Anna Karenina (GB, 2012)
di Joe Wright
con Keira Knightley, Aaron Taylor-Johnson, Jude Law
Da ormai un bel po' di anni, sembra che per portare al cinema un classico della letteratura sia necessario attualizzarlo a tutti i costi, riadattarlo all'era moderna, trasformarlo in una storia di ghetto e guerra fra bande, renderlo insomma appetibile al gusto d'oggidì. E magari infilarci dentro un po' di sano musical, così, per rendere il tutto ancora più estroso e bizzarro. In fondo, questa cosa neanche mi dispiace particolarmente, senza contare che è di moda adesso, ma certo non nasce oggi, ché West Side Story è un film di cinquant'anni fa. Ecco, l'Anna Karenina di Joe Wright non attualizza o modernizza, anzi, ma si distacca comunque di prepotenza da quegli adattamenti classici e rigorosi che tanto piacevano negli anni Ottanta e nei primi Novanta. Lo fa tramite una messa in scena ben riassunta dal poster qua sopra, che piazza eventi e personaggi sul palcoscenico e si diletta in una lunga serie di virtuosismi registici che a tratti, davvero, lascia a bocca aperta. E del resto Wright il talento ce l'ha e l'ha sempre messo in mostra. Pure troppo.
La storia, per quanto magari riassunta e un po' riarrangiata nell'importanza e nella profondità dei vari personaggi, è bene o male quella originale, ma il modo in cui viene raccontata è bizzarro e affascinante. I personaggi sono "veri", inconsapevoli della propria natura di, appunto, personaggi, ma recitano su un palco, ne scendono e ne escono. La vita aristocratica occupa il palcoscenico, mentre i pezzenti, i poveracci e le anime perse stazionano al di sopra o dietro le quinte. E quando i personaggi vanno a teatro, si trovano seduti fra gli spettatori, a osservare la loro vita rappresentata sul palco. Questo spunto diventa il motore dell'intero film, rappresentato con un susseguirsi di splendide trovate visive, fra porte che si aprono e mettono in comunicazione il teatro con l'aperta campagna, modellini di treni che percorrono la steppa, impiegati che timbrano a ritmo di musica e mille altre diavolerie e coreografie. Uno spettacolo, davvero.
A pagarne, però, è il racconto, che appare un po' distante, non riesce a farsi strada fra le maglie della rappresentazione e a raggiungere uno spettatore distratto dalle lucine colorate. D'altra parte, in questo, pesa anche la sceneggiatura di Tom Stoppard, ben scritta come suo solito, ma che sembra essa stessa volersi un po' far da parte, in termini di approfondimento dei personaggi, per lasciare spazio alla maestosità della messa in scena. E così, invece di seguire un racconto potente e ricco di contenuti, ci si trova ad ammirare una serie di figurine monodimensionali che si agitano all'interno di uno splendido libro pop-up. Splendido, ma un po' vuoto, forse.
Fra l'altro, io il libro non lo sfioro dai tempi della scuola, ma dalla regia mi dicono che il racconto perde molto in ricchezza, soprattutto nella figura di Levin, che nonostante la sua apparente natura di comprimario, dovrebbe emergere come personaggio focale. E nel film ce la fa solo fino a un certo punto. Ah, l'ho visto qua a Monaco, in lingua originale, che merita perché c'ha tutto il suo bel parlare british e Jude Law è sempre un attore meraviglioso. In Italia il film arriva a fine febbraio, ovviamente. Ci mancherebbe altro.
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