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19.12.14

Lo Hobbit - La battaglia delle Cinque Armate


The Hobbit: The Battle of the Five Armies (USA, 2014)
di Peter Jackson
con Martin Freeman, Richard Armitage, Luke Evans, Evangeline Lilly, Ian McKellen, Lee Pace, Orlando Bloom

L'altro giorno leggevo un'intervista a James Cameron, in cui chiacchierava di tutta 'sta faccenda dei 48 fotogrammi al secondo, del fatto che fondamentalmente si sta sperimentando, che ci sono diverse teorie e idee al riguardo, di come è normale che un'innovazione sulle prime incontri perplessità e che del resto un tempo i film si guardavano a 15 fotogrammi al secondo ma adesso non ci sogneremmo mai di farlo e bla bla bla. Un aspetto interessante della chiacchierata verteva sul fatto che lui sta valutando di puntare su un approccio un po' diverso da quello di Peter Jackson (che ha girato i suoi tre Hobbit interamente a 48 FPS, anche se poi sono stati distribuiti in doppia copia, disponibili anche coi tradizionali 24) e sta pensando, per i nuovi Avatar, di alternare le due vie: 48 fotogrammi (o quel che sarà) nei momenti in cui ritiene di averne bisogno, per esempio sulle panoramiche ampie, nelle scene particolarmente dense sul piano degli effetti visivi, e 24 fotogrammi altrove.

Il discorso, del resto, è che i 48 fotogrammi al secondo permettono una pulizia, una profondità e una qualità dell'immagine incredibili, con la scomparsa (o, insomma, la profonda riduzione) di tutta una serie di imperfezioni, soprattutto relative al movimento, la comprensione, la leggibilità delle immagini (ma anche dei difetti delle stesse, va detto). E alla fine è proprio a questo che fa riferimento Cameron, al desiderio di realizzare determinate cose che, di fatto, con i sistemi di proiezione tradizionali non ha neanche senso mettere a schermo, perché semplicemente vanno perse. È una cosa nettamente percepibile, ancora di più nel contesto delle proiezioni 3D, che aggiungono tutta una serie di difetti, fra scie, problemi di fuoco, immagini sdoppiate, del tutto assenti con la proiezione HFR. E ancora, è anche una questione di comfort. Uno stile registico come quello di Peter Jackson è faticoso per l'occhio, ancora di più con addosso quei malefici occhialetti. Me ne sono reso particolarmente conto l'anno scorso, quando ho deciso di andarmi a guardare La desolazione di Smaug all'Imax, dove veniva proiettato a 24 fotogrammi al secondo. E la scorsa settimana, quando mi sono visto La battaglia delle cinque armate in HFR, ho invece confermato le impressioni che mi erano rimaste addosso due anni fa dopo la visione di Un viaggio inaspettato. E infatti, ci pensavo l'altro giorno, non mi stupisce per niente che in Oculus VR parlino di 90 FPS (o, meglio ancora, 120) come obiettivo fondamentale per un funzionamento confortevole e adeguato della realtà virtuale.

Poi, certo, il "problema" di base è che si tratta di un modo di guardare film completamente nuovo, a cui non siamo abituati e che, oltretutto, leghiamo inconsciamente alla televisione, ai filmini amatoriali, ai videogiochi, a tutti quei contesti, insomma, per i quali è normale avere un numero di fotogrammi per secondo superiore. La conseguenza è che, a un primo impatto, paradossalmente (o forse no), qualcosa che in teoria è più vicino alla realtà finisce per dare una sensazione di più finto. E ovviamente la percezione varia da persona a persona: c'è chi l'ha odiato e basta, c'è chi l'ha adorato, c'è chi neanche ci fa caso. Personalmente, mi ci abituo nel giro di una mezz'oretta e da lì in poi non ci faccio più caso e mi godo anzi solo i lati positivi della cosa, che sono tanti. Anche per questo, sono abbastanza convinto che se, per dire, da domani tutti i film venissero proiettati a 48 FPS, nel giro di tre settimane saremmo abituati e non ci faremmo più caso. Ma d'altra parte questa cosa non accadrà e, per il momento, sembra che l'HFR, almeno per un po', rimarrà una cosa con cui pasticciano e sperimentano i malati di tecnologia come Cameron e Jackson. Chissà.

A questo punto, comprensibilmente, chiunque abbia avuto la pazienza di leggersi 'sto sproloquio si starà chiedendo come mai, invece di parlare del film, abbia speso oltre tremila e seicento caratteri per chiacchierare di tecnologia, oltretutto sostenendo cose che, nella sostanza, si potevano dire (e, in effetti, avevo detto) due anni fa. Eh. Il fatto è che, quando si parla dei film di Peter Jackson ispirati a Tolkien, mi ritrovo sempre davanti gente secondo cui il film è bello o brutto perché gli elfi sono così, i nani dovrebbero fare questo, il nonno dello zio del fratello di Aragorn in realtà forgiava la spada nel fosso di Bim Bum Bam, non c'è questo ma hanno aggiunto quell'altro e l'appendice raccontava che in realtà un goblin non si comporterebbe così, varie ed eventuali. Tutte cose interessanti, se vogliamo, ma che fatico a comprendere in che modo possano convincermi che un film sia bello o brutto. È un problema mio, ci mancherebbe, ma appunto: già che c'ero, ho deciso di uniformarmi alla cosa e parlare d'altro. Tipo, per dire, del fatto che, dopo essermi guardato Fargo, è veramente impossibile guardare Lo hobbit allo stesso modo. Ti aspetti dall'inizio alla fine che Bilbo ammazzi Gandalf a martellate, dia la colpa a Frodo e scappi fra le nevi. Non me la conti giusta, nano schifoso.



OK, ma il film? Eh, è il terzo film della trilogia che ci stiamo guardando da un paio d'anni. Chi l'ha odiata dall'inizio difficilmente cambierà idea, così come chi l'ha amata. Quelli che stanno nel mezzo, vai a sapere, immagino dipenda da cosa uno si aspetta, spera o vorrebbe. Ma fondamentalmente siamo sempre da quelle parti e, pur con qualche elemento un po' più spinto e qualche altro aspetto un po' più asciugato, La battaglia delle cinque armate, ovviamente, è un film che prende e porta a conclusione il lavoro di rielaborazione, aggiunta, cucitura e adattamento svolto fino a qui. Si apre tutto riprendendo il cliffhanger del secondo capitolo, che effettivamente trova una concretizzazione riuscitissima, per una prima, notevole, ventina di minuti, durante i quali viene dato spazio al confronto fra Bard e Smaug. Da lì in poi, Peter Jackson lavora per portare a compimento quanto fatto, dando spazio ai collegamenti con l'altra trilogia, chiudendo gli archi narrativi e mettendo poi in scena un'ora e mezza di strepitosa battaglia.

Sul fronte del riallacciarsi al passato/futuro, al di là dell'accenno un po' impacciato a Viggo Mortensen che non c'aveva voglia nei minuti finali, ci sono alcune trovate molto belle. La liberazione di Gandalf, fra tutti i momenti di questa trilogia che tirano di gomito a quell'altra, è forse la più riuscita. O magari non lo è e semplicemente sono di parte io che sudo tutto di fronte a Cate Blanchett che fa la voce grossa, but still. E alla fin fine ho apprezzato molto anche quell'ultimissimo momento del film, che chiude così bene quasi quindici anni di Tolkien al cinema. Per il resto, ci sono un paio di questioni collaterali che lasciano il tempo che trovano, con particolare menzione al trionfo del superfluo pasticciato che è l'Alfrid di Ryan Gage, ma sostanzialmente, dal punto di vista narrativo, il film si concentra su un'ora e mezza di mazzate senza fine sui due archi narrativi che, presumibilmente, dovrebbero iniettare un po' di coinvolgimento emotivo nella lunga battaglia finale.

Da un lato c'è il triangolo fra Bilbo, Thorin e la pietra luminosa delle patatine, dall'altro quello fra Tauriel, Legolas e Kili. Entrambe le faccende si sviluppano su binari abbastanza prevedibili, per quanto, via, il modo in cui tutto va a concludersi, seppur ovvio per chi conosce l'opera originale, non è esattamente scontato in un blockbuster casinista dei giorni nostri. Ma, per quanto semplici e anche smaccate nel ricorrere al melodramma, entrambe le storie funzionano, danno un senso alla battaglia che non sia solo quello dei virtuosismi registici ed effettistici e riescono nell'impresa di far battere un cuoricino palpitante nel petto del film. In questo aiuta probabilmente anche la definitiva svolta verso un tono cupo, con poco spazio ai siparietti umoristici e con le classiche caratterizzazioni da macchietta che Jackson riserva a nani e altri messe un po' in disparte, seppur comunque presenti. Insomma, funziona, anche se siamo ben lontani dalla forza della conclusione di La compagnia dell'anello. Ma d'altra parte, se lo chiedete a me, tutti i film successivi a quello ne vanno ben lontani, quindi non è esattamente una novità.

In ogni caso, al di là di tutto, piaccia o meno il melodramma, si trovino eccessive o meno le concessioni all'umorismo, freghi o meno qualcosa di Tauriel che frigna, la saga tolkeniana di Peter Jackson si conclude con un'ora e mezza di battaglia fuori dalla grazia di Dio. Un'ora e mezza. Praticamente, La battaglia delle cinque armate è il Transformers 3 di Peter Jackson, anche se qua non ci sono palazzi che si accartocciano. E, a scanso di equivoci, a casa mia questo è un complimento. Novanta, pazzeschi minuti a quarantotto fotogrammi al secondo in cui Jackson coordina cinque eserciti buttandoli uno contro l'altro, per poi ovviamente stringere il campo sui confronti chiave, mettendo in scena una chiarezza, una gestione dei tempi e degli spazi e un senso dello spettacolo, del ritmo e del drammone con pochi eguali. Poi, certo, rispetto ai confronti con Gollum e Smaug è un gran finale meno originale e fuori dagli schemi, ma è comunque un macello raccontato da un regista con una sua visione e non l'ennesima New York che esplode tutta al termine di un film di supereroi. C'è una bella diffferenza.

In tutto questo, rimane il fatto che Evangeline Lilly conciata così non si può guardare.

6 commenti:

con "un'ora e mezza fuori dalla grazia di Dio" mi hai messo addosso ancora più Hype, non credevo fosse possibile. Insallah vado domani.

(e cmq anche questo film è roba da mercatino natalizio dell'hipster, #sallo)

La miseria, pure questo è hipster? Non c'è più rifugio manco nelle megaproduzioni?

No. :)

Ormai il leitmotiv di questo natale è "giopep scrive sull'internet=riba da hipster". XD

Comunque io vado oggi, mi sono sistemato la barba e la camicia di flanella a scacchi è stirata.

" al di là dell'accenno un po' impacciato a Viggo Mortensen che non c'aveva voglia nei minuti finali," il fatto è che all'epoca Aragorn c'aveva solo 10 (o 27 secondo il calcolo degli anni nelle trasposizioni cinematografiche) anni, quindi meglio così!

La battaglia è stata fantastica, così come Jackson sa fare.
I difetti principali che ho scontrato: colonna sonora anonima e riciclata, ma soprattutto finale brutalmente incompleto (hanno chiuso solo la storyline di Bilbo e di Legolas, non dando una degna conclusione ai Nani, all'incoronazione di Dain, e agli uomini che si stabiliranno nuovamente a Dale). Insomma il tempo in 3 film da 2 ore e mezza lo avevano.
(S)fortunatamente verrà tutto riaggiunto nell'Edizione estesa. :)

Ma quanto è stata figa tutta la sequenza di Smaug, con quelle inquadrature? Purtroppo l'ho visto in 3D normale :(

Visto in 3D e devo dire che la sequenza di Smaug era riuscitissima!
Poi in generale il film mi è piaciuto, alcune scene non so perché mi hanno dato l'impressione di essere più "anonime" rispetto alla media dei film tolkieniani, ma si tratta di poca roba. Come hai detto tu, ci sono tante mazzate, ma sono ben fatte e non danno fastidio. Dal titolo in cui lo paragonavi a Transformers 3 (film che mi ha fatto uno schifo raro, lo dico chiaramente) mi aspettavo una recensione che lo stroncasse, e invece hai detto più o meno quello che penso io.

@Dario
Sì, non mi è chiarissimo come funzioni l'età di Aragorn, che nei libri non è proprio umano e quindi forse era un pochino più in là con gli anni. Sta di fatto che glie l'hanno proposto, lui ha risposto "Ma siete scemi" e quindi a posto così. :D

Per il resto, non so, a me la parte finale è piaciuta molto, la preferisco per dire rispetto alla sbrodolata del Ritorno del re. Ma insomma, gusti. :)

@James
Capiamoci, Transformers 3, nel complesso, fa abbastanza cacare pure a me, come scrittura ecc... il punto, però, è che quei quaranta minuti finali sono qualcosa di pazzesco e, a modo loro, di personalissimo e "autoriale". E il mio riferimento era più che altro a quello.

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