E così ci siamo, il nove luglio. Oggi si assegna la diciottesima Coppa del Mondo. L'Italia ha la possibilità di conquistare il suo quarto trofeo, staccando la Germania e piazzandosi al secondo posto, sotto solamente ai cinque del Brasile. La Francia, invece, ha l'opportunità di vincere il suo secondo campionato mondiale, abbandonando la sola Inghilterra nel club "Ve lo siete dovuto organizzare voi" ed entrando in quello "Due volte", in cui già si trovano Uruguay e Argentina.
E questa vigilia della finale, io, la sto vivendo in maniera un po' strana. Certo, spero che l'Italia vinca, un po' perché i francesi non si sopportano, un po' perché, lo ripeto, questa nazionale mi ha conquistato. Per la prima volta dal 1998, ho ritrovato la simpatia per gli azzurri calcistici, che nella versione Zoff mi lasciavano indifferente e in quella Trapattoni ho sanguinariamente odiato. Però non ho addosso quella tensione, quel ribaltamento intestinale, quell'agonia che ti segnano a morte quando aspetti una finale della squadra per cui tifi.
Penso per esempio a quella splendida stagione 2000/2001 dei Philadelphia 76ers, seguita tutto l'anno con le lacrime agli occhi per la gioia. Quella emozionante corsa nei play-off, quella gara sette contro i Raptors "agonizzata" via web con il cuore in gola, quella gara sette contro i Bucks vista in diretta notturna col panico addosso, quella travolgente esplosione di gioia per la vittoria in gara uno coi Lakers e quella immensa tristezza, accompagnata però anche da tanto orgoglio, per le successive sconfitte.
Oppure, anche, l'annata 2004/2005 dei Philadelphia Eagles. Tutta la stagione seguita con gioia e trasporto sempre crescenti. Quei giorni di morte nel cuore, di depressione totale e insostenibile, dopo che Terrel Owens si era fatto male in quella inutile partita contro i maledetti Cowboys. Il trasporto e lo stupore nel seguire la cavalcata nei play-off. La reale agonia nell'attesa del superbowl, il panico crescente, l'esplosione di gioia per il vantaggio iniziale, l'ammosciamento sulla rimonta subita, la depressione dei giorni successivi alla sconfitta.
E ovviamente, per tornare in tema Azzurri, il torneo olimpico di basket del 2004. Già, perché, nella mia schizofrenia, è solo all'italia calcistica, che non riesco ad appassionarmi. Nel seguire qualsiasi altra disciplina sportiva, invece, ho il tricolore tatuato in fronte. E quando mi sono ritrovato ad Atene a seguire dal vivo le semifinali e le finali di quel torneo, beh, è stata un'emozione unica. Unica, perché vabbé, neanche serve dirlo, essere alle Olimpiadi è già devastante di suo. Ma micidiale perché davanti al miracolo compiuto dagli Azzurri in semifinale con la Lituania ho tifato, sofferto, gioito, agonizzato, provato panico e terrore, subbugli intestinali ed esplosioni di gioia vera. E tremenda è stata quella finale persa con l'Argentina il giorno dopo, quando ero completamente senza voce, per le corde vocali massacrate dalle urla. E incredibile è stata la gioia e l'orgoglio, nel vedere quella gente sul secondo gradino di un podio olimpico. Che poi, vabbé, un podio olimpico, vederlo dal vivo è comunque una cosa incredibile.
E oggi? Eh, oggi, questa cosa, non ce l'ho. La aspetto, la finale, ho voglia di vederla e ho voglia di gioire vedendo vincere l'Italia. Ma ho come l'impressione che, anche oggi, non riuscirò a tifare per davvero. Me ne sono reso conto guardando la semifinale. Sul gol di Grosso, beh, mi sono commosso, a vedere quell'esultanza tenerissima. Ed ero contento. Ma non ho avuto quell'esplosione totale di gioia, che mi ha invece travolto da parte di tutti quelli che mi stavano attorno e mi sono saltati addosso. E durante tutta la partita, col risultato in bilico, coi due pali, con le occasioni, mi sono emozionato, certo, ma non ho provato quell'incredibile tensione. Insomma, stavo guardando una semifinale di Coppa del Mondo, ci mancherebbe che non fossi emozionato, però...
E allora, stasera, che faccio? Boh, la partita la guardo e spero vinca l'Italia. Spero anche di ritrovarmi a tifare per davvero, perché dai, alla fine è una figata. In fondo, quanta gente ha scoperto la passione per il calcio con la vittoria del 1982? Io la passione per il calcio ce l'ho già. Mi manca quella per la nazionale di calcio. Questa splendida nazionale, con il suo gruppo incredibile e i suoi dieci marcatori diversi, con quelle facce commoventi, con Pessottino nel letto d'ospedale, con Bergomi che urla "ANDIAMO A BERLINO!!!", mi ha fatto quasi innamorare.
Quasi. Manca ancora qualcosa. Qualcosa che, stasera, mi faccia urlare per davvero. E allora forza, ragazzi.
Scriptnotes, Episode 665: What Can You Even Do?, Transcript
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The original post for this episode can be found here. John August: Hello
and welcome. My name is John August. Craig Mazin: Well. My name is Craig
Mazin. Jo...
3 ore fa
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