RoboCop (USA, 2014)
di José Padilha
con Joel Kinnaman, Gary Oldman, Michael Keaton, Abbie Cornish, Jackie Earle Haley
Mi sono presentato in sala, mercoledì pomeriggio, per spararmi questo nuovo RoboCop, con il desiderio di provare a guardarlo con la testa sgombra, senza pregiudizi, sperando di trovare non tanto una copia carbone dell'originale, quanto un qualcosa che fosse in grado di attualizzarne e reinterpretarne i temi e gli spunti secondo una sensibilità differente. Che poi è quello che dovrebbe sempre fare un remake, per come la vedo io. Ho cercato di scrollarmi di dosso il pregiudizio e il timore che, nonostante fra le pieghe del trailer s'intravedessero gli spunti giusti, seppur nascosti dietro aspetti poco promettenti, sarebbe venuta fuori una roba inconsistente e senza direzione sullo stile del Total Recall di Len Wiseman. Il tutto, avendo ancora in mente quanto voglio bene all'originale di Verhoeven, davvero fra i miei dieci film della vita, e senza dimenticare i due malriusciti seguiti, dato che m'ero riguardato tutti e tre nei giorni precedenti. Mi sono presentato così, a cuore aperto e senza difese, provandoci. E com'è andata? È andata che dopo i primi venti minuti o giù di lì, diciamo fino a quando appare il titolo, non credevo ai miei occhi e pensavo "Oh, ma va a finire che questo film è una bomba?". È proseguita che poi sono tornato sul pianeta Terra e sono emersi alcuni problemi, ma sempre nel contesto di un film che ho trovato molto riuscito. È finita che sono uscito dal cinema soddisfatto, tirando un sospiro di sollievo per il proiettile schivato.
Non ho scritto subito questo post, l'ho dovuto lasciar riposare un po' nello stomaco. Ne ho chiacchierato brevemente, a voce e di qua e di là su Facebook. Nel frattempo, inevitabilmente, ho visto spuntare le recensioni in giro per la rete, nella sostanza spaccate su due fronti: chi l'ha apprezzato, qualcuno anche con forza, pur non osando ritenerlo paragonabile all'originale, e chi l'ha odiato. Eh, beh, c'è poco da fare, io sto nel primo gruppo. Leggo le recensioni positive e mi sembra stiano parlando del film che ho visto io. Leggo le recensioni negative e mi sembra stiano parlando del pregiudizio, di ciò che temevo di ritrovarmi davanti al cinema e invece non ho visto. Alla fine è pure normale, sono opinioni, ma tant'è: per me, questo è un buon remake e un buon film, intelligente, che commette i suoi errori ma perlomeno non ha paura di provarci, di dire e fare qualcosa, senza limitarsi al compitino leccato e privo d'anima. Il RoboCop di Paul Verhoeven rimane un qualcosa di incredibile, unico, intoccabile, un frullato stilistico senza tempo cui non è mai stato possibile dare seguito e al quale, di fondo, non ha senso confrontarsi. Il RoboCop di José Padilha è un film che ha la saggezza di non provare a scimmiottare quell'approccio così particolare e che forse solo Verhoeven è davvero in grado di far funzionare, però recupera i temi, i concetti, le idee originali e prova ad attualizzarli, rielaborarli, condurli attraverso strade diverse e riproporli filtrati da una visione differente, senza per questo rifiutarsi di omaggiare in diversi modi il capostipite.
È un film meraviglioso? No. È un buon film? Sì. Ha dei problemi? Sì, decisamente sì. È un remake dignitoso e non offensivo, che anzi ha qualcosa di diverso da dire sugli stessi argomenti? Oh, che ci posso fare, secondo me sì, ma proprio senza il minimo dubbio. Ce n'era bisogno? Ma che domanda idiota, dai. E comunque sì, ce n'era bisogno, vuoi perché oggi questi temi sono attuali più che mai, vuoi perché in fondo c'è sempre bisogno di film che provano a muoversi fra le costrizioni della Hollywood odierna per dire e fare qualcosa d'interessante. Poi, certo, è facile odiarlo. Ed è facile presentarsi al cinema disposti ad accettare quel che verrà proiettato solo se per sbaglio il proiezionista dovesse infilare nel proiettore il film del 1987. Perché poi il fatto è anche un po' quello: se stai cercando un film del livello incredibile di quello là, se speri di ritrovare la violenza di un film rated R del 1987 in un film PG-13 del 2014, se sei disposto ad accettare solo e unicamente il tono, la personalità e l'approccio schizoide di Verhoeven, beh, sì, è probabile che questo RoboCop ti faccia cacare sangue. Però, dai, ammettilo: un po' te la cerchi, se vai a vederlo con quelle pretese in testa. Questo significa che chi non ha amato o ha odiato il nuovo RoboCop non capisce nulla e si basa solo sui pregiudizi? Ma no, figuriamoci, ci mancherebbe altro. Però, ecco, se i problemi sono quelli, abbiate pazienza, e grazie al...
L'apertura del nuovo RoboCop è strepitosa. Dai, almeno questo concedetemelo, voi che l'avete odiato e siete lì a leggermi mentre mi date dell'idiota non capente rosicchiando la scrivania. È strepitosa per efficacia nella messa in scena, per capacità di rielaborare spunti e temi del film originale in una maniera nuova e per le idee con cui va ad omaggiare ciò a cui tutti vogliamo tanto bene. La Omnicorp/OCP viene proposta con una prospettiva ribaltata: mentre nel film originale puntava a privatizzare la polizia come prova generale per poi fare il vero botto privatizzando l'esercito, qui ha già preso il controllo della guerra in giro per il mondo e punta invece a far definitivamente cassa mettendo le mani sulle forze dell'ordine americane, che però le vengono negate dall'opinione pubblica. I robot, evoluzioni senza cuori dei droni attuali che vengono spedite a distribuire democrazia in giro per il pianeta, hanno quasi completamente sostituito il fattore umano nell'esercito. E tutto questo viene spiegato da Samuel L. Jackson, conduttore pro-robotizzazione di un talk show che sembra uscito per direttissima da Fox News, apre il film e tornerà poi un paio di volte.
Da lì si passa a una dimostrazione di quanto bene stiano portando i robot nelle zone "delicate" del pianeta, in una visione neanche troppo distorta di quel che l'America è già oggi. In questi primi minuti c'è tutto il buono del nuovo RoboCop che racconta di fatto le stesse cose secondo uno stile diverso, fa satira senza però buttarla sulla parodia spinta e cercando di infilare le risate fra le crepe di un tono serio, drammatico e convinto. Non ci sono le meravigliose pubblicità di Verhoeven e non c'è il telegiornale così sopra le righe, ma c'è un punto d'incontro fra realtà e finzione che ha dell'agghiacciante. La TV - e, di riflesso, la società - raccontata da Verhoeven era una splendida e assurda parodia, di quel che era già realtà e che oggi, nel mondo reale, ha raggiunto e superato i livelli della sua presa per il culo. Il programma televisivo di Samuel L. Jackson farebbe altrettanto ridere, se non fosse che è perfettamente credibile, così come lo sono i suoi argomenti e quel che viene mostrato a Teheran. E tutto questo si chiude col tema di Basil Poledouris utilizzato per lanciare il titolo del film e allo stesso tempo fare da sigla al talk show, recuperando per un attimo quello spirito dissacrante che qui si rivelerà non essere di casa ma che omaggia il tono dell'originale. E io, lo ammetto, a questo punto ero colto dai brividi e quasi non ci credevo. Purtroppo o per fortuna, poi il film cala, eppure rimane buono per molti motivi, soprattutto perché è un film che tende a sfruttare simili punti di partenza per andare poi a farsi gli affari suoi.
Lo si vede, per esempio, nell'approccio differente al melodramma attorno a cui ruota il racconto, al modo in cui la ricerca dell'umanità perduta da parte di Murphy va a mescolarsi all'allucinante comportamento delle grosse corporazioni. Ventisette anni fa, RoboCop (ri)nasceva privo di umanità, per poi riscoprirla piano piano dentro se stesso e cercare inutilmente d'inseguire il ricordo di quanto aveva perso. Oggi, la sua prima esperienza di resurrezione è quella di un uomo pienamente cosciente e infilato dentro una lattina. È sconvolto, chiede di essere ucciso, fugge e nel farlo ci mostra una panoramica su una fabbrica cinese in cui tanti piccoli operai, messi in fila come robottini, hanno assemblato questo nuovo RoboCop. Alla fine la nuova OmniCorp è una versione distorta (quanto? Boh?) della Apple, il presidente Michael Keaton non è un cattivo macchietta, ma una specie di squallido Steve Jobs che prova a trasformare in prodotto e vendere la sua visione del mondo. Tutte le azioni dei cattivi viaggiano su questi binari e recuperano quindi il concetto dell'uomo trasformato in oggetto da modellare e vendere, trattato come se fosse un action figure, di cui disporre a piacere.
Alex Murphy diventa una parodia d'essere umano, una creatura grottesca composta da una faccia, un po' di cervello e qualche organo interno. E una mano, perché il punto non è realmente creare un poliziotto efficiente, ma mettere in piedi una manovra pubblicitaria che possa invertire la marea e permettere di scardinare la legge per conquistare il mercato. Robocop non è un poliziotto, è un prodotto OCP, una copertina affascinante che parla di tecnologia al servizio dell'anima umana, che mette un volto sopra alle azioni di un robot e dia l'impressione che dentro al prodotto ci sia un cuore. Per questo, dove Miguel Ferrer strappava il braccio superstite di Peter Weller, con l'idea di vendere al pubblico degli anni Ottanta l'arma suprema, Michael Keaton conserva la mano destra di Joel Kinnamon e le fa utilizzare un taser, perché nel 2014 deve vendere il suo prodotto a una generazione cui non interessa la forza brutale, ma l'eleganza slick, il tocco umano o sedicente tale. E quindi quest'uomo fatto a pezzetti, composto da brandelli d'umanità che gli vengono brutalmente strappati di dosso davanti allo specchio, in una scena perfetta nel descrivere la sua grottesca assurdità, diventa un concentrato di balle da marketing dentro e fuori. Addirittura, durante il combattimento, si trasforma in macchina in tutto e per tutto, agisce interamente guidato dal calcolatore, che però gli trasmette la sensazione di essere in controllo, col risultato di prendere per i fondelli la legge, l'opinione pubblica e Murphy stesso, il prodotto messo in vendita. E se poi ci si rende conto che la scintilla d'umanità rimasta in quella lattina ambulante crea problemi di funzionamento, per l'eccessivo flusso emotivo, poco male: si elimina anche quella, perché bisogna rispettare la scadenza e mandare il prodotto nei negozi, anche se non funzionante. Al limite poi ci s'inventa una patch e poco male se avevamo promesso e continuiamo a pubblicizzare qualcosa che non c'entra nulla con ciò che abbiamo costruito. In pratica è l'equivalente cibernetico delle balle sugli ingredienti contenuti nei prodotti alimentari da supermercato o delle finte demo in stile Aliens: Colonial Marines.
Il film di Padilha è soprattutto un film politico, interessato a parlare dell'attività americana all'estero, dell'utilizzo che viene fatto dei droni in guerra e, magari, presto, nella vita di tutti i giorni. Ma allo stesso tempo recupera, spostando l'obiettivo sul 2014, le riflessioni sulla mercificazione e il rincretinimento mediatico figlio della cultura televisiva. E in tutto questo rispolvera e amplia il melodramma di una figura che si vede strappare la propria umanità, in maniera ancora più sistematica e pilotata rispetto a quella di Verhoeven. Qui abbiamo un RoboCop che nasce per essere umano e cui poi questa umanità viene scientemente strappata, pezzo per pezzo, in nome del business. Quel che ne segue è di fondo lo stesso viaggio verso la riconquista di quel che è andato perso, certo qui trattato in maniera più leziosa, anche se in fondo meno insistente di quanto temessi e con, proprio qui, un timido ritorno degli spunti di ridicolizzazione del personaggio, creatura robotica che guarda al proprio figlio come a un oggetto di studio da incasellare in una serie di valori, compilando un file excel virtuale che ne definisca il livello di trauma e tristezza per la morte del padre.
E poi c'è ovviamente anche il film di genere più tradizionale, quello in cui Padilha sfoga la sua passione per le sparatorie sporche e confuse, particolarmente azzeccata quella al buio, e si gioca poi nel finale l'incontro con gli ED-209 alla sede Omnicorp. In questo viene fuori il RoboCop moderno e atletico, capace di correre e saltare, lontano dall'impacciata bara originale, ma che in fondo conserva anche in questa sua nuova agilità delle movenze meccaniche, assurde, da robottino delle Duracell, e non sconfina comunque nell'azione frenetica e fintamente spettacolare. Di fondo, il conflitto finale non è concettualmente poi tanto dissimile da quel confronto a due di tanti anni fa. Vero, non sconfina nel ridicolo volontario di Verhoeven, anche se comunque omaggia la caduta dalle scale, ma vede un RoboCop impegnato a cavarsela come capita e fondamentalmente a scappare seppellito di proiettili e missili, senza poter reagire più di tanto. Ecco, sotto questo punto di vista, a mancare sono i cattivi carismatici e sopra le righe, i personaggi da odiare visceralmente e che ti fanno esultare quando prendono i missili in faccia. Certo, nel confronto diretto con quel cast assurdamente accattivante del 1987, il nuovo RoboCop ne esce con le ossa rotte, specie poi se vogliamo confrontare l'anonimo Antoine Vallon con Clarence Boddicker, ma anche qui il punto è cercare una direzione diversa, senza veri e propri cattivoni-macchietta, con antagonisti che sono solo le mille facce senza volto della viscida burocrazia, a popolare un mondo in cui non si salva nessuno. Alex Murphy, oggi, non affronta cattivissimi adorabilmente insopportabili, ma una marea di nullità immerse nella zona grigia, capitanate da un dirigente d'azienda subdolo manipolatore. E in quel mucchio, anche il personaggio di Gary Oldman, sostanzialmente inquadrato come positivo e unico munito di coscienza, comunque fa cose indecenti appena si ritrova col cadreghino a rischio.
Insomma, RoboCop (2013) non è, non è in grado di essere e - fondamentale - non vuole essere RoboCop (1987), ma è un film in cui c'è comunque tanto. Poi non è tutto inquadrato al meglio, la satira è di grana grossa (ma, ehi, non è che Verhoeven ci andasse proprio coi guanti di velluto), alcune cose sono fuori posto, certe trovate stonano, il ritmo è altalenante, ogni tanto il melodramma si fa stucchevole, l'agente Lewis che da donna forte diventa l'amico di colore è un po' un triste segno dei tempi, i neanche pochi omaggi all'originale si dividono fra quelli molto azzeccati e altri abbastanza forzati, ma è un buon film e un remake dignitoso. Specie, poi, se si tiene conto delle premesse: perché fare nella Hollywood del 2014 un remake PG-13 di un film rated R del 1987, per di più di un film che aveva la personalità schizoide di Verhoeven, non è che sia impresa banale.
L'ho visto l'altro giorno, qua a Parigi, al cinema, in lingua originale. Mi sono guardato tutti i titoli di coda fino in fondo perché volevo sentire un'ultima (?) volta al cinema quel tema lì, seppur riarrangiato, e sapevo che sarebbe arrivato. Ho detto la mia, ora crocifiggetemi pure in sala mensa.
di José Padilha
con Joel Kinnaman, Gary Oldman, Michael Keaton, Abbie Cornish, Jackie Earle Haley
Mi sono presentato in sala, mercoledì pomeriggio, per spararmi questo nuovo RoboCop, con il desiderio di provare a guardarlo con la testa sgombra, senza pregiudizi, sperando di trovare non tanto una copia carbone dell'originale, quanto un qualcosa che fosse in grado di attualizzarne e reinterpretarne i temi e gli spunti secondo una sensibilità differente. Che poi è quello che dovrebbe sempre fare un remake, per come la vedo io. Ho cercato di scrollarmi di dosso il pregiudizio e il timore che, nonostante fra le pieghe del trailer s'intravedessero gli spunti giusti, seppur nascosti dietro aspetti poco promettenti, sarebbe venuta fuori una roba inconsistente e senza direzione sullo stile del Total Recall di Len Wiseman. Il tutto, avendo ancora in mente quanto voglio bene all'originale di Verhoeven, davvero fra i miei dieci film della vita, e senza dimenticare i due malriusciti seguiti, dato che m'ero riguardato tutti e tre nei giorni precedenti. Mi sono presentato così, a cuore aperto e senza difese, provandoci. E com'è andata? È andata che dopo i primi venti minuti o giù di lì, diciamo fino a quando appare il titolo, non credevo ai miei occhi e pensavo "Oh, ma va a finire che questo film è una bomba?". È proseguita che poi sono tornato sul pianeta Terra e sono emersi alcuni problemi, ma sempre nel contesto di un film che ho trovato molto riuscito. È finita che sono uscito dal cinema soddisfatto, tirando un sospiro di sollievo per il proiettile schivato.
Non ho scritto subito questo post, l'ho dovuto lasciar riposare un po' nello stomaco. Ne ho chiacchierato brevemente, a voce e di qua e di là su Facebook. Nel frattempo, inevitabilmente, ho visto spuntare le recensioni in giro per la rete, nella sostanza spaccate su due fronti: chi l'ha apprezzato, qualcuno anche con forza, pur non osando ritenerlo paragonabile all'originale, e chi l'ha odiato. Eh, beh, c'è poco da fare, io sto nel primo gruppo. Leggo le recensioni positive e mi sembra stiano parlando del film che ho visto io. Leggo le recensioni negative e mi sembra stiano parlando del pregiudizio, di ciò che temevo di ritrovarmi davanti al cinema e invece non ho visto. Alla fine è pure normale, sono opinioni, ma tant'è: per me, questo è un buon remake e un buon film, intelligente, che commette i suoi errori ma perlomeno non ha paura di provarci, di dire e fare qualcosa, senza limitarsi al compitino leccato e privo d'anima. Il RoboCop di Paul Verhoeven rimane un qualcosa di incredibile, unico, intoccabile, un frullato stilistico senza tempo cui non è mai stato possibile dare seguito e al quale, di fondo, non ha senso confrontarsi. Il RoboCop di José Padilha è un film che ha la saggezza di non provare a scimmiottare quell'approccio così particolare e che forse solo Verhoeven è davvero in grado di far funzionare, però recupera i temi, i concetti, le idee originali e prova ad attualizzarli, rielaborarli, condurli attraverso strade diverse e riproporli filtrati da una visione differente, senza per questo rifiutarsi di omaggiare in diversi modi il capostipite.
È un film meraviglioso? No. È un buon film? Sì. Ha dei problemi? Sì, decisamente sì. È un remake dignitoso e non offensivo, che anzi ha qualcosa di diverso da dire sugli stessi argomenti? Oh, che ci posso fare, secondo me sì, ma proprio senza il minimo dubbio. Ce n'era bisogno? Ma che domanda idiota, dai. E comunque sì, ce n'era bisogno, vuoi perché oggi questi temi sono attuali più che mai, vuoi perché in fondo c'è sempre bisogno di film che provano a muoversi fra le costrizioni della Hollywood odierna per dire e fare qualcosa d'interessante. Poi, certo, è facile odiarlo. Ed è facile presentarsi al cinema disposti ad accettare quel che verrà proiettato solo se per sbaglio il proiezionista dovesse infilare nel proiettore il film del 1987. Perché poi il fatto è anche un po' quello: se stai cercando un film del livello incredibile di quello là, se speri di ritrovare la violenza di un film rated R del 1987 in un film PG-13 del 2014, se sei disposto ad accettare solo e unicamente il tono, la personalità e l'approccio schizoide di Verhoeven, beh, sì, è probabile che questo RoboCop ti faccia cacare sangue. Però, dai, ammettilo: un po' te la cerchi, se vai a vederlo con quelle pretese in testa. Questo significa che chi non ha amato o ha odiato il nuovo RoboCop non capisce nulla e si basa solo sui pregiudizi? Ma no, figuriamoci, ci mancherebbe altro. Però, ecco, se i problemi sono quelli, abbiate pazienza, e grazie al...
L'apertura del nuovo RoboCop è strepitosa. Dai, almeno questo concedetemelo, voi che l'avete odiato e siete lì a leggermi mentre mi date dell'idiota non capente rosicchiando la scrivania. È strepitosa per efficacia nella messa in scena, per capacità di rielaborare spunti e temi del film originale in una maniera nuova e per le idee con cui va ad omaggiare ciò a cui tutti vogliamo tanto bene. La Omnicorp/OCP viene proposta con una prospettiva ribaltata: mentre nel film originale puntava a privatizzare la polizia come prova generale per poi fare il vero botto privatizzando l'esercito, qui ha già preso il controllo della guerra in giro per il mondo e punta invece a far definitivamente cassa mettendo le mani sulle forze dell'ordine americane, che però le vengono negate dall'opinione pubblica. I robot, evoluzioni senza cuori dei droni attuali che vengono spedite a distribuire democrazia in giro per il pianeta, hanno quasi completamente sostituito il fattore umano nell'esercito. E tutto questo viene spiegato da Samuel L. Jackson, conduttore pro-robotizzazione di un talk show che sembra uscito per direttissima da Fox News, apre il film e tornerà poi un paio di volte.
Da lì si passa a una dimostrazione di quanto bene stiano portando i robot nelle zone "delicate" del pianeta, in una visione neanche troppo distorta di quel che l'America è già oggi. In questi primi minuti c'è tutto il buono del nuovo RoboCop che racconta di fatto le stesse cose secondo uno stile diverso, fa satira senza però buttarla sulla parodia spinta e cercando di infilare le risate fra le crepe di un tono serio, drammatico e convinto. Non ci sono le meravigliose pubblicità di Verhoeven e non c'è il telegiornale così sopra le righe, ma c'è un punto d'incontro fra realtà e finzione che ha dell'agghiacciante. La TV - e, di riflesso, la società - raccontata da Verhoeven era una splendida e assurda parodia, di quel che era già realtà e che oggi, nel mondo reale, ha raggiunto e superato i livelli della sua presa per il culo. Il programma televisivo di Samuel L. Jackson farebbe altrettanto ridere, se non fosse che è perfettamente credibile, così come lo sono i suoi argomenti e quel che viene mostrato a Teheran. E tutto questo si chiude col tema di Basil Poledouris utilizzato per lanciare il titolo del film e allo stesso tempo fare da sigla al talk show, recuperando per un attimo quello spirito dissacrante che qui si rivelerà non essere di casa ma che omaggia il tono dell'originale. E io, lo ammetto, a questo punto ero colto dai brividi e quasi non ci credevo. Purtroppo o per fortuna, poi il film cala, eppure rimane buono per molti motivi, soprattutto perché è un film che tende a sfruttare simili punti di partenza per andare poi a farsi gli affari suoi.
Lo si vede, per esempio, nell'approccio differente al melodramma attorno a cui ruota il racconto, al modo in cui la ricerca dell'umanità perduta da parte di Murphy va a mescolarsi all'allucinante comportamento delle grosse corporazioni. Ventisette anni fa, RoboCop (ri)nasceva privo di umanità, per poi riscoprirla piano piano dentro se stesso e cercare inutilmente d'inseguire il ricordo di quanto aveva perso. Oggi, la sua prima esperienza di resurrezione è quella di un uomo pienamente cosciente e infilato dentro una lattina. È sconvolto, chiede di essere ucciso, fugge e nel farlo ci mostra una panoramica su una fabbrica cinese in cui tanti piccoli operai, messi in fila come robottini, hanno assemblato questo nuovo RoboCop. Alla fine la nuova OmniCorp è una versione distorta (quanto? Boh?) della Apple, il presidente Michael Keaton non è un cattivo macchietta, ma una specie di squallido Steve Jobs che prova a trasformare in prodotto e vendere la sua visione del mondo. Tutte le azioni dei cattivi viaggiano su questi binari e recuperano quindi il concetto dell'uomo trasformato in oggetto da modellare e vendere, trattato come se fosse un action figure, di cui disporre a piacere.
Alex Murphy diventa una parodia d'essere umano, una creatura grottesca composta da una faccia, un po' di cervello e qualche organo interno. E una mano, perché il punto non è realmente creare un poliziotto efficiente, ma mettere in piedi una manovra pubblicitaria che possa invertire la marea e permettere di scardinare la legge per conquistare il mercato. Robocop non è un poliziotto, è un prodotto OCP, una copertina affascinante che parla di tecnologia al servizio dell'anima umana, che mette un volto sopra alle azioni di un robot e dia l'impressione che dentro al prodotto ci sia un cuore. Per questo, dove Miguel Ferrer strappava il braccio superstite di Peter Weller, con l'idea di vendere al pubblico degli anni Ottanta l'arma suprema, Michael Keaton conserva la mano destra di Joel Kinnamon e le fa utilizzare un taser, perché nel 2014 deve vendere il suo prodotto a una generazione cui non interessa la forza brutale, ma l'eleganza slick, il tocco umano o sedicente tale. E quindi quest'uomo fatto a pezzetti, composto da brandelli d'umanità che gli vengono brutalmente strappati di dosso davanti allo specchio, in una scena perfetta nel descrivere la sua grottesca assurdità, diventa un concentrato di balle da marketing dentro e fuori. Addirittura, durante il combattimento, si trasforma in macchina in tutto e per tutto, agisce interamente guidato dal calcolatore, che però gli trasmette la sensazione di essere in controllo, col risultato di prendere per i fondelli la legge, l'opinione pubblica e Murphy stesso, il prodotto messo in vendita. E se poi ci si rende conto che la scintilla d'umanità rimasta in quella lattina ambulante crea problemi di funzionamento, per l'eccessivo flusso emotivo, poco male: si elimina anche quella, perché bisogna rispettare la scadenza e mandare il prodotto nei negozi, anche se non funzionante. Al limite poi ci s'inventa una patch e poco male se avevamo promesso e continuiamo a pubblicizzare qualcosa che non c'entra nulla con ciò che abbiamo costruito. In pratica è l'equivalente cibernetico delle balle sugli ingredienti contenuti nei prodotti alimentari da supermercato o delle finte demo in stile Aliens: Colonial Marines.
RoboCop. © 2028 OCP, OmniCorp
Il film di Padilha è soprattutto un film politico, interessato a parlare dell'attività americana all'estero, dell'utilizzo che viene fatto dei droni in guerra e, magari, presto, nella vita di tutti i giorni. Ma allo stesso tempo recupera, spostando l'obiettivo sul 2014, le riflessioni sulla mercificazione e il rincretinimento mediatico figlio della cultura televisiva. E in tutto questo rispolvera e amplia il melodramma di una figura che si vede strappare la propria umanità, in maniera ancora più sistematica e pilotata rispetto a quella di Verhoeven. Qui abbiamo un RoboCop che nasce per essere umano e cui poi questa umanità viene scientemente strappata, pezzo per pezzo, in nome del business. Quel che ne segue è di fondo lo stesso viaggio verso la riconquista di quel che è andato perso, certo qui trattato in maniera più leziosa, anche se in fondo meno insistente di quanto temessi e con, proprio qui, un timido ritorno degli spunti di ridicolizzazione del personaggio, creatura robotica che guarda al proprio figlio come a un oggetto di studio da incasellare in una serie di valori, compilando un file excel virtuale che ne definisca il livello di trauma e tristezza per la morte del padre.
E poi c'è ovviamente anche il film di genere più tradizionale, quello in cui Padilha sfoga la sua passione per le sparatorie sporche e confuse, particolarmente azzeccata quella al buio, e si gioca poi nel finale l'incontro con gli ED-209 alla sede Omnicorp. In questo viene fuori il RoboCop moderno e atletico, capace di correre e saltare, lontano dall'impacciata bara originale, ma che in fondo conserva anche in questa sua nuova agilità delle movenze meccaniche, assurde, da robottino delle Duracell, e non sconfina comunque nell'azione frenetica e fintamente spettacolare. Di fondo, il conflitto finale non è concettualmente poi tanto dissimile da quel confronto a due di tanti anni fa. Vero, non sconfina nel ridicolo volontario di Verhoeven, anche se comunque omaggia la caduta dalle scale, ma vede un RoboCop impegnato a cavarsela come capita e fondamentalmente a scappare seppellito di proiettili e missili, senza poter reagire più di tanto. Ecco, sotto questo punto di vista, a mancare sono i cattivi carismatici e sopra le righe, i personaggi da odiare visceralmente e che ti fanno esultare quando prendono i missili in faccia. Certo, nel confronto diretto con quel cast assurdamente accattivante del 1987, il nuovo RoboCop ne esce con le ossa rotte, specie poi se vogliamo confrontare l'anonimo Antoine Vallon con Clarence Boddicker, ma anche qui il punto è cercare una direzione diversa, senza veri e propri cattivoni-macchietta, con antagonisti che sono solo le mille facce senza volto della viscida burocrazia, a popolare un mondo in cui non si salva nessuno. Alex Murphy, oggi, non affronta cattivissimi adorabilmente insopportabili, ma una marea di nullità immerse nella zona grigia, capitanate da un dirigente d'azienda subdolo manipolatore. E in quel mucchio, anche il personaggio di Gary Oldman, sostanzialmente inquadrato come positivo e unico munito di coscienza, comunque fa cose indecenti appena si ritrova col cadreghino a rischio.
Insomma, RoboCop (2013) non è, non è in grado di essere e - fondamentale - non vuole essere RoboCop (1987), ma è un film in cui c'è comunque tanto. Poi non è tutto inquadrato al meglio, la satira è di grana grossa (ma, ehi, non è che Verhoeven ci andasse proprio coi guanti di velluto), alcune cose sono fuori posto, certe trovate stonano, il ritmo è altalenante, ogni tanto il melodramma si fa stucchevole, l'agente Lewis che da donna forte diventa l'amico di colore è un po' un triste segno dei tempi, i neanche pochi omaggi all'originale si dividono fra quelli molto azzeccati e altri abbastanza forzati, ma è un buon film e un remake dignitoso. Specie, poi, se si tiene conto delle premesse: perché fare nella Hollywood del 2014 un remake PG-13 di un film rated R del 1987, per di più di un film che aveva la personalità schizoide di Verhoeven, non è che sia impresa banale.
L'ho visto l'altro giorno, qua a Parigi, al cinema, in lingua originale. Mi sono guardato tutti i titoli di coda fino in fondo perché volevo sentire un'ultima (?) volta al cinema quel tema lì, seppur riarrangiato, e sapevo che sarebbe arrivato. Ho detto la mia, ora crocifiggetemi pure in sala mensa.
18 commenti:
Non l'ho ancora visto ma gli darò una chance nel fine settimana, nel frattempo mi fa piacere leggere un'opinione neutra.
Ho letto un paio di recensioni scritte da gente evidentemente entrata in sala già con l'intenzione di smontare il film. Peggio ancora i commenti dei seguaci della sacra scuola del "macchemmerda" preventivo.
Personalmente mi siedo in poltrona a mente sgombra e devo dire che è un atteggiamente che paga, perchè a volte mi capitano delle belle sorprese.
A volte eh, perchè capita pure Carrie. Ma almeno poi quando ne parlo (male) so di cosa sto parlando.
Curiosità scema: ma la mano nuda è giustificata solo con la storia del taser? Mi dà incredibilmente fastidio, sembra abbia dimenticato un pezzo di armatura sul comodino.
No, la mano nuda non è per il taser, è proprio una questione di marketing: questo RoboCop, oltre che un prodotto, è una mossa pubblicitaria, vogliono usarlo per convincere la gente che i robot nelle forze di polizia vanno bene e cambiare quindi la legge. Di conseguenza hanno bisogno di lasciargli dei tratti umani che gli permettano di fare breccia nel cuore del pubblico.
Per questo ha la maschera retraibile che mostra il volto, ha la mano umana che gli permette di fare cose da umano (tipo stringere la mano, avendo quindi un contatto fisico con le persone) e gli lasciano "attiva" la coscienza, almeno inizialmente.
Per quanto riguarda il resto, oh, alla fine ci può tranquillamente stare pure che non piaccia e che non sia per forza questione di pregiudizi: sono opinioni. :)
Certo, se non ti è piaciuto ci sta, ci mancherebbe.
Non dico che tutte le recensioni negative siano minate da preconcetti, è che ogni tanto mi capita di leggere tra le righe un leggero senso di "te l'avevo detto" che mi porta a pensare che ci sia stato un approccio negativo di base. Soprattutto se a corredo trovo puntualizzazioni su aspetti decisamente insignificanti del film come il colore dell'armatura, per dirne una. :)
Ma fra l'altro secondo me il colore e il design dell'armatura sono idee azzeccate a livello tematico, c'è proprio la scena in cui a Michael Keaton vengono proposti la colorazione e perfino il design originali e lui li rifiuta perché sta cercando di creare un buon prodotto di marketing, con tanto di bollino OCP sul petto. :)
Sul discorso della mano umana, non hai trovato curioso che, nell'unica scena in cui la mano la porge per ringraziare "il trainer" (lo stronzo con la barba), gli porge l'altra, quella robotica?? L'hai notato? Che minchiata!
Vabbé Murphy qui è mancino (nell'originale non ricordo), però cacchio, allora fagli umana la sinistra!
Secondo me non è casuale, è un altro segno del fatto che chi ha lavorato su di lui se n'è sbattuto alla grande della persona e delle sue esigenze, pensava solo al prodotto. "Serve una mano per stringerla alla gente, facciamogliela destra e fine."
Film visto ieri sera, con l'impazienza di un fan-consuma-VHS dell'originale.
Devo dire che sono sopreso da quanto la tua recensione combaci alla perfezione con quello che il film ha detto, in bene e in male, anche a me.
Un film con vari difetti, alcuni punti deboli, ma molte più cose azzeccate e positive.
Tanto da riuscire, a sprazzi, ad essere persino migliore (o forse è meglio dire, erede e risolutivo?) del lavoro di Verhoeven. Sopratutto nel delineare e mettere a nudo il terrore e la vertigine del venire trasformato da essere umano a cervello attaccato ad una macchina.
Manuel
ho visto che scrivi gli stessi articoli per ign, fai bene a farti pagare sei troppo bravo.
inferiore ai primi due,(di poco del 2) ma 1000 vollte meglio del terzo. Il regista è stato bravo a mettere qualche scena schifida(quando lo smontano) nel pg13. Grande keaton peccato che passa metà del suo tempo a fare commedie.
ps anche in lingua originale la parola robocop non viene mai usata?
@Anonimo:
Secondo me è superiore al secondo, ma insomma, opinioni. Mi fa comunque piacere vedere di non essere l'unico che l'ha apprezzato, anche perché so che a volte tendo ad aggrapparmi ai lati positivi dei film che prendo in simpatia e a sopravvalutarli un po'. :)
Sulla faccenda della parola robocop, non ci avevo fatto caso ma, ora che mi ci fai pensare, non ricordo in effetti di averla sentita. E alla fine ci sta, rientra nel discorso dello stare facendo una manovra pubblicitaria basata sull'uomo dentro la macchina.
@Max:
Intanto grazie. :)
Detto questo, conta che io di IGN Italia sono socio (di minoranza, peccarità) e che comunque prendo uno stipendio fisso mensile. Insomma, aver messo anche lì i miei post non mi genera conseguenze "monetarie" immediate. Poi, vai a sapere, se attirano milioni di clic, sulla distanza, magari, sì. :D
In sostanza, ho iniziato a pubblicare i post a reti unificate perché (1) mi è stato chiesto più volte, ci ho pensato e alla fine chemmefrega, OK, e (2) di base, significa che la maggior parte di quel che scrivo qua dentro finisce anche di là, cosa che comunque mi aiuta a gestire l'impegno su entrambi i fronti.
In più, col senno di poi, mi sono reso conto che il gruppo di chi mi legge qui e quello di chi mi legge lì non si intersecano poi così tanto - tant'è che tu hai notato questa cosa con mesi di ritardo - e quindi alla fine c'è più gente che mi legge e più gente con cui chiacchierare di quel che scrivo.
Insomma, win-win. :)
Riguardo la mano, oltre alle osservazioni già poste, io personalmente ci ho visto una specie di "disclaimer". Mi spiego... una delle scene forse più forti del vecchio Robocop, che personalmente mi rimase impressa a fuoco da ragazzino, è quando fanno saltare via la mano al povero Murphy. Ecco, mi sembra quasi che la mano "umana" sia un messaggio subliminale di avvertimento, quasi a dire "NON sono QUEL Robocop, NON ROMPETE!". Ma forse mi faccio troppe pippe mentali... comunque, giusto come attestato di stima, sappi che dopo aver letto la recensione dei 400Calci sono corso qua per sentire l'altra campana e mi hai un po' rincuorato ;)
Secondo me il riferimento della mano all'originale è ancora più netto, proprio nel distinguere che tipo di "prodotto" è Robocop: nell'originale, mentre lo stanno assemblando, c'è un dialogo fra i tecnici e l'inventore, osservato da Murphy, in cui dicono che sono riusciti a salvargli un braccio e Miguel Ferrer "ma che ce frega, ha firmato la liberatoria, via, via tutto, via il braccio!"
Qua, invece, proprio la decisione opposta, conservare la mano. :)
Per il resto: oh, alla fine sono opinioni, magari a te farà cacare. :D
Ciao Andrea, è un botto di tempo che non bazzico dalle tue parti, ma oggi l'ho fatto anche per leggere questa recensione che condivido in toto. Anzi, è talmente diversa da chi ha attaccato il film (senza neanche porsi più domande del "ma non è come l'originale") maldestramente a farmela apprezzare di più.
Detto questo, io appartendo alla soglia della metà...ho apprezzato il film, ma con riserva. Si vedono decisamente troppi alti e bassi. Si tratta di un film secondo me molto castrato...sopratutto nella violenza che è vero che troppa stona, ma poca e fatta male, stona comunque. Avrei preferito un film più cupo o moderatamente meno leccato, in verità. Eppure anche io come te, sono uscito dalla sala abbastanza soddisfatto.
PS: Secondo me il vero problema del film è che dietro non c'è il solito cattivo con cui bene o male, lo spettatore si confronta. Perchè poi ci sarebbe anche un buco di nulla dai 45 minuti del film fino all'ora e un quarto. Probabilmente una città più violenta e scene in cui Robocop agisce contro questa violenza, sarebbero state più efficaci per il film e poi il cattivo vero, stronzo subdolo, quello è una grave pecca.
Può essere, ma il problema è che per quel che il film vuole raccontare e il tono che vuole avere, il cattivo "vero" avrebbe stonato. Tutti i personaggi negativi sono, di fondo, persone normali che fanno il loro lavoro e hanno idee discutibili ("lavoro" nel caso del criminale, chiaramente :D).
Si, probabilmente hai ragione, ma male forse non avrebbe fatto.
Oppure, far diventare un filo più "pesante" la cancellazione dell'eroe...in quella scena, pare che stanno decidendo che patatine mangiare. Diciamo che a livello di attori, potevano scegliere persone migliori nei ruoli principali. A parte Oldman che mi sembra ci credesse davvero nel personaggio che interpreta.
Eh, ma vedi, siamo sempre lì: il punto è che davvero stanno decidendo che patatine mangiare. O, meglio, stanno decidendo cosa fare di un prodotto, di un oggetto che devono utilizzare per scopi commerciali. Non è un uomo.
(Poi questo non significa per forza che il film funzioni, eh, però il senso è quello)
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