Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...

12.2.12

Todd Howard a D.I.C.E. 2012



Dunque, nei giorni scorsi si è tenuto a Las Vegas il - copio e incollo da Wikipedia - D.I.C.E. (Design, Innovate, Communicate, Entertain) Summit, evento annuale pieno di gente importante del videogioco che si parla addosso. Gamespot ha "trasmesso" buona parte delle conferenze, io me le sto guardando e m'è venuta voglia di scriverne, o perlomeno di scrivere di quelle che mi sembrano più interessanti, o di scriverne fino a che non mi passerà la voglia, o magari di scrivere solo di questa di cui ho scritto in questo post e poi basta perché mi è passata la voglia. Comunque, iniziamo dal keynote di Todd Howard, intitolato "Why We Create, Why We Play”. Todd Howard è game director ed executive producer per Bethesda. È uno che quando lo nomini alle fan di The Elder Scrolls si bagnano tutte. E ha parlato un po' della filosofia alla base del lavoro di Bethesda. Qui subito sotto ci metto il filmato completo, chiaramente in inglese. Chi non ha voglia di ascoltare la sua voce da Paperino per quarantaeppassa minuti, o magari non ha dimestichezza con l'inglese parlato, si può accontentare di leggere ciò che ne scrivo a seguire.

Howard si è presentato al Dice tre anni dopo l'ultima volta (all'epoca parlò di Fallout 3, poi scattò il lavoro su Skyrim e non c'era tempo da perdere in chiacchiere). Ha aperto chiacchierando dei suoi esordi, di come al momento del suo ingresso in Bethesda non esistesse l'E3 e ci si limitasse ad andare al CES, in un tendone assieme ai film porno. Era un periodo in cui confezionavano letteralmente i giochi in cantina e Terminator Rampage vendeva magari seimila copie (certo non aiutato dall'uscita contemporanea di Doom). Il primo gioco sui cui lavorò Howard in Bethesda fu Terminator Skynet, uno sparatutto innovativo, in 3D, con la gestione dello sguardo tramite mouse... lo stesso anno in cui uscì Quake. Sarà per una sorta di contrappasso a questa specie di persecuzione che Bethesda tanti anni dopo s'è ritrovata assieme a iD?

La mappa delle connessioni di Bethesda e Zenimax. Manco le cospirazioni di Deus Ex.

"Cosa sono i videogiochi?", si chiede Todd Howard. Giochi? Giocattoli? Entertainment? Secondo lui rappresentano la miglior combinazione fra arte e tecnologia, e per questo ama lavorare nel settore. E come si lavora, in questo settore, negli uffici Bethesda? Con l'approccio giusto. Un approccio secondo cui la cultura del lavoro è più importante della pianificazione, perché ti permette di risolvere i problemi che via via si presentano per forza. Un approccio secondo cui, anche, l'esecuzione di un'idea è più importante dell'idea stessa, perché è ciò che definisce quel che stai creando. In Bethesda lavorano secondo delle regole precise, la prima delle quali riguarda forse il miglior pregio dei loro giochi: l'esperienza. Il punto di partenza dello sviluppo sta appunto nel definire questa esperienza, costituita dall'opportunità che un The Elder Scrolls ti offre di essere chi vuoi e andare in giro a fare quel che vuoi. Giochi che diano una sensazione di potenza, che siano evocativi, che sappiano come premiare l'esplorazione dei propri ambienti.

La citazione è tratta in realtà da una vecchia recensione di Arena e adattata a Skyrim.

Come si è evoluta la natura della serie The Elder Scrolls negli anni? In Arena l'idea stava soprattutto nella voglia di creare un mondo. Con Daggerfall ci si concentrò sul protagonista, il personaggio nelle mani del giocatore. Morrowind spostò l'attenzione sul realismo nella gestione degli elementi che compongono il mondo di gioco. In Oblivion, invece, Bethesda si concentrò sui personaggi. E Skyrim? Uguale a Oblivion ma con i draghi? Non proprio. L'obiettivo nello sviluppo di Skyrim è stato puntato sulla definizione dei rapporti fra tutti gli elementi del mondo di gioco, creando un sistema di azioni e reazioni, di modifiche alla struttura generate da ciò che fa il giocatore, in modo da rendere più credibile l'ambiente, il mondo, i comportamenti dei personaggi, la stessa evoluzione della storia.

Un simpatico schemino che illustra l'evoluzione della serie.

La creazione di Skyrim è avvenuta lavorando anche su semplici input, su spunti da tradurre in gioco. Su Howard che mostrava una sua action figure dicendo al team che il gioco doveva essere "quella cosa lì", sulla necessità di caratterizzare fin da subito l'esperienza definendo il mondo, gli ambienti, le sensazioni da comunicare e il tipo di esplorazione. Sul logo, anche, che da solo detta il tono del tutto, e sullo stile attraverso cui raccontare la storia. E poi sui draghi, sulla concezione di queste creature e sul modo di rappresentarle nel gioco, mettendo in scena la loro potenza, la forza iconica del volo, il loro modo di comunicare, studiandone nei dettagli il comportamento e la presenza negli ambienti.

La bella gente di Bethesda.

La prima regola dello sviluppo secondo Bethesda? "Great games are played, not made." Che sembra una frase buona per i Baci Perugina, ma il punto è che secondo Howard uno sviluppatore deve giocare ASSAI al proprio gioco, provarlo e riprovarlo, ragionare su cosa funziona e potenziarlo al massimo, eliminare tutto ciò che non va. In Bethesda non organizzano focus test esterni, fanno tutto fra di loro, giocano, rigiocano e arrivano poi al momento più difficile di tutti: ammettere un errore e correggerlo.

Un erroruccio da niente.

In termini di suddivisione del lavoro nel tempo, secondo Howard è importante riorganizzare un po' il ciclo di sviluppo, per fare in modo che aumenti la durata del cosiddetto "opportunity time". Che cos'è? È il periodo in cui ci si può realmente dedicare a capire cosa funzioni e cosa no, lavorando sull'ampliare le prime cose e levarsi dalle scatole le seconde. È il momento in cui ti rendi conto che i giganti sono una figata e bisogna mettercene tanti, che è bello avere i draghi che ti attaccano e vengono a far macello anche a terra e che ci sono cose nel sistema di combattimento che non funzionano e vanno eliminate. È il momento in cui ti rendi conto di cosa vada messo sotto i riflettori (i draghi) e cosa dai riflettori vada levato (i cavalli). Un esempio? Come mai, in Skyrim, non si possono usare i cavalli anche come "strumenti di trasporto", caricandoli di oggetti? Non è che ci voglia molto, a renderlo possibile, in termini di sviluppo. Il problema è che facendolo avrebbero reso il cavallo molto più importante, l'avrebbero spostato sotto i riflettori e questo avrebbe messo molto più in evidenza tutte le magagne che il cavallo si porta dietro. Bisogna essere furbi, insomma.

We need some quality time.

In Bethesda, una volta all'anno, organizzano una game jam. Per una settimana, tutti in azienda vengono invitati a fare quel che vogliono, a lavorare su quel che più li inziga, a patto che possa avere poi uno sviluppo concreto. "Create quel che vi pare, nell'ottica però di creare qualcosa che possa finire in Skyrim". L'ultima loro game jam ha prodotto un grosso quantitativo di roba, che in parte viene mostrato nel filmato della conferenza (a partire dal minuto 21:28): la kill cam, la gestione delle foglie degli alberi legata alle stagioni, una serie di potenziamenti a tema stealh, strutture appese e mobili nei dungeon, correnti acquatiche sotterranee, la possibilità di adottare figli o costruirsi una casa, il combattimento a cavallo, l'uso di kinect per lanciare incantesimi, l'opportunità di cavalcare i draghi... tante cose che non si sa che fine faranno. Saranno pubblicate come DLC? Saranno distribuite gratuitamente? Finiranno nel nulla? Boh.

Lo schemino del ciclo del gameplay. GOTO 1.

Imparare, giocare, sfida, sorpresa, torna al punto uno. Questo è il meccanismo attorno a cui ruotano i videogiochi, ed è un ciclo che continua a ripetersi. Maestri nell'utilizzarlo sono per esempio Valve e Blizzard, con la Gravity Gun di Half-Life 2 che è un perfetto esempio non solo di questa sequenza, ma anche di come la sequenza stessa, nel corso del gioco, possa ripetersi più volte. Saper calibrare al meglio questo ciclo, mantenendo il tasso di sfida costantemente in situazione di stallo, senza farlo sconfinare nella noia da un lato o nella frustrazione dall'altro, è la chiave del divertimento in un videogioco. Ed è tutto quello che non è entrare in un server di Call of Duty senza essere già cintura nera del gioco. E in tutto questo come si inserisce l'elemento narrativo? Secondo Howard la storia è quell'elemento che dona alle azioni del giocatore un senso, una motivazione. Che ti spinge a superare la sfida e affrontare il gioco. Per spiegare la cosa, Howard mostra una fase di gameplay tratta da Dead Island e, poi, la mostra nuovamente, facendo però scorrere al fianco il famoso trailer con cui il gioco a suo tempo venne presentato. Questo:



E quella stessa fase di gameplay, rivista con le immagini qua sopra a fianco e con i suoni e le musiche di qua sopra nelle orecchie, assume un significato completamente diverso. L'ambito narrativo, insomma, può e deve servire per dare maggiore significato al gameplay. Ed è in quest'ottica che si può e si deve guardare alle altre forme espressive. Ma il videogioco ha qualcosa in più rispetto al cinema. Cosa? Nel videogioco l'autore dà fiducia al giocatore, gli offre il potere di prendere il controllo del ciclo di gameplay e di manipolarlo come crede. E il giocatore, questa fiducia, se la merita, perché è il miglior regista possibile per la propria esperienza, per raccontare la sua storia privata all'interno del gioco.

Il ciclo del gameplay, messo in mano al giocatore, diventa una roba del genere.

Il giocatore, però, non va abbandonato a se stesso. Deve avere la possibilità di esserlo, deve poter decidere di andare per i fatti suoi, ma deve anche poter chiedere aiuto ed essere condotto per mano. In Skyrim, nel momento in cui si "esce", ci si trova davanti un personaggio. È una sequenza che è stata elaborata e rielaborata una marea di volte e che, nella versione finale, offre un personaggio non giocante che se ne va per i fatti suoi, e che può essere ignorato, ma che sta anche lì ad aspettare, a vedere se il giocatore lo segue, e in quel caso inizia a compiere una serie di azioni per mostrare le possibilità offerte dal mondo di gioco. Il giocatore può quindi scegliere cosa fare e costruirsi liberamente la sua storia. E qual è il passo successivo? Cosa si fa, dopo aver donato tutta questa libertà? Si permette ai giocatori di costruire e decostruire ulteriormente il gioco, tramite i mod. Ma qui, insomma, scatta il momento marchetta, con Howard che illustra brevemente la pubblicazione dello Steam Workshop, interessante strumento da mod tutto bello integrato col gioco, e sorvoliamo. Mi limito a segnalare, come mostrato da Howard, che fra i mod ce n'è uno che infila Wheatley di Portal 2 nel mondo di Skyrim.

L'orgoglio del videogioco.

Qual è l'emozione che solo il videogioco, fra le forme espressive, è in grado di dare? L'orgoglio. L'orgoglio per le azioni che stai compiendo, l'orgoglio di vincere la Champions League (sto romanzando), l'orgoglio di risolvere un puzzle complesso. E il game designer può veicolare tale orgoglio attraverso gli strumenti a sua disposizione: Howard porta l'esempio di Peggle e della sensazione di potenza che possono regalare l'Inno alla gioia e gli effetti di rallenti che scattano alla risoluzione di un livello. O, anche, la schitarrata che si sente quando si sale di livello in Modern Warfare. Ma l'orgoglio è un sentimento legato anche agli sviluppatori, che nel loro lavoro devono sforzarsi di stare costantemente in quella posizione a metà fra sfida e frustrazione, che porta appunto all'orgoglio. Si tratta di una grande arma, di una grande opportunità.

Pure la Corte Suprema degli Stati Uniti, ormai, ritiene i videogiochi una forma d'arte.

"Capito? Sono arte. Ora tocca a noi, a noi che siamo in questa stanza, mostrare alla gente quel che possiamo fare." Secondo Todd Howard stiamo vivendo una "golden age" del videogioco, un momento in cui chiunque può avere successo, lo si può ottenere in mille maniere. I videogiochi hanno qualcosa in più rispetto a tutto il resto, a tutte le altre forme d'intrattenimento. Hanno qualcosa di speciale: l'orgoglio che deriva dal compiere una grande impresa, dal rendere un giocatore orgoglioso di aver ottenuto un risultato, magari anche solo di aver comprato il gioco stesso. L'orgoglio dello sviluppatore, dell'autore.

Ovviamente il filmato là in cima contiene più roba di quanta ne abbia raccontata e mostrata io. Ve lo siete guardato? Preferite leggere? Tutteddue? Vado avanti a scrivere post o mi limito a guardarle, 'ste conferenze? È un lavoro inutile perché tanto i quattro gatti che mi leggono sanno l'inglese e si guardano il filmato? È comunque ottimo perché faccio un post in cui c'è scritto Skyrim e la gente mi clicca?

12 commenti:

Io sarei più interessato al discorso "dove cavolo stanno andando i videogiochi" che come dice nel discorso, non mi sembra che si stia vivendo tutta sta grande "golden age" nel settore (vedere anche tutte le SH che hanno chiuso nel 2011) o meglio: ci sono SH che stanno sperimentando e altre che stanno lucrando da una vita su contenuti che ormai annoiano e anche tanto. Che poi se uno si fa un minimo di giretto su qualche Indie serio, capisce davvero dove stanno le idee vere ma credo che sia un discorso lungo e complesso.

Occhio, però: io la cosa l'ho appena accennata, ma lui, nel suo parlare di Golden Age, cita anche (soprattutto?) la scena indie. Il fatto che a livello "basso", sui dispositivi mobile, facebook, piattaforme indie eccetera, si sia tornati a un periodo in cui la possibilità di creare qualcosa è veramente alla portata di tutti (poi, chiaro, con tutti i se e i ma dati dal fatto che se escono centomila giochi su App Store non è facile emergere). Tieni anche conto che parlava a sviluppatori, e tipicamente, nel pubblico, a questi eventi, non è che ci siano solo i dirigenti delle grandi aziende.

Interessatissimo a cose tipo questa! Perchè? Perchè il tema mi interessa, non ho il tempo di vedermi 10 talks da mezz'ora l'uno, leggere il tuo report mi aiuta a capire i fondamentali si ogni singolo talk e poter dire "da vedere" oppure "basta così".
Per dire, di questo andrò sicuramente a vedermi la parte sui cicli di sviluppo (è interessante per il mio lavoro, che peraltro non ha niente a che fare con videogiochi o software).

Sul tema "golden age": più che la possibilità di creare, che più o meno c'è sempre stata, oggi c'è davvero la possibilità di fare marketing a costo molto basso, tendente a zero e di "monetizzare" quasi subito (anche a gioco in sviluppo). E tra l'altro questo modello privilegia i giochi "di idee" rispetto ai giochi "di marchio", a nostro vantaggio.

interessato a leggere i tuoi riassunti, grazie se li fai

Il filmato è uno sbatti, poi il mio orecchio inglese sta male. Se riassumi si legge.

[quote]
È comunque ottimo perché faccio un post in cui c'è scritto Skyrim e la gente mi clicca?
[/quote]

Si, esattamente! :P

Ammetto di aver aperto il pezzo solo perche' "figata c'e' Giopep che parla di Skyrim" e poi invece ho trovato molto interessante il tuo riassunto che si, e' molto gradito, perche' non posso mettermi a guardare il filmato e anche io mio orecchio inglese non e' allenatissimo. Magari con i sottotitoli (anche in inglese eh) sotto, posso capire senza problemi, ma solo il parlato, faccio fatica a seguirlo per bene.

Hahahahaha, sorry, non siamo in un forum, i tag non funzionano. :D

Eheh, lo so. Anni e anni di scrittura su nextgame mi hanno ormai marchiato a vita! Ahah. :P ;( Lacrimuccia...

Posta un commento

 
cookieassistant.com