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11.9.09

Videocracy - Basta apparire

Videocracy (Danimarca, Italia e un po' di altri posti, 2009)
di Erik Gandini


Guardo Videocracy e mi sento un po' uno straniero, una di quelle persone per cui questo documentario probabilmente è pensato. Non perché mi ritenga un essere superiore rispetto all'operaio che vuole diventare Ricky Martin o alla ragazza che vuole fare la soubrette, in fondo sul guadagno facile non ci sputerei proprio sopra e ogni tanto un euro di superenalotto l'ho anche speso. No no, mi sento un po' straniero perché io di 'sti programmi televisivi con le mamme che vogliono accoppiare i figli sfigati, di 'sti concorsi per le veline nei centri commerciali, non so veramente nulla. Perché Lele Mora è un nome che ho sentito qualche volta, ma pensavo fosse uno stilista. Perché Corona... no, in effetti Corona lo so chi è. La sua parabola messianica è almeno in minima parte giunta anche a me che da ormai oltre dieci anni accendo la TV solo per usare altri aggeggi che ci attacco.

Dopo un po' la sensazione passa, e mi faccio affascinare da questo ritratto dell'Italia e degli italiani che guardano la TV, più che della TV italiana e di chi la realizza. E allora comincio a chiedermi se il problema sia il fatto che questo piscio viene prodotto, o la semplice esistenza di milioni di persone che se lo bevono con gusto. O perlomeno mi chiedo dove stia il confine fra le due cose e come si faccia a spostarlo nella direzione opposta rispetto a quella verso cui sembra muoversi senza tregua da un po' troppi anni.

Poi penso che in fondo, al di là del mostrarmi robe che magari immaginavo ma perlomeno ho smesso di guardare da tanto tempo, non è che 'sto Erik Gandini mi stia dicendo molto che non venga quotidianamente raccontato meglio e più approfonditamente su Internet da Travaglio e (ormai) tanti altri. Oddio, poi un ripasso non fa mai male, e vedere le cose messe in fila una dietro l'altra rappresenta sempre un'esperienza un po' agghiacciante.

Ma la rivelazione vera ce l'ho quando comincio a guardarmi attorno, in sala. A sinistra, un gruppo di signore un po' avanti con gli anni, che prima del film mi han rotto le palle in maniera sgarbata dando per scontato che io - ragazzetto, ue, ai miei tempi non erano così - mi sono seduto in uno dei loro posti. Non sia mai che abbian sbagliato loro a leggere, eh, no, partiamo dall'assunto che io son giovane e stronzo e mi devi trattare come la cacca del tuo cane calpestata per sbaglio. Stupisce che queste passino tutta la proiezione a far battute sagaci e indicare col ditino personaggi famosi declamandone nome e cognome? No, non stupisce.

A destra, due tizi che portan sulla gobba qualcosa in più di trent'anni, ma li portano molto ma molto peggio di come io manifesti i miei trentunoancoraperduesettimane. Parlano, parlano, parlano, a voce alta, commentano, aprono buste, chiudono buste, scherzano, ridono, si guardano attorno con spocchia e se gli fai presente a bassa voce che magari potrebbero far più piano loro non ti sentono. Non è che ti ignorino, è che proprio manco ti sentono. Poi insisti, e quelli ti accontentano, con un po' di sufficienza, per due minutini. Epperò, quando il film finisce, hanno il momento d'orgoglio: "Un po' alla maicolmur, sisi, maicolmur, quello stile un po' lì, un po' così."

Mentre riprendo a seguire il film un po' infastidito, qualcuno (non ricordo chi, abbiate pazienza) sentenzia che in Italia parlare a bassa voce non serve a nulla. Che non ti ascoltano, proprio. Devi urlare, strepitare, dar fastidio, farti sentire con la forza, altrimenti non conti, non sei nessuno, ti toccherà passare tutta la vita appiccicato al tornio, mentre le ragazze ti ignorano e tu sogni una carriera d'altro tipo. Già, ecco, per l'appunto. Studio un attimo le signore e i tizi con la coda dell'occhio. No, non mi pare si siano sentiti chiamati in causa. Bah, pazienza, torniamo al film, ché c'è Corona che sventola l'uccello mentre si fa la doccia.

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