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22.2.10

Amabili resti

The Lovely Bones (USA, 2002)
di Alice Sebold


Ho sempre avuto una discreta paura della morte. Non credo nell'aldilà e l'idea che un giorno la mia coscienza e la mia stessa esistenza svaniranno nel nulla mi sembra plausibile, credibile, normale, agghiacciante. Dubito all'universo freghi qualcosa, se io non riesco a immaginare cosa voglia dire smettere di esistere. Anche perché non c'è nulla da immaginare: se smetti di esistere, smetti di esistere. Punto. Finita lì. Più passano gli anni e più questa cosa mi fa cacare sotto. Immagino che un giorno me ne farò una ragione.

Amabili resti
racconta dell'esatto opposto. Racconta della vita dopo la morte, del paradiso, e ti spiega come, in fondo, non sia neanche da buttare. È sostanzialmente questo ad aver fatto incazzare Roger Ebert. Quest'idea trasmessa dal film di Peter Jackson secondo cui essere stuprate e ammazzate non è neanche male, visto che poi ti ritrovi in un luogo fantastico, meraviglioso, puffettoso e colorato, pieno di amiche con cui passare il tempo. Io il film devo ancora guardarlo, ma il libro di Alice Sebold presta sicuramente il fianco a questo genere di critica.

Ma d'altra parte, insomma, il paradiso è il paradiso, no? Voglio dire, se esiste, e se è il paradiso che ci immaginiamo, non può che essere un bel posto. Questo, però, non significa che finirci anzitempo sia una bella cosa. Non lo è per niente, e Amabili resti lo spiega proprio per benino, soprattutto nel primo, splendido, agghiacciante, commovente centinaio di pagine. Dopo un capitolo iniziale da cazzotto feroce nello stomaco, attacca a raccontare di questa ragazzina incastrata nell'oltretomba e costretta ad osservare attraverso una pellicola trasparente il mondo. Il mondo che va avanti senza di lei.

Attraverso i suoi occhi, narra le reazioni che una famiglia e una cittadina possono avere di fronte a un evento di tale terribile, incomprensibile, ingiustificabile portata. La frustrazione, il dolore, la rabbia, la speranza infranta, l'incapacità di comprendere, il desiderio di trovare una ragione. Pagine delicate, intense, toccanti, che commuovono senza scadere nel patetismo e che risultano ancora più efficaci proprio grazie al terribile spunto di partenza. Grazie al filtro d'insostenibile impotenza che ricopre gli occhi della giovane Susan, condannata a non diventare mai donna, a non poter soddisfare il suo desiderio di vendetta, a sopportare il dolore dei suoi familiari senza poterli in alcun modo consolare.

Fino a che si limita a questo, a questi piccoli momenti, a queste pillole di angosciante dolore, Amabili resti è un romanzo strepitoso e strepitosamente efficace. Dove fallisce è nello sviluppo di un intreccio che sembra non sapere da che parte andare. E se da un lato la cosa può essere voluta – in fondo la vita non è forse un romanzo incoerente, sfilacciato, privo di direzione? – dall'altro il lento incedere verso un epilogo consolatorio, forzato, in cui tutto pare infilarsi nella casellina giusta ma nulla sembra funzionare come dovrebbe, beh, lascia parecchio l'amaro in bocca.

Resta però quella lucida, spiazzante, lancinante analisi del dolore umano, che rende irresistibile tutta la prima parte di romanzo e per brevi tratti riemerge anche più avanti, quando le cose si fanno stanche e prive d'interesse. Sono questi i limiti del film di Peter Jackson che l'hanno fatto odiare a una così larga fetta della critica mondiale? Non ne ho idea, lo scoprirò fra un paio di settimane.

Il libro l'ho letto in lingua originale, nell'edizione fotografata là sopra, dato che faceva parte del cumulo di scellerati acquisti compiuti da Waterstone a gennaio. Esiste un'edizione italiana pubblicata da E/O.

4 commenti:

Condivido molto di quanto da te detto per quanto concerne l'aldilà e cose simili, e trovo quanto te che sia una cosa sì spaventosa, ma la trovo anche affascinante...

Avoglia, fascino a manetta. Certo, sarebbe bello poter sapere e poi tornare indietro... o forse no... boh :D

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