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16.6.05

Il festival di Cannes a Milano


Complimenti agli organizzatori, che son riusciti per l'ennesima volta a fare in modo che anche per il più stakanovista fosse impossibile vedere tutto. Seguo 'ste rassegne da quasi dieci anni [si stava meglio quando si stava peggio] ed è sempre stato così, ormai ne ho preso atto, ma un conto è quando i film sono cinquanta ed è umanamente impossibile gestire la cosa. Se ne rimane fuori solo uno per una mezz'oretta, girano un po' le palle. Perlomeno stavolta sono stato costretto a tagliare solo un film, oltretutto quello del regista di O Fantasma (Venezia 2000), che a suo tempo mi fece vomitare. Chiedo gentilmente di farsi i cazzi suoi a chiunque stia per intervenire dicendo che ho fatto male perché Odete è un capolavoro.

In generale, mi sembra che la durata della cosa (e di riflesso la quantità di film) stia tendendo al ribasso. Tutto sommato se, come sembra, a finire scremate sono soprattutto le mattonate iraniane o pseudo tali, non mi lamento. Certo, a 'sto giro si son visti un po' troppi film già usciti nelle sale, ma d'altra parte era praticamente tutta roba che non avevo visto, quindi per me va bene così. Unica eccezione, Sin City, che ho visto un mese fa e non mi metterò certo a ricommentare qua, che tanto se ne è già parlato abbastanza.

A margine, sottolineo l'interessante idea di prestare fede al nome "Cannes e dintorni" proponendo anche i dintorni. Con la rassegna di Venezia da qualche anno risolvono infilandoci anche quella di Locarno, qui han fatto un po' un minestrone, proponendo La piccola Lola (che non so cosa c'entri), La samaritana (Orso d'argento per la miglior regia a Berlino l'anno scorso) e The Syrian Bride (premio del pubblico a Locarno 2004).

Penso si possa inoltre dire che la rassegna abbia bene o male rispecchiato le tendenze del festival "vero": molto Estremo Oriente e poca Francia (perlomeno rispetto a quello che ci si potrebbe attendere). Battutissima la Quinzaine des Realisateurs, meno bene coi film in concorso (otto su ventuno, ma perlomeno si son visti Palma d'oro, miglior regia e premio speciale della giuria, non succede sempre), quasi del tutto ignorata la sezione Un certain regard (giusto due film, uno dei quali comunque premiato) e un solo - ottimo - film fuori concorso. Si può fare di meglio, soprattutto "spiace" che siano rimasti fuori un po' di film che temo difficilmente saranno distribuiti in Italia (tipo quello di Johnnie To). Ma vabbè, son sempre 29 film a 29 Euro, non mi lamento.




Giovedì
CONCORSO
Quando sei nato non puoi più nasconderti
di Marco Tullio Giordana (Italia)
Mi aspettavo una cosa completamente diversa, un peana di un'ora e mezza sull'imparare che in fondo i poveracci degli altri popoli son bravi, anche se diversi, ma la loro cultura è bellissima. Con triste addio finale. Invece il periodo di convivenza forzata è tutto sommato brevissimo e il film parla quasi d'altro. In questo sono rimasto stupito, ma è più un problema di preconcetto mio, che una vera e propria dote del film. In ogni caso, pur da bigino di luoghi comuni sugli infidi immigrati (che poi i luoghi comuni un qualche fondo di verità ce l'hanno sempre), mi è sembrato un buon film, a suo modo "neutro", che racconta sostanzialmente un episodio e lo fa senza eccessivi poetismi o vittimismi. Ben lontano dalla bellissima prima metà de La meglio gioventù, ma per fortuna anche altrettanto lontano dall'impresentabile seconda metà.

QUINZAINE DES REALISATEURS
Tbilisi-Tbilisi
di Levan Zakareishvili (Georgia)
Un delirio inutile, su un regista rincretinito che osserva persone a caso per strada e ci costruisce sopra una sceneggiatura per il suo prossimo film. La realtà è a colori, la finzione è in bianco e nero, io dalla noia son diventato daltonico. Finale metacinematografico completamente a caso, al termine di una mattonata da un'ora e mezza in cui ogni minuto ne dura dieci.

CONCORSO
Shanghai Dreams
di Wang Ziaoshuai (Cina)
Premio della giuria
Tipica storiella di figlia adolescente frustrata da un padre che, accecato dal desiderio di farle avere una vita migliore della propria, le scassa gli zebedei senza tregua, frustrandole la nascitura vita sessuale. Il periodo è quello dei primi anni Ottanta e il film ci racconta di come molte famiglie cinesi "invitate" dal partito a trasferirsi in campagna vivevano il sogno di tornare in una Shanghai in colossale ripresa economica. Il tono oscilla fra il leggero dramma adolescenziale e la commedia (divertentissimi tutti i momenti dedicati ai ragazzini che vivono le mode del periodo in chiave cinese). Più ci si avvicina alla fine, però, più s'incupisce, con un finale da uscire col magone. Fra i migliori della rassegna.

CONCORSO
Don't Come Knocking
di Wim Wenders (Germania)
Esaltazione dello stile di vita Marlboro Country, realizzata con la stessa fotografia della relativa pubblicità da un tedesco che secondo me un po' rosica per non essere nato John Wayne. Wenders torna a scrivere con Sam Shepard e tira fuori un film che ci mostra quanto sia figo fare i cowboy alcolizzati, che sì, possono saltare fuori dei problemi, ma tanto alla fine bastano un paio di ammiccate per risolvere tutto, anche il conflittuale rapporto padre/figlio. E così pure il desiderio di paternità è soddisfatto. Immensamente meglio rispetto a quella colossale coglionata di La terra dell'abbondanza, grazie soprattutto alla sceneggiatura scrita a quattro mani (ma sono un po' deviato dal tema, senza dubbio nelle mie corde) e al cast azzeccatissimo. Tante belle facce intriganti, tutti bravi attori, tutti molto in parte. E di averli fatti rendere al meglio bisogna senza dubbio dare atto a Wenders. Certo, bisogna anche spiegargli che fare il giro del trullo con la macchina da presa per due ore di fila non è proprio una gran trovata di regia. Fra l'altro Wenders era presente in sala prima della proiezione e si è rivelato nettamente più simpatico dei suoi film.




Venerdì
QUINZAINE DES REALISATEURS
Factotum
di Bent Hamer (Germania/USA/Norvegia)
Film più o meno ispirato a Bukowski, di cui purtroppo ho letto poco o nulla. Non sono quindi in grado di fare confronti diretti con le opere citate dai titoli di testa, ma le atmosfere e i personaggi mi sembrano abbastanza aderenti a quel poco che ne so. Matt Dillon interpreta Henry Chinaski, un fancazzista che ciondola fra un lavoro e l'altro, facendosi continuamente licenziare, bevendo come un disperato e scrivendo racconti brevi nel (poco, eh... ) tempo libero. Ottimo Dillon, adorabile e con una voce da bronchite avanzata, gustoso un po' tutto il cast (Marisa Tomei e Lili Taylor le due amanti). Divertentissimo quando la butta sul ridere, fa anche un po' sbadigliare.

QUINZAINE DES REALISATEURS
Cache Cache
di Yves Caumon (Francia)
Una famigliola francese acquista una villa abbandonata in campagna e la ristruttura per stabilircisi nei periodi di ferie, ma il pezzente che la occupava (discendente dei precedenti proprietari) si nasconde nel pozzo e pianifica azioni di disturbo per cacciarli senza farsi scoprire. Ne viene fuori una sequela di equivoci e di gag più o meno fisiche e molto francesi. Filmetto leggero e senza pretese ma divertente, scorre tranquillo fino al finale aperto. Spettacolare la faccia del pezzente. Gli occhi, soprattutto.

La piccola Lola
di Bertrand Travernier (Francia)
"Importante" film dossier che racconta l'odissea di una coppia di francesi che, impossibilitati a cagar figli per la sterilità di lei, si giocano la carta dell'adozione internazionale. I due, dopo aver oltrepassato un primo inferno burocratico, vanno quindi in Cambogia a cercar fortuna e cozzano coi casini del luogo e con altre coppie di stronzi alla ricerca di un poppante. Due ore anche interessanti, ma condite dalla frustrazione di stare seguendo le avventure di due schizoidi insopportabili. Indifendibile lei, alla lunga fastidiosissimo anche lui, così come è irritante la traccia di sangue lasciata dall'accetta con cui sono stati tagliati tutti gli altri personaggi. Addirittura da orticaria i momenti in cui i due dementi francesi registrano su nastro messaggi che non sfigurerebbero nella posta di Cioè per farli ascoltare un giorno al futuro figlio. Peccato per la confezione, perché l'argomento era comunque interessante e infatti il film regge proprio per la curiosità di saperne di più.




Sabato
The Syrian Bride
di Eran Riklis (Francia/Germania/Israele)
Premio del pubblico al festival di Locarno 2004
Bella commedia agrodolce, mai pesante, misurata nei toni, con una gran cura per l'immagine, un cast azzeccato, almeno un paio di ottimi attori e senza troppi fastidiosi ammiccamenti da film impegnato festivaliero. Certo, nulla di nuovo: che al confine si parlassero col megafono s'era capito anni fa, i casini derivati da una burocrazia impazzita ce li avevano già spiegati Asterix & Obelix e la famigliola dei protagonisti è stereotipata ai limiti dell'irritante. C'è il babbo buono ma integerrimo, cè il figlio cazzone col macchinone, c'è il fratello quattrocchi rinnegato per motivi religiosi, c'è la donna ["bella ma non figa perchè di una bellezza particolare e bellissima" che è molto intensa e orgogliosa e intelligente e ha il marito che rompe le palle perché i vicini gli rompono l'anima ma lei comunque andrà all'università e comunque a nostra figlia non devi rompere i coglioni anche se fa petting con l'attivista]... c'è insomma tutto quello che ci deve essere, compreso il poliziotto cretino. Certo, invece che puntare al far vedere il degrado della società con un po' di disgrazie, le situazioni di crisi finiscono praticamente tutte a tarallucci e vino, ma non per questo son meno luoghi comuni. Comunque, intendiamoci, il film resta ottimo, funziona, è senza dubbio furbetto, ma tocca le corde giuste e sa divertire e commuovere proprio grazie al suo non schierarsi quasi mai apertamente verso l'uno o l'altro registro. Perde solo un po' il filo nel finale "fintamente" aperto: in realtà cosa succederà ci è stato detto chiaro e tondo, ma era troppo meglio fare la figata con l'immagine poetica della sposa che cammina verso il soldato e la donna orgogliosa che trattiene le lacrime marciando verso l'infinito.

FUORI CONCORSO
A bittersweet life
di Kim Jee-Won (Corea del Sud)
L'ormai immancabile film pseudo-poliziesco coreano, questa volta dai toni tutto sommato ben più pacati e "moderati" rispetto a quelli visti negli ultimi due/tre anni. L'esempio più attuale è chiaramente Old Boy (Cannes 2004), ma qui l'idea è diversa: meno esercizio di stile, più racconto. Non per questo mancano passaggi spettacolari e in generale il film rimane un piacere per gli occhi. Proprio la maggiore attenzione per i personaggi e la narrazione, con il solito gusto orientale per il melodramma, me lo fa preferire. C'è più misura, non solo nella regia, ma anche nel calcare i toni drammatici, quasi mai sopra le righe, nonostante l'assunto iper-romantico (la solita storia, va tutto a puttane per amore, in questo caso pure assolutamente non ricambiato). Anche stavolta, però, una sforbiciata non ci starebbe male, più che altro nella parte finale, un po' troppo tirata per le lunghe. E non a caso è proprio qui che si sbraca un po' sul melodramma, con quegli ultimi minuti che ho trovato davvero di troppo.

QUINZAINE DES REALISATEURS
The iron island
di Mohamad Rasoulof (Iran)
Il classico film iraniano da festival. Due palle come una casa. Interessante l'idea della vita sulla nave arrugginita, ma RuMiKa russava lo stesso.

QUINZAINE DES REALISATEURS
Travauz, on sait ca commence
di Brigitte Rouan (Francia)
Un po' Mary Poppins, un po' commediola francese, un po' musical, un po' velatissima denuncia sociale sulle solite menate di immigrati nell'oltralpe. Simpatica e autoironica Carol Bouquet, parecchie trovate divertenti, ma anche parecchi momenti di stanca. In generale, ho un po' in antipatia una certa commedia dell'assurdo alla francese e forse anche questo mi impedisce di gradire del tutto il film.




Domenica
QUINZAINE DES REALISATEURS
Sisters in Law
di Kim Longinotto e Florence Ayisi (Gran Bretagna)
Premio Art & Essai Cicae
Documentario girato in presa diretta sull'attività di un avvocato e un giudice (donne) impegnate a Cumba, un piccolo villaggio nel sud-ovest del Cameroon. I casi riguardano tutti maltrattamenti subiti da donne del paese: una bimba picchiata dalla zia, un'altra stuprata da un vicino e un po' di mogli che subiscono i rispettivi mariti. Il classico spaccato interessante sulla condizione delle donne. Bello, interessante per davvero, piacevole perché capace di mantenere un tono leggero nonostante i temi pesantucci. È importante il tono leggero. Specie quando si arriva al quarto giorno.

Ride the high country
di Sam Peckinpah (USA)
Non ho ben chiaro cosa c'entrasse (han fatto una retrospettiva di Peckinpah a Cannes?), ma è comunque solo ottimo aver visto questo bel western del '62. Sorvolando sulla colonna sonora che, vabbè, temo sia fra le prime cose a invecchiare in un film, il resto è tutto eccellente. Bel cast, regia molto evocativa, ma soprattutto sceneggiatura spumeggiante, che gioca sugli stereotipi, riesce a tenere un tono epico nonostante i chili di autoironia e ci presenta due splendidi cowboy vecchi, stanchi e impacciati. Adorabile.

UN CERTAIN REGARD
The Bow
di Kim Ki-Duk (Corea del Sud)
A cinque anni da Seom (Venezia 2000), Kim Ki-Duk torna a raccontare di gente che vive galleggiando sull'acqua, con una favoletta a tratti deliziosa su un vecchio pescatore che salva una bimba di sei anni e la tiene a vivere con lui sulla sua barca, allevandola e sognando di sposarla. Una fiaba che oscilla continuamente sul delicato confine fra poetico e ridicolo, anche e soprattutto a causa di una colonna sonora che temo risulti un po' troppo "esotica" alle orecchie occidentali. I chilometri son tanti e questo è uno dei casi in cui tendono a essere troppi.

QUINZAINE DES REALISATEURS
The Buried Forest
di Kohei Oguri (Giappone)
Il riassunto di tutti gli stereotipi e i luoghi comuni che si possano tirare fuori sul cinema giapponese. Macchina da presa ferma, primo piano, paesaggio, dialoghi degni di un haiku da De Crescenzo, situazioni prive di senso. Molto più interessante osservare le reazioni della Rumi al mio fianco: dopo cinque minuti scatta la dichiarazione: "io dormo". Da lì, un'escalation: al decimo si addormenta e le pende pericolosamente la testa verso il corridoio centrale, al quindicesimo si appoggia sulla mia spalla, al ventesimo si passa allo sguardo vitreo e alla bavetta alla bocca, al venticinquesimo mi ritrovo di fianco Sadako. Al trentesimo vedo uno scarafaggio uscirle dal naso e capisco che è il momento di andarcene.




Lunedì
CONCORSO
L'enfant
di Jeanne-Pierre e Luc Dardenne (Belgio/Francia)
Palma d'oro
Il solito film da festival europeo, una storia di piccoli/grandi drammi quotidiani, che si incentra nel caso specifico su un debosciato e sui vari modi in cui riesce a portare sempre più in miseria la vita sua e di chi gli sta attorno. Fotografia sciatta a tema col racconto, riprese da camera a spalla, totale assenza di spettacolarizzazione e di moraline facili. Le solite cose, comunque ben fatte, sostanzialmente il film che ti aspetti vinca la Palma d'oro. Mi lascia perplesso il finale, con quel rassicurante tentativo di dire "ma va, tranquilli, alla fine vince il bene".

QUINZAINE DES REALISATEURS
Geminis
di Albertina Carri (Argentina)
Un film talmente brutto da sembrare italiano.

QUINZAINE DES REALISATEURS
Crying Fist
di Ryoo Seung-Wan (Corea del Sud)
Premio Fipresci
Tae-Shik è un uomo sui quarant'anni abbondantemente preso a calci in faccia dalla vita. La sua attività commerciale è andata in fallimento per un incendio, la sua famiglia è allo sbando e lui si guadagna da vivere (ma più che altro paga i debiti) inscenando numeri da baraccone per strada. Unici motivi di attaccamento alla vita, il figlioletto adorato e la medaglia d'argento conquistata nel pugilato ai giochi asiatici del '90. Sand-Hwan è un teppistello che vive con il padre e la nonna e li fa andare di matto. Trascorre le giornate rubacchiando e, un giorno, fa il passo più lungo della gamba e si ritrova chiuso in riformatorio. I nostri eroi troveranno il riscatto nella boxe e affronteranno un torneo amatoriale catartico. Un po' Rocky, un po' Karate Kid, volendo anche un po' Ragazzo dal kimono d'oro, Crying Fist racconta, pare, una storia vera, infarcendola di tutti i crismi del film sportivo carico di retorica, solo realizzato alla coreana. Quindi la solita gran cura dell'immagine (davvero bello un piano sequenza sul ring verso la fine) e il solito disperato romanticismo. Bellino, però 'sti musi gialli davvero devono imparare a usarle, le forbici.

QUINZAINE DES REALISATEURS
La moustache
di Emanuel Carrère (Francia)
Il film si apre su Marc, il protagonista, che si taglia i baffi. A quanto pare li ha sempre portati e non vede l'ora di conoscere le reazioni altrui. Moglie e amici, però, non notano la novità, anzi, di fronte a domanda diretta sostengono che lui non abbia mai portato i baffi. La prima mezz'ora di film è divertentissima, fra lui che cerca di farsi notare e gli altri che non capiscono cosa ci sia che non va. Poi il tutto devia verso atmosfere in stile Lynch, abbandona i toni da commedia e racconta un affascinante crollo verso il delirio del protagonista. Un po' sconclusionato il finale, sembra quasi che lo sceneggiatore non sapesse come tirare le fila del discorso.




Martedì
CONCORSO
Last Days
di Gus Van Sant (USA)
Premio per il design sonoro o qualcosa del genere
Gli ultimi giorni di vita di un coglione che si è ridotto allo stato di larva umana. L'unico motivo per arrivare al termine della visione è rappresentato dal desiderio di vederlo finalmente morto.

CONCORSO
La battaglia nel cielo
di Carlos Reygadas (Francia/Messico/Belgio)
Un messicano obeso si fa fare un soffocone da una bionda coi capelli sporchi. Primi piani dell'atto. - TITOLO - Il messicano obeso si trova in un sottopassaggio, assieme alla moglie. Gestiscono una bancarella di oggettini vari e chiacchierano del più e del meno (la morte del figlio, per esempio) mentre in sottofondo si ascolta un fischio identico a quello della friggitrice di McDonald's. - STACCO - Il nostro amico messicano va all'areoporto a prendere la bionda vista in apertura. Se la vuole trombare. Felice per questo suo desiderio, mi metto a dormire. Mi sveglio mezz'ora dopo e vedo il nostro eroe nudo a letto al fianco di una sua simile. Mi alzo e me ne vado. Noto che ad altri 'sta roba è piaciuta molto, boh, forse ero stanco o non ero dell'umore adatto.

QUINZAINE DES REALISATEURS
Wolf Creek
di Greg McLean (Australia)
Ottimo horror crepuscolare sulla falsariga del Non aprite quella porta originale. Del film di Tobe Hooper riprende il "ricamare" su fatti/situazioni reali e il taglio a tratti quasi documentaristico, che però in quel caso era senza compromessi, mentre qui cede il passo a un certo strato di patina superficiale. Belle immagini, attori "adatti" e sceneggiatura solida, che una volta tanto non si limita a presentarci un cast talmente insopportabile da desiderare che venga squartato. Cruda e senza fronzoli la parte strettamente horror, priva di spettacolarizzazioni, ma con la sola fredda cronaca degli ammazzamenti. Una inquietante e sana boccata di aria fresca in una giornata altrimenti soffocante.

UN CERTAIN REGARD
Delwende
di S. Pierre Yameogo (Burkina Faso/Francia/Svizzera)
Premio della speranza
Un interessante spaccato sulla situazione della donna (questa cosa devo averla già scritta) in Africa. Interessante per scoprire usi e costumi, abitudini più o meno apprezzabili e situazioni sociali del Burkina Faso. Di sicuro è un importante film di denuncia. Però cinematograficamente siamo al livello dei filmini che facevo al liceo coi miei compagni di classe. Toh, questi usano il carrello e la gru.




Mercoledì
CONCORSO
Caché
di Michael Haneke (Francia/Asutria/Italia)
Premio per la miglior regia
Intrigante e inquietante, caratterizzato dai soliti tempi esasperanti di Haneke, ma appassionante per il soggetto e per il modo in cui viene sviluppato. Lascia molto di non detto (pare una costante del festival, assieme agli spaccati sulle donne :D), ma va bene così. Nel complesso, è forse l'Haneke che mi convince di più dai tempi di Funny Games.

QUINZAINE DES REALISATEURS
Guernsey
di Leopold Nanouk (Paesi Bassi)
Nei Paesi Bassi parlano come i personaggi di The Sims.

La Samaritana
di Kim Ki-Duk (Corea del Sud)
Orso d'argento per la miglior regia a Berlino 2004
Eccolo, Kim Ki-Duk ha fatto la fine di Kitano, si è messo a fare i film pensati e progettati per compiacere il pubblico e le giurie dei festival europei. La Samaritana sembra il tentativo del regista coreano di fare un film dei Dardenne: raccontino squallido, fotografia "spenta", esistenze piatte e sciatte. Il tutto è ovviamente filtrato dalla sua visione, con quegli improvvisi scatti di violenza e quell'uso "ripetitivo" della colonna sonora, ma l'autore che mi aveva fatto innamorare con il fulminante Address Unknown (Venezia 2001) mi sembra stia ormai andando alla deriva. Anzi, a dirla tutta, comincio a temere che quel film fosse un caso abbastanza isolato.

Room
di Kyle Henry (USA)
Un bigino su "come prendere un soggetto interessante e un'ottima attrice e mandare tutto in vacca grazie a una sceneggiatura inconcludente e a una regia stucchevole". L'ennesimo cretino che pensa di poter stracciare le gonadi degli indifesi spettatori solo perché ha messo le mani su una videocamera digitale. Dovete morire. Tutti.

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