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25.6.15

Contagious: Epidemia mortale


Maggie (USA, 2015)
di Henry Hobson
con Arnold Schwarzenegger, Abigail Breslin, Joely Richardson

Uno legge un titolo come Contagious, per di più accompagnato da un sottotitolo come Epidemia mortale, vede sul manifesto Schwarzy con la faccia tutta preoccupata che guarda verso sinistra, dove probabilmente c'è qualcosa di sinistro (magari un'orda di zombi), e, beh, si preoccupa. Anche se sa che con Arnie in campo, male che vada, saltiamo tutti sull'elicottero e via. E invece. E invece Maggie, questo il titolo originale del film d'esordio di Henry Robson, è una totale deviazione dal percorso con cui il Governator ha deciso di rilanciarsi al cinema dopo la sua carriera politica. In mezzo a una lunga serie di film d'azione d'ogni foggia, fra gli omaggi al passato, le citazioni dal passato, i recuperi dal passato, la qualunque dal passato, ecco che ti salta fuori la svolta drammatica, il film di zombi che in realtà ha dentro molto poco horror e parecchio dramma. E in cui Arnold tira fuori una signora prova d'attore. Pensa te.

La storia racconta di un mondo che cerca di rimettersi in piedi dopo un'epidemia di necrovirus. La causa del contagio è stata individuata, la diffusione comincia ad essere contenuta, ma non si trovano cure per gli infetti. L'unica soluzione? Quarantena e soppressione. In questo contesto, Arnie interpreta il ruolo di un padre alle prese con una figlia adolescente (Abigail Breslin) fresca di contagio, con quindi la prospettiva di trascorrere le prossime due settimane in attesa dell'inevitabile. A far loro compagnia c'è la seconda moglie di Arnie, interpretata da una Joely Richardson che ripropone i suoi classici momenti da lacrima tremolante che gli appassionati di Nip/Tuck conoscono fin troppo bene. E il film, sostanzialmente, è tutto qui: non ci sono particolari momenti horror, non c'è azione, c'è solo la lancinante tragedia di un padre messo di fronte alla morte inevitabile della propria figlia.

Hobson qua e là si lascia prendere un po' troppo la mano nella ricerca dell'immagine poetica e della grande allegoria, ma dà al film un taglio da drammone indie che funziona e valorizza le buone prove degli attori. Abigail Breslin fa ottimamente il suo, ma la rivelazione è uno Schwarzenegger intenso, concentratissimo e soprattutto impotente come di rado l'abbiamo visto. Spalle basse, movimenti impacciati, tristezza costante... Hobson ce lo racconta come un uomo distrutto, sempre in difficoltà quando alle prese con la violenza, incapace di reagire e affrontare la situazione. E alla struttura fondamentalmente da classico dramma su una giovane condannata dalla malattia si aggiunge un ulteriore strato dettato dalla natura assurda del contagio, dal pericolo devastante che i malati rappresentano per chi sta loro attorno, dalla crudeltà degli unici modi in cui è possibile affrontare la questione. Insomma, Maggie non è un film perfetto, ma è un tentativo riuscito, toccante e intenso di affrontare in maniera diversa dal solito una fra le correnti più abusate dell'horror contemporaneo, parlando fondamentalmente di malattia, rassegnazione, accettazione.

L'ho visto al cinema, qua a Parigi, qualche settimana fa, ma in Italia esce oggi. Quanto sarebbe diversa, la concezione che abbiamo di Arnold Schwarzenegger, se i suoi doppiatori italiani avessero provato a replicarne l'accento? Vai a sapere.

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