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9.2.15

The Strain - Stagione 1


The Strain - Season 1 (USA, 2014)
creato da Guillermo del Toro e Chuck Hogan
con Corey Stoll, David Bradley, Mia Maestro, Kevin Durand, Jonathan Hyde, Richard Sammel, Sean Astin, Miguel Gomez 

Nato come trilogia di romanzi scritti a quattro mani da Guillermo del Toro e Chuck Hogan, portato poi da loro stessi sui sanguinari schermi FX, con la collaborazione di quel Carlton Cuse a cui dobbiamo, nel bene e nel male, sei anni di Lost, The Strain è un'operazione che per certi versi può ricordare il fumetto American Vampire. Recuperando un po' il design dei vampiri mutanti che aveva utilizzato nel'ottimo, e forse sottovalutato, Blade 2, del Toro prova a restituire ai succhiasangue una dimensione mostruosa, sanguinaria, virale, realmente spaventosa, lontana dai pizzetti, dalle mossette e dai luccichii diurni a cui siamo ormai abituati. I vampiri di del Toro e Hogan sono creature disgustose e violente, che hanno solo una cosa in testa, attaccano e contagiano usando tentacoli, bava, vermi, mordono in maniera distruttiva e distorcono l'amore trasformandolo in metodologia per la selezione della preda. Una fra le intuizioni più felici di The Strain, infatti, è quella secondo cui i trasformati, come prima cosa una volta tornati in piedi, vanno alla ricerca di chi amavano in vita per cibarsene. È un'idea potente e viene sfruttata piuttosto bene, meglio di tanti altri spunti che finiscono invece abbandonati a loro stessi, in una serie che, purtroppo, in comune con American Vampire ha anche l'incostanza, il passare da momenti davvero notevoli ad altri da latte alle ginocchia.

La scelta di mostrare in maniera approfondita l'esplosione dell'epidemia, le prime fasi di un'apocalisse a base di non morti, è interessante, o comunque perlomeno originale, se consideriamo che la stragrande maggioranza dei racconti di questo tipo parte direttamente a disastro avvenuto o ci arriva molto in fretta a botte di ellissi. Il problema è che c'è un motivo se in genere si sceglie di fare così: le fasi iniziali dell'epidemia sono una gran rottura di palle, un trascinarsi verso l'inevitabile arrivo del divertimento vero. E infatti questa prima stagione di The Strain è, in larga misura, un susseguirsi di momenti in cui sei lì che aspetti l'esplosione del caos e questo non ne vuole sapere. Ma soprattutto, a giochi finiti, si ha la sensazione di aver guardato un lungo prologo. Da un lato ci sta, considerando che fin dall'inizio - ascolti permettendo - sono state progettate cinque stagioni e tutto sommato si vede il potenziale per sviluppi intriganti, con tanta carne gettata sul fuoco. Dall'altro, però, ci si trova ad aver guardato per sette puntate delle divagazioni neanche malvagie, ma che a conti fatti si sono confermate essere appunto divagazioni che si perdono nel nulla, e per le sei successive un bel crescendo il cui culmine non può che essere però un nulla di fatto.

In più, a gravare sulla riuscita di The Strain ci si mette anche il budget da serie TV. Mettere in scena una New York in preda all'apocalisse non è cosa da poco e infatti non è che qui ci si riesca molto bene. A tratti l'illusione quasi regge, soprattutto grazie al lavoro sull'audio, un tripudio di sangue cavato dalle rape, ma per la maggior parte del tempo non si capisce dove caspita sia il delirio a cui la storia cerca disperatamente di farci credere. Quella che dovrebbe essere una faccenda che colpisce su ampia scala finisce per restituire il sapore di questioni molto ridotte, circoscritte ai protagonisti. E la cosa potrebbe anche andare bene, visto che in fondo al centro dell'azione ci sono le loro storie, ma si crea un'incoerenza di fondo a tratti davvero storta. E poi ci sono i vampiri. Da un lato, le creature funzionano bene pur senza essere questo tripudio di effetti speciali allo stato dell'arte: nonostante qualche passo falso, sono disgustose e inquietanti. Il loro capetto, però, il maestro che diventa in fretta l'antagonista principale, è inguardabile. Ma proprio inguardabile, eh.

Per fortuna c'è Vasiliy.

Magari la cosa è in parte voluta, un tentativo di mettere in mostra una qualche forma di orrore ridicolo, ma rimane il fatto che quella che dovrebbe essere la presenza più minacciosa della serie, ogni volta che offre un primo piano, al massimo minaccia di far ridere. Per fortuna, consapevolmente o meno, gli autori scelgono di mostrarlo il meno possibile e il vero ruolo di principale antagonista, perlomeno in questa prima stagione, va al suo galoppino, lui sì davvero efficace. A interpretarlo c'è l'ottimo Richard Sammel, che gli regala un taglio quasi macchiettistico, ma proprio per questo efficace. Il suo Eichhorst, per altro, è anche al centro del classico parallelo tanto caro a del Toro fra horrore sovrannaturale e schifezze perpetrate dall'umanità, immancabile seppur non riuscito come nei suoi migliori film. Più in generale, a tenere in piedi la serie sono proprio gli attori e il carisma che ci mettono, nonostante una scrittura spesso discutibile.

Corey Stoll, al di là del parrucchino impresentabile, fa da centro nevralgico e morale alle vicende e inietta la giusta dose di insopportabile pragmatismo in un personaggio che rappresenta l'ancora alla normalità in un cast costantemente piazzato due metri sopra alle righe. Il Vasiliy Fet di Kevin Durand, col suo cambiare quattro accenti al minuto, è meraviglioso. Praticamente è lo Jena Plissken dei derattizzatori e ogni volta che gli viene lasciato spazio si mangia tutti quanti. L'ottimo David Bradley dà il massimo e regala carisma a un ruolo onestamente ingrato, considerando che passa il tutto il tempo a declamare spiegoni e strillare dietro a chi non lo ascolta, mentre il suo personaggio viene sviluppato nei flashback da un altro attore. Sean Astin fa il suo dovere in quella che è sostanzialmente una versione più tenerona del ruolo che aveva in 24. E poi c'è il trio femminile, che lascia di stucco perché, incredibilmente, abbiamo una serie televisiva di genere americana in cui ci sono nel cast fisso non una, non due ma addirittura tre donne che non hanno la sola funzione di risultare insopportabili e compiere gesti insensati che mettono tutti nei guai. Per essere una serie che non si fa il minimo problema ad abbracciare tutti i cliché possibili e immaginabili, è apprezzabile che The Strain voglia evitare di ricadere proprio in questo (poi, certo, l'hacker super gnocca, ma insomma, non chiediamo troppo).

E intendiamoci, i personaggi macchietta fastidiosi non mancano, soprattutto considerando che anche qui non ci è stato risparmiato il solito figlio pasticcione interpretato da un cane maledetto, ma complessivamente non fanno molti danni. La verità, però, è che The Strain dà il suo meglio quando abbraccia fino in fondo la sua natura camp e la butta in caciara, lasciando spazio ai personaggi più sopra le righe e alle sue esplosioni folli. E in questo senso, più o meno tutto ciò che riguarda l'entrata in scena dei vampiri (sì, anche dell'inguardabile maestro) fa decisamente il suo dovere. Ci sono idee e momenti proprio azzeccati, dalla vasca da bagno ai problemi d'urologia di Bolivar, passando per i diversi confronti con Eichhorst e il maestro o sequenze azzeccate come quell'attacco alla casa di cura, messo in scena (da Peter Weller, nientemeno) con inquietante, banale normalità. E c'è l'ottavo episodio, il più riuscito dall'inizio alla fine (a parte magari il pilota, ma quello l'ha diretto del Toro e ci mancherebbe altro), che con quel coinvolgente assedio alla stazione di benzina imprime una svolta alla stagione e sembra promettere qualcosa che poi non arriverà fino in fondo. Ma per tutti questi motivi, nonostante i suoi limiti, The Strain è una serie che si lascia guardare con piacere, che quando ingrana sa essere parecchio divertente e che ci fa il favore di restituire ai vampiri la loro dimensione di mostri nascosti nell'ombra. La speranza è che andando avanti riesca a correggere il tiro e liberarsi dei suoi aspetti meno riusciti. In questo senso, perlomeno, la velocità con cui gli autori sembrano disposti a mettere fuori gioco i personaggi e mietere vittime fra il cast di supporto fa ben sperare.

In America l'han trasmesso l'anno scorso, a cavallo fra estate e autunno. In Italia ci arriva questa sera su Fox. Se potete, cercate di guardarlo in lingua originale, un po' perché gli accenti di Richard Sammel e Kevin Durand fanno metà dei rispettivi personaggi, un po' perché una serie così costantemente in bilico sull'orlo del ridicolo è facile farla sbracare col doppiaggio.

3 commenti:

me la sono vista l'estate scorsa durante la classica scorpacciata Trash estiva (Falling Skies, Last Ship, the strain, under the dome). in assoluto il migliore tra i citati.

Qualche piccola correzione da nerd: il progetto nasce come serie TV che Del Toro propose alla FOX. Fu bocciata (o meglio gli chiesero di trasformarla in una specie di comedy), il nostro rosicò molto (li mandò a cagare), si comprò Chuck Hogan e ne fece una trilogia di successo. Quando la FOX ripassò per dirgli che forse si poteva pensare di farne una serie come diceva lui, aveva già firmato tutto con FX e girato il Pilot. True Story.

Assolutamente da guardare in originale, e nonostante il make up del cattivissimo (ma come si fa?), io alla fine l'ho trovata la migliore serie apocalittica degli ultimi tempi.

Avendo letto i libri: sono praticamente arrivati alla fine del primo con la prima stagione, non so come possano arrivare a 5 con questi ritmi, ma in teoria il secondo libro è la parte più bella del tutto.


Grazie per la puntualizzazione, ma insomma, quel che intendevo dire è che sono usciti i libri e poi la serie, a prescindere da tutta la trafila di gestazione. :)

Comunque, anche non avendo letto i libri, sono abbastanza convinto che possa migliorare andando avanti, scrollandosi di dosso gli impacci della prima stagione (certo, il maestro rimane quello :D).

Figurati, è che la trafila di gestazione mi fece ridere quando la lessi, mi sembrava un more of the same divertente, che dimostra quanto è caparbio Del Toro quando si mette in testa una cosa (che in fondo mi da una pò di speranza per le montagne della follia...)

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