto tanto venire in mente Hysteria Project), si trovano un paio di idee fulminanti, con forse in testa il surreale episodio realizzato in videoconferenza. E alla fine si esce tutto sommato soddisfatti, anche se magari non troppo gasati e bisognosi di un digestivo.

L'ho visto al Fantasy Filmfest qua a Monaco e non vedo in giro informazioni su una possibile distribuzione italiana ma, francamente, considerando il genere di film, non ho dubbi sul fatto che prima o poi arriverà. Alla peggio bisogna aspettare l'estate 2013.

Killer in viaggio


Sightseers (UK, 2012)
di Ben Wheatley
con Alice Lowe, Steve Oram

Giunto al suo terzo film, dopo Down Terrace e il celebratissimo Kill List, Ben Wheatley continua a curvare violentemente a destra e a sinistra, andando contro le aspettative e rifuggendo dalla normalità di quel che ci si potrebbe aspettare. O almeno credo, visto che mi baso su quel che ho letto e m'hanno raccontato, ma i suoi due precedenti film non li ho visti. Sightseers, comunque, racconta esattamente di quel che suggeriscono titolo e poster, vale a dire una coppietta di innamorati che gira l'Inghilterra in roulotte, saltellando fra un fantastico scenario montano, qualche museo e un po' di bella campagna. Il twist, che, anche per chi come me decide di guardare il film senza saperne nulla, si capisce dopo cinque minuti, al primo sorriso storto di Steve Oram, sta nel fatto che l'adorabile coppietta consiste in due squilibrati serial killer.

E l'aspetto interessante della faccenda sta nel suo essere fondamentalmente raccontata tramite il punto di vista dei due protagonisti, che quindi vivono le loro uccisioni come qualcosa di assolutamente normale. Chris e Tina sono in vacanza, si rilassano, visitano mete turistiche e vivono il loro amore. Il fatto che chi li fa incazzare si ritrovi ucciso a sassate pare strano - si spera - agli spettatori, ma per loro è tranquilla routine. E quindi il film procede su dei binari stralunati, raccontandosi coi toni e ritmi di una placida commediola sentimentale in cui gli avvenimenti superano i limiti dell'angoscia. Ne viene fuori un'esperienza bizzarra, dai toni leggeri e dallo humour chiaramente piuttosto nero, ma percorsa da una neanche troppo sottile vena d'inquietudine.

Chiaramente poi tutto funziona anche per il gran manico con cui il film è confezionato. Scritto benissimo, con una grande attenzione ai personaggi e al raccontare il rapporto fra di loro e col mondo esterno, ma anche diretto con una fantastica cura per l'immagine e una capacità folle di stampare su schermo tanto la bellezza dei paesaggi quando il torbido che si nasconde nell'animo dei due protagonisti. E in più, pur non essendo certo un film splatter o particolarmente innamorato delle sue budella, Sightseers non risparmia certo qualche pugno nello stomaco. Ci si ritrova così a trascorrere un'ora e mezza in quell'assurdo limbo in cui le risate che non riesci a trattenere finiscono per farti sentire un po' sporco. Una sensazione di quelle piacevoli, insomma.

L'ho visto in lingua originale qua al Fantasy Filmfest di Monaco e non ho idea di se e quando possa essere prevista una distribuzione italiana. IMDB m'insegna che i due precedenti film di Wheatley in Italia non ci sono arrivati, quindi magari non è il caso di trattenere il respiro nell'attesa.

Oggi Batman se ne esce al cinema


Anche se mezza Italia l'ha già visto fra viaggi all'estero, anteprime e altro ancora, l'uscita ufficiale di The Dark Knight Rises Il cavaliere oscuro - Il ritorno (FIFA Street: The Angel of Darkness) pare essere fissata per oggi. E quindi io segnalo, come mio solito, di averlo visto a inizio agosto e di averne scritto qua.

Inoltre, se MyMovies non mente, dopodomani esce Womb, che pareva dovesse uscire due mesi fa e invece no. Fa un po' pietà, scrissi due righe qui.

28.8.12

Universal Soldier: Regeneration


Universal Soldier: Regeneration (USA, 2009)
di John Hyams
con Jean-Claude Van Damme, Dolph Lundgren, Andrei Arlovski

L'anno scorso stavamo tutti a farci le pippe sul fatto che il quinto Fast & Furious, a sorpresa, si fosse rivelato il migliore della serie, ma in fondo alla sala c'era sicuramente chi, anche piuttosto incazzato, urlava "old" e sventolava un DVD di Universal Soldier: Regeneration. Un film che, come nel bene e nel male avevano fatto anche i due precedenti, distrugge qualsiasi aspettativa e va ben oltre quanto sia lecito attendersi da un tentativo in extremis, direct-to-video, perfino diretto da un figlio di papà raccomandato, di recuperare una serie caduta nel dimenticatoio da dieci anni (o forse anche da prima). E invece Hyams si rivela figlio d'arte, più che di papà (che per inciso collabora alla fotografia), talentuoso regista action in grado di piallare a zero una serie e tirarne fuori un film divertente, ben confezionato, addirittura intelligente e che non a caso è subito diventato cult e ha generato un seguito tornato per direttissima nelle sale cinematografiche.

Se e come Regeneration si inserisca nella continuity è un mistero su cui preferisco non interrogarmi troppo. Con un grande sforzo di immaginazione potremmo anche inventarci due o tre scuse per far finta che Hyams e compagni non abbiano deciso di ignorare il secondo episodio, ma la verità è che qui ci si riallaccia direttamente al primo e anche prendendolo a calci in maniera piuttosto volenta. Sostanzialmente questo è un reboot, ed è uno dei reboot più intelligenti che si siano mai visti. Dall'idea originale, infatti, si recuperano praticamente solo i toni drammatici e malinconici, provando ad affrontare con angosciante realismo - nei limiti del possibile - le vicende di un tizio che è stato ucciso, resuscitato e trasformato in macchina da guerra priva di emozioni. Universal Soldier: Regeneration è un film cupo, opprimente, dal taglio visivo asciutto, che racconta di un personaggio alle prese con una disperata ricerca della perduta umanità. Van Damme, che nei quasi vent'anni trascorsi da quel primo episodio è perfino cresciuto come attore, si aggira per il film stanco, sfibrato, abbattuto, gonfio di lacrime. Interpreta un uomo vuoto e aggrappato al ricordo di qualche rara emozione, che tenta di farsi una vita da essere umano ma poi non può fare a meno di riempire di pizze in faccia uno solo perché l'ha guardato storto al bar.

Lo sceneggiatore Victor Ostrovsky estrapola insomma solo i tratti che gli interessano dal soggetto originale per mettere in piedi un racconto che va oltre i confini della depressione, e butta pure nel mucchio un Dolph "Andrew Scott" Lundgren resuscitato grazie ai miracoli della clonazione e personaggio altrettanto stralunato, già folle da vivo e non morto nel primo film, figuriamoci quando si ritrova nella condizione di neonato clone di mezz'età. Dopodiché, intendiamoci, tutto questo va inquadrato all'interno dei confini dettati da quello che è e rimane un film d'azione, pieno di sparatorie e pizze in faccia. Ma è comunque qualcosa di incredibile, considerando le premesse poste dalla serie in generale e dalla natura direct-to-video di questo episodio. E già sarebbe sufficiente. In più c'è la famiglia Hyams, a cui bastano i primi cinque minuti per far capire che qui non si scherza un cazzo. Si parte subito con un lento piano sequenza, che si trasforma improvvisamente in furiosa sparatoria e trascinante inseguimento in macchina, e da lì in poi è un susseguirsi di azione violenta, spietata, sanguinaria, confezionata da leccarsi i baffi (specie, ribadisco, visti budget, premesse e aspettative) e ottimamente interpretata tanto dai due vecchi rugosi quanto dalla furia umana Arlovski. Il tutto, poi, immerso nei toni dettati dal racconto deprimente, dalla fotografia polverosa, dalle musiche in stile Carpenter, dalla suggestiva centrale nucleare di Chernobyl che fa da sfondo agli eventi. E insomma, un'ora e mezza ai limiti dell'incredibile, che fa venire una gran voglia di vedere il seguito Adkins-munito e, soprattutto, fa sperare che Universal Soldier serva a Hyams da trampolino tanto quanto lo fece per Emmerich.

Certo, resta da capire come mai clonando uno morto a trentacinque anni ci si ritrovi per le mani un quasi sessantenne ma, oh, mica si può avere tutto. 

Universal Soldier: The Return


Universal Soldier: The Return (USA, 1999)
di Mic Rodgers
con Jean-Claude Van Damme, Michael Jai White, Bill Goldberg

Sette anni dopo il primo episodioUniversal Soldier torna al cinema, forte di un Jean-Claude Van Damme disperato per una carriera in crollo verticale che, col senno di poi, non riuscirà certo a far riprendere con questa monnezza. Se il primo film, osservato con le giuste aspettative, è addirittura sorprendente, specie vent'anni dopo, il secondo, tredici anni dopo, fa violentemente cacare, anche e molto più di quanto ricordassi. E fa cacare fondamentalmente per le stesse ragioni per cui il film di Emmerich si eleva ben al di sopra del necessario, ma ribaltate. Mic Rodgers è uno stuntman alla sua prima e ultima esperienza da regista, privo d'ambizione e di capacità, la cui unica pennellata d'autore sta nell'infilare canzoni metal dove capita, e che certo non è in grado di far splendere questa scemenza al di sopra del misero budget e di una sceneggiatura, va detto, perfino peggiore della precedente. È tutto brutto e spento, con un taglio pezzentissimo che ti aspetteresti magari nell'home video, certo non al cinema, ambientato solo di notte e al chiuso, senza respiro, senza colore. Si saltella dentro e fuori una location orrenda completamente a caso, contro ogni logica dettata dalle premesse e senza alcuna spiegazione (anche se va detto che nell'ultimo Batman di Nolan succede più o meno la stessa cosacon la differenza che almeno questo film non si prende sul serio) e alla fine è solo un trascinarsi stancamente verso il combattimento finale.

La sceneggiatura è da campionato mondiale dell'insensato, a cominciare da un avvio basato su una logica comportamentale totalmente incoerente con quanto mostrato nel primo episodio (un po' come i comportamenti dei personaggi di Prometheus, con la differenza che almeno questo film non si prende sul serio):
- il governo non aveva mai voluto finanziare il progetto Unisol, che per altro era andato a puttane in maniera disastrosa ---> qui gli Unisol sono legali e finanziati dal governo;
- il progetto originale era andato in vacca quando a due dei soldati erano improvvisamente tornate in funzione le emozioni ---> i nuovi unisol, per quanto cagnolini ubbidienti, provano emozioni (e ovviamente sono emozioni da maniaci sessuali e killer psicopatici);
- Luc Deveraux aveva visto la sua vita fatta a pezzi e stava cercando di uscire dal progetto Unisol ---> qui lavora attivamente alla nuova versione del progetto stesso, magari perché i soldi son soldi e deve mantenere una figlia da vedovo (la moglie è morta, non si sa come, forse nel dare alla luce la prole di Robocop), oppure per riconoscenza verso lo scienziato che ha invertito la procedura facendolo tornare umano;
- che poi, fra l'altro, diciamo anche che se inverti una procedura che riporta in vita i morti, oh, io mi aspetto che quelli ritornino morti. No?

Ci si potrebbe accontentare se l'azione fosse degna, ma in realtà è tutto abbastanza piatto e noioso fino alla fine, al punto che i sussulti sono dati da Bill Goldberg che fa lo scemo con delle gag uscite direttamente dai Looney Tunes. Il film si riprende un po' solo nella parte conclusiva, grazie al carisma e alla presenza scenica di Michael Jai White, che col suo atletismo tiene in piedi da solo il combattimento finale, nonostante una regia poco interessata a mostrare per bene le mazzate e, forse, molto interessata a non far capire quanto Van Damme sia fisicamente non all'altezza dell'avversario. Ed è troppo poco, troppo tardi. Che dopo questa roba sia arrivato quel che è poi arrivato è una cosa senza alcun senso.

Comunque è sempre bello rendersi conto che Van Damme, così come Schwarzenegger, aveva fra le sue caratteristiche il fatto di parlare a malapena in inglese, solo che noi da piccoli non lo sapevamo. Oddio, poi si vive bene lo stesso, però tutti quei film assumono un tono decisamente più surreale con un protagonista che arranca sulle parole (e in effetti pure Dolph Lundgren... ).

Universal Soldier - I nuovi eroi


Universal Soldier (USA, 1992)
di Roland Emmerich
con Jean-Claude Van Damme, Dolph Lundgren, Ally Walker

Fino all'altro ieri, il mio rapporto con la serie di Universal Soldier è stato un po' bizzarro. Al di là di qualche scena del primo film beccata casualmente ogni tanto in TV, l'unico episodio della saga a cui ho dato fiducia è stato l'osceno secondo, di gran lunga il peggiore, visto addirittura al cinema in una calda anteprima estiva, probabilmente perché c'era l'aria condizionata. Peggio di così, giusto se mi fossi limitato ai due sequel apocrifi direct-to-video de-vandammizzati di cui ho scoperto l'esistenza sempre l'altro ieri e che tratteremo qui esattamente come li ha trattati il resto del mondo: facendo finta di niente. Poi, a furia di leggere su I 400 Calci che il recente terzo episodio / reboot era una ficata, m'è un po' salita la voglia di recuperare. Poi, scorrendo il programma del Fantasy Filmfest, noto la presenza del quarto episodio e decido che è ora di basta, devo preparami e farmi una cultura al riguardo. E così mi sono guardato i tre episodi in fila, nel giro di due giorni. E tutto sommato mi sono divertito.

Il primo Universal Soldier è un film bizzarro, che in fondo anticipa un po' lo spirito con cui tre anni dopo arriverà al cinema Heat (e che è alla base della rinascita recente del cinema d'azione): mettere a confronto le superstar del genere di riferimento per far godere i fan. Certo, poi Michael Mann è un po' meglio di Roland Emmerich e, mentre Al Pacino e Robert De Niro si confrontano chiacchierando al bar, Van Damme e Dolph Lundgren si prendono a calci in faccia. Ma la sostanza in fondo è quella, no? E in effetti, all'epoca, i due erano forse proprio all'apice della forma e della carriera, con oltretutto il bonus che questo, per Van Damme, si proponeva d'essere il film del lancio negli USA (prima esperienza nelle sale da quelle parti, per lui). Il risultato, tutto sommato, non è disprezzabile e il merito, tocca ammetterlo, è soprattutto di Emmerich, regista chiaramente superiore al necessario (stiamo pur sempre parlando di un film che racconta di due Robocop esperti in calci volanti) e che finisce per nobilitare una sciocchezzuola.

Sciocchezzuola rimane, eh, ma, sarà per l'aspettativa sotto zero, ritrovarsi di fronte all'abilità, all'ambizione e alla capacità di tirar fuori il sangue dalle rape del Roland fa una certa impressione, specie considerando che il film si porta sulle spalle vent'anni. E infatti non c'è proprio da stupirsi se, cinque minuti dopo questo suo esordio hollywoodiano, Emmerich decolla definitivamente infilando uno dietro l'altro Stargate e Independence Day (in compenso la carriera di Van Damme finirà per esplodere e subito reimplodere più o meno con la stessa velocità). Universal Soldier è un film dal taglio esagerato, che si gioca tutto all'aperto, di giorno, su location immani, lanciando autoarticolati in corsa nel Grand Canyon, facendo tuffare i suoi Robocop lungo la Hoover Dam, martellando d'esplosioni il deserto americano. Ha un umorismo sempliciotto e bonario, senza la cazzonaggine fastidiosa di un ID4, e ha anche dei momenti di sceneggiatura che da una stronzata del genere non ti aspetti e che alla fine la elevano e la rendono simpatica.

A parte il fatto che si prendono il disturbo di spiegarti cosa ci faccia uno con l'accento francese nell'esercito americano (certo, sull'accento di Dolph sorvolano), la caratterizzazione di Luc Deveraux è veramente gradevole, nonostante Van Damme sia un po' una capra, e il vero colpo di genio è piazzare Dolph Lundgren - uno famoso per aver detto quattro parole in tutto Rocky IV e altre dodici nei suoi sei film successivi messi assieme - nei panni dello schizzato istrione. Il suo monologo da reduce del Vietnam, al supermercato, mentre l'altro Robocop azzanna la bistecca cruda, è meravigliosamente surreale e alla fine è anche un po' merito di questo film se lo svedesone, ancora oggi, continua a regalare prestazioni da fuori di cozza. Aggiungiamo un combattimento finale più che gradevole e tutto sommato Universal Soldier è un film che non si butta e, ripeto, ampiamente superiore a quel che ti aspetti da una roba coi Robocop che si tirano i calci volanti.

Oggi sciambola, tre post per ripercorrere tutta la serie, ché se non muoio domani si comincia a parlare di Fantasy Filmfest e del rene che ho venduto per comprare i biglietti.

26.8.12

Cose, fatti, situazioni


Allora, un po' di cose che sono successe mentre ero a Colonia, che stanno continuando a succedere, che succederanno. Così, tanto per scrivere qualcosa in questa domenica in cui improvvisamente a Monaco ha piovuto e adesso c'è il sole ma anche un delizioso freschino e guarda che incredibile gioia che mi pervade. Partiamo con un pochino di spam.


Poco prima di partire per Colonia, mi hanno tirato dentro la registrazione del ventesimo episodio di Emergency Broadcast System, un podcast che ammetto di non seguire (ma del resto, ormai, riesco a seguire regolarmente solo BS Report e NBA Today) e che non saprei bene come descrivere. Comunque, in questo episodio si parla di cinema di fantascienza. Io in realtà intervengo poco, un po' perché non c'ho molto da dire, un po' perché mi divertivo ad ascoltare Federico Frusciante che chiacchierava. Comunque, sta a questo indirizzo qua. Proseguiamo con lo spam.


Marketing 2.0: Mettere una foto a cazzo di cane su Facebook perché sei l'unico a cui va il telefono.

Sempre mentre ero via (a proposito, su Outcast abbiamo fatto il coveraggio di Gamescom e GDC Europe, cui fra l'altro devono ancora aggiungersi alcuni articoli: sta a questo indirizzo qui), abbiamo più o meno annunciato questa cosa di IGN. Ora, non starò qui a parlarne più di tanto, un po' perché non c'è molto che posso dire, un po' perché mi sono rotto i coglioni io di leggerci che lo diciamo in giro, figuriamoci gli altri che ci leggono. La sostanza, comunque, è semplice: si sta lavorando per portare IGN in Italia, che è un po' anche uno dei motivi per cui in questi giorni, nonostante il mio rientro da Colonia, il blog s'è abbastanza spento. I nomi coinvolti non c'è neanche bisogno di elencarli, un po' perché è facile intuirli, un po' perché sono stati fatti in giro da tutti. Il sito sarà realizzato da noi, in Italia. È chiaro e normale che ci saranno pure contenuti tradotti (sarebbe idiota non sfruttare certi reportage o certe esclusive che puoi avere tramite IGN), ma la maggior parte di quel che vi si leggerà dentro sarà realizzata dallo staff italiano e non si tratterà, quindi, della semplice traduzione di cui qualcuno - mi dicono - vaneggia nell'internet. La conseguenza è che se vi piace quel che fanno di solito le persone coinvolte dovrebbe piacervi IGN Italia. Se invece vi fa cacare quel che fanno di solito le persone coinvolte, beh, è probabile che vi faccia cacare IGN Italia. Ad ogni modo sarà il sito a parlare, perché poi alla fine è quello che conta. Aggiungo solo che a casa nostra God Hand non prende 3.

Poi, diamo un senso alla foto in apertura: fra qualche giorno inizia qua a Monaco l'edizione 2012 del Fantasy Filmfest. Ovvero una rassegna da nove giorni di film horror, fantasy, d'azione e pure qualche roba che non c'entra nulla coi generi citati ma potevano averla nel programma e perché no. L'anno scorso l'ho frequentato, ho visto sedici film e ne ho scritto a questo indirizzo qua. Quest'anno sono bello carico e ieri, scorrendo il programma di questa edizione, m'è quasi scoppiato il cuore nel tentativo di darmi una calmata e rendermi conto che non posso spendere trecento euro di cinema in una settimana (purtroppo mi sono svegliato tardi e gli abbonamenti sono già esauriti). Facendo una selezione durissima, ho identificato una quindicina di film che voglio assolutissimamente vedere e un'altra decina che mi intrigano (in realtà mi intrigano pure tutti gli altri ma, oh, che cacchio ci posso fare). Dovrò scremare ulteriormente, perché tengo famiglia e tengo pure altri impegni, ma penso ci sarà da divertirsi. Chiaramente cercherò di scriverne qua nel blog.


A proposito di film horror, questa è un'immagine di Chloë Grace Moretz nel remake di Carrie. Ora, sì, okkei, Carrie, il sacrilegio, whatever. Il problema di questa immagine è che la Chloë, a cui voglio molto bene, non ha esattamente quello sguardo fuori dal mondo che c'aveva Sissy Spacek. Tolto questo fatto, però, io sono moderatamente curioso, e il motivo sta dietro alla macchina da presa. A dirigere 'sto remake c'è infatti Kimberly Peirce, la regista di Boys Don't Cry, da cui mi sembra lecito attendersi una roba che non provi neanche per sbaglio a scimmiottare De Palma e, anzi, un'interpretazione molto diversa e magari interessante. Ammetto moderato ottimismo.

Dai, non c'è confronto.

Chiudiamo con una rassegna di trailer apparsi sul pianeta mentre ero via, che è una cosa che mi diverte sempre molto fare.


Universal Solider: Day of Reckoning lo vedo al Fantasy Filmfest e secondo me sarà una roba proprio divertente. A occhio, sembra mantenuta la tradizione della serie secondo cui a ogni episodio si fa un mezzo reboot frullando le premesse a cazzo di cane (Van Damme pelato, sbiancato e cattivo è bellissimo), ma magari posso sbagliarmi, perché in effetti il terzo ancora non l'ho visto. Ieri ho rivisto il primo (sorprendentemente caruccio) e il secondo (non sorprendentemente osceno), oggi mi guardo finalmente il terzo, un direct-to-video di cui parlano bene dove conta e che è stato talmente apprezzato da diventare un cult e giustificare la produzione di un quarto film girato addirittura in 3D.



Un remake di Alba rossa, mitico filmetto anni Ottanta con i sovietici che invadono il mondo. Solo che al posto dei sovietici ci sono i nordcoreani, al posto di Patrick Swayze c'è Chris Hemsworth e al posto di John Milius c'è uno stuntman di cui mi sono già dimenticato il nome. Non m'ero minimamente accorto che fosse in produzione 'sto film, a quanto pare rimasto bloccato un paio d'anni per il fallimento di MGM. A occhio, direi che, se fosse uscito quando previsto, ci avrebbero infilato da qualche parte anche la parola Homefront per farsi tutti pubblicità a vicenda con un'altra cosa bruttarella su cui appiccicare il nome di Milius per darsi un tono. Ad ogni modo, Red Dawn esce a dicembre qua in Germania. Non so in Italia.



Seven Psychopaths, vale a dire il film per girare il quale Mickey Rourke ha rinunciato a The Expendables 2 ma poi ha litigato col regista e ha finito per mollare pure questo e farsi sostituire da Woody Harrelson. Comunque, i sette psicopatici sono appunto Woody bello, Christopher Walken, Colin Farrell, Abbie Cornish, Sam Rockwell, Tom Waits e Olga "Gesù" Kurylenko. Scritto e diretto dal Martin McDonagh di In Bruges. A leggere i nomi in fila sembra fico. Pure per lui se ne parla a dicembre e non so nulla dell'Italia.

Vogliamoci troppo bene.



E va bene, allora, le stronzate di The Expendables 2, occhei, però poi qua si fanno le cose sul serio. Arnie che torna in azione massiccio come si deve, con le sue battutine ma cazzuto e spaccaculi (seppur nell'ottica di uno che va per i settanta e non ce la fa più), oltretutto diretto da Jee-woon Kim (Two Sisters, A Bittersweet Life, Il buono il matto e il cattivo, I Saw the Devil). Questo trailer spacca. Il film è in postproduzione ed è previsto per inizio 2013. The Last Stand. Alla grande.



E allora mamma mia. Walter Hill che torna a dirigere un film undici anni dopo Undisputed. Stallone con la raucedine che duella a colpi di accetta con Jason Momoa. Christian Slater e la sua vocina. Sung Kang e tutto il carisma che si porta dietro dai Fast & Furious. Bullet to the Head. Ficatissima. In arrivo a marzo. Ah, fra l'altro, a proposito di Sung Kang, stanno girando Fast Six, o come diavolo si chiamerà. Con tutto il cast che ci deve essere, più Gina Carano a menare tutti quanti. Mamma mia che peccato se alla fine il mondo finisce veramente quest'anno.



Qui citerei le immortali parole di Aldo Raine: "We hear a story too good to be true... it ain't." Se sei uno sfigato che sta guidando in mezzo a una regione sepolta dalla neve, dai un passaggio a Olivia Wilde, quella ti sorride, fa la maliziosa e finisce che te la porti a letto, è probabile che poi arrivi Eric Bana psicopatico a cercare di ucciderti. Si intitola Deadfall, non sono sicurissimo di quanto mi attiri, però su IMDB c'ha un promettente 7.9. A novembre in Germania, Italia ehm. Forse devo smettere di cercare le date su IMDB.



E allora dai, su, eddai. I predatori dell'arca perduta non l'ho mai visto al cinema, perché non farlo all'IMAX? Vado subito a cercare un volo low cost per Londra.

Chiudo con un saluto a Joe Kubert, che gli ho sempre voluto bene, a lui e ai suoi due bravi figlioli. Un altro grandissimo svanito all'improvviso. Son brutte cose.

24.8.12

Prometheus


Prometheus (USA, 2012)
di Ridley Scott
con Noomi Rapace, Michael Fassbender, Logan Marshall-Green, Charlize Theron, Idris Elba, Guy Pearce

Prometheus è un bel filmetto di fantascienza, potente e affascinante sul piano visivo, ambizioso e interessante nelle tematiche, che ha un po' la sfiga di portarsi sulle spalle il peso della letale combo "prequel di Alien trent'anni dopo + Ridley Scott torna al genere in cui ha firmato i suoi due capolavori, uno dei quali, incidentalmente, era proprio Alien". Diciamocelo, se si fosse intitolato Broda aliena, l'avesse diretto Len Wiseman e fosse venuto fuori uguale, sarebbe un film di fantascienza sorprendente, che prova a fare cose un po' diverse dal solito, ha il coraggio di prendersi i suoi tempi in una maniera classica e fuori dal tempo, ha una marea di difetti e di problemi ma anche tanti momenti molto riusciti e comunque da Wiseman mica me l'aspettavo. E insomma, sarebbe quel film di fantascienza uscito un po' dal nulla e che in fondo avercene, con tutti i suoi limiti. Se si fosse intitolato Broda di non ritorno e l'avesse diretto Paul William Scott Anderson, probabilmente, sarebbe un futuro cult. E invece è quel che è, ce lo teniamo così, Ridley Scott non ce la fa più e Damon Lindelof deve morire. Non importa se la sceneggiatura è stata scritta a quattro mani con quello che ha firmato L'ora nera. No, dico, L'ora nera. No, è tutta colpa di Lindelof. E anzi, Ridley Scott, poverino, lui ha fatto le inquadrature belle, mica è colpa sua se Lindelof scrive di merda. Del resto Ridley è un registucolo senza potere, lui si limita a dirigere quel che gli passano e non può aprire bocca, no? Cattivo, Lindelof, cattivo! Ma sto divagando.

Dicevo, Prometheus mi sta simpatico per tanti motivi diversi, e alla fine io ho un po' questo lato umanitario che mi permette di attaccarmi ai lati positivi dei film che mi stanno simpatici e divertirmi lo stesso. Ha davvero l'ambizione di provare a raccontare cose che non siano solo una serie di sparatorie e ha il gusto di farlo con uno spirito che sembra uscito da venti o trent'anni fa. Non si fa problemi a prendersela comoda, a porre basi concrete rallentando i ritmi, e prova gusto anche a mostrare carne squartata e braccia spezzate. Non sono molti i film di genere recenti che hanno il coraggio di farlo. Nolan, per esempio, fa il narratore pacato pure lui, poi però spara alla gente e non si vede una ferita o una goccia di sangue. Eppoi Prometheus ha Michael Fassbender, veramente sempre più fantastico, anche se va pure detto che il suo David, per quanto personaggio davvero gradevole da seguire, a conti fatti non fa nulla che non si sia già visto declinato in mille modi diversi altrove. Tipo in sette stagioni e svariati film di Star Trek: The Next Generation.

E poi ci sono due protagoniste interessanti. Una, la "buona", è una presuntuosa, stronza, saccente zoccola, incapace di guardare a un palmo dal suo naso, che mette a rischio in nome dei suoi dogmi un intero equipaggio e, per sicurezza, pure tutta l'umanità. L'altra, la "cattiva", non è la bitch calcolatrice che uno s'aspetterebbe, ed è invece una fragile donnetta, meschina, frustrata, costantemente pronta a farsi prendere dal panico del momento. Certo, il resto del cast è fatto da macchiette, tolto un Idris Elba che ha un arco narrativo volendo anche gradevole, ma fondamentalmente sta in piedi solo per il carisma dell'attore. E va pure bene, che siano macchiette i personaggi di un film del genere, anche se mancano un po' quelle piccole pennellate capaci di rendere tridimensionali figure di pura funzione e farti appassionare alle loro vicende. Ma del resto la mancanza di passione è fra i più grossi problemi del film. Una freddezza magari anche fortemente voluta, ma che finisce per cancellare qualsiasi parvenza di emozione dal racconto.

In questo, comunque, non aiuta certo la scrittura (cattivo, Lindelof, cattivo!). Al di là delle macchiette, il problema è anche un po' la maniera furba in cui la sceneggiatura di Prometheus racconta tutto senza raccontare nulla e anzi approfittandosi barbaramente dei suoi non detti. Non me ne frega niente di conoscere ogni dettaglio sulla sbroda aliena e sugli ingegneri, anzi, cara grazia avere un film americano che non si preoccupa di spiegarmi tutto quanto. Va meno bene quando il tuo non raccontare una sega lo sfrutti per far succedere una valanga di cose "perché sì", a cominciare dal modo in cui si arriva ai primi due morti (indifendibile, per il contesto e per il modo in cui quei personaggi sono stati raccontati fino a lì), per andare poi a tutta una serie di faccende riassumibili in "flauto e ologrammi". Il problema non è che Prometheus offre tante domande e zero risposte. Il problema è che spesso la risposta è "perché mi serviva che succedesse questa cosa per far andare avanti il film". E il problema è che succede in un film che c'ha le ambizioni di parlare delle nostre origini, non in una roba coi robot giganti che si menano.

Oltretutto Prometheus ha anche il dramma del suo non sapere bene cosa voglia essere. Fin dal primo minuto fa di tutto per "staccarsi" da Alien, per forzarti in gola un tipo di atmosfera e di suggestioni completamente diverso, con quelle sue musichette da avventurona spielberghiana. Solo che poi va avanti senza sapere bene cosa fare e le musichette spielberghiane si sentono pure quando il tuo cervello ti dice: "Oh, ma qua non dovrebbe esserci tensione?". E il problema, soprattutto, è quel fastidioso cerchiobottismo del fare il prequel di Alien ma anche no. Facciamo un pianeta quasi uguale ma un po' differente, col nome diverso così non potete romperci le palle, in cui ci sono le stesse cose anzi aspetta cambiamole, e alla fine ci lasciamo aperta qualsiasi strada possibile. E in bocca ti rimane un po' quel sapore di occasione sprecata e di presa per il culo. Nonostante comunque, ripeto, Prometheus sia un film assolutamente gradevole, pieno di bei momenti e belle trovate e che tutto sommato svacca forse solo nel finale. Poteva andare peggio, via. E francamente io non mi aspettavo andasse meglio. Men che meno mi aspettavo una roba del livello di Alien. Però, eh.

Il film l'ho visto un paio di settimane fa, prima di partire per Colonia, qua a Monaco. In lingua originale. Tutto il mio appoggio a chi deve aspettare ancora tre settimane, anche se a furia di leggerne maluccio finisce che vi piace di più.

20.8.12

Ma minchia...


Stamattina, dopo un bel sonno ristoratore di quelli pesanti, ero pronto a iniziare la settimana bello carico. E tutto sommato lo sono ancora, però, cazzo... Stavo lì, in mutande e maglietta, dopo aver salutato Giovanna che se ne andava al lavoro, in procinto di farmi la doccia, pasticciavo col telefono, quando mi è saltato fuori un link da qualche parte. Non ricordo neanche da dove, probabilmente in mail, la notifica della notizia postata da endrix su iacine, e leggo che Tony Scott si è tolto la vita. Wut? Apro, Repubblica.it, sul telefono ne leggo solo l'inizio, ma sì, l'ha fatto. Prendo le chiavi, esco sul pianerottolo, urlo a Giovanna di fermarsi e corro giù per le scale in mutande a farle leggere. Manco lo dico, glie lo faccio leggere. Silenzio e pessimismo. Mentre legge mi vengono pure in mente le canoniche due o tre banali cazzate che mi vengono sempre in mente ("Ha visto Prometheus e non ce la faceva più a soffrire per il fratello", "Ci è rimasto troppo male che hanno fatto dirigere a Daniel Espinosa un film con Denzel Washington diretto da Tony Scott", "Si è reso conto che aveva accettato di dirigere Top Gun 2"). Ma la cosa strana è che per una volta non le dico, me le tengo schiacciate nella capoccia. Cacchio, ancora un po' mi metto a piangere. Cacchio, ancora un po' lo faccio adesso mentre scrivo queste cose.

È completamente folle che nello stesso giorno, su I 400 Calci, appaiano la recensione di The Expendables 2 e il saluto a Tony Scott. Non ha senso. Oppure sì, ce l'ha, è perfetto così. Boh. Comunque non ho altro da aggiungere, se non un embed che non finisce mai e una nota di colore: mentre scrivevo questo post mi è morta la connessione a internet e adesso sto attaccato con una chiavetta telefonica. Tony, mannaggia.















11.8.12

Acqua di Colonia


Mentre Blogger mi pubblica in automatico questo post, a meno di imprevisti, io sto decollando dal terminal brutto di Monaco per dirigermi verso Colonia. Lunedì comincia la Game Developers Conference Europe e Mercoledì comincia la Gamescom. E io e altra bruttissima e loschissima gente saremo lì a seguire il tutto per conto di Outcast.it, quindi fate i bravi e seguiteci lì. Il blog, nel mentre, penso proprio che si fermerà. O forse anche no, vai a sapere. Ciao.

Poi ci sarebbe anche quell'altra faccenda che però magari ne parliamo poi e i giovani d'oggi direbbero LOL. Ciao, eh, ciao. Ciao.

9.8.12

Ted


Ted (USA, 2012)
di Seth MacFarlane
con Mark Wahlberg, Mila Kunis e la voce di Seth MacFarlane

Al suo esordio cinematografico, Seth MacFarlane sceglie la via più semplice e realizza una classica commedia americana, dalla struttura basica e prevedibile, spennellandola però con la sua poetica tutta escrementi e liquidi seminali. Che poi, "semplice" per modo di dire, dato che comunque realizzare un film "rated R" magari non è sempre semplicissimo (e il film va ben oltre quel che viene suggerito dai trailer), ma in ogni caso la sostanza è bene o male quella. Ovviamente questo significa che chi non apprezza lo stile di Peter Griffin e compagni potrebbe far fatica ad amare Ted, dato che fondamentalmente di quello si tratta.

MacFarlane non si fa mancare nulla e ricopre la sua commedia favolistica di umorismo schizofrenico e volgare, insultando tutto e tutti e recuperando qualsiasi cosa ci si aspetti da lui. Ci sono le conversazioni, le battute e le gag a sfondo maschio-porco-offensivo-sessuale-scatologico, c'è il continuo amare e citare gli anni Ottanta più o meno oscuri (da Arnold alla doppia parodia carpiata con la scena di ballo che cita un film che parodiava un altro film ma non dico cosa che poi mi dicono che spoilero), ci sono gli improvvisi flashback surreali, c'è l'amore per un certo tipo di musica, ci sono un paio di guest star a sorpresa che se ci ripenso sto ancora qua a sogghignare sotto i baffi, non c'è Adam West ma c'è qualcun altro di "simile" che fa ammazzare dal ridere e c'è quella voglia di raccontare una storia tutto sommato molto classica, ma attraverso un filtro di comicità schizoide. E poi c'è Ted.

L'idea dell'orsacchiotto portato in vita in un film che non è una commedia per bambini e da cui anzi i bambini devono stare lontanissimi viene sfruttata in ogni modo possibile. C'è la versione deviata della voce narrante da fiaba (Patrick Stewart!), c'è tutto il possibile raggio di reazioni umane di fronte a un fottuto giocattolo parlante, c'è il gusto di esplorare tante direzioni possibili tramite cui ci si può muovere in un mondo in cui un pupazzo parlante non viene nascosto ai genitori e, anzi, entra a far parte della società. Inoltre, Ted è sostanzialmente un cabarettista sboccato che può permettersi di dire e fare quello che vuole perché tanto è un peluche, fa tenerezza. E il risultato è un film divertentissimo e bellissimo nonostante la sostanziale banalità di quel che racconta, col suo barcamenarsi fra i sani valori dell'amicizia e della famiglia americana.

L'ho visto qua a Monaco in lingua originale e sappiamo tutti benissimo che una commedia, nel momento in cui la traduci, si perde per strada un sacco di roba, anche al di là dell'adorabile accento bostoniano esibito da Mark Wahlberg e Seth MacFarlane. Di buono c'è che, una volta tanto, sarà difficile renderla più volgare con l'adattamento italiano.

8.8.12

Wolverine barbone e altre novità per il maschio nerd appassionato di cinematografò


Quello nell'immagine qua sopra è il nostro amico Hugh Jackman, finalmente impegnato nelle riprese del nuovo film dedicato a Wolverine che vorrebbe rimettere in sesto il Logan cinematografico dopo la debacle della sua prima uscita solitaria. Ricordiamo al gentile pubblico che doveva dirigerlo Darren Aronofsky, ma poi si sono accorti che va bene tutto ma il film d'autore con la macchina da presa sempre fissa alle spalle del protagonista no. Peccato, mi incuriosiva. Ad ogni modo, ci pensa James Mangold, che le sue belle cose le ha pure fatte, e gli attori, tolto Jackman, sono tutti orientali. Del resto, ci si ispirerà alle vicende per l'appunto nipponiche nascoste nel passato del mutante canadese. Come tutto questo si incastri con queste foto modello clochard non lo so, ma fa lo stesso. L'intero reportage fotografico sta a questo indirizzo qua, da cui si può arrivare anche ad alcune immagini di Hugh coi capelli corti e a un filmato di riprese dal set.

A questo indirizzo qua si parla invece di altri supereroi Marvel, che comunque pure loro non fanno venire in mente proprio dei capolavoroni del cinema più o meno recente. Fox comincia ad avere il pepe al culo perché deve realizzare un nuovo film su Daredevil prima che i diritti scadano e tornino appunto in mano alla Marvel. E del resto è sempre un po' questo il motivo per cui ultimamente escono reboot a catinelle, fra ragni, mutanti e uomini col costume blu: bisogna sfruttare il marchio o lo si perde. Si parla di un Daredevil cupo e cazzuto, pesantemente ispirato a quello di Frank Miller (che poi pure il film di Mark Steven Johnson ci si ispirava, ma ci si ispirava male). Si parla anche di Joe Carnahan come regista, cosa che prima di vedere The Grey mi avrebbe fatto dire "vabbé", ma in effetti, dopo aver visto The Grey, penso che possa pure andare bene. Ora, per evitare che scadano i diritti, bisognerebbe iniziare le riprese entro il 10 ottobre, ma pare praticamente impossibile, a meno che Fox e Marvel decidano di mettersi d'accordo e, magari, co-produrre.

In tutto questo, però, si inserisce un altro problema, che sposta tutta la faccenda su binari che ricordano un po' quelli del calciomercato estivo. Fox detiene pure i diritti su Fantastici 4 e Silver Surfer e la Marvel vorrebbe riprenderseli, perché c'ha una gran voglia di far apparire quei personaggi, assieme al simpatico zio Galactus, nel suo prossimo ciclo di film tutti colorati e puffettosi. E del resto dai loro torto, se l'azione si sposterà nello spazio, fra Guardiani della galassia, e quella roba lì che non scrivo ma insomma se ancora non hai visto The Avengers ma che leggi a fare questo post? Il problema è che in Fox non vogliono saperne e, anzi, hanno già pianificato un reboot per i Fantastici 4 messo in mano a Josh Trank, regista dell'ottimo e superomistico alla sua maniera Chronicle. Come andrà a finire? Mboh?

Ma, a proposito del prossimo ciclo Marvel tutto supereroi galattici: Joss Whedon ci ha preso gusto e non molla il colpo. Scopro infatti leggendo Grantland (un sito bellissimo che tutti devono seguire anche se se ne fottono dello sport e del cinema perché è proprio bello da leggere) che il caro Joss ha firmato un contratto che lo lega alle faccende Marvel fino al 2015, in base al quale non solo dovrà scrivere e dirigere The Avengers 2, non solo lavorerà in generale su tutto il ciclo di film con la gente che vola in arrivo nei prossimi anni, ma dovrà pure sviluppare una serie TV Marvel. Ricordando al gentile pubblico che lui i supereroi in TV li ha già raccontati per tanti anni, e meglio di tutti, camuffando la cosa da roba di vampiri, vi saluto felice.

Ah, e nel nuovo Die Hard torna la figlia di John McClaine a cui voglio tanto bene.

7.8.12

Ribelle - The Brave


Brave (USA, 2012)
di Mark Andrews, Brenda Chapman e Steve Purcell
con le voci di Kelly MacDonald, Billy Connolly, Emma Thompson

È sorprendente rendersi conto che il trailer di Brave, tanto per cambiare, non ti racconta tutto il film. Certo, ne mostra approfonditamente le premesse, ma poi si ferma e non accenna minimamente a ciò che avviene dopo, al vero motore delle vicende. Ed è una bella sorpresa, almeno per me che non avevo letto nulla al riguardo, ritrovarsi a vivere e scoprire le avventure di Merida assieme a lei, senza sapere cosa accadrà, senza aspettare quella tal battuta. L'altro aspetto sorprendente, se in positivo o in negativo immagino dipenda dai gusti, sta nell'impressione di trovarsi davanti a un classico film Disney, più che alla nuova produzione Pixar. Una bella, commovente, divertente, emozionante fiabetta, appassionante e carica di personalità. Non c'è, insomma, la splendida ambizione che si vede nella parte iniziale di un Wall-E  o di un Up e non c'è l'idea fulminante alla base di un Monsters & co.

E magari questo può essere un problema, per chi da un film Pixar vuole sempre essere stupito fortissimo, ma, appunto, è anche un po' questione di gusti. E in ogni caso siamo lontani anni luce dalla noia di Cars. Tanto più che comunque lo spirito Pixar c'è eccome in certe trovate schizoidi, nella ricerca estetica fuori dal mondo (anche se si respira un'aria un po' giapponese in alcune soluzioni), nel gusto per la citazione e la battuta un po' più adulta, nel taglio cupo, anche spaventoso, di certi momenti e nel raccontare in maniera intelligente e toccante, seppur ordinaria negli sviluppi, il rapporto fra una madre e una figlia. Insomma, Brave è un gran bel film, se vogliamo anche più onesto di quelle bellissime cose citate sopra, perché ti offre il luna park delizioso dall'inizio alla fine, senza nasconderlo dietro una prima mezz'ora da festival del cinema.

Ah, bello ed emozionante, come sempre, anche il cortometraggio iniziale, con i suoi protagonisti italiani che sembrano usciti da una versione ammorbidita de I Griffin e con quella meravigliosa luna che spunta all'improvviso e invade il cinema. Avercene.

Il film l'ho visto qua a Monaco, in lingua originale, e sanno anche i sassi che fra gli aspetti caratterizzanti c'è il pesante accento con cui parlano tutti (c'è pure un personaggio che parla con accento ancora più forte e che non capiscono nemmeno i protagonisti del film). Immagino questa cosa in italiano si perderà. Oppure fanno parlare tutti in sardo, sarebbe fantastico. Ah, il 3D è davvero gradevole, ma insomma, big surprise, Pixar.

6.8.12

Devotional - L'intervista!


L'altro giorno ho scritto di Devotional, il documentario sulle elezioni egiziane, russe e statunitensi che Saverio Pesapane sta cercando di realizzare. E al quale, se c'avete voglia, potete contribuire sganciando soldi tramite la campagna su Indiegogo. Oggi invece vi propongo un'intervista che gli ho fatto via mail, così, tanto perché magari vi fa venire voglia di contribuire. O magari no.

Chi sei? Perché gente che non ti conosce dovrebbe darti i suoi soldi, soprattutto considerando che non sono convinto di volerteli dare io che ti conosco? 

Chi sono l'hai già spiegato tu nel tuo post (molto bello, complimenti. vuoi fare l'addetto stampa di Devotional?). Per quanto riguarda i soldi, con Indiegogo il meccanismo dovrebbe essere che le persone guardano il progetto e lo trovano abbastanza interessante da voler contribuire a realizzarlo, ricevendo in cambio una serie di "ricompense", come il DVD, la t-shirt o l'invito alla prima del film. Una via di mezzo tra il desiderio feticista e la volontà di partecipazione. 

Che percorso hai seguito per ritrovarti a fare il regista? E come mai hai scelto di dedicarti ai documentari e non ad altro? 

Tutto è iniziato perché negli anni in cui mi occupavo di urbanistica mi era venuto in mente di fare un progetto in Kazakhstan, sul Lago d'Aral. All'inizio non sapevo se fare un progetto fotografico o un racconto. Sapevo solo che volevo andare là a vedere com'era la vita attorno ad un lago al quale avevano levato l'acqua. Mi convinsi ad un certo punto che un documentario sarebbe stato il modo migliore di raccontare quella storia che era caratterizzata da un'immagine di grande potenza (le navi abbandonate da decenni in quello che prima era un lago ed oggi è un deserto) e ne parlai con Francesco Jodice, artista napoletano che vive a Milano, a cui l'idea piacque. Dopo due mesi eravamo in Kazakhstan a girare. E così lasciai Napoli e l'architettura. 

A proposito: vedi per te un futuro anche come regista di fiction?

Ho già lavorato in alcune produzioni di fiction, come autore ed assistente alla regia. Sarei felice di lavorare come regista ad un progetto di fiction.

Ci sono state difficoltà nella realizzazione delle riprese dedicate alle elezioni egiziane? Hai avuto problemi di accesso a determinate strutture, ad eventi, a luoghi?

L'Egitto è un paese abbastanza "facile" da questo punto di vista. Non è complicato avere accesso ai luoghi, e con un buon fixer locale si può girare dovunque in cittá senza particolari problemi. Quello che invece richiede un po' di allenamento è abituarsi ai loro tempi. Al Cairo, prima delle due del pomeriggio è impossibile avere un appuntamento con chiunque, mentre di notte la città è piú viva di qualunque altro posto abbia mai visto.

Istantanee dall'Egitto. Saverio "Nola" Pesapane è quello con la faccia losca e il cappuccio verde.

Discorso simile per le eventuali riprese in America e in Russia: che genere di difficoltà ti aspetti di incontrare?

Stati Uniti e Russia sono, al contrario, due paesi "difficili", molto cari e con molte complicazioni quando si tratta di accedere a luoghi e persone. In Russia ho una rete di contatti abbastanza ampia, negli Stati Uniti il lavoro è ancora nelle sue prime fasi. 

Nel progetto su Indiegogo dite che, se non raggiungerete il traguardo di 40.000 dollari, userete comunque i soldi per finanziare la postproduzione di quanto già girato, realizzando quindi un documentario solo sulle elezioni egiziane. Che genere di somma serve? Immagino che i 1.500 dollari accumulati fino adesso non basterebbero e che dovreste comunque metterci del vostro, giusto? 

Se la cifra che raccoglieremo sará inferiore ai 10.000 euro, che allo stato delle cose è la cifra minima per completare la post produzione della sola parte egiziana, la considereremo una base di partenza per la ricerca di altri fondi. Considera che il crowdfunding è solo una aggiunta ai normali canali che di solito uso per cercare di finanziare un progetto. 

Come sta andando la raccolta fondi, rispetto alle vostre aspettative? 

Dal punto di vista del numero di visite sta andando bene. Quelli di Indiegogo dicono che le persone tornano piú volte sul sito prima di decidersi a contribuire. Siamo dunque ancora fiduciosi :) 

Sempre nella descrizione su Indiegogo, spiegate che 40.000 dollari sono il minimo per avviare la produzione, ma per completare il progetto ne servono addirittura 100.000. Puoi spiegare meglio cosa intendete? Se si raggiungono i 40.000, possiamo aspettarci di vedere il documentario sulle tre elezioni al completo? Avete altri finanziatori pronti a investire? 

Come ti dicevo, la ricerca di finanziatori va avanti parallelamente alla campagna di crowdfunding. A fine settembre tireremo le somme e capiremo cosa fare. Diciamo che 40.000 sono una cifra minima per iniziare a produrre le due parti in USA e Russia. Non bastano, ma sarebbero abbastanza per far partire il progetto. 100.000 è la cifa necessaria per completarlo, inclusa la postproduzione delle tre parti.

Lo sai, vero, che questo blog è ridicolo come cassa di risonanza e questo post non servirà a niente? Però il Dottor Manhattan ogni tanto passa da queste parti e lui ha miliardi di lettori. Dai, dì qualcosa per convincerlo a farti pubblicità. 

Lui è giá dei nostri. Ti giro una foto che ci ha mandato. 

"Un corpo vivo e uno morto contengono lo stesso numero di particelle. Date i vostri soldi a Devotional."


Voglio farti dieci domande ma non mi viene in mente nulla per concludere: raccontami quello che ti pare.

Ti racconto una storia che spiega bene le questioni di cui mi chiedevi alla quarta domanda: una sera ero a cena con una giornalista italiana che mi stava dando dei contatti utili per le interviste e ad un certo punto, sfogliando la rubrica, mi chiede se mi interessava il numero di telefono di Mohamed Morsi. Era febbraio e Morsi era il numero due dei Fratelli Musulmani. La sua candidatura alle presidenziali era lontana, ma si trattava comunque del secondo in grado del maggiore partito del paese. Presi il numero e chiesi alla giornalista a che ora il giorno dopo avrei potuto chiamarlo. Lei mi dice che non c'era mica bisogno di aspettare l'indomani, potevo chiamarlo subito. Era l'una di notte. Chiamai, e dopo un po' di squilli a vuoto, parlai con il futuro presidente dell'Egitto e con il suo segretario. Non riuscii ad accordarmi per l'intervista, ma ho ancora il suo numero, anche se suppongo l'abbia cambiato nel frattempo.

3.8.12

Damigelle in pericolo, mutanti dal futuro e spie dal passato


Oggi non c'ho tempo, quindi facciamo una cosa veloce. Innanzitutto, leggo su Friday Prejudice che l'altro ieri è uscito in Italia Damsels In Distress. Uscito per modo di dire, considerando che si parla di quattro sale (una a Milano, una a Torino e due a Roma). No, dico, quattro sale. Ma a che serve distribuire un film in questa maniera? Boh, non è il mio lavoro, avranno le loro ragioni. Io, comunque, il film l'ho visto qua al Filmfest München e ne ho scritto a questo indirizzo qui. È una roba molto bizzarra e a modo suo interessante, se per sbaglio capitate davanti a uno dei quattro cinema che lo proiettano, potete pensare pure di dargli una chance. Passiamo ora alla gente in mutande che vola. Bryan Singer, che fa il produttore sui film degli X-Men, ha dichiarato un po' di cose nell'intervista che segue.



La cosa importante: il seguito di X-Men: First Class c'avrà come sottotitolo Days of Future Past. Poi Singer dice chiaramente che sì, si ispireranno a quel ciclo a fumetti (per altro già amorevolmente omaggiato all'inizio di X-Men 3) ma faranno anche tante cose in più e diverse, come è lecito attendersi. Ma insomma, eh, un film ispirato a quel ciclo a fumetti, oh, dai, su, ma chefficata. Ah, poi l'intervista divaga sul fatto che probabilmente c'è l'intenzione di provare ad espandere l'universo filmico degli X-Men seguendo l'esempio degli altri film Marvel e andando a fare i cross-over (BIG SURPRISE!!!) e che vai a sapere, magari un giorno tornerà a dirigere un film della saga.

Chiudiamo col nuovo trailer di 007 Skyfall, che a me sembra sempre più bello.



L'immagine in apertura non c'entra nulla, ma si trova cercando su Google "damsels in distress".

2.8.12

Il cavaliere oscuro - Il ritorno


The Dark Knight Rises (USA, 2012)
di Christopher Nolan
con Christian Bale, Tom Hardy, Joseph Gordon-Levitt, Anne Hathaway, Marion Cotillard, Gary Oldman, Morgan Freeman, Michael Caine, Matthew Modine

The Dark Knight Rises chiude la trilogia di Christopher Nolan in maniera più che degna, mantenendosi sugli ottimi livelli dei due precedenti film, andando a recuperare e concludere per benino tutte le tematiche aperte e affrontate in precedenza, conservando la ricerca stilistica, la voglia di mirare alto e forse anche un po' quel senso di straniamento che deriva dall'avere un film tutto serioso, drammatico e impegnato in cui ogni tanto accadono cose bizzarre e improbabili da film di supereroi. Non è tanto quella faccenda del cretino con le orecchie e il mantello che pare un pesce fuor d'acqua in mezzo al dramma, che avevo patito assai guardando il secondo film. No, qui il supereroe mi sembra ben più contestualizzato, non perché si passi mezzo film a spiegarne la genesi come nel primo episodio, ma perché se mi apri subito col cattivone che sembra un nemico di He-Man, ha la voce bizzarra e spacca in due gli aerei, beh, ok. Certo, che nella seconda parte di film Batman continui a fare la voce roca anche parlando con gente che ormai conosce la sua identità fa abbastanza ridere, e che ci presentino una Catwoman inguainata di pelle senza motivo e senza spiegarci come mai questa sia in grado di menare orde di bestioni saltellando sui tacchi stride un po' con il realismo (o la credibilità) di altre situazioni, ma insomma, amen, nel complesso il giocattolo mi è parso funzionare.

Le improbabilità più fastidiose stanno invece in quei passaggi di trama in cui hai l'impressione paradossale che un film da due ore e quaranta, che oltretutto nella sua prima metà ogni tanto si ingolfa anche un po', sarebbe dovuto essere più lungo. Perché il personaggio di Marion Cotillard, a conti fatti fondamentale, ha uno sviluppo tirato via frettolosamente con tre scene in croce, sciattamente scritto e interpretato. Discorso simile per la preparazione all'atto finale, che racconta mesi in secondi e lascia addosso la sensazione che ci fosse materiale per tirare fuori una serie televisiva, più che un film. Quel che viene poi, però, è un crescendo conclusivo di gran potenza, spettacolare, esaltante, con dell'azione finalmente girata come si deve e capace comunque di costruire su quanto di buono è stato fatto in precedenza. The Dark Knight Rises è un film spettacolare, evocativo, che sfrutta a meraviglia la capacità di Nolan e Zimmer nel far salire una gran fotta. Certo, più che un film sul personaggio di Batman (quello era Batman Begins), è un film sull'universo che gli ruota attorno, dedicato a tutta quella marea di vicende e personaggi che fanno Gotham City.

E alla fine è interessante anche per questo. Perché Gary Oldman e Michael Caine, ancora una volta, si mangiano tutto con la loro commovente bravura pur avendo a disposizione tre scene in croce a testa. Perché Anne Hathaway è un'ottima Catwoman, aderente alla mitologia del personaggio in maniera discreta ed efficace (e col solito corredo di strizzatine d'occhio e citazioni), azzeccata e convincente nel ruolo, ottima da osservare quando si sdraia sulla moto. E perché Tom Hardy è fenomenale come al solito. Ha una presenza fisica devastante, furiosa, brutale, e finalmente vediamo qualcuno capace di tirarsi le pizze, fortissimo, con Batman. E il lavoro sulla voce, pure, è delizioso. Certo, l'effetto altoparlante che lo fa parlare a volume più alto di tutti (magari per limitarne l'incomprensibilità?) è un po' assurdo, ma il borbottio generato dalla maschera e l'accento assurdo lo rendono un personaggio storto e affascinante, nella sua brutale, inarrestabile ferocia. Ha anche un bel monologo a metà film e svariate battute parecchio ganze e in quasi tutte le sue apparizioni ruba la scena. Il primo scontro fra lui e Batman, crudo, brutale, violento, fra i pochissimi passaggi del film non accompagnati dalle musiche di Zimmer, è una roba che resta nel cuore. Certo, non ha quel fascino un po' Corvo del Joker di Heath Ledger, ma è anche un tipo diverso di personaggio e, a modo suo, è altrettanto riuscito. Così come il film. Anche se, è meglio ribadirlo, non ho per il precedente The Dark Knight la passione sfegatata che hanno in tanti, così come nemmeno il fastidio che esprime al riguardo chi ha amato alla follia Batman Begins. Inquadratemi anche in questo, quando dico che mi sembrano tutti e tre sullo stesso livello: belli, molto belli, ma tutti e tre con qualcosina che non me li fa piacere fino in fondo. Capita.

Il film l'ho visto qua a Monaco in lingua originale. Chiaramente i tanti ottimi attori non si meritano di essere doppiati, ma in questo caso c'è un elemento fondamentale in più: metà del fascino di Bane sta nel suo accento bizzarro, se gli levi quello diventa davvero un Masters of the Universe con qualche battuta ganza. E mantenerlo in italiano è impossibile. Sia chiaro che se questo post sembra un po' freddo e faticoso non è perché non mi è piaciuto il film. È che fa un caldo boia, mi mancano le forze e sono pure leggermente distratto dalle Olimpiadi. Quanto è fico seguire le Olimpiadi nell'era di Facebook e Twitter? Ai tempi di Pechino non me n'ero accorto, c'era la differenza di fuso, ero poco preso dai socialcosi. Questa è la prima volta ed è fantastico. Anche se un po' spossante.


"Bgrrgr mggre grre, ué, sfighé, cass@la, terun, cumenda, fabbrichetta, taaac!" "Mh?"




SPOILER DI LIVELLO PULCINELLA


Ovvero le robe che chiunque conosca anche solo vagamente i fumetti di Batman ha capito da mesi ma Nolan c'ha provato lo stesso a dissimulare e in fondo vai a sapere magari uno preferisce rimanere col dubbio.

Gordon-Levitt sta lì a fare Robin, lo si è capito la prima volta che l'abbiamo visto in un trailer, è evidente dopo dieci minuti di film. Non lo fa per tutto il film, ma il suo arco narrativo, che mescola e frulla elementi da tutti i vari Robin, serve proprio a generare quel personaggio là. Ed è molto ben gestito, oltre ad essere un altro personaggio che - dopo il cretino del secondo film e prima di praticamente chiunque altro in questo terzo - fa due più due, concedendosi anche il lusso di andare da Wayne a dirgli: "Oh, guarda che tu sei Batman" (altra cosa comunque prelevata da uno dei Robin fumettistici). Marion Cotillard è Talia al Ghul, l'avevamo capito benissimo, però il film comunque se la giostra provando a convincerti che non lo sia o che comunque sia una figlia molto meno stronza del padre. Sarebbe anche interessante, se il personaggio non fosse tirato via in una maniera imbarazzante. Roba che quasi rimpiangi il Venom di Spider-Man 3. Poi ha anche senso volercela infilare per chiudere la trilogia tornando a dove tutto era iniziato, però, bah.

Ah, fra i due o tre cicli fumettistici a cui ci si ispira, questa volta c'è, ovviamente, quello dell'esordio di Bane. Gli eventi sono gestiti in maniera molto diversa, ma c'è comunque l'evasione di massa dei criminali (simpatica l'apparizione di Crane, viene davvero da pensare che in un mondo migliore avrebbe fatto capolino da dietro un angolo anche Joker) e c'è lo spezza schiena, in quella sequenza di combattimento così cruda e riuscita. Peccato che questo apra le porte al più grosso MACCOSA del film, almeno per quanto mi riguarda, con Bruce Wayne che non solo si riprende da una schiena spezzata e da una gamba sciancata facendo le flessioni (e vabbé, ci sta anche, la catarsi, whatever), ma poi piglia e, armato di un fazzoletto, privo di soldi, privo di attrezzatura, privo di qualsiasi cosa, torna a Gotham da chissà dove ed entra come se niente fosse in una città sotto assedio militare e circondata da una massa di ghiaccio che se ci scorreggi sopra si frantuma. A me va bene tutto, ma questa cosa gestita così, all'improvviso, come se niente fosse, un po' m'ha straniato. Costava tanto far intuire con dieci secondi d'inquadratura come cacchio faccia?



SPOILER DI LIVELLO DEFCON 0

Insomma, il finale.

La presa per il culo definitiva di 'sto film è che non è un film su Batman, ma non tanto nel senso che Batman si vede poco, quanto nel senso che il Dark Knight del titolo è evidentemente Robin. Questa è tanto una storia sullo scontro fra Bane e Batman e sulla risoluzione della trilogia quanto un racconto delle origini di chi, nell'universo di Nolan, raccoglie il testimone di Bruce Wayne. Il finale, in questo, è didascalico e sottolineato con tanto di frecce al neon: Levitt sale sull'ascensore e spunta il titolo The Dark Knight Rises. Cosa che fra l'altro rende il titolo italiano ancora più ridicolo, puzzone e a cazzo di cane di quanto già non fosse in partenza. A margine di questo, non mi è chiaro come si possa parlare di finale un po' in stile Inception con Nolan che ti lascia dubbi su cosa sia successo. Se volesse lasciarti dubbi non farebbe scoprire a Lucius Fox che Wayne ha riparato il pilota automatico. Se la scena al baretto fosse un sogno di Alfred, come cacchio potrebbe Alfred sognarsi che Wayne si sta trombando la cameriera che ha rubato la collana della mamma? Dai, su.







SPAZIO BIANCO PER SEPARARE GLI SPOILER DA EVENTUALI COMMENTI SOTTO :D







 
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