Eastern Promises (USA, 2007)
di David Cronenberg
con Viggo Mortensen, Naomi Watts, Vincent Cassell, Armin Mueller-Stahl
Ecco, questo è il Cronenberg che piace a me. Questo, non quello. Il Cronenberg che oltre alla sua glaciale cura per l'immagine, oltre alla rozza semplicità e linearità di intreccio e personaggi, oltre alla sua lancinante e fredda eleganza, dentro al film ci sbatte il melodramma, estremo e forzato, romantico e straziante.
Eastern Promises racconta dell'infermiera Naomi Watts e dell'odissea in cui s'imbarca per salvare la figlia orfana di una vittima delle crudeltà mafiose. Parla delle motivazioni che spingono l'intraprendente "matricola" russa Viggo Mortensen ad interessarsi della bella infermierina e approfondisce il suo rapporto d'amicizia col figlio in carriera Vincent Cassell. Parla del destino di un anziano boss che preferisce fidarsi del nuovo arrivato piuttosto che del suo sciagurato figliolo. Racconta le più classiche storie da film di mafia, che per ampi tratti ricordano mille altri film, a cominciare, banalmente, da Il padrino.
Ma nel far questo mette in scena con crudele e tragico realismo l'agghiacciante realtà della mafia russa, le dinamiche di violenza e onore tramite cui si sviluppano i rapporti, il disastro a cui porta lo scontro culturale fra chi ne fa parte e gli "esterni". Eastern Promises è soprattutto questo, lo splendido e impietoso ritratto di un mondo sanguinario e spietato, l'intensa ricerca sulle motivazioni di personaggi tragici e intensi, lo spiazzante sfiorare passioni estreme e strabordanti nascoste sotto un velo di fredda indifferenza, tragicamente necessaria per sopravvivere.
E c'è poi anche altro, c'è un colpo di scena poco telefonato e molto convincente, ma trattato con una tranquillità e un "understatement" talmente placidi da evitare che si trasformi nella trovata a effetto. È solo un altro snodo narrativo, naturale e giusto. C'è una regia pazzesca, che regala almeno un paio di scene - l'iniziazione e la famigerata rissa nella sauna - bellissime e da ricordare. C'è un bel divertirsi con le lingue mescolando accenti, idiomi, espressioni (film indoppiabile, mi sa). C'è la capacità di sfiorare l'improbabile senza crollare nel ridicolo, dote un po' assente in History of Violence. C'è insomma un gran film.
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