Calvary (Irlanda/GB, 2014)
di John Michael McDonagh
con Brendan Gleeson, Chris O'Dowd, Kelly Reilly
In un paesino irlandese di quelli circondati solo da verde, sassi e oceano, un prete si vede arrivare nel confessionale un uomo particolarmente inacidito. Questi gli racconta di aver subito molestie indicibili da un altro prete quando era piccolo (cosa non esattamente rara da quelle parti), che il colpevole è morto da tempo e che ha deciso di voler trovare una qualche forma di catarsi ammazzando un prete buono, una brava persona, compiendo quindi un gesto insensato e non giustificabile con la sete di vendetta. Gli dà appuntamento a una settimana dopo in spiaggia e se ne va. Così, come se niente fosse. Il nostro amico prete non è sicuro al cento per cento, ma è abbastanza convinto di aver capito chi sia, anche perché nell'intero cast del film c'è un solo altro attore vagamente noto e, insomma, si sa come funzionano queste cose. Ma non è un problema, perché il punto, qui, non è certo svelare un mistero da giallo della settimana.
Calvario è il secondo film di John Michael McDonagh, fratello del forse più celebre Martin (In Bruges, 7 psicopatici), capace con la sua opera d'esordio The Guard (giunta in Italia con lo stravagante titolo Un poliziotto da happy hour) di estrarre dal cilindro il maggior incasso di sempre del cinema irlandese. È importante sottolineare la parentela perché c'è un tratto distintivo che unisce i due fratelli: quello dei personaggi assurdi, sopra le righe, tutti matti nella capoccia. Ed è una cosa che, in un film come Calvario, può rappresentare un problema, per pure questioni di tono generale. Sebbene ci sia una certa dose di umorismo nero come la pece, infatti, la storia di questo prete interpretato da un fantastico Brendan Gleeson è estremamente seria, drammatica, imbevuta di temi pesanti e commoventi. Si parla di perdono, di accettazione delle colpe proprie, oltre che altrui, e del difficile rapporto che il popolo irlandese ha con la Chiesa: tutti, ma proprio tutti i locali, anche quelli che gli riconoscono una natura buona, trattano malissimo il protagonista e non a caso gli unici a dargli realmente il beneficio del dubbio sono due stranieri. E la cosa si riflette in parte anche nella caratterizzazione che viene data a un po' tutti: il protagonista è un gran bel personaggio, solido, scritto benissimo, con battute sempre pungenti ma assolutamente credibile, e tutto sommato lo stesso si può dire della figlia (avuta prima di trovare la fede). Attorno a loro, però, solo follia, con la parziale eccezione dei due stranieri di cui sopra, che non hanno molto da dire ma sembrano gli unici due sani in un mondo di gente fusa. Insomma, questa gente è davvero così o è lo sguardo del protagonista che ce li mostra come caricature a lui totalmente aliene?
Quale che sia la risposta, il film sfrutta questo punto di vista per raccontare la surreale settimana di un uomo sostanzialmente condannato a morte per una colpa non sua, ma che in qualche modo condivide, trascinandoci in un progressivo tuffo verso l'inevitabile ansia e il senso di crescente disperazione che, ovvio, ne viene fuori. Non è un caso, del resto, se da circa metà in poi l'umorismo svanisce nel nulla e rimane solo un fare i conti con l'anima nera del protagonista e di chiunque gli ruoti attorno. Ne viene fuori un ritratto impietoso, agghiacciante, che ti lascia addosso un senso di sporcizia e la voglia di farti una lunga doccia. Il problema è che raccontare una storia del genere attraverso un cast di personaggi così schizzatino (per quanto forse neanche troppo surreale, considerando l'ambientazione, e comunque contestualizzabile come gran metaforone del rapporto fra l'irlandese medio e la Chiesa) può generare risultati un po' stranianti. In parte la cosa è sicuramente voluta ma, tant'è, si tratta di un approccio che McDonagh non padroneggia forse nel migliore dei modi, faticando qua e là a centrare il tono giusto. Io non ho particolari problemi con questi strani mix ma, insomma, tanto vale sottolinearlo. Detto questo, Calvario merita comunque una chance, perché affronta temi forti senza tirarsi indietro e anche perché McDonagh riempie lo schermo con una splendida Irlanda, ritratta con uno sguardo dalla forza limpida.
Il film si porta un annetto sulle spalle, ma nei cinema italiani ci è arrivato la scorsa settimana. Io me lo sono guardato su Netflix, in una lingua originale ad alto tasso di pronunce isolane dalla difficile interpretazione.
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